Per finire…
Appendice 1. Interviste agli utenti del SerT dell’Asuits di Trieste Trieste
3- È molto interessante questa cosa che mi stai raccontando Perché l’idea stessa di dipendenza rimanda alla perdita del controllo del comportamento sull’uso di una
sostanza. Spiegami meglio cos’era per te questa mancanza di controllo…
Non so se qualcuno ti ha mai spiegato bene come ci si faceva… Non molto in effetti…
Beh prendevi la roba e la mettevi con l’acido citrico in un cucchiaio e poi la scaldavi con l’accendino. Andava bene anche il succo di limone. Insomma, la scioglievi, poi la tiravi su con l’ovatta e la siringa e te la iniettavi. Nel cucchiaio rimanevano le scorie, il filtro
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insomma, una schifezza. Eppure la smania dell’ago non ti faceva fermare. Ti faceva riscaldare il filtro e rifarti con quella merda. Solo per il buco capisci? Solo per quello. Perché tutti lo sapevano che non c’era rimasto più niente nel cucchiaio e che non poteva più darti nessuna botta. Ti bucavi con l’acqua praticamente. Perché era il gesto che ti piaceva. Meno male che non ero a questi livelli, io. E meno male che me ne sono accorta che lui era così, il mio compagno intendo. Senza controllo. Non aveva
nemmeno più la forza per lavarsi. Ma non era amore il nostro: ci facevamo insieme, punto e basta. Quello non è amore, interesse forse, ma sicuramente non amore. Era il mio compagno di droga, non il mio fidanzato.
E invece nella tua esperienza personale…quand’è che ti sembrava di non avere più il controllo…
Dipendeva dagli ambienti. Dal posto in cui stavo. Se ero in discoteca o ad un rave
oppure se ero a casa. Il mio controllo sulla droga dipendeva da quello. Se vai a ballare e ti fai due giorni a ballare, non mi puoi dire che stai due giorni sobrio: la gran parte delle persone si aiuta con qualcosa per resistere così tanto tempo. E poi San Giovanni (parla del dipartimento dipendenze che ha sede nel parco di San Giovanni), quello è un altro posto dove non posso stare. Uno perché non mi sento proprio allo stesso livello di quelli che ci vanno, che sono proprio persi. E due perché altrimenti incontro gente che poi mi dice “andiamo a bere qualcosa” e poi mi offre la roba. Si innesca un meccanismo malato per cui invece che andare là per curarmi vado là per pigliare. E poi ci ricado e mi sento in colpa da morire…
Parlami di che cosa provi in quei momenti in cui ti accorgi di aver perso il controllo…
Sono depressa. E sto male. E penso che non riuscirò mai più a risalire. Meno male che qui sono seguita. Che c’è Sara (la psicologa che la segue) che mi conosce e non mi giudica. Perché io ho tanta paura di essere giudicata, e so che lei mi ascolta e non mi critica. Quel periodo che mi avevano spostata a san Giovanni infatti mi sentivo persa, perché mi mancava il mio colloquio settimanale con lei, e poi venire qui…per me è stato fondamentale avere il supporto e l’aiuto delle persone qui. Altrimenti non so davvero dove sarei andata a finire.
Molti affermano che un problema con una sostanza possa solo peggiorare… Si per me è stato così. Ho iniziato con poco ma poi è andato sempre peggio. Se sono riuscita un po’ a fermarmi è stato solo per le tragedie della mia vita. Te lo dicevo anche prima: l’incidente, una gravidanza interrotta, …ecc. Mi serviva toccare il fondo per
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poter risalire. È inutile che vai nelle comunità, o fai i colloqui con gli psicologi, se non hai ancora toccato il fondo e con la testa non sei ancora convinto di voler smettere.
Molti dichiarano che, in definitiva, il dipendente è responsabile di curarsi e correggersi da solo…
Assolutamente sì. Non vai da nessuna parte se non sei convinto tu. Anche adesso: io mi sento contemporaneamente forte e debole. Forte sulle sostanze, perché ormai riesco a dire di no, la sdegno proprio la roba. Debole però perché i miei bambini sono ancora con mia sorella, e ogni tanto ripenso a quello che ho passato. Una merda. Era una fatica. Ci ripenso e mi viene male. Perché la vita del tossico era questa: svegliarsi la mattina con la voglia di farsi, tirare su soldi per comprare la roba, farsi. Era sempre così, tutta uguale, e così faticosa. Chissà come facevo, che adesso non sono più capace nemmeno di tirare su un euro. Ma quella era la forza della disperazione sai? Chiedevo anche l’elemosina pur di riuscire a farmi.
Ora che hai smesso di consumare com’è cambiata la tua vita…
È cambiata tanto. Perché io ho sempre avuto tanti problemi di autostima. E adesso, sentirmi dire dalle persone che sono sopra di me (si riferisce agli operatori) che ce la posso fare, mi fa stare bene. Ma ho tanti alti e bassi perché è come ricominciare a camminare da capo. È una sensazione un po’ strana. È ricominciare a vivere di nuovo. Da capo. Adesso ho trovato anche un punto di riferimento. Un uomo che non ha mai toccato nulla (pensa che dona il sangue!), un gran lavoratore, più grande di me e molto diverso da come sono io, ma che mi fa sentire bene. È come se mi avesse di nuovo messo la terra sotto i piedi. E poi ho tagliato completamente con tutti quelli di prima. Perché non puoi recuperare se continui a stare con la stessa gente. Poi non è che sputo nel piatto in cui ho mangiato: adesso se li incontro li saluto, però non li frequento più. È stato necessario fare così per riuscire a stare meglio.
10) Ma – 49 anni donna- inizia a 16 anni o forse prima con la cannabis, ma ben