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3. INVIDIA E SOCIETÀ

3.2 Aristotele osservatore del suo tempo

3.2.1 La Politica

Con la Politica Aristotele completa la trattazione delle “scienze pratiche”, cioè di quelle scienze che hanno per oggetto l’azione e hanno il proprio fine in sé stesse231. No spazio L’altra scienza pratica, com’è noto, è esposta nelle tre opere etiche. Politica ed etica no spazio intrattengono, pur nella loro autonomia, un rapporto di doppia dipendenza reciproca in vista della costituzione di un unico sapere pratico. È in questi termini che si può parlare di una politica “in senso stretto” e una politica “in senso ampio”: alla prima compete lo studio delle questioni che hanno direttamente a che fare con la costituzione delle città; alla seconda pertiene la riflessione sulla cornice politico-comunitaria nella quale gli individui possono realizzare al meglio il fine del vivere bene. Difatti, secondo la celebre definizione dell’uomo come zoon politikon232, l’agente morale si muove sempre e comunque come

cittadino e membro della polis.

Quando parliamo di politica in senso stretto, essa deve essere dunque tenuta distinta dall’etica, ossia la scienza che riguarda temi quali la virtù e la felicità dell’individuo. Non appena si prende in considerazione l’idea della politica in senso ampio, però, emerge il rapporto dialettico che lega i due poli del sapere pratico. É lo stesso Aristotele ad esplicitare questa relazione: nel libro I dell’ Etica Nicomachea il filosofo afferma programmaticamente che l’oggetto dell’indagine che sta per condurre è il bene più alto realizzabile dall’uomo tramite il suo agire. Il compito di individuare tale bene è fondamentale per la condotta umana e viene affidato alla scienza più importante ed architettonica, la politica.

Se è così, ci si deve sforzare di comprenderlo nelle sue linee principali, cosa mai esso sia, e di quale scienza o capacità sia oggetto. Sembrerebbe essere oggetto della più autorevole e architettonica, e questa è evidentemente la politica. Infatti è la politica a stabilire di quali scienze c’è bisogno nelle città, e quali deve apprendere ogni classe di cittadini, e fino a che punto: vediamo che anche le capacità più degne di stima, come l’arte militare, l’amministrazione della casa, la retorica, sono subordinate ad essa. Siccome la politica si serve delle altre scienze pratiche, e in più legifera su cosa si deve fare, e da cosa ci si deve astenere, il suo fine comprenderà in sé quello delle altre scienze, in modo che verrà ad essere il bene umano233.

231 Cfr. Metaph. 1063b 36-1064b 14.

232 Aristotel , Politica, a cura di Cristina Viano, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005. I, 1253a 3. 233 EN I, 1, 1094a24-b7.

In questo passo, la scienza politica sembra emergere come la disciplina architettonica che, legiferando sulle azioni degli uomini, le organizza in vista di un unico fine: il bene della città, unica realtà nella quale il singolo può realizzare il proprio telos di animale razionale e sociale. É solo in questi termini che si spiega la superiorità della politica sull’etica e la subordinazione dei fini degli individui a quelli della città. Allo stesso tempo, però, la politica si trova ad essere dipendente dai principi dell’etica. Se lo scopo della politica è quello di tentare di rendere i cittadini felici, e identificata la felicità come “attività dell’anima secondo virtù” (EN I, 6, 1098a15), il buon legislatore deve necessariamente avere una certa conoscenza dei temi trattati nell’etica ed, in particolare, quelli relativi all’anima umana e alle emozioni. Tutto ciò viene chiarito nei passaggi finali dell’Etica Nicomachea, dove è esplicitata tale contiguità e dove vengono enunciati a grandi linee i temi trattati nella Politica. A conclusione del testo, Aristotele si chiede se, dopo aver parlato della felicità, delle virtù dell’uomo, dell’amicizia e del piacere, il suo compito sia giunto a conclusione: la risposta è negativa, poiché tali insegnamenti necessitano di un’integrazione, ossia l’analisi delle leggi e delle costituzioni. Nell’ambito pratico, le parole della filosofia sono infatti “inutili”:

Ora se i discorsi fossero sufficienti a renderci persone per bene “farebbero certo affari d’oro” come dice Teognide (432-434), e dovremmo procurarceli; in realtà è chiaro che i discorsi conducono i giovani d’animo generoso a rafforzare la propria disposizione, e li incoraggiano, rendono un carattere nobile e veramente amante del bello adatto ad ospitare la virtù, ma non hanno la capacità di condurre la massa all’eccellenza morale. Infatti la natura della massa non la porta ad obbedire alla vergogna, ma alla paura, e a tenersi lontana dalle azioni malvagie non perché siano turpi ma per non essere punita234.

L’assimilazione della filosofia pratica presuppone da un lato una buona predisposizione naturale, dall’altro un’abitudine precedentemente acquisita. Il compito di assicurare ai cittadini, fin da giovani, una corretta educazione è prerogativa delle leggi e della loro forza coercitiva. Per formulare leggi appropriate il buon legislatore, oltre ad essere “esperto” dei casi particolari grazie all’esercizio della saggezza politica (phronesis), necessita anche di una conoscenza dell’universale235. Da qui derivò, per Aristotele, il

234 EN X, 1179b 4-3.

235 Per svolgere correttamente la propria attività, il legislatore ha bisogno sia della pratica che della conoscenza.

bisogno di scrivere un trattato, la Politica appunto, che indagasse sulle diverse costituzioni, ossia sulle diverse forme di governo ed insegnasse ai governatori quali sono buone e quali non lo sono, qual è la migliore e quali sono adatte a determinate situazioni. Il filosofo può concludere così l’Etica Nicomachea, annunciando quello che sarà il contenuto della Politica:

Per prima cosa ci sforzeremo di esaminare quello che è stato detto bene, nei particolari, dai nostri predecessori, poi, partendo dalla raccolta delle costituzioni, vedremo quali cose salvano la città, e i vari tipi di costituzioni, quali le distruggano, e per quali ragioni alcune città sono governate bene e altre tutto il contrario. Dopo aver esaminato questo, forse potremo comprendere meglio qual è la costituzione migliore, come ogni costituzione è strutturata e di quali leggi e costumi si serve236.

Allo studio minuzioso della polis237, delle sue componenti e dei diversi ordinamenti politici che essa può presentare, si affiancano e vengono così riproposti tutti quei temi di carattere morale che sono funzionali alla vita del cittadino all’interno della comunità. Mi riferisco non solo ai concetti di bene e felicità ma anche alla teoria della giustizia, virtù centrale e fondamentale per la vita politica e regolatrice dei rapporti con gli altri. Ricordo che è grazie alla stretta collaborazione tra virtù del carattere e phronesis che l’individuo è in grado di deliberare bene, compiere scelte corrette, agire virtuosamente e dunque di essere felice (fine ultimo della polis). Una città composta da cittadini virtuosi non potrà che raggiungere i suoi fini e la stabilità molto più facilmente. In questo quadro si può comprendere facilmente il ruolo delle emozioni all’interno dell’opera: grazie alla loro relazione con piacere e dolore, esse guidano l’agire umano, ma sono anche in grado di andare ad interferire con la phronesis in modo negativo nella misura in cui portano il soggetto a perseguire fini ingiusti e non condivisi. Nel momento in cui i cittadini perseguono bisogni e

dell’universale; né presso i sofisti, che ritengono di poter acquisire conoscenza limitandosi all’analisi delle sole raccolte di leggi. Cfr. EN X, 1181a 1 e ss.

236 EN X, 1181b 16-23

237 Nel libro primo della Politica, Aristotele fornisce una ricostruzione genetica della nascita della città, un

resoconto più ideale che reale delle tappe della sua formazione. La polis viene così definita in base al suo fine come la comunità (kononìa) più ampia che garantisce il bene più alto e che ricomprende in sé le altre comunità minori (Pol. I, 1252a 5-7). Aristotele, secondo una prospettiva di indagine affine a quella usata in ambito biologico, scompone la città nelle sue parti. Inizia con l’analizzare “i termini che non possono sussistere separatamente” (Pol. I, 2, 1252a26) ovvero l’unione tra uomo e donna in quanto strumenti di generazione, e quella tra chi è naturalmente disposto al comando e chi è naturalmente disposto ad essere comandato, padrone e schiavo, dal momento che la loro unione è parimenti necessaria alla sopravvivenza. Infatti, a seconda delle qualità intellettuali di cui sono dotati, alcuni per natura sono destinati a comandare ed altri alla schiavitù. Da queste due comunità nasce la famiglia, la quale garantisce la sopravvivenza e la conservazione della specie; dall’unione di più famiglie nasce il villaggio e dall’unione di più villaggi ha infine origine la città.

fini che vanno a scontrarsi con quelli degli altri e soprattutto con quelli promossi dalla polis, è qui che si creano le tensioni. Per la prima volta nei testi aristotelici il carattere delle persone, ed in particolare le emozioni, vengono ora rappresentati come una delle cause dell’instabilità politica e dei conflitti tra fazioni rivali. L’intelligenza di Aristotele come filosofo politico sta anche in questo, ossia nell’aver compreso come le emozioni, che determinano l’attività individuale, abbiano anche un’importante ramificazione nella politica. L’invidia in particolare sembra rappresentare un grande pericolo, non solo per il singolo cittadino, ma adesso anche per la collettività. Come vedremo più in dettaglio, la causa generale delle rivolte e dei conflitti politici è riconosciuta da Aristotele nell’insoddisfazione di una parte della popolazione per la distribuzione erronea, dal loro punto di vista, di beni quali onori, ricchezze e potere. In altre parole, i sediziosi non condividono il criterio di uguaglianza e di giustizia promosso dalla polis, secondo il quale si spartiscono beni di grande importanza per l’uomo. Come ormai sappiamo, una siffatta situazione è il terreno naturale per la nascita di sentimenti invidiosi e delle loro manifestazioni, indipendentemente dal tipo di costituzione vigente nella società.

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