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Il rapporto con le altre emozioni

L’invidia è imparentata con molte emozioni. Vista la ricchezza di componenti di cui è costituita, alcune di queste parentele sono quasi ovvie. L’invidia, infatti, contiene in un certo senso varie emozioni più elementari: il senso di inferiorità, scaturito dal confronto svantaggioso; il senso di impotenza, motivato quando la distanza con l’altro appare incolmabile; il malanimo verso l’avvantaggiato, con lo scopo conseguente di danneggiarlo; il risentimento verso il caso o la fortuna che non ci ha donato le risorse desiderate139. Tutti questi sono componenti necessari nell’invidia, ma ciascuno di essi può avere vita propria. Per esempio, si può provare un senso di inferiorità e di impotenza anche senza invidia: questo avviene quando il soggetto si concentra maggiormente sulla propria condizione di svantaggio e di perdita di autostima non tenendo minimamente in considerazione l’altro. In questo caso il soggetto può limitarsi a una reazione di scoraggiamento e depressione e non necessariamente di invidia.

Anche altre emozioni sono anch’esse imparentate con l’invidia seppur in modo diverso: anziché essere suoi componenti, esse si sovrappongono solo parzialmente all’invidia e mantengono alcune componenti loro proprie che ci permettono di distinguerle da quella.

Prima di tutto l’invidia non è ammirazione, ossia quell’emozione che ci porta letteralmente a guardare o a considerare qualcosa con meraviglia. La meraviglia in questione è dovuta ad un apprezzamento molto positivo di quello che stiamo guardando. L’ammirazione può essere rivolta anche verso entità inanimate come, per esempio, un paesaggio anche se generalmente è rivolta verso gli esseri umani. Quando ammiriamo qualcuno, riteniamo che egli possieda qualcosa a cui diamo molto valore e che sappiamo di non possedere. Ciò che avviene è un confronto simile a quello caratteristico dell’invidia ma a differenza di quest’ultima, l’ammirazione è caratterizzata da sentimenti benevoli nei confronti di chi è superiore. In altre parole, quando ammiriamo una persona superiore a noi per un attributo o una qualità che anche noi desidereremmo avere, non vediamo l’altra persona come causa della nostra sofferenza. Inoltre proviamo ammirazione per le persone lontane da noi nel tempo e nello spazio, ma invidiamo soprattutto chi è vicino a noi. Ad esempio, un chitarrista invidierà il compagno di conservatorio se questi avrà successo, mentre riserverà la sua ammirazione per Jimi Hendrix. Questo atteggiamento interamente positivo risulta possibile solo quando l’oggetto della nostra emozione non fa parte del nostro

gruppo di riferimento140. Una posizione molto particolare nei confronti dell’ammirazione è assunta da Sandell141. Egli sostiene che nel provare questa emozione, noi non separiamo l’oggetto/attributo che desideriamo dal reale destinatario che effettivamente possiede il bene. In altre parole non non ammiriamo Bill Gates, ma Bill Gates-il grande informatico e uomo di successo. Non abbiamo bisogno di sapere nient’altro riguardo a chi invidiamo, cosa che invece avviene nell’invidia. Infine l’ammirazione non ha necessariamente una tendenza ad agire, che è invece un aspetto caratteristico dell’emulazione.

L’invidia non è emulazione, cioè quell’emozione benigna che spinge il soggetto a migliorare sé stesso. Come per l’invidia, anche qui noi vediamo nell’altro un attributo o qualità che noi non abbiamo ma a cui attribuiamo grande valore. Nell’emulazione tuttavia non cerchiamo di privare l’altro di questo bene, ma siamo spinti ad impiegare tutte le nostre forze per raggiungerlo. Per l’emulatore il rivale non è un nemico: se il vantaggio che ha inizialmente nei miei confronti mette in discussione la mia autostima e il mio valore, questo non è avvertita come una minaccia, ma solo come una sfida da affrontare142. Di fatto l’emulatore considera il proprio svantaggio come una condizione contingente e superabile, ed il rivale come un esempio da seguire. Se da una parte nell’invidia il senso di impotenza favorisce e alimenta il senso di malanimo e l’avversione nei confronti dell’invidiato, nell’emulazione la fiducia nelle proprie capacità innesca le motivazioni a migliorare. Il successo del rivale non mi mette di fatto in ombra, ma incoraggia ad ottenere un risultato analogo.

Alcuni studiosi hanno poi cercato di analizzare il rapporto tra invidia, avidità e brama. Melanie Klein ha notato diverse analogie tra invidia e avidità: entrambe

“[…] are impetuous and insantiable cravings, exceeding what the subject needs and the object is able and willing to give” 143.

Tuttavia la Klein le distingue per il fatto che l’avidità è introspettiva, mentre l’invidia è proiettiva. L’avidità ci spinge a desiderare il bene che appartiene a qualcun altro, ma l’altra persona è per noi sostanzialmente irrilevante. Nell’invidia, invece, come abbiamo visto, il desiderio di avere il bene è accompagnato da quello di privarne l’altro. Se non possiamo

140 Ben Ze’ev, op.cit. p. 303.

141Rolf Sandell, Envy and Admiration. International Journal of Psycho-Analysis 74, no. 6 (December 1993):

1213-1221.

142 Miceli, op.cit. p. 81. 143 Ivi. p. 181.

raggiungere questo obiettivo l’invidia tenta di distruggere il rivale, mentre l’avidità rimane frustrata.

La brama, a cui prima abbiamo accennato, si distingue dall’invidia in quanto risulta essere un’emozione in cui non è coinvolto nessuno se non il soggetto che la prova. Se la brama si concentra sull’avere qualcosa, l’invidia guarda a colui che la possiede. Diversamente dall’invidia, inoltre, la brama non implica alcun sentimento di inferiorità.

L’invidia, emozione dolorosa, sembrerebbe poi legata a Shadenfreude, parola tedesca che designa il piacere malevolo per il fallimento altrui. In questo caso, la sfortuna che colpisce la persona è vista dal soggetto come meritata, allo stesso modo in cui, nell’invidia, la fortuna e il successo altrui sono immeritati. Anche se moralmente riprovevole,

Shadenfreude provoca nel soggetto un vero e proprio piacere, cosa che non si può dire per

l’invidia. Le relazioni tra le due emozioni sono tuttavia molto strette. La ricerca neurocognitiva, infatti, oltre ad aver mostrato la relazione tra invidia e attivazione di aree cerebrali predisposte alla registrazione del dolore, ha individuato anche un stretto rapporto tra invidia e gioia per il male altrui. Durante un esperimento, si chiedeva alle persone partecipanti di immaginare che la persona avvantaggiata, con la quale si erano confrontati in precedenza, avesse una disgrazia. A questo punto il cervello degli invidiosi mostrò l’attivazione di aree preposte alla registrazione del piacere come, ad esempio, lo striato ventrale144.

144 La recente ondata di studi sui processi emotivi nel cervello umano è stata alimentata dallo sviluppo, dal

miglioramento e dalla ampia disponibilità di accesso negli ultimi anni alle tecniche di brain imaging. Tra queste, quella più usata, data la sua natura non invasiva, è la risonanza magnetica funzionale, in inglese fMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging. In breve, l’fMRI misura i cambiamenti delle concentrazioni di sangue deossigenato le quali riflettono l’attività metabolica associata con l’attività mentale. Si ricordano anche l’elettroencefalogramma (EEG), la tomografia a emissione di positrioni (PET) e un’applicazione recente della risonanza magnetica che permette di studiare le vie di connessione tra le strutture nervose (Trattografia a Tensore di Diffusione o DTI). Dal punto di vista neurobiologico, le emozioni possono essere definite, infatti, come risposte comportamentali a eventi di rilievo personale caratterizzati da particolari vissuti soggettivi e da una complessa reazione biologica. L’insieme preordinato di modifiche biologiche connesse alle emozioni, innescate in risposta ai più svariati stimoli ambientali, è correlato all’attivazione combinata di una serie di strutture cerebrali, corticali e sottocorticali. Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono state identificate come appartenenti al lobo limbico situato in profondità nella parte più interna, cioè mediale, dei lobi temporale e frontale di ciascun emisfero. Per quanto riguarda l’invidia, gli studi hanno permesso di identificare le aree cerebrali maggiormente interessate: l’insula, la corteccia mediale prefrontale e quella cingolata anteriore che si pensa siano responsabili della “cognizione del sé” e della capacità di interpretare le emozioni altrui; l’amigdala che si attiva nei processi di confronto sociale e durante le situazioni in cui il soggetto si sente aggredito o provocato; lo striato ventrale volto alla registrazione del piacere. Per ulteriori approfondimenti sul tema si veda J. E. Joseph, C. A. J Powell, N. F. Johnson, G. Kedia,

The Functional Neuroanatomy of Envy, in R. Smith, Envy: Theory and Research, Oxford University Press,

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