Nel paragrafo precedente abbiamo compreso quanto il bene mancante svolga solo un ruolo di occasione per il confronto con l’altro. I candidati per essere il “focus of concern”126 dell’invidia sono due: il fatto che l’altro meriti o meno di possedere il bene, oppure il senso di inferiorità percepito dal soggetto. Prendere il merito come focus of concern vorrebbe dire considerare l’invidia come un’emozione morale ed eticamente giustificata, dal momento che insorgerebbe in risposta a una situazione immeritata. Questa posizione è difficile da sostenere. Prima di tutto abbiamo già visto come l’invidia sia spesso diretta verso chi è fortunato, ma essere fortunato non è mai immorale. Secondariamente, spesso gli invidiosi vogliono privare l’avversario del bene posseduto indipendentemente dal fatto che questa azione possa arrecare loro un reale beneficio. Difficilmente si può trovare una giustificazione morale per questo desiderio. Il focus of concern dell’invidia è infatti il senso di inferiorità che noi proviamo quando ci confrontiamo con chi occupa una posizione migliore della nostra sia per averi, sia per qualità. Quello di cui ci preoccupiamo è l’inferiorità percepita, ma non
125 E.M. Sanders, op. cit., p.16.
126 Dal punto di vista cognitivo, sostiene Ben Ze’ev, le emozioni ci mettono di fronte a tre aspetti: 1) causa
dell’emozione che precede l’insorgere dell’emozione stessa, 2) l’oggetto dell’emozione e 3) “focus of
concern”. Letteralmente “quello che ci preoccupa” sta alla base della valutazione che diamo alla situazione che
viviamo. Nel caso dell’invidia ad esempio, la causa dell’emozione è il bene desiderato, l’oggetto dell’emozione è il fatto che l’altro possiede un certo bene o attributo, mentre quello che ci preoccupa realmente è la nostra inferiorità. Alcune volte accade che l’emotional object e il focus of concern siano diretti verso la stessa cosa: questo accade per esempio nella compassione dove ci preoccupiamo che la persona stia subendo un male doloroso. Altre volte invece il focus of concern non è nemmeno noto a chi prova l’emozione e questo è dovuto al fatto che spesso, come accade per l’invidia, non vogliamo ammettere a noi stessi che qualcosa è in grado di colpire la nostra attenzione e di provocare appunto un’emozione. op.cit. pp. 49 e ss.
quella di chiunque, solo la nostra. Questa situazione di inferiorità può essere poi, dal nostro punto di vista, immeritata. Se nell’invidia, quindi, si vuole vedere il coinvolgimento di un certo senso di giustizia, si deve parlare necessariamente di una giustizia personale: nell’invidia non si esprime un giudizio riguardo a come dovrebbe essere la realtà in generale o la condizione di tutte le persone, ma si valuta solo come dovrebbe essere la nostra. Per fare ciò abbiamo bisogno, però, di un termine di paragone: l’altro.
L’invidia nasce inevitabilmente dal confronto sociale: l’uomo è sistematicamente e naturalmente spinto a valutare le sue opinioni, le sue e abilità e capacità. Nel caso in cui non esistano criteri oggettivi o, perlomeno, intersoggettivi per farlo, tendiamo a paragonare noi stessi con le opinioni e abilità degli altri, soprattutto se sono vicini a noi e ci assomigliano.
Per quanto possa avere effetti negativi dal punto di vista emotivo, il confronto sociale è un’attività preziosa per l’uomo, perché ci permette di acquisire informazioni sulla nostra “posizione nel mondo”. Nel mondo di oggi, volenti o nolenti, la possibilità di perseguire efficacemente i nostri scopi si scontra inevitabilmente con la limitatezza delle risorse che il contesto (materiale, simbolico o relazionale) in cui viviamo ci offre. Ne deriva una sistematica e sempre attiva attenzione a paragonare i nostri stati con quelli degli altri soprattutto, ma non esclusivamente, nelle situazioni in cui le risorse sono limitate. Ci informiamo dunque sugli altri e sul nostro potere rispetto a loro: in poche parole il confronto sociale ci permette di valutare noi stessi, e quando la risposta è negativa per noi, è facile inciampare nell’invidia.
Quello che abbiamo detto fino ad ora è necessario ma non sufficiente a suscitare invidia. Affinché tale sentimento si sviluppi, è indispensabile che il confronto svantaggioso avvenga in riferimento ad un elemento che concorre in maniera rilevante a costruire l’immagine che abbiamo di noi stessi e su cui, in qualche modo, sentiamo di poter avere successo. È solo in questo caso, infatti, che il confronto sociale diventa particolarmente doloroso e ci mette nella condizione inevitabile di prendere coscienza delle nostre mancanze. L’invidia è un’emozione parziale127, cioè è rivolta a persone che appartengono al nostro
127 Ben Ze’ev individua una serie di caratteristiche riscontrabili in tutte le emozioni: instabilità, intensità,
parzialità e brevità. Per quanto riguarda la parzialità, egli dimostra che le emozioni possono essere dette parziali in due sensi: sono focalizzate su un obiettivo ristretto (come una persona o un gruppo di persone) e in secondo luogo esse esprimono una prospettiva essenzialmente personale. Le emozioni infatti dirigono e colorano la nostra attenzione selezionando quello che ci attrae e che ci colpisce: esse esprimono i nostri valori e le nostre preferenze più intime e non possono essere rivolte indiscriminatamente a qualsiasi cosa. Provare emozioni verso qualunque cosa, vorrebbe dire non avere a cuore niente o tutto e di conseguenza non provare affatto alcuna emozione. La parzialità dell’invida è proprio quella caratteristica che ci permette di distinguere l’invidia che insorge nei bambini da quella consapevole degli adulti. Per i bambini, una cosa acquista valore solo nel momento in cui un’altra persona la possiede e loro no. I bambini “soffrono” di un’invidia generale non diretta verso persone specifiche, in quanto non hanno ancora sviluppato un senso ben definito di quello che per loro è
ambiente emotivo e che sono emotivamente importanti per noi. Noi non invidiamo le persone che hanno successo in aree per noi insignificanti. Allo stesso modo, si può desiderare qualcosa, ma se questo oggetto non rientra tra i possedimenti che alimentano la nostra autostima, non proviamo invidia, ma brama. L’invidia sorge in quei casi in cui il successo altrui è importante per noi e per la nostra autostima, e va a ledere l’immagine che abbiamo di noi stessi e che vogliamo mostrare agli altri.
Rimane ancora un altro dettaglio da aggiungere: il confronto sociale, oltre che a verificarsi in riferimento ad un elemento importante per noi, si verifica soprattutto con persone a cui assomigliamo:
Le autovalutazioni più accurate, stabili e affidabili sono quelle che derivano dal confronto con chi è affine a noi, cioè con chi ha desideri, scopi simili ai nostri e parte da analoghe condizioni di potere128.
La somiglianza con l’altro è dunque un fattore di innesco, ma quella che entra in gioco nell’invidia non corrisponde necessariamente alla realtà dei fatti. Essa è piuttosto una somiglianza percepita. Gli psicologi riscontrano, infatti, l’attitudine comune a confrontarsi con persone che sono di poco superiori a noi129. Il guardare verso l’alto servirebbe infatti a vederci migliori di quanto non lo siamo in realtà, ma senza necessariamente spingerci a cambiare la nostra situazione di partenza. Quello che alimentiamo è infatti la nostra autostima e ciò deriva dal fatto che quando ci si confronta con persone oggettivamente migliori di sé, le si vede soggettivamente come nostre pari. Questa particolare forma di comparazione è ovviamente molto rischiosa. Se le nostre aspettative di uguaglianza risultano false rispetto alla realtà, ecco che sorgerà un dolore immediato derivante dalla presa di coscienza della propria inferiorità. Questo è proprio quello che accade tipicamente alla persona invidiosa: il soggetto parte da un’aspettativa di uguaglianza con l’avvantaggiato che poi viene amaramente delusa.
importante. Durante il percorso di crescita il bambino diventa più consapevole di sé e anche l’indivia, insieme a tutte le altre emozioni, diventa più selettiva. Op.cit., pp. 49-79.
128 M. Miceli, op cit., p.27.
129 Maria Miceli presenta i possibili vantaggi per il nostro adattamento derivanti dal confrontarci con chi è
migliore di noi. Molto spesso da soli non siamo in grado di capire dove e perché falliamo. Se grazie al confronto con chi ha avuto successo comprendiamo quali sono i nostri lati deboli, possiamo cercare di colmare le nostre lacune. Il confronto risulta benefico tuttavia solo con coloro che sono di poco superiori a noi: se il divario tra noi e l’altro è troppo grande, difficilmente saremo in grado di colmarlo e ne deriverebbe solo un sentimento di addoloramento e di sconforto. op. cit., pp. 28-29.
La somiglianza, il condividere certe situazioni e, dunque, il continuo contatto con il termine di paragone che ci fa soffrire, è un ripetuto rimando alla nostra situazione di svantaggio. Accade poi spesso che le persone con cui abbiamo relazioni strette siano anche quelle con cui siamo in diretta competizione per le risorse. Questo è ciò che accade tipicamente nei posti di lavoro che sono spesso metaforicamente “tagliati a fette” da dinamiche invidiose. Non si deve peraltro pensare che nei sistemi gerarchici l’invidia sia una prerogativa solo dei sottoposti o di chi si trova ad occupare lo stesso livello (basso). È altrettanto vero, infatti, che l’invidia può procedere dall’alto verso il basso delle gerarchie sociali: ad esempio il capo anziano e potente di una grande azienda può invidiare la giovinezza e la forza dei propri dipendenti. Quello che ci porta ad essere invidiosi è, di fatto, la nostra mancanza relativa piuttosto che una mancanza generica: i nostri desideri sono alimentati da quello che possediamo e da quello che valutiamo importante. Ecco perché chi può permettersi tutto, può diventare invidioso al solo pensiero che possa esistere qualcosa che lui non ha. Come per tante emozioni, anche nel caso dell’invidia è più importante la nostra personale valutazione della realtà piuttosto che la realtà oggettiva dei fatti. È un dato di fatto che le persone non sono uguali. Certamente alcune differenze appaiono ingiuste, ma anche in un mondo giusto alcune persone nasceranno più belle di altre, alcuni riceveranno più talento e via dicendo. È difficile immaginare che queste differenze tra vicini passino inosservate: tutti, in un modo o nell’altro, siamo dei possibili invidiosi e invidiati.
L’importanza che la percezione della propria inferiorità svolge per questa emozione, ha portato molti studiosi a pensare che essa sia tipica solo di persone che hanno poca stima di sé o che soffrono di complessi di inferiorità. Un’immagine debole del sé è certamente tipica nelle persone che sono stabilmente invidiose, ossia caratterizzate da un’invidia disposizionale130, ma l’invidia può colpire anche chi ha grande autostima: più stima si ha di se stessi, più si crede che certi beni o certi poteri debbano spettarci di diritto131. Per concludere, possiamo invidiare anche un solo aspetto dell’altra persona, continuando comunque a sentirci superiori a lui nel complesso.
130 L.J. Schalin, On the Problem of Envy: Social, Clinical, and Theoretical Conside- Rations. Scandinavian
Psychoanalytic Review, 1979, 2(2), pp.133-158.