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Modalità d’ingresso e inserimento nel mercato del lavoro

Nel documento Caratteri del processo migratorio: (pagine 119-123)

GLI IMMIGRATI NELLA PIANA DEL SELE

5.1 Modalità d’ingresso e inserimento nel mercato del lavoro

Al fine di una presentazione e interpretazione il più possibile esaustiva del quadro generale della realtà della Piana del Sele e dell’inserimento lavorativo-abitativo degli immigrati, fondamentali sono stati per me i dati ricavati dalle interviste ad esponenti dei sindacati e ad alcuni immigrati, che ho effettuato tra giugno e ottobre del 2002, oltre che una relazione stilata dalla FLAI-CGIL, dal titolo La presenza degli immigrati in

agricoltura nella Piana del Sele, resoconto di un’indagine empirica

condotta nella Piana del Sele, gentilmente concessami da Anselmo Botte, sindacalista CGIL di Salerno, da tempo impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori stranieri.

Nella relazione FLAI-CGIL viene precisata la difficoltà di inquadrare quantitativamente il fenomeno dell’immigrazione, soprattutto quando si cerca di analizzarlo correlandolo al mercato del lavoro e alla struttura occupazionale. Per questi motivi un’indagine empirica in un territorio circoscritto, la Piana del Sele, è stata preferita ad un’indagine che coprisse un territorio più vasto. L’indagine è stata realizzata dalla FLAI-CGIL in coincidenza della fase di tesseramento dei braccianti nei mesi di Febbraio-Marzo 2001.

Sono state svolte assemblee in tutti i luoghi di maggiore aggregazione dei lavoratori immigrati addetti al settore agricolo, raccolte informazioni sulla condizione lavorativa, orari, salari, periodi lavorativi, provenienza, mobilità territoriale e nazionale, data del primo ingresso, rientri in Patria e regolarizzazioni.

Il fenomeno dell’ingresso e della presenza dei lavoratori immigrati nella Piana del Sele ha origine soprattutto alla fine degli anni Ottanta, con

Marocco, Algeria, Tunisia e Senegal. Agli inizi il fenomeno ha interessato poche centinaia di individui che si sono insediati nel territorio dei comuni di Battipaglia ed Eboli, dedicandosi prevalentemente alle attività agricole e stagionali e a quelle caratterizzate da rapporti di lavoro stabili nelle aziende agricole locali (es. stalle bufaline).

Questi primi insediamenti hanno calamitato negli anni altri flussi migratori di connazionali, in prevalenza marocchini, soprattutto in concomitanza dei periodi correlati alle grandi raccolte di prodotti agricoli nella Piana del Sele (es. carciofi, fragole, frutta e ortaggi) e connotandosi in maggioranza come forza-lavoro stagionale e di transito.

A partire dalla metà degli anni Novanta il fenomeno ha assunto una diversa connotazione, con un incremento crescente dei flussi di ingresso che si andavano caratterizzando come presenza non più sporadica, ma evidenziando i primi elementi di ricerca stabile di attività lavorativa agricola anche oltre le stagioni delle grandi campagne di raccolta.

Secondo l’indagine condotta dalla FLAI-CGIL, il numero complessivo di immigrati impegnati nel settore agricolo ammonta a circa 1800 unità, dei quali soltanto una piccola parte possiede un regolare permesso di soggiorno, mentre la restante parte si connota come irregolare o clandestina.

Gli immigrati con un permesso di soggiorno regolare rappresentano la base storica e di più maturo insediamento (dai 5 ai 15 anni). Quasi tutti hanno ottenuto la regolarizzazione in seguito alle “sanatorie” che si sono susseguite dalla fine degli anni Ottanta e Novanta ed una parte rilevante ha utilizzato lo strumento dello “sponsor” introdotto dalla Legge n. 40 del 1998, meglio conosciuta come Turco-Napolitano.

Rari sono i casi di ricongiungimento familiare, soltanto una cinquantina.

La nazionalità prevalente è quella marocchina (80% circa) e l’età media nella quale si concentra la maggior parte degli immigrati è rappresentata dalla fascia di età compresa fra i 30 - 40 anni. Fra i “clandestini” è residuale (circa 2%) la quota di chi, entrato regolarmente, in seguito è divenuto irregolare. La maggioranza è costituita da lavoratori che hanno varcato le frontiere irregolarmente permanendo dunque nello stato di clandestinità.

Si può dunque sostenere che l’ingresso irregolare sia diventato l’unico modello perseguito da questa fascia di immigrati, che evidentemente trova difficoltà a soluzioni di ingressi regolari e punta esclusivamente a successive ipotesi di sanatorie per regolarizzare la propria posizione sul territorio nazionale. Da ciò consegue l’inefficacia della Legge Turco-Napolitano che, se in generale ha reso estremamente difficoltoso l’ingresso nel territorio italiano e la permanenza dei lavoratori immigrati in una condizione regolare, nel Mezzogiorno lo ha quasi annullato totalmente. Questo anche in seguito all’emanazione di decreti di regolamentazione dei flussi d’ingresso, che non hanno mai previsto, se non in minima parte, quote per le regioni meridionali, escluse da tali assegnazioni probabilmente per gli alti tassi di disoccupazione che le caratterizzano, ed ignorando così la grande richiesta di numerose aziende agricole del Mezzogiorno di forza lavoro straniera, in quanto, nonostante gli alti tassi di disoccupazione in queste regioni, risulta insufficiente la disponibilità di forza-lavoro autoctona nelle attività del settore primario.

Un dato può essere utile ad evidenziare il fenomeno, e riguarda gli allevamenti bovini e bufalini, nei quali da diversi anni non è più possibile reclutare forza-lavoro locale, indisponibile a tale attività, che è diventata di esclusiva competenza di lavoratori immigrati, soprattutto indiani e pachistani.

Oggi nella Piana del Sele, su un totale di 1696 aziende di allevamento bufalino e bovino con un numero di capi pari a 13.896, lavorano circa 400 immigrati e rappresentano oltre l’80% di tutta la forza-lavoro dipendente addetta al settore.

La normativa precedente, sostituita dalla nuova Legge Bossi-Fini sull’immigrazione (2002), offriva comunque qualche opportunità con la figura dello “sponsor”, una norma che è stata utilizzata in situazioni limitate anche dalle aziende agricole locali per regolarizzare alcuni lavoratori clandestini. Lo “sponsor” poteva rappresentare un valido strumento di regolarizzazione se insieme alle parti datoriali agricole, che hanno manifestato in certi casi la loro disponibilità, il sindacato avesse avuto la possibilità di intraprendere un percorso comune per l’emersione dalla condizione di clandestinità. Questa ipotesi di percorso non è più proponibile in seguito all’approvazione della nuova Legge sull’immigrazione, che cancella la figura dello “sponsor” e con essa probabilmente l’unica possibilità di regolarizzazione di questa forza-lavoro.

Con la nuova Legge si introducono la norma ed il principio del permesso di soggiorno vincolato alla durata del contratto che, oltre a schiavizzare i lavoratori immigrati e a renderli maggiormente ricattabili, non risponde alle esigenze di un’agricoltura altamente specializzata e di qualità nella Piana del Sele. Va detto infatti che qui gli alti livelli di specializzazione in agricoltura hanno bisogno di una correlazione stretta con una adeguata professionalità della manodopera, prevedendo percorsi formativi mirati e stabilizzando i rapporti di lavoro nelle singole aziende agricole.

Oggi su questo territorio sono in via di estinzione alcune professionalità classiche che hanno determinato lo sviluppo del settore primario, per esempio i potatori, gli innestatori, gli addetti all’impianto

serre, gli allevatori. Si tratta di attività svolte da lavoratori in età avanzata e vicini alla pensione, per i quali se non si affronta tempestivamente il ricambio generazionale si corre il rischio concreto di perdere un grande patrimonio di esperienza e professionalità.

Fra le giovani generazioni locali risulta sempre più difficile trovare disponibilità ad intraprendere percorsi professionali che abbiano queste caratteristiche e gli immigrati potrebbero rappresentare una risorsa determinante in questa direzione, dopo opportuni e mirati percorsi formativi.

A questo punto è lecito porsi una domanda: com’è possibile applicare nel contesto agricolo la norma che prevede il permesso di soggiorno vincolato al rapporto di lavoro?

Lo scenario che caratterizza la Piana del Sele richiede manodopera agricola nell’arco dell’intero anno solare, con picchi eccezionali concentrati nei periodi delle grandi raccolte (carciofi, fragole, ortofrutta, pomodori). Picchi che si protraggono per diversi mesi, da Aprile ad Ottobre, nei quali puntualmente ogni anno si sente levare il grido di allarme degli imprenditori agricoli locali che richiedono manodopera agricola che sarà ovviamente immigrata. Anche nelle campagne, come in altri casi, l’immigrato si connota come un lavoratore invisibile, alla mercè di padroni e caporali senza scrupoli che sfruttano la manodopera straniera. Anche per la FLAI-CGIL, così come per Enzo Maddaloni della UIL (cfr. interviste in Appendice), la sicurezza e la qualità alimentare sono caratteristiche che non possono essere garantite da condizioni di irregolarità e clandestinità della manodopera.

Nel documento Caratteri del processo migratorio: (pagine 119-123)