PROPOSTE DI RIFLESSIONE PER UN CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI
«FOSSERO TUTTI PROFETI
3. Insieme nel gruppo
La “profezia dell’insieme” non si esercita solo nella solidarietà tra individui, ma anche nella solidarietà nel gruppo e tra i gruppi.
Nel racconto della Genesi, dopo il peccato della torre di Babele (Gn 11), Dio interviene nella storia con una nuova iniziativa scegliendo A-bramo (Gn 12). Da AA-bramo in poi vediamo uno sviluppo dall’individuo al popolo, da uno a molti e a tutti. Il Signore dirà ad Abramo: «In te sa-ranno benedetti tutti i popoli della terra» (Gn 12,3). Nello sviluppo dal-l’individuo al gruppo sociale, nel passaggio dall’io al noi, emergono soprattutto tre modalità di comunione: la famiglia, la tribù e il popolo.
Questi sono i contesti principali all’interno dei quali Israele sviluppa la sua “profezia dell’insieme”.
3.1. La famiglia
La famiglia è la realtà-fonte di ogni rapporto umano e sociale. Il primo “camminare insieme” si realizza nella famiglia. Nella Bibbia, so-prattutto nel racconto della storia dei patriarchi, si vedono luci e ombre, bellezza e fatica della vita in famiglia. Il gruppo familiare, tessuto di rapporti complessi, cresce mediante la diversità relazionale instaurata fra marito e moglie, genitori e figli, fratelli e sorelle. Insieme, con modi diversi e con gradi diversi di consapevolezza, essi realizzano lo stesso progetto di Dio.
Ci sono scene di armonia, ma anche conflitti drammatici, come il fratricidio (Caino e i fratelli di Giuseppe). La Bibbia conosce pure i no-di psichici che mettono in pericolo l’equilibrio tanto fragile della vita quotidiana in famiglia: il tormento delle coppie sterili (Abramo e Sara, Giacobbe e Rachele), il primogenito in lotta con il fratello minore (Esaù e Giacobbe), la gelosia fraterna (Caino e i figli di Giacobbe), l’invidia tra le donne (Sara e Agar, Lea e Rachele), la critica e l’incomprensione tra fratelli (Miriam e Aronne contro Mosè), la rivolta contro i genitori (Assalonne contro Davide), l’angoscia dei genitori in attesa del ritorno
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del figlio (Tobia e la moglie), il dolore del padre che piange la morte del figlio (Giacobbe, Davide), rapporti difficili tra zio e nipote (Abramo e Lot, Labano e Giacobbe) e tra figli di madri diverse (Isacco e Ismaele, i figli di Giacobbe), ecc.
A questi problemi relazionali si contrappone, in positivo, la solida-rietà familiare: Abramo e Sara sono uniti nell’affrontare tutte le diffi-coltà esterne e interne. Giacobbe ha un amore forte per Rachele, la spo-sa fedele che lo sostiene nelle peripezie della vita. Giuseppe, nonostante tutto il male procuratogli dai fratelli, è legato a loro con un profondo af-fetto, e anche i fratelli non perdono il senso della fratellanza. Infatti Giuda impedisce di uccidere Giuseppe dicendo: «…perché è nostro fra-tello e nostra carne» (Gn 37,27) e poi è pronto a sacrificarsi per amore del padre vecchio e del giovane fratello Beniamino. La sorella di Mosè custodisce il fratellino galleggiante sull’acqua. Simeone e Levi com-piono una strage a Sichem per l’oltraggio subìto dalla sorella Dina:
«non si può trattare nostra sorella come una prostituta» (Gn 34,31).
3.2. La tribù
La tribù nasce dalla famiglia, è la famiglia allargata, estesa a più ge-nerazioni. I membri sono legati tra loro dalla comune origine, dal ricor-do vivo degli stessi antenati, dai vincoli di parentela, da una memoria condivisa e da una tradizione viva. Nel tempo dell’esodo le tribù face-vano capo ai dodici figli di Giacobbe. Poi con lo stabilirsi nella terra promessa si assiste in Israele ad un processo di organizzazione più ra-zionale delle tribù. La terra promessa viene ripartita tra le diverse tribù secondo il numero delle persone. Così ai fattori di coesione delle tribù si aggiunge quello del territorio, che è nuovo rispetto ai tempi dei pa-triarchi, i quali non possedevano una terra propria, erano nomadi.
Insieme con il tempo, lo spazio è una condizione essenziale alla vita umana. La terra è quindi in un certo senso il prolungamento della per-sona, segno della sua vitalità, fecondità e potenza. Non solo nella storia d’Israele, ma sempre e dappertutto, il vivere nello stesso territorio crea senso di appartenenza e favorisce la solidarietà tra le persone. Allo stes-so tempo però, ieri come oggi, la lotta per il possesstes-so del territorio è fonte di divisione, di uccisione, di guerre e di distruzione.
Quando Giosuè divideva la terra promessa tra le tribù d’Israele, il Signore disse per mezzo di lui a tutto il popolo: «Vi diedi una terra, che voi non avevate lavorata, e abitate in città, che voi non avete costruite, e
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mangiate i frutti delle vigne e degli oliveti, che non avete piantato» (Gs 24,13). Il Signore ci ricorda che il possesso del territorio è sottomesso alla gratuità. È Lui che ci fa nascere e vivere in un posto che non ab-biamo scelto. L’appartenenza ad una determinata cultura e tradizione, ad una terra, ad un popolo: tutto è dono, tutto è spazio di vita e di co-munione.
3.3. Il popolo
Il concetto del popolo nella Bibbia è legato ad una identità che va al di là del sangue, del territorio e della cultura. Israele diventa un vero popolo nel momento dell’alleanza, diventa il “popolo di Dio” con un legame spirituale che comporta un orientamento comune di vita, uno stesso impegno di santità guidata dalla legge, lo stesso culto allo stesso Dio.
Prima di arrivare al monte Sinai, prima di diventare popolo di Dio, Israele è stato sottoposto alla schiavitù in Egitto e ha fatto un lungo pel-legrinaggio nel deserto, dove ha imparato non solo a camminare con Dio nella fiducia e nell’abbandono, ma anche a camminare con i fratelli nella solidarietà. Leggiamo nel documento La vita fraterna in comuni-tà: «Per vivere da fratelli e da sorelle [nella vita religiosa] è necessario un vero cammino di liberazione interiore. Come Israele, liberato dal-l’Egitto, è diventato popolo di Dio dopo aver camminato a lungo nel deserto sotto la guida di Mosè, così la comunità inserita nella Chiesa popolo di Dio, viene costruita da persone che Cristo ha liberato e ha re-se capacità di amare alla maniera sua, attraverso il dono del suo amore liberante e l’accettazione cordiale delle sue guide» (n. 21).
Il Sinai è un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza.
L’essere popolo di Dio è un’identità in continua elaborazione, va con-quistata, rafforzata e purificata continuamente. Lo stesso Israele non è stato sempre capace di viverla, cadeva facilmente nel rischio di esterio-rizzazione e di istituzionalizzazione. L’esperienza dell’esilio, la critica dei profeti e la riflessione dei saggi sono tutti mezzi attraverso cui il Si-gnore richiama il suo popolo alla purificazione e all’interiorizzazione.
Quando viene meno la fedeltà all’alleanza, si affievoliscono la coscien-za dell’identità e il vincolo di solidarietà e di amore all’interno del po-polo. Questo è un dato costante nella storia d’Israele.
C’è da sottolineare ancora questo: l’essere popolo di Dio non è limi-tato alla razza e alla cultura. Un esempio interessante è Rut, la moabita,
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la quale fa la sua opzione fondamentale dicendo a Noemi: «Il tuo popo-lo è il mio popopopo-lo, il tuo Dio è il mio Dio» (Rt 1,16). Il camminare in-sieme come popolo di Dio è ben concretizzato in un determinato luogo, in un determinato contesto di appartenenza, ma non ha mai confini chiusi.
Spunti per la riflessione
• L’altro mi fa paura?
• A quanti gruppi umani appartengo? Con quale intensità di appar-tenenza?
• Quante attività svolgo nella vita quotidiana “insieme” ad altri?
Quanto di “profetico” c’è in questo “insieme”?
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