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5. IL PROGETTO MKOMANILE COME ESEMPIO DI EMPOWERMENT

5.4 La ricerca

5.4.3 Le interviste

5.4.3.3 Intervista con J

J. è l’attuale direttrice del CRAS e in precedenza ha diretto il progetto Mkomanile, è una donna molto forte e indipendente capace di farsi rispettare in un ambiente prevalentemente maschile. Con lei ho avuto modo di cominciare ad approfondire il tema del contesto socioculturale in cui agisce il progetto.

Mi riferisce che le donne coinvolte sono homeless, per poi specificare che non hanno un lavoro, educazione né una casa propria, e vivono quindi con le loro famiglie d’origine. Oltre a queste mancanze J. sottolinea che le queste donne mancano di capacità decisionali e fiducia in sé stesse, a questo contribuisce la mancanza d’istruzione ma deriva soprattutto dal vivere in una società patriarcale. Sono infatti i mariti e i padri che prendono tutte le decisioni e che sostengono la famiglia, le donne che arrivano al progetto normalmente sono molto insicure e deboli, anche a causa dell’assenza di potere decisionale e potere d’acquisto. Una volta che si uniscono al gruppo però è possibile notare dei cambiamenti in loro. Grazie al fatto che imparano un lavoro riescono a ottenere maggior fiducia nelle loro capacità e un guadagno economico attraverso il quale raggiungono una maggior indipendenza. Si crea un ciclo in cui le donne prima cominciano a lavorare, imparano un mestiere e acquistano fiducia nelle loro capacità, ottengono maggiore indipendenza economica e maggiore consapevolezza, arrivando poi ad agire in maniera diversa sulle loro vite. Va anche tenuto in considerazione il fatto che le donne imparano poi le une dalle altre, dando un maggior senso di consapevolezza su quelle che sono le loro capacità e instillando fiducia sia su chi insegna sia su chi impara. J. mi parla degli eventi che in passato sono stati organizzati dal progetto o a cui hanno partecipato. Gli insegnamenti veicolati negli eventi si sono dovuti scontrare con i

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pregiudizi e le credenze locali. J. si riferisce in particolare ai seminari riguardanti la salute, che sono riusciti a far recepire alcuni messaggi ma comunque faticano a superare la barriera della superstizione, soprattutto per quanto riguarda la salute in gravidanza e la cura dei neonati. Anche J., come A., riporta che la principale conseguenza di questi seminari è stata data dalla diffusione della percezione che il progetto non sia positivo per le donne che lo frequentano perché mette loro in testa idee “strane”. Inoltre, mi dice che nel villaggio il progetto non è visto completamente sotto una buona luce, perché si pensa che le donne vanno lì per perdere tempo, J. mi spiega che questo è dovuto al fatto che ci sono periodi in cui in effetti non hanno lavoro.

Anche secondo J. le sfide principali del progetto consistono nel fatto che i suoi prodotti non riescono ad entrare nel mercato locale, la gente di Nambehe non è abituata ad acquistare abiti nuovi, né tantomeno tessile per la cucina. Un’altra sfida, secondo J., è rappresentata dalla natura delle persone del posto che non riescono a cogliere e comprendere in pieno l’occasione e le possibilità che il progetto rappresenta. J. sostiene inoltre, che il problema spesso risiede nelle stesse ragazze, che non si sentono impegnate fino in fondo nel progetto e questo le può portare a lavorare al di sotto delle loro potenzialità. Questa mancanza di coinvolgimento e impegno le porta ad abbandonare facilmente il gruppo, viste anche magari le insistenze dei mariti. Secondo J. questo è dovuto al fatto che la società qui è ancora piuttosto arretrata e forse se riuscisse a comprendere meglio il progetto e in generale il lavoro del Co.P.E. sarebbe più semplice per loro. Mi riferisce infatti, che anche il CRAS ha affrontato le sue difficoltà, ma riguardando l’educazione nel mondo agricolo è riuscito a superarle più facilmente. J. mi spiega che Mkomanile è stato avviato come progetto sartoriale perché in quel periodo era un’attività molto diffusa per le donne che molto spesso studiavano come sarte, la stessa J., spinta dalla famiglia, aveva cominciato a studiare per diventare sarta, per poi abbandonare. Come mi riferisce anche A. le donne vengono pagate a cottimo, e a loro si applicano le norme per la tutela della maternità, quindi ottengono il congedo di maternità quando partoriscono. Il fatto che la scuola sia vicina a Mkomanile è sicuramente un vantaggio per le donne del progetto, che hanno la possibilità di lasciare i figli a scuola prima del lavoro e fare in modo che le raggiungano facilmente finite le lezioni, i bambini infatti stanno con le madri a Mkomanile finita la scuola, dando la possibilità alle madri di controllare più facilmente i figli.

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La presenza della scuola è inoltre un vantaggio per Nambehe e tutti i villaggi limitrofi, dà la possibilità di dare ai bambini un’educazione adeguata, e questo non sarebbe possibile senza il Co.P.E. che tutt’ora paga gli stipendi delle insegnati, oltre a questo grazie ai progetti avviati dal Co.P.E. molte persone hanno trovato un lavoro o una fonte di guadagno, dagli addetti alla cura degli animali al CRAS, o alla signora addetta alle pulizie alla casa dei volontari o tutti i ragazzi che forniscono un servizio ti trasporto con il piki piki (la motocicletta), unico modo per spostarsi rapidamente da un villaggio a un altro.

J. mi racconta inoltre delle difficoltà che ha incontrato come direttrice del CRAS, infatti inizialmente non veniva rispettata e ascoltata dai colleghi e ha dovuto combattere e impuntarsi parecchio per farsi accettare come loro capo. Alla fine dell’intervista J. si apre un po’ di più e mi rivela un altro aspetto della percezione di Mkomanile al villaggio, ovvero che ci sono alcune persone convinte che questo progetto serva solo ai

wazungu, cioè ai bianchi, per fare soldi sfruttando le donne e il loro lavoro. Questo

nonostante il Co.P.E sia presente ormai da oltre un decennio nella comunità locale, il fatto però che i riferimenti dell’associazione siano soggetti a ricambi più o meno frequenti, porta la rappresentazione del progetto a mancare di stabilità e quindi non riesce a superare questa diffidenza dei locali, che comunque probabilmente continuerebbero ad avere nei confronti dei bianchi, in quanto percepiti invariabilmente come l’altro.

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