Capitolo Terzo - La proprietà dei beni
1. La riflessione giovanile sulla proprietà
1.2. L’ipotesi della comunanza dei beni
D’Ondes ritiene che quanti credono nell’esistenza di paradisi perduti, nei quali non v’era traccia di proprietà privata e tutti condividevano i beni nella più assoluta concordia, sostengono in realtà un’idea che non si può accogliere come una vera e propria ipotesi storica espressa in termini scientificamente fondati: essi, al contrario, sono come dei sognatori che, per dirla con le sue parole, «si debbono prendere nel
guardano certamente tutte quelle del nostro globo. Dio stesso chiaro addimostrò dovere così essere quando dicendo facciamo l’uomo, tosto soggiunse, che presieda a pesci del mare, agli uccelli del cielo, alle bestie, ed all’intiera terra; e quando benedicendo Noè, ed i figli di lui, loro disse: crescete, e moltiplicate, ed empite la terra; siate terribili, e tremendi sopra tutti gli animali, e sia ciò, che si muove, e vive, vostro cibo. Su tale potere degli uomini non si muovono dubbiezze, ma bensì sul modo d’usarne o in comune, o in proprio» (DPP, p. 1)
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sentimento»145. Credere che si possa vivere in società comunistiche sarebbe, insomma, una credenza da “anime belle”, sprovviste d’ogni senso di realtà. Egli si spiega la genesi della loro opinione a partire dalla frustrazione che questi proverebbero nei confronti di una realtà circostante insoddisfacente, cui si aggiunge una certa incapacità di accettare che i modelli di giustizia ed equità in cui credono non possano reggere le società umane; il che li porta a proiettare i loro desideri in un mitologico passato dai contorni cronologici estremamente confusi e ad affermare che vi fu davvero una sorta di età dell’oro in cui la vita delle società così organizzate scorreva pacifica e prospera per tutti.
Fra questi pensatori, D’Ondes individua nel Mably il suo primo bersaglio critico, proprio perché questi «acremente sdegna la proprietà, come causa d’ogni umano infortunio»146. Nel De la législation147, infatti, Mably aveva sostenuto che la proprietà fosse all’origine dell’ineguaglianza delle “fortune” e delle “condizioni” tra gli esseri umani, scorgendo nel sussistere di tali ineguaglianze un fattore estremamente negativo, fonte d’ingiustizia. A questa tesi D’Ondes replica che se è vero che la proprietà è all’origine dell’ineguaglianza delle “fortune”, essa certamente non lo è delle “condizioni”: le differenze di condizione fra gli uomini, afferma D’Ondes, dipendono piuttosto dal comportamento individuale, cioè dal modo in cui essi fanno fruttare i loro talenti, nonché dai riconoscimenti, tanto in positivo quanto in negativo, che gli individui ottengono dai loro simili148. Inoltre, prosegue D’Ondes, se da un lato è probabile, come sostiene Mably, che senza la proprietà non vi sarebbe
145 DPP, p. 2.
146 DPP, p. 3.
147 Gabriel Bonnot abbé de Mably, De la legislation, Amsterdam, 1776.
148 Cfr. DPP, p. 5: «L’ineguaglianza delle condizioni ha avuto origine o dall'orgoglio, e dalla prepotenza d'uomini, che opprimendo i loro simili si sono voluti impudentemente fare ammirare come ad essi superiori: o dalla virtù di coloro, i quali avendo beneficato l'umanità sono stati riputati come di natura migliore della comune. Il genere umano poi onde mostrarsi loro più grato ha voluto, che a loro nipoti quell’onoranza si trasmettesse, sperando insiememente, che il ricordo del paterno valore accendesse ad illustre operare anco i petti dei figli; egli però si è di ciò mille volte pentito, avendo con ciò fatti i nipoti degenerati, e vilissimi, che prosuntuosi di meriti, che non sono affatto di loro, e neghittosi di procacciarsene veramente propri si sono rotti a vizi, e tutti dati a tribolare il medesimo uman genere; ahi quanti, infelice mia patria, tu ne produci! Vanti nobiltà solo colui, che per propria virtù se l’acquista; e coloro, che non hanno virtù, si vergognino della nobiltà degli avi».
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ineguaglianza di fortune, dall’altro non è affatto detto che l’assenza di tale squilibrio costituirebbe di per sé un bene: a suo modo di vedere, infatti, è proprio il circuito (virtuoso, dal suo punto di vista) innescato dal binomio proprietà/ineguaglianza a suscitare negli uomini la voglia di progresso, a incentivarne la creatività, a proiettarli fuori dalla stasi e orientarli verso il miglioramento delle loro condizioni. Senza di esse, afferma D’Ondes, «neppure sarebbero gli uomini molto ineguali de’ bruti»149: chi avrebbe, infatti, interesse a migliorare beni che non sono suoi? Chi spenderebbe tempo e fatica per far fruttare qualcosa, senza la garanzia di poterne godere in modo esclusivo?
La santa proprietà facendo ognuno certo del suo, lo fa ancora premuroso d’aumentarlo, e migliorarlo, chè così migliora il suo vivere, aguzza lo spirito a trovamenti di cose, dà il principio alle scienze, ed all’arti, incivilisce gli usi, ed i costumi, abbonda gli agi, e per quanto quaggiù si può, apporta felicità.150
D’Ondes arriva a innalzare un vero e proprio inno di lode all’ineguaglianza, ribaltando dalle fondamenta l’assunto del Mably, affermando cioè che l’ineguaglianza costituisce una costante indispensabile allo sviluppo della vita, il fattore decisivo per far esprimere al meglio ogni suo aspetto:
[Dalla proprietà] nasce ineguaglianza sì, ma necessaria, indispensabile, che la natura a chiare note vuole, che in ogni cosa così sia, e però non è male. Ineguali sono le terre, che abitiamo, ineguali i climi, che c’influiscono, ineguali le passioni, che ci signoreggiano, e trascinano, ineguali i volti, ineguali gl’ingegni, ed ineguali a forza essere deggiono le fortune, che da que’ motivi hanno nascimento.151
L’unica ineguaglianza che D’Ondes biasima e condanna è l’ineguaglianza davanti alle leggi, cioè l’ineguaglianza che distrugge il contesto della reciproca cooperazione e getta le basi per relazioni di tipo servo/padrone, oppresso/oppressore. È solo a causa di quest’ultimo tipo di ineguaglianza che,
149 DPP, p. 5
150 DPP, p. 6.
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secondo D’Ondes, animi come quello di Mably hanno finito per odiare l’ineguaglianza tout court. Ma si tratta di un errore che, a suo giudizio, deriva da una scarsa lucidità d’analisi:
Ineguaglianza dannevole è solo quella davanti le leggi, che rende qual servo, e qual padrone, quale oppresso, e quale oppressore, che sconvolge, e distrugge ogni più sacro rapporto; e di questa l’orrore, ed abbominio, che sente ogni anima calda di giustizia si travasano in quella per la confusione dell’idee generata presso i volgari dalla medesimità della parola: errore, che i dotti per falsi interessi confermano con abbaglianti, ma leggieri ragionamenti.152
Poiché è la natura, come abbiamo letto, che “vuole” l’ineguaglianza, le norme che reggono la società civile non dovranno in alcun modo andare contro questa “volontà”. L’impianto giusnaturalistico di D’Ondes Reggio emerge qui in tutta la sua forza: se il diritto positivo non intende porsi “contro natura” (sottinteso: piangendone le conseguenze153) esso allora non dovrà promuovere alcun provvedimento teso all’eliminazione delle ineguaglianze, giacché le ineguaglianze risultano direttamente dalla proprietà, la quale a sua volta è intangibile per diritto naturale.