3. INVIDIA E SOCIETÀ
3.2 Aristotele osservatore del suo tempo
3.2.2 L’invidia e l’origine delle staseis
Il conflitto politico tra i membri della comunità è un problema che si verifica con il nascere stesso della polis. La causa principale di queste lotte è fatta risalire al disaccordo che si presenta di fronte alla distribuzione di quei beni a cui tutti i cittadini aspirano: fama, onori, ricchezze e potere238. Diversi sono i poeti, governanti, uomini politici e filosofi dell’antica grecia che si sono occupati di questo tema esprimendo la loro personale
opinione e cercando di porvi rimedio239. Il luogo destinato da Aristotele alla questione dei conflitti interni alla polis è il libro V della Politica.
Abbiamo ormai parlato di quasi tutti i diversi argomenti che ci eravamo proposti di trattare. Dopo di che bisogna indagare quali sono le cause per cui le costituzioni mutano, quante sono e di quale natura, in che modo ogni tipo di costituzione va in rovina, quali sono i tipi dai quali e verso i
238 Ronald L.Weed, Aristotle on Stasis: A Moral Psychology Of Political Conflict, Deutsche
Nationalbibliothek, Berlin, 2007, p.16.
239 Tra coloro che hanno presentato nei loro scritti il problema dei conflitti sociali e politici all’interno delle
poleis si annoverano tra i tanti, Erodoto ( Storie, 5.28 13-18), Eschilo ( Eumenidi, 976-87, Eraclidi, 29-31, 543) e Tucidide il quale fu particolarmente interessato alle violenti lotte tra le classi sociali che esplosero durante le guerre del Poloponneso (La Guerra del Peloponneso, 3.81-3.82.2). In questo quadro, Platone occupa una posizione a se stante in quanto il tema del conflitto, inteso come malattia (nosos) che porta alla dissoluzione della città (Sofista, 228a 4-8), rientra nella più generale riflessione e ricerca per l’attuazione di un modello di vita ideale. Data la vastistà e complessità dell’argomento, la cui analisi si articola in più scritti appartenenti ad ambiti filosofici diversi, si rimanda per un esposizione dettagliata al testo: Giuseppe Cambiano, Come nave in
quali soprattutto le costituzioni mutano, quali modi per salvare le costituzioni in generale, e quali mezzi con i quali una costituzione può sopravvivere240.
Il conflitto in questo quadro è preso in esame come aspetto particolare rispetto al discorso generale concernente la costituzione, l’unità e la continuità politico-istituzionale. La stasis infatti è considerata da Aristotele come parte integrante di un movimento proprio della vita dell’organismo-polis. Essa in particoalare rappresenta l’inizio di quel processo che porta al disgregamento dell’ordinamento politico cosituzionale dato. I nuclei principali su cui si sviluppano i capitoli 1-8 sono tre, tutti interconnessi tra di loro e che si intersecano nel percorso argomentativo: la concezione della giustizia sostenuta dalle parti della polis, la
stasis241 (conflitto), e le modalità delle metabolai (cambiamenti) costituzionali.
Prima di concentrarci sulle metabolai e sulle loro cause, aristotele vede la necessità di dare una spiegazione riguardo all’esistenza di più costituzioni. Capire il motivo di tale pluralità di casi sarà soprattutto utile per comprendere le basi del conflitto tra fazioni.
Innanzitutto bisogna assumere il principio che sono sorte molte costituzioni perché, pur essendo tutti d’accordo sulla giustizia, cioè sull’uguaglianza per proporzione, si commettono errori a proposito di essa, come si è detto anche prima. Infatti la democrazia è sorta quando, dal fatto che tutti sono uguali in un certo senso, si è creduto che tutti fossero assolutamente uguali tra loro (perché tutti sono uguali nella libertà credono di essere tutti assolutamente uguali); quando, invece dalla disuguaglianza parziale si conclude alla totale inuguaglianza, si ha l’oligarchia (infatti perché non tutti hanno le stesse ricchezze si crede che tutti siano inuguali tra di loro)242
Nel mondo greco la comunità politica si è manifestata attraverso una grande varietà di opzioni costituzionali. Ad essere prese in considerazione da Aristotele sono in particolare due modelli, entrambi corrotti, ma che vengono applicati più di frequente nel quadro delle
poleis greche. Per ragioni di spazio e di argomento anche la nostra analisi si occuperà di
queste strutture costituzionali. Aristocrazia, politìa, tirannide e monarchia non presentano
240 Pol. V, 1301a 20-25.
241 In Aristotele il termine stasis può assumere significati diversi: a) può indicare la formazione di gruppi e
fazioni in contesa tra loro o sollevatesi contro il regime politico vigente; b) La contesa tra due gruppi o la sollevazione politica in quanto tale; c) La condizione di conflitto interno alla polis conseguente all'emergere della disputa o della sollevazione; d) I fenomeni socio-politici concomitanti rispetto a tale conflitto, tra cui fenomeni di violenza, disordini, mutamenti costituzionali e rivoluzioni. Antony Hatzistavrou, Faction, p.275, in Marguerite Deslauriers and Pierre Destrée, The Cambridge Companion to Aristotle’s Politics, Cambridge Unviversity Press, 2013.
infatti, caratteristiche funzionali alla nostra riflessione. Oligarchia e democrazia pervengono ciascuna ad un to dikaion, ossia ad una certa forma di giustizia in base alla quale vengono distribuiti beni, prerogative e poteri. Nello specifico, l’opzione democratica della gestione del potere politico parte dal presupposto che tuttii i cittadini siano liberi e che quindi, essendo uguali nelle loro libertà, siano tutti uguali in senso assoluto. Ne consegue una distribuzione del cariche pubbliche e dei beni che tenderà all’uniformità tra gli elementi della polis.
Il principio che sta alla base del sistema oligarchico invece trova nella differenza di ricchezze l’ elemento politicamente determinante su cui ridefinire il criterio di ugualglianza: i cittadini non sono tutti uguali, al contrario si differenziano in base alla ricchezza di cui godono. Tale specificità economica renderebbe i ricchi diversi in senso assoluto rispetto all resto della cittadinanza.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un errore concettuale in quanto, una differenza o una somiglianza particolare viene generalizzata e resa assoluta. Democrazia e oligarchia sbagliano nell’individuazione del principio generale che indica ciò che è giusto.
A questo punto della ricerca, per comprendere in modo adeguato la teoria delle costituzioni, è necessario riprendere il libro V dell’Etica Nicomachea. Questa sezione è dedicata interamnete alla spiegazione della virtù della giustizia. Data la vastità e complessità del libro, illustreremo di seguito i concetti principali e utili per la nostra analisi.
Preso atto che la giustizia si può dire in più modi (EN V 1129a 26), Aristotele inizia analizzando il concetto di giustizia nel senso più ampio e generale: la giustizia intesa come il rispetto della legge. I nomoi (leggi) hanno così il compito di porre in essere, tramite la propria autorità, dei comportamenti che garantiscono l’attuazione di ogni forma di virtù impedendo a loro volta la realizzazione di ogni malvagità. Questo avviene naturalmente solo quando la legge è scritta con esattezza e in modo corretto. La giustizia legale è definita quindi dal filosofo come l’attuazione di ogni virtù: essa non costituisce una parte della virtù ma è la virtù presa nel suo senso più ampio.
Questo tipo di giustizia non è una parte della virtù, ma l’intera virtù, e l’ingiustizia a essa contraria non è una parte del vizio, ma il vizio tutto intero; in che cosa differiscano la virtù e questo tipo di giustizia è chiaro da quanto abbiamo detto: da un lato è la stessa ma l’essenza non è identica: in quanto è rivolta all’altro è giustizia, in quanto è uno stato abituale di questo tipo assoluto è virtù243.
243 EN V, 1130 a 10-13
Questa virtù è dunque quella che realizza la disposizione corretta del singolo nel quadro di un agire che mette in relazione il soggetto con l’altro. In altre parole, la giustizia è l’aretè che permette la convivenza pacifica tra i cittadini. Comprendiamo adesso come compito del legislatore sia quello di produrre l’anello di congiunzione che porta dalla legge alla virtù. La legge, agendo sul comportamento individuale permette da una parte che il modello di virtù si generalizzi e diventi quindi forma delle relazioni interpersonali e collettive, dall’altro che i comportamenti dei singoli siano conformi ad una nozione di giustizia collettiva condivisa.
Dopo aver parlato della giustizia in senso generale, Aristotele inizia a trattare delle forme di giustizia particolare ossia quelle che rispondono a casi di ordine particolare. Siano esse la giustizia distributiva, correttiva e reciproca.
La giustizia correttiva e reciproca riguardano le relazioni sociali in senso stretto, ossia quelle involontarie e volontarie che avvengono tra privati. La giustizia correttiva nello spiecifico è quella che pertiene per lo più all’attività del giudice che, intervenendo a posteriori a riparare un danno, riporta la situazione in condizione di equilibrio. La proporzione che regola questi rapporti è detta aritmetica (B-A = D-C) in quanto si fonda sulla semplice riparazione di una sottrazione subita o perpetrata a danno di qualcuno, intendendo per sottrazione sia la privazione di un bene sia l’imposizione di un danno. In questo ambito non ha alcun peso il valore dei soggetti coinvolti nella relazione di danneggiamento. Infatti,
Non fa nessuna differenza se sia stato un uomo dabbene a derubare uno da poco, o sia stato un uomo dappoco a derubare un uomo dabbene, né se a commettere adulterio sia stato l’uomo dabbene o quello dappoco: la legge guarda solo la differenza prodotta dal danno, e tratta le due parti come uguali: considera se il primo ha fatto ingiuria e il secondo l’ha subita, e se il primo ha danneggiato e l’altro ha subito il danno244.
Esiste una seconda giustizia particolare la quale interviene nei rapporti privati tra le persone ed è detta reciproca o di scambio. Anch’essa si basa su un principio di proporzione che lega il bene o il male prodotto, quello da produrre, il soggetto agente e il soggetto passivo dello scambio, invertiti poi nel contraccambio. (EN V, 8 1132b21)
La giustizia distributiva:
[…] è quella che consiste nelle ripartizioni degli onori, delle ricchezze e di qualsiasi altra cosa possa essere divisa tra i membri della comunità politica245.
Questo tipo di giustizia particolare si basa sul concetto di equità: in una relazione giusta a due persone uguali spetta la medesima quantità di cose secondo un tipo specifico di proprozione che Aristotele chiama geometrica:
Poiché l’equo è una posizione di mezzo, il giusto deve essere pure una posizione di mezzo […] Quindi il giusto è in un certo senso proprorzione. Infatti la proprorzione non è propria solo del numero aritmetico ma in generale di ogni numero: la proprozione è un’equità di rapportie almeno tra quattro termini. E anche il giusto si compone di almeno quattro elementi e il rapporto è identico: sono infatti similmente distribuite le persone tra cui si svolge e i suoi oggetti246.
Dopo aver trattato della proporzione discreta cioè quelle che hanno due termini diversi ( nella forma A:B = C:D) e di quella continua che presenta un medesimo termine come medio, (A:B = B:C) Aristotele arriva finalmente a illustrare la proprorzione geometrica:
Quindi la somma dei termini A e C e quella dei termini B e D costituisce il giusto nella distribuzione, e tale giusto è intermedio rispetto a ciò che viola la proporzione, dato che cioò che rispetta la proporzione è intermedio, e ciò che è giusto rispetta la proporzione. I matematici chiamano “geometrico” questo tipo di proporzione, infatti nella proporzione geometrica il tutto sta al tutto
come ognuno dei termini sta all’altro corrispondente, e tale proporzione non è continua dato che non vi è un solo termine, di numero, per indicare la cosa e la persona247.
La proporzione in geometria si esplica dunque nella formula (A+C): (B+D) = A:B. è in base a questo rapporto che il legislatore distribuisce correttamente beni e poteri tra due parti sociali in ragione del loro merito. Perché possa essere definita giusta, secondo Aristotele, la distribuzione deve essere corrispondente al valore specifico dei cittadini coinvolti. Ad esempio, se un uomo vale il doppio di un altro, egli dovrà avere il doppio di onori in modo da mantenere la stessa proporzione prima e dopo la distribuzione.
245 Cfr EN V, 1130b 31-33. 246 EN V, 1131a 13-19. 247 Ivi., V, 1131b 9-16.
Questa tesi risulta chiara anche a partire dalla considerazione del valore (axia248) infatti tutti concordano che nelle distribuzioni il giusto deve essere valutato rispetto a un qualche valore, ma quanto al valore, non tutti accettano di applicare lo stesso: i democratici prendono in considerazione la libertà, gli oligarchici la ricchezza e a volte la stirpe, gli aristocratici la virtù249.
Il passo sopra citato, vero e proprio punto di cerniera tra lo scritto etico e quello politico propriamente detto, ci permette di tornare alla Politica e vedere come Aristotele applica la sua concezione di giustizia alla teoria delle costituzioni.
Ogni tipo di costituzione realizza una qualche forma di giustizia, ma spesso si tratta di una giustizia parziale non basata sul criterio del merito e della virtù. In particolare, democrazia e oligarchia si fondano su una mistificazione del concetto di giustizia.
Tuttavia poiché il giusto è relativo alle persone ed è una distribuzione rispetto alle cose e alle persone, come abbiamo già detto nelle trattazioni dedicate all’etica, si ammette in genere come suo requisito l’uguaglianza delle cose, ma non quella delle persone e soprattutto per la ragione testè detta: cioè perché si giudichi male quando si è parte in causa e perché, affermando una pretesa parziale, gli antagonisti credono di affermare il giusto nella sua totalità. Infatti gli uni, che si distinguono sotto certi aspetti, per esempio nelle ricchezze, credono di essere totalmente diversi dagli altri, mentre gli altri, che sono uguali al resto dei cittadini sotto qualche aspetto, per esempio nella libertà, credono di esserlo in tutto250.
Applicando un criterio di giustizia parziale, non solo si allontanano dalla possibilità di creare leggi giuste che mirino al bene comune e non esclusivamente a quello di una porzione della società, ma rendono la polis intrinsecamente instabile e soggetta alle staseis.
Causa generale delle sollevazioni è la disuguaglianza:
gli uni infatti si ribellano perché aspirano all’uguagliana, se credono di avere meno degli altri, pur essendo uguali a quelli che hanno di più, gli altri invece propongono come fine delle loro rivolte proprio l’inuguaglianza e il raggiungimento di privilegi se credono di avere come gli altri o meno
248 In questa parte del testo, il termine axia indica sia il valore morale, sia il valore economico del soggetto.
cfr Natali, nota 438.
249 EN V, 1131a 24-29. 250 Pol. V, 1280a 15-25.
degli altri, pur essendo superiori ad essi. Perciò gli inferiori si ribellano per ottenere l’uguaglianza e coloro che hanno ottenuto l’uguaglianza si ribellano per ottenere dei privilegi251.
Chi mette in atto la sollevazione è sempre mosso dall’aspettativa di vedere modificato il sistema della giustizia distributiva vigente in quel momento. Un individuo o un gruppo di individui si sentono deufradati perché non sono attribuiti loro i necessari riconoscimenti, quelli confacenti alla loro personale opinione di merito. Tentano così di ottenerli con la forza e di impostare, una volta giunti al potere la loro particolare concazione di giustizia.
Il legame tra giustizia e stasis è dunque duplice: da un lato è il mancato rispetto a una forma di giustizia che crea la stasis, dall’altro la stasis porta all’imposizione di un modello di giustiza parziale carico di disequilibrio e che porta con se il seme della rivolta successiva.
A questo punto della trattazione Aristotele analizza in dettaglio le cause (archai) delle staseis. Ne individua tre: a) la disposizione delle parti in conflitto, se appunto si sentono deufradate di un bene che ritengono spetti loro di diritto o che semplicemente desiderano ottenere; b) il fine che le fazioni in lotta si propongono: liberarsi da una condizione sfavorevole quanto ad onori e guadagni; c) cause di natura occasionale che concretamente innescano la stasis.
Riguardo alle cause occasionali:
Altre cause sono la tracotanza, la paura, la supremazia, il disprezzo, l’aumento sproporzionato. Altri fattori che in un altro senso provocano le ribellioni sono gli intrighi elettorali, la negligenza, la trascuratezza nelle piccole cose, la dissomiglianza degli elementi di una città252.
Fatta eccezione per gli intrighi elettorali, la negligenza nelle piccole cose e la dissomiglianza degli elementi all’interno della comunità, tutte le altre cause sono poste in relazione ai meccanismi psicologici umani che nascono in virtù del desiderio di maggiore onore e ricchezza. Le emozioni dunque giocano un ruolo fondamentale nell’economia dei conflitti e dei mutamenti. Esse sono cioè il punto di partenza del movimento che porta all’incrinamento dei rapporti social tra le parti e che provoca a sua volta il cambiamento dell’ordine costituzionale.
L’origine delle staseis rimanda sempre alla configurazione interna e alle dinamiche conflittuali tra le parti della polis inevitabilmente in contrasto nelle oligarchie e nelle
251 Ivi. V, 1302a 24-31. 252 Ivi, V, 1302a 35 - 1302b5.
democrazie. L’instabilità di queste costituzioni nasce infatti dall’imposizione originale di un criterio parziale di giustizia che necessariamente non verrà condiviso da tutta la popolazione. Le costituzioni devianti predispongono fin da principio il terreno per gli scontri tra individui e gruppi diversi. Centrale in questo contesto è l’aspirazione a vedere valorizzati il proprio status e il proprio ruolo nella collettività. Un siffatto clima genera ed è a sua volta alimentato da risposte emotive differenti che inducono i soggetti all’azione. Questo meccanismo risulta chiaro se prendiamo come esempio la tracotanza (hybris):
Quando la tracotanza e la prevaricazione si introducono tra coloro che occupano le cariche, allora scoppia la guerra interna tra i cittadini e contro il sistema costituzionale che li sorregge253.
La hybris, come sappiamo, è una delle cause dell’ira, emozione che racchiude in sé una forza attiva la quale induce il soggetto all’azione e in questo caso alla sollevazione faziosa. Chi commette hybris, disprezza, svaluta un bene che per l’offeso invece ha grande valore. Da parte sua, la vittima, percependo il giudizio di svalutazione come un’ingiustizia, è mossa alla vendetta dal sentimento di rabbia. È in questo senso, nel loro ruolo di interpreti delle situazioni e guide all’azione che le emozioni sono viste come cause delle staseis.
Dall’analisi dei numerosi casi storici esposti con minuziosa perizia nei capitoli 3-7, possiamo far ruotare tutte le dinamiche faziose intorno a tre attitudini viziose: il desiderio di avere di più (pleonexia) e il disprezzo (kataphronesis) caratteristici soprattutto dei ricchi, ed infine l’invidia (phthonos).
L’invidia in particolare, anche se non viene indicata esplicitamente come una delle
aitai che danno origine alle staseis, sembra avere un ruolo decisivo nella maggior parte dei
fenomeni sediziosi.
Prima di procedere richiamiamo schematicamente alcune caratteristiche dell’invidia com’è descritta dalla Retorica e della disposizione degli invidiosi presa in esame nelle opere etiche.
• L’invidia è una sofferenza rispetto alle fortune altrui
• L’invidia è rivolta soprattutto ai nostri vicini e a chi consideriamo come nostro pari. • L’invidia nasce in rapporto a quei beni per noi di grande importanza e per cui si è in
competizione con gli altri.
• L’invidioso è predisposto ad agire tenendo in considerazione solo la propria autostima.
• L’invidioso fallisce nella valutazione del merito, o meglio, giudica in base alla propria concezione di merito.
• L’invidia contribuisce all’ingiustizia.
Torniamo adesso alle staseis. Tutti coloro che si ribellano sono spinti da un senso di sofferenza che deriva dal percepirsi in una situazione di svantaggio. I ribelli si vedono defraudati ingiustamente di onori e potere che a loro giudizio, meriterebbero, ma che in base al criterio di giustizia parziale vigente non gli vengono attribuiti.
Avvengono si lotte reciproche per il guadagno e per gli onori, ma non per acquistare per sé gli uni o gli altri, come nel caso precedente, ma perché si vede che gli altri, giustamente o ingiustamente, hanno dei vantaggi in questi campi254.
È il confronto con l’altro in sé per sé, inteso come competitore e rivale che fa nascere nei soggetti la consapevolezza di essere trattati ingiustamente. Tale percezione è non solo la causa delle staseis, ma ancora prima quello che innesca l’invidia.
[…] l’invidia è una forma di dolore di fronte alla vista della buona fortuna in relazione ai beni di cui si è parlato a proposito di persone di pari condizione, non per ottenere essi stessi qualcosa, ma solo a causa di costoro255.
Da qui la volontà del soggetto di cambiare la propria condizione andando a colpire l’origine del proprio male. Ciò però avviene tendenzialmente solo se l’invidia è veicolata da fattori esterni.
[…] – the negative emotional attitude of the poor (envy) has its counterpart in an equally mean- spirited attitude on the part of the rich (their contempt for the poor, and the hybris to which leads