1.Desidero a nome del CSM portare i saluti al presidente della Corte di appello di Bologna, al procuratore Generale, alla magistratura del distretto, a tutti i funzionari che con essa collaborano, alla avvocatura, a tutte autorità civili e religiose, a tutti i cittadini del distretto di Bologna.
Desidero anche esprimere un deferente omaggio al Presidente della Repubblica a cui va la nostra gratitudine per la costante attenzione verso i problemi che affliggono la giustizia italiana.
Nelle società occidentali, orfane dei fondamentali riferimenti ideologici e religiosi, deprivate della forza aggregante della tradizione, la giurisdizione da tanti viene percepita come una delle poche autorità, in certi casi l’unica, cui affidare la risoluzione di contrasti e di problemi. Accade non solo in Italia. In effetti da oltre quaranta anni, la magistratura è fisiologicamente chiamata ad intervenire in settori nuovi, non necessariamente disciplinati da norme specifiche (ad es. sui temi eticamente sensibili); a risolvere conflitti sociali di particolare complessità; ad incidere su situazioni incancrenite dall’inerzia di altri poteri. Basta scorrere i repertori giudiziari anche del distretto di Bologna, per comprendere il mutamento della natura delle domande di giustizia. I magistrati ormai si occupano di grandi flussi migratori, di tutela del risparmio, di corretta gestione di imprese sottratte a gruppi criminali e dei relativi livelli occupazionali, di equa distribuzione delle risorse pubbliche.
Insomma, funzioni essenziali, scelte ad alto contenuto politico, demandate sempre più di frequente a procure e tribunali; mentre tradizionalmente di competenza di altre istituzioni, sulla carta in grado di garantirne preventivamente la conformità alla legge. Scelte che espongono la magistratura; sovente rimproverata di protagonismo, di condizionare la discrezionalità politica e le scelte economiche.
Scelte che, al netto delle strumentalizzazioni, impongono ai magistrati un “salto di
qualità” non solo sul piano della specializzazione, della cultura e dell’etica ma anche su quello delle “alleanze istituzionali” necessarie per rendere affidabile il servizio che rendiamo. Il tutto con l’obiettivo di ridurre il pericoloso attuale divario tra “attese di giustizia dei cittadini” e “qualità della risposta giudiziaria”. Un qualcosa di cui ogni attore istituzionale dotato di senso di responsabilità deve farsi carico, in quanto potenziale agente corrosivo delle basi democratiche del paese.
2.Delle “attese di giustizia” e delle potenziali delusioni di tanti cittadini, noi magistrati per primi dobbiamo essere pienamente consapevoli e rispondere con la massima attenzione anche nei gesti quotidiani più normali e ripetitivi (l’attenzione ai testi, il rapporto con gli avvocati e con il personale di cancelleria, il modo di organizzare il nostro lavoro, di comunicare la nostra attività); dobbiamo coltivare la capacità di “ascoltare” ogni interlocutore prima di assumere le nostre decisioni. E nessuno può girarsi dall’altra parte, o “gettare la spugna”, rassegnandosi ad una gestione burocratica del ruolo giudiziario, nonostante oggi sia diventato davvero difficile amministrare giustizia in maniera efficace e dignitosa. In effetti, non c’è riunione organizzativa negli uffici che non incominci con l’elenco degli impiegati amministrativi che lasciano il servizio e che con difficoltà saranno rimpiazzati; e che non prosegua con l’individuazione di carenze di fondi per riqualificazione del personale o per il lavoro straordinario; e che non si concluda con la ricerca di soluzioni che, con le scarse risorse disponibili, permettano di fronteggiare numeri insopportabili che rischiano di snaturare la funzione del giudice e del pubblico ministero.
In questa prospettiva, il CSM intende concretamente valorizzare le prassi virtuose, con strumenti di catalogazione e conoscenza a disposizione di tutti gli attori del sistema. Abbiamo istituito un portale internet (che sarà operativo dal prossimo 15 febbraio) in cui è prevista una area relativa alla organizzazione degli uffici. E una recente delibera ha raccolto in un “Manuale” le “Buone Prassi”, evidenziando le migliori indicazioni sulla programmazione del processo, nelle varie sfaccettature della pianificazione della gestione dei carichi di lavoro e dello
smaltimento dell’arretrato, nonchè dell’adozione di formule per garantire la ragionevole durata del processo.
Resta in campo il tema della carenza di risorse. Il Ministero della Giustizia, negli ultimi anni, ha mostrato sensibilità, nonostante le note difficoltà economico-finanziarie. Salutiamo con favore le nuove assunzioni di personale ausiliario (dopo tanti anni di “blocco”), così come le misure sulla “mobilità” dei funzionari delle province. Inoltre, da oltre due anni lavora intensamente un “comitato paritetico” tra CSM e Ministero della Giustizia, con l’obiettivo di una più razionale allocazione delle risorse disponibili sul territorio nazionale. Quel “dialogo” ha favorito il lavoro di revisione delle piante organiche degli uffici di primo grado, che il Ministero ha concluso, previo parere emesso dal Consiglio Superiore, nell’ultimo scorcio del 2016. Questa novità ha portato al distretto della Emilia-Romagna un potenziamento per gli uffici giudicanti pari a 23 unità ed un proporzionato aumento per gli uffici requirenti, pari a 6 unità.
Nella medesima prospettiva, il CSM, negli ultimi mesi, ha cercato di intervenire tempestivamente sulle scoperture; ha deliberato applicazioni extradistrettuali di cui l’ultima, di qualche giorno fa, ha beneficiato la Corte di Appello di Bologna; e proprio nel mese di gennaio ha disposto l’invio negli uffici della Emilia Romagna di ventidue di magistrati di prima nomina, cercando così di rafforzare e dare continuità ad uffici di un territorio che, come segnalato dal Consiglio Giudiziario di Bologna, registra l’elevato aumento della popolazione durante il periodo estivo, soprattutto sulle zone rivierasche, con conseguente aumento del contenzioso.
Peraltro, di questi tempi, il carico degli affari sconta anche in Emilia Romagna l’impatto degli intensi flussi migratori, con un incremento esponenziale dei procedimenti legati all’ingresso dei migranti, molti dei quali richiedenti protezione internazionale, insieme con la presenza di minori non accompagnati. Occorre sperimentare formule organizzative ad hoc. Ad esempio l’ufficio del processo, previsto dalle circolari del Consiglio, che consiste nel costituire unità composite in ausilio a sezioni di tribunale con magistrati onorari, tirocinanti e personale di cancelleria. Ma appare urgente una ridefinizione legislativa delle relative procedure
in termini di semplificazione e accelerazione, altrimenti le difficoltà ora riscontrabili negli uffici di primo grado, tra qualche mese assorbiranno molte risorse nelle Corti di appello.
3. Da parte del CSM, la vicinanza a questo distretto è connessa anche all’impatto giudiziario dei fenomeni di criminalità organizzata presenti in Emilia Romagna. Non intendo fare dell’allarmismo in una terra di grande tradizione civica e democratica, a cui –lo dico con orgoglio- appartengo. Ma non possiamo trascurare alcuni dati che giungono dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Nel Rapporto Annuale per il 2015 si parla espressamente di “immissione nel circuito legale di danaro di provenienza illecita”, di “radicamento nel territorio di rappresentanti di gruppi criminali in giacca e cravatta e dotati di competenze professionali e manageriali”, di forme di “sostegno di una parte della stampa locale”. In altri termini, si evidenzia la presenza di reti criminali che collegano luoghi elevati e luoghi infimi della società, contaminando gangli dell’economia, della società e delle istituzioni e quindi del sistema democratico. La protezione della libertà di iniziativa economica, dei diritti di molte persone nei luoghi di lavoro, dell’integrità e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, spetta in primo luogo alla azione preventiva delle istituzioni locali e del mondo della cooperazione.
Solo in parte si è realizzata con gli osservatori della legalità pur meritoriamente presenti in alcune province della regione.
Ma, poi, anche l’azione repressiva deve fare la sua parte. Dunque, è importante la specializzazione della magistratura requirente e della polizia giudiziaria sulle forme di insinuazione dell’organizzazioni mafiose nelle pubbliche amministrazioni e nel circuito economico-finanziario. Ma la bontà complessiva della risposta repressiva la si misura nei processi, per questo il potenziamento degli organici della giudicante in questo distretto ha oggi un significato particolare. Ci vogliono giudici per il controllo sulle regolarità delle indagini e per le misure cautelari, per applicare misure di prevenzione che aggrediscono patrimoni illeciti, nonché per celebrare i dibattimenti con tutte le garanzie e in tempi ragionevoli. Proprio in questa prospettiva, vorrei ricordare l’impegno, in termini di professionalità e
organizzazione, messo in campo dalla magistratura nel processo denominato Aemilia, relativo a oltre duecento imputati con una miriade di capi di imputazione per reati gravissimi quali associazione di stampo mafioso, concorso esterno, estorsione, truffa aggravata, intestazione fittizia di beni, corruzione e altro. Credo che i tempi in cui si stanno svolgendo gli accertamenti processuali rappresentino un segnale di grande civiltà. Basti pensare al fatto che risale al 28 gennaio 2015 l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che applicava misure cautelari personali e reali ad oltre 100 indagati e che già nel settembre del 2015 veniva formulata la richiesta di rinvio a giudizio per circa 240 imputati. Che nell’aprile del 2016 si concludevano il rito abbreviato nei confronti di 71 imputati (peraltro con 58 condanne) e il patteggiamento per 19 imputati; e che il rinvio a giudizio di 147 imputati ha dato vita ad un dibattimento iniziato nel marzo del 2016 davanti al Tribunale di Reggio Emilia, tutt’ora in corso, dove si sono già tenute oltre 60 udienze con l’audizione di circa 170 testi. Sono dati importanti sotto il profilo della serietà e della efficienza della magistratura del distretto. E vorrei evidenziare, la riservatezza e la sobrietà dimostrate dai pubblici ministeri, in sintonia con quanto auspicato proprio ieri nella cerimonia di apertura dell’anno giudiziario presso la Corte Suprema di Cassazione.
Ma consentitemi una considerazione generale sul tema della riservatezza delle indagini. Non riguarda solo le responsabilità penali, disciplinari e professionali del magistrato. Oggi andrebbe visto anche da un altro angolo prospettico. Nell’agosto scorso in un decreto legislativo in materia di funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato si è introdotta una norma che obbliga i poliziotti a riferire alla scala gerarchica le indagini segrete. Intercettazioni non ancora valutate dal pubblico ministero possono finire sul tavolo di strutture direttamente dipendenti dal potere esecutivo. Non è in discussione la fiducia verso organi di polizia (che fanno tanto per il nostro paese), ma di potenziale erosione delle norme del codice che attribuiscono al pm il ruolo di dominus delle indagini. Quella novità del codice del 1988 fu alla base di un controllo di legalità esercitato a tutto tondo, a partire dagli anni novanta. Al di là dei possibili profili di incostituzionalità della nuova
norma, è confortante che le stesse forze di polizia abbiano annunciato di adottare una sorta di self restraint per proteggere la piena cooperazione con la magistratura.
4.Oggi, il primo obiettivo da coltivare in ogni decisione del CSM credo debba essere: la non dispersione delle professionalità e dell’impegno di tante persone che operano nella giurisdizione. Perché il servizio giustizia dipende moltissimo dal
“sentire” di fare cose “utili” .
A) Sul versante delle valutazioni della professionalità, il nostro sistema, nonostante i carichi schiaccianti, non può preoccuparsi solo di "contare" ciò che produciamo ma deve sforzarsi di "pesarlo" per migliorarne la qualità. Sulle fonti di conoscenza occorre fare dei passi avanti, anche con riguardo alle tracce dei percorsi di specializzazione utili per le nomine dei direttivi e dei semidirettivi e agli elementi di valutazione per le procedure di conferma degli stessi.
B) Sulla organizzazione degli uffici, il plenum di mercoledì scorso ha approvato all'unanimità la circolare sulla tabelle per il triennio 2017-2019. Tra le novità, in un'ottica di semplificazione e di trasparenza, si è voluta assicurare una ampia partecipazione dell'avvocatura nel procedimento di formazione dei progetti tabellari, al fine di promuovere una comune cultura della giurisdizione sui temi dell'organizzazione.
C) Il CSM vuole essere vicino alla magistratura onoraria. Il contributo di essa è indispensabile a varie latitudini sia per il settore civile sia per quello penale.
Occorre una politica strutturata per valorizzarne il contributo. E alcuni nodi vanno affrontati a diversi livelli istituzionali. Il Consiglio, in più delibere, promuove l’organizzazione in modo razionale dell’impegno dei magistrati onorari di tribunale e procure nel c.d. “ufficio del processo”. Prevede una loro collocazione non più abbandonata a logiche individualistiche dei singoli togati, bensì ad un inserimento tabellare a livello di sezione o di gruppo di lavoro o di settore, sotto la diretta responsabilità del presidente di sezione o coordinatore di gruppo/settore. Sempre il Consiglio è impegnato a garantire una formazione permanente e risposte adeguate sul piano disciplinare.
Ora si attendono gli sbocchi della legge delega n.57 del 2016, i cui principi cardine e la cui struttura appaiono condivisibili, come affermato in una specifica risoluzione del CSM della primavera del 2016. Con l’auspicio che i decreti delegati prevedano norme transitorie rispettose della dignità professionale e umana di una generazione di magistrati onorari in servizio più volte prorogati in passato.
5. L’incisività della azione giudiziaria dipende anche dalla qualità degli interventi legislativi. La legge n.195 del 1958 istitutiva del Consiglio Superiore prevede tra le attribuzioni di quest’ultimo all’art.10 la possibilità di fornire pareri sulle riforme in materia di amministrazione della giustizia e ordinamento giudiziario.
Da componente del CSM, nel rivendicare la piena autonomia dalla politica, penso non si debba mai rinunciare a un dialogo franco ed equilibrato con parlamento e governo; e sono consapevole del compito non facile del legislatore, perché non mi sfugge che nelle attuali società pluralistiche e multiculturali, con un quadro politico spesso frammentario, è difficile identificare “valori condivisi” su cui costruire un impianto globale, nuovi codici coerenti e aggiornati. Ma di riforme organiche c’è grande bisogno sia nel settore civile che in quello penale. Su questo versante il Consiglio, in questi ultimi due anni, ha formulato pareri e proposte su disegni di legge e decreti legge, sempre con spirito di collaborazione istituzionale.
Sul versante della giustizia civile, il CSM ha apprezzato l’idea di
“sperimentare” mezzi alternativi al processo in funzione deflattiva, quali ad es. la
“negoziazione assistita obbligatoria”, purchè non se ne abusi. In tempi di crisi economica e di disegualianze sociali, i “lodi privati” possono penalizzare i soggetti deboli delle controversie e la giurisdizione rischia di essere inghiottita da logiche di mercato.
Sulla Giustizia penale, registriamo segnali positivi, anche dal punto di vista culturale e di sistema. Penso alle misure contro il sovraffollamento carcerario. Sia sulle sanzioni che sulle misure cautelari si è cercato di uscire dalla logica “carcero-centrica”, dopo anni di pacchetti sicurezza che si muovevano in direzione “ostinata e contraria”.
Il Consiglio Superiore ha formulato uno specifico parere sul disegno di legge n.2067, attualmente al Senato, avente ad oggetto la riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario. Quella proposta di riforma va apprezzata, innanzitutto, per il metodo attraverso il quale è stata elaborata, con una discussione di due anni dentro e fuori le aule parlamentari che ha coinvolto avvocatura e magistratura. Paiono opportune le misure utili per decongestionare il carico degli affari penali, quali le condotte riparatorie che estinguono il reato e i vari dispositivi che “scremano” e “semplificano” le impugnazioni in appello e in cassazione. Ma queste misure rischiano di essere vanificate se non si adotta una soluzione chiara sulla prescrizione, peraltro richiesta anche dall’Europa per una efficace lotta alla corruzione. Il Consiglio Superiore ha elaborato una proposta di “sistema” che esclude, per tutti i reati, la possibilità di loro estinzione per decorso del tempo, dopo la condanna di primo grado. D’altronde con quella pronuncia lo Stato dimostra tempestivamente e concretamente l’interesse a punire. E ciò eviterebbe appelli pretestuosi o richieste dilatorie finalizzate alla prescrizione, oggi forieri di enorme spreco di risorse giudiziarie.
La riforma in esame si segnala per nettezza delle scelte e organicità sull’ordinamento penitenziario. Si aggiorna l’impianto del 1975, con l’idea che il carcere non sia solo “neutralizzazione” e non possa ridursi, come spesso accade, a
“pattumiera” della emarginazione sociale. Si promuovono i diritti dei detenuti (lavoro, istruzione, religione, relazioni affettive); si implementano forme di giustizia riparativa con attenzione verso le vittime dei reati; si insiste sulla finalità rieducativa della pena; e si rilancia il ruolo del magistrato di sorveglianza. Con i giusti investimenti, quelle novità sarebbero un grande passo avanti in termini di civiltà. Meriterebbero in Parlamento una corsia preferenziale per l’immediata approvazione.
Desta, viceversa, preoccupazione il progetto di riforma della giustizia minorile votato alla Camera. In nome dell’abbattimento dei costi, accorpa l’attuale sistema ai tribunali e alle procure ordinarie, quelle per gli adulti. C’è il rischio di disperdere quel patrimonio di specializzazione richiesto dagli standard europei. Le strutture “generaliste”, come le procure per adulti, sono esposte alle emergenze di
turno (sicurezza urbana, crimine organizzato, immigrazione). Non garantiscono l’esclusività delle funzioni minorili dei singoli magistrati. Ossia quella risorsa, dei tribunali e delle procure ad hoc, che riescono a cooperare con i Comuni per i servizi sociali; con le Ausl sulla neuropsichiatria infantile; con le Scuole; con le prefetture per gli stranieri “non accompagnati” in età preadolescenziale. Per questo il CSM ha formulato una proposta. E’ tempo di scelte coraggiose. Va promossa l’idea del tribunale autonomo per le relazioni familiari e lo status personale; accompagnato da una procura speculare. Le nuove strutture dovrebbero sommare competenze del civile e del penale, oggi coperte dai tribunali per i minorenni e dalle “sezioni famiglia” dei tribunali ordinari. Insomma, un unico tribunale per tutti i momenti di
“incontro” tra giustizia e minori.
6. Proprio le ragioni alla base dell’ intervento sulla giustizia minorile votato lo scorso marzo alla Camera accreditano plasticamente una certa grammatica della giustizia, oggi in voga e molto concentrata su espressioni come “controllo dei costi”, “indicatori di rendimento”, “smaltimento flussi”, che sovente si uniscono alla prudenze attorno a concetti quali “legalità sostenibile” o “giudice bocca della legge”. Visioni aziendalistiche della giustizia e modello di giudice conformista,
“tutto statistiche” e “combinato disposto”, intellettualmente disimpegnato e sostanzialmente “senza una anima”, finirebbero per penalizzare il senso della giurisdizione. Chi ha a cuore la difesa dei diritti fondamentali e la democrazia, sa bene che al giudice non si chiede solo tecnica giuridica e cognizioni specialistiche, ma forte senso della realtà che si traduce nella capacità di lavorare in equipe, nella determinazione costante, nel coraggio, nell’equilibrio. In ciò sta la grandezza e l’insostituibilità del nostro lavoro in una società esigente e complessa. E questo è il contributo che la magistratura deve offrire e può offrire alle speranze di giustizia che nutrono anche le donne e gli uomini di buona volontà di questa splendida terra.