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L’inviolabilità dei diritti

6. Le leggi che incidono su diritti inviolabili

6.1. L’inviolabilità dei diritti

Sulla solenne enunciazione di cui all’art. 2 della Costituzione125

– secondo la quale «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità» – molto (e a ragione) si è scritto in dottrina. Tra gli aspetti più appassionanti di tale dibattito vi è, come è noto, la disputa su quali siano i diritti ai quali si riferisce la disposizione costituzionale; al riguardo si sono fronteggiate, secondo una schematizzazione molto diffusa ma che forse tende a irrigidire oltre misura le differenze126, la tesi della fattispecie aperta, la tesi della fattispecie chiusa e quella c.d. mediana, i cui più autorevoli esponenti possono essere agevolmente individuati in Augusto Barbera127, Alessandro Pace128 e Franco Modugno129.

In estrema sintesi, con qualche semplificazione, secondo la prima, costituiscono diritti inviolabili tutti quegli interessi riconosciuti come meritevoli di tutela all’interno della società. In tale prospettiva, l’art. 2 costituisce una sorta di valvola che consente il “passaggio” alla tutela costituzionale di tutte le situazioni di libertà emergenti «ad opera delle forze culturali e politiche prevalenti, delle forze politiche, cioè, che determinano la costituzione materiale»130.

Per la contrapposta tesi della fattispecie chiusa, che muove da argomenti testuali e dalla preoccupazione dell’imposizione di nuovi obblighi come conseguenza del riconoscimento di nuovi diritti131, l’art. 2 Cost. ha esclusivamente una funzione riassuntiva dei diritti espressamente riconosciuti in altre disposizioni costituzionali. A tale riguardo, peraltro, potrebbe astrattamente distinguersi tra una

125 Disposizione di importanza centrale in quanto enuncia «ben tre principi fondanti e caratterizzanti

la forma di Stato (il principio personalista, quello del pluralismo sociale e quello di solidarietà)», così E. ROSSI, Art. 2, in R. BIFULCO-A. CELOTTO-M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., Vol. I, 38.

126 Sul punto v. quanto condivisibilmente affermato da A. L

ONGO, I valori costituzionali come categoria dogmatica. Problemi e ipotesi, Napoli, 2007, 225 ss., in relazione alle tesi di Franco Modugno ed Alessandro Pace.

127 A. B

ARBERA, Art. 2, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca, Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1975.

128 A. P

ACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, III ed. aggiornata e modificata, Padova, 2003, 20 ss.

129 F.M

ODUGNO, I «nuovi diritti» nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, 7 ss.

130 A.B

ARBERA, Art. 2, cit., 84 s.

131 Per questa osservazione P.C

ARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, III ed., Torino, 2011, 175.

125

versione forte ed una versione debole della tesi della fattispecie chiusa: secondo la

prima variante – a quanto consta, non supportata dalla dottrina – sarebbero «inviolabili» solo quei diritti espressamente qualificati come tali dalla Carta costituzionale (libertà personale, libertà di domicilio, libertà di corrispondenza, diritto di difesa); per la versione debole, invece, sarebbero inviolabili comunque i diritti enunciati nella Legge fondamentale, a prescindere dalla espressa qualificazione in termini di inviolabilità da parte dal Costituente.

Per la tesi mediana, infine, che si premura di conciliare l’apertura delle formule costituzionali alla coscienza sociale con il rispetto del testo, la possibilità di enucleare un nuovo diritto è legata alla riconducibilità ad uno già previsto in Costituzione e alla riferibilità al principio supremo della libertà-dignità132.

Sembra difficilmente contestabile, peraltro, che le diverse posizioni – che, giova ribadirlo, sono ben più sfumate e complesse di quanto qui si sia potuto mettere in luce 133 – si fondano su opzioni di metodo e concezioni dell’interpretazione (in specie quella costituzionale) tra loro irriducibili.

Un altro aspetto particolarmente dibattuto riguarda le conseguenze giuridiche del riconoscimento del carattere di inviolabilità di un determinato diritto, che attengono – secondo alcuni Autori – a: 1) la sottrazione alla revisione costituzionale; 2) la capacità germinativa di nuovi diritti (per chi accede alla citata tesi mediana); 3) la più intensa protezione giudiziale (o, almeno, prevalenza in un giudizio di bilanciamento).

Quanto al primo aspetto, la sottrazione a revisione costituzionale134 sembra argomentata, più che su basi testuali (l’equazione tra inviolabilità e irrivedibilità), sul particolare significato che i diritti inviolabili hanno, in termini assiologici per il nostro ordinamento costituzionale, tali da ritenerli tutelati, nel loro contenuto essenziale – come sostiene il Giudice delle leggi135 – o nel loro nucleo di valore136,

132 F.M

ODUGNO, I «nuovi diritti», cit., 107.

133

Basti pensare al fatto che A.PACE, Problematica delle libertà, cit., 22, definisce non accettabile, nella sua assolutezza la stessa tesi della fattispecie chiusa.

134 A.B

ALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc. giur., Roma, 1989.

135 Così la sent. n. 1146/1988. 136

126

da svuotamento da parte dei poteri costituiti. Si tratta, peraltro, di conclusione aspramente contestata da autorevole dottrina137.

In relazione al punto sub 2), secondo la citata prospettiva c.d. mediana, i diritti inviolabili sarebbero i soli idonei «a consentire interpretazioni ed esplicazioni evolutive della loro potenzialità normativa»138.

Occorre infine considerare il tema della più intensa protezione giudiziale, distinguendo, tuttavia, nell’ambito dei diritti inviolabili tra «libertà negative» e libertà positive»139. Come la dottrina ha avuto occasione di mettere in luce, infatti, la differenza strutturale ridonda in differenza delle tecniche interpretative: «mentre i limiti legislativamente posti alla libertà-indipendenza devono essere sottoposti a

tests di estremo rigore (strict scrutiny) per esser ritenuti costituzionalmente validi,

al contrario quelli posti alle libertà “positive” sono soggetti, nella necessaria commisurazione con altri valori costituzionali, a forme di bilanciamento nelle quali il contrappeso rappresentato dagli interessi pubblici o collettivi gioca un ruolo più significativo di quello che si riscontra nelle libertà “negative”»140

.

Per quanto interessa ai fini della nostra ricerca, effettivamente alcune sentenze della Corte costituzionale, invero piuttosto isolate, sembrano suggerire la possibilità che all’attributo della inviolabilità corrisponda una particolare tecnica di controllo di legittimità, ossia uno scrutinio più rigoroso sulla legittimità di norme

137

A.PACE, Problematica delle libertà costituzionali, cit., 41 ss.

138 Così C.C

OLAPIETRO-M.RUOTOLO, Diritti e libertà, Napoli, 2014, 14 s.

139 «La libertà “negativa” è la libertà-indipendenza e consiste in quei valori (della personalità) la cui

essenziale funzione è quella di costituire le condizioni fondamentali (considerate tali in un dato momento storico e in un determinato ordinamento costituzionale) per garantire l’indipendenza degli individui nei confronti dei poteri a loro esterni e, in primo luogo, nei confronti dello Stato o dell’autorità politica. È la libertà da. È, in altre parole, la libertà dalla coazione altrui, dalla interferenza di altri nella sfera giuridica garantita, in via di principio, a ogni individuo. La libertà personale, la libertà di domicilio, la libertà di opinione e di comunicazione costituiscono gli esempi più tradizionali, ma ancora i più significativi, di tale tipo di libertà. La libertà “positiva” è la libertà- autonomia […] Essa è data dall’insieme di quei valori diretti a garantire l’autonomia individuale nella vita di relazione, cioè lo svolgimento della personalità nei rapporti politici e in quelli economico-sociali. È la libertà di. È la libertà che l’individuo possiede in quanto membro di istituzioni, vale a dire come cittadino, come lavoratore, come operatore economico, come studente, come professore, come padre, come figlio e così via. È insomma la libertà garantita al singolo come diritto politico (libertà di voto, libertà di associazione politica, etc.) o come diritto sociale (libertà di scelta e di svolgimento di un lavoro e di una professione, libertà d’insegnamento, libertà di scelta della scuola. Libertà di procreare e di educare i figli, etc.)»; così A. BALDASSARRE, I diritti fondamentali nello Stato costituzionale, in AA.VV., Scritti in onore di Alberto Predieri, Milano, 1996, Tomo I, 67 s.

140

127

limitative sul contenuto o comunque incidenti sull’esercizio del diritto in questione, differente dal comune bilanciamento.

6.2. La giurisprudenza costituzionale

Nella sentenza n. 63 del 1994, richiamando un precedente di tre anni prima (sent. n. 366 del 1991), in cui non si era fatto espresso riferimento ad un controllo maggiormente penetrante, la Corte costituzionale ha invocato il più rigoroso scrutinio in tema di limitazione di diritti inviolabili.

La questione si pose, in quella occasione, in termini piuttosto peculiari: il giudice rimettente, infatti, non chiedeva alla Corte di verificare la legittimità di una disposizione limitativa di un diritto costituzionale, bensì al contrario, di estenderne la portata. Ci spieghiamo meglio: il giudice a quo dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 270, primo comma, c.p.p. nella parte in cui consente l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti penali (scil., diversi da quelli per cui le intercettazioni sono state autorizzate) solo nel caso in cui si proceda per reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Ciò che si intendeva ottenere, dunque, mediante una sentenza di accoglimento, era la possibilità di utilizzare pienamente le intercettazioni in qualunque altro procedimento penale.

Il Giudice delle leggi ha spiegato che una regola siffatta si sarebbe rivelata, essa sì, illegittima, per violazione dell’art. 15 della Costituzione: la versione in vigore dell’art. 270 c.p.p. costituiva già il massimo della limitazione del diritto costituzionalmente tollerabile. Ciò poteva essere argomentato sulla base della posizione, già accennata nella citata sentenza del 1991, per cui «la verifica della legittimità costituzionale della norma […] deve avvenire secondo i principi del più

rigoroso scrutinio, nel senso che […] occorre esaminare se la restrizione prevista

sia diretta al soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente

rilevante e, nello stesso tempo, risulti circoscritta alle operazioni strettamente necessarie alla tutela di quell’interesse».

In questo caso, evidentemente, la Corte mutua, in termini quasi letterali, la tecnica della Corte Suprema americana, utilizzando i medesimi test di giudizio, che attengono sia alla finalità perseguita (il soddisfacimento di un interesse pubblico

128

primario costituzionalmente rilevante) sia ai mezzi utilizzati (che devono essere

circoscritti alle operazioni strettamente necessarie alla tutela dell’interesse). Per quanto riguarda l’interesse pubblico può rilevarsi che l’ambito che giustifica l’intervento del legislatore appare maggiormente ampio, non richiedendosi che l’interesse sia «impellente», bensì semplicemente «primario», ancorché costituzionalmente rilevante.

Quanto a tale aspetto, la Corte, nella sentenza in esame, richiama l’interesse pubblico primario alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono, in un «contesto sociale caratterizzato dalla seria minaccia alla convivenza sociale e all’ordine pubblico rappresentata dalla criminalità

organizzata» (si rammenti che la sentenza è del 1994), che consente di ritenere non

irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore. Quanto al secondo profilo (il mezzo), il Giudice delle leggi rileva non solo che il legislatore ha apprestato disposizioni che garantiscono il contraddittorio tra le parti ma ha anche previsto che l’utilizzazione può avvenire nei limiti in cui gli elementi raccolti con le

intercettazioni risultino “indispensabili” per l’accertamento di specifici delitti:

«ciò significa che la deroga eccezionalmente prevista al divieto stabilito dall’art. 270, primo comma, c.p.p. si mantiene entro i precisi confini della stretta

necessarietà della stessa rispetto al soddisfacimento concreto dell'interesse pubblico primario che la giustifica».

La decisione in questione – come quella del 1991 – è rimasta, tuttavia, talmente isolata141 nella giurisprudenza costituzionale da ingenerare il sospetto che essa fosse legata alla personalità del redattore di entrambe, illustre studioso di diritti fondamentali 142 e particolarmente attento alle suggestioni provenienti dall’esperienza nordamericana143

.

141 Le due sentenze Baldassarre, cui si faceva riferimento in apertura del paragrafo, sono state anche

richiamate nella sentenza n. 249/2010, di cui ci occuperemo nel paragrafo successivo.

142 Si v., ad es., A.B

ALDASSARRE, Diritti inviolabili, cit.; ID., Diritti sociali, in Enc. giur., Roma, 1989; ID., Diritti pubblici soggettivi, in Enc. giur., Roma, 1989; ID., I diritti fondamentali nello Stato costituzionale, cit., 63 ss.

143

129

Non sembra smentire quest’ultima affermazione la sent. n. 445 del 2002144

, in cui si affrontò la questione di legittimità costituzionale di una norma che poneva il celibato, il nubilato o la vedovanza come requisito per il reclutamento nella Guardia di finanza. La Corte riconobbe che essa violava il diritto di accedere in condizioni di eguaglianza agli uffici pubblici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge (articolo 51, terzo comma, Cost.), poiché «l’assenza di vincolo coniugale non può configurarsi come legittimo requisito attitudinale per l’accesso agli impieghi in questione». Non solo: la disposizione citata, secondo il Giudice delle leggi, incideva indebitamente «in via indiretta ma non meno effettiva, sul diritto di contrarre matrimonio»; trattandosi di normativa che limitava un diritto fondamentale, si rendeva necessario uno scrutinio «più stretto». Ciononostante, la Corte non ha richiamato i test di giudizio relativi all’interesse pubblico e al mezzo utilizzato.

Non può, dunque, non ribadirsi che tali affermazioni sono state rare nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che pure frequentemente ha occasione di confrontarsi con leggi che, in varia misura, dispongono limitazioni a diritti fondamentali e che sono soggette, ovviamente, alla verifica della ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore. Il Giudice delle leggi ha mostrato chiaramente di preferire una diversa tecnica di controllo che, pure, talvolta presenta punti di contatto con i test di scrutinio stretto a cui si è fatto riferimento nella sentenza del 1994: come è stato messo in luce dalla dottrina, infatti, la Corte ha utilizzato, anche di recente, i test di necessità, sufficienza e proporzionalità145. Tuttavia, ricondurre ogni verifica sulla ragionevolezza del bilanciamento effettuato dal legislatore allo scrutinio stretto sarebbe, al contempo, certamente eccessivo e probabilmente fuorviante.

I test generalmente utilizzati dalla Corte, infatti, non possiedono la rigidità propria dello scrutinio stretto – almeno inteso nel senso della Corte Suprema americana (che sembrava essere stato recepito, pur con le sottolineate differenze, nella pronuncia del 1994).

144

Su cui v. G.BRUNELLI, L’illegittimità derivata di norme analoghe come tecnica di tutela dei diritti fondamentali, in Giur. cost., 2002, 3644 ss. e D.TEGA, L’addio al celibato (e nubilato) dei militari, ivi, 3652 ss.

145 Si v. A.M

ORRONE, Il bilanciamento nello stato costituzionale. Teoria e prassi delle tecniche di giudizio nei conflitti tra diritti e interessi costituzionali, Torino, 2014, 104 ss.

130

7. Le leggi che discriminano sulla base dei fattori di cui all’art. 3, primo comma,