3. GENERE E DISUGUAGLIANZA
3.6 La legislazione a favore della parità di genere
3.6.4 Le normative italiane
Fino ad ora ci siamo concentrati maggiormente sulle normative europee a favore della parità di genere, ora sposteremo il discorso sul modo in cui l’Italia le ha recepite e tradotte in azioni concrete.
In Italia la partecipazione femminile al mercato del lavoro è regolata dalla legge 120 del 12 luglio 2011che decreta che i Consigli di Amministrazione delle aziende quotate e delle società a partecipazione statale dovranno essere composti per un quinto da donne, salendo a un terzo dal 2015 prevedendo sanzioni per le aziende che non si adeguano a tale normativa.
La legge 120/2011 costituisce per l’Italia un forte segnale di cambiamento, il percorso delle pari opportunità viene avviato in ritardo nel nostro paese rispetto a quanto accade in altri paesi europei e questo è dovuto soprattutto a ragioni storiche e culturali.
L’unità d’Italia avvenuta nel 1861 riunisce il Paese sotto le norme dello Statuto Albertino, molto conservatore e in cui la donna non gode di alcun tipo di autonomia, vedendo la propria vita legata a quella del padre e del marito. È con la Costituzione del 1946 che alle donne vengono riconosciuti pari dignità e diritti, tra cui anche il diritto di voto.
A partire dalla Costituzione verranno emanate, con il passare del tempo, una serie di normative per arrivare al compimento dell’uguaglianza formale, come la legge sul congedo di maternità (1950), la legge sul divorzio (1970), la normativa per l’interruzione di gravidanza (1978), l’abolizione del delitto d’onore (1981) e infine una
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prima legge sulla violenza sessuale nel 1996. Dal punto di vista prettamente lavorativo nel 1960 si raggiunge un accordo interconfederale sulla parità di salario per uomini e donne, l’accordo non prevedeva la parità assoluta, ma riconosceva alle donne una qualifica superiore rispetto a quella normalmente riconosciuta di manovale comune. A partire dagli anni Ottanta si apre una sorta di fase di affermazione per la parità di genere, che consiste in una maggiore attenzione a questo tema e nella creazione di istituzioni specifiche per il perseguimento della parità di genere, questi interventi porteranno l’Italia ad essere più allineata alle direttive europee in tema.
Negli anni 2000 si assiste a un ampliamento del quadro normativo italiano in tema, e nel 2006 tutta la normativa in tema di pari opportunità e non discriminazione viene raggruppata nel Codice nazionale delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006) dove hanno anche assunto maggior rilevanza gli obiettivi di conciliazione vita e lavoro e gender mainstreaming, in linea con le direttive europee sul tema.
La normativa nazionale però deve essere applicata a livello regionale, e qui si incontrano maggiori difficoltà, perché spetta alle regioni adottare azioni di prevenzione e monitoraggio, nonché creare un apparato sanzionatorio contro chi infrange le norme. Le regioni però, come accade per le altre materie, non hanno dato una risposta unitaria e anzi, a volte non hanno messo in pratica la normativa nazionale e questa mancanza d’azione di fatto rende meno efficaci gli strumenti previsti a livello nazionale. La mancanza di organicità è un problema della legislazione italiana che è possibile riscontrare anche in altri settori, non solo in quello delle tematiche di genere. Basta pensare per esempio alla sanità, che ad oggi viene gestita su base regionale e non statale. Questo però implica innanzitutto che non c’è uniformità d’azione, certo il riferimento rimane la normativa statale, ma che può essere attuata e recepita in modo diverso da regione a regione, creando anche un divario tra le regioni e i servizi offerti o i progetti attuati. In questo momento è facile pensare alla sanità e alla spesa sanitaria, che si differenzia da regione a regione basandosi sul PIL regionale e quindi creando grandi differenze e carenze di servizio da regione a regione e ancor più marcate tra nord e sud.
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3.6.4.1 Oltre la carenza legislativa, la carenza dei servizi
Il problema della parità di genere in Italia rimane un problema anche culturale, perché l’idea della parità di genere fatica a entrare in certi settori del mondo del lavoro, la mentalità della società riguardo alle donne fatica a cambiare e talvolta anche la politica fatica ad agire in questa direzione. La Relazione annuale del 2011 della Banca d’Italia evidenziava un ritardo del nostro Paese, rispetto alle azioni europee, in materia di accesso al mercato del lavoro, livello salariale, carriera e imprenditoria femminile. La causa di questi ritardi è stata individuata nella carenza di servizi per facilitare la conciliazione di vita e lavoro, e a tal proposito è importante sottolineare ancora una volta che in Italia, il peso delle responsabilità delle azioni di cura per i familiari sono a carico quasi esclusivamente delle donne. A loro è normalmente affidata la cura dei famigliari più anziani, oltre che dei bambini, da aggiungersi alla mole di lavoro domestico che ancora oggi ricade in buona parte sulle donne.
Concentrandosi unicamente sul lavoro il report ci mostra come ancora oggi sia poco riconosciuto il valore aggiunto che le donne possono dare alle imprese anche nei livelli più alti, dove ancora faticano ad arrivare e a vedere riconosciuti i loro meriti. Il maggior coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro, come abbiamo già visto nei capitoli precedenti, determina un aumento del PIL, e un miglioramento delle condizioni economiche familiari, riducendo il rischio povertà. Favorire l’assunzione di donne a tutti i livelli porta alla riduzione del rischio di inattività, favorendo inoltre il rafforzamento del potere contrattuale. Una donna che diventa inattiva dal punto di vista lavorativo ha maggiori difficoltà di reinserimento rispetto a un uomo, e ha anche maggiori probabilità di uscire dal mercato del lavoro per necessità familiari o discriminazione, come il caso delle “dimissioni in bianco” ovvero la pratica per cui veniva fatto firmare alle neoassunte il foglio di dimissioni in bianco, in modo da poterlo usare per licenziarle nel caso in cui si fosse presentata una gravidanza. Purtroppo, la legislazione sulle pari opportunità rimarrà inutile fino a quando non verranno attivate azioni concrete che aiutino i cittadini e in particolare le donne a conciliare la vita familiare con quella lavorativa.
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