• Non ci sono risultati.

La ricerca intorno al «primo e certo Vero»

Capitolo Secondo - L’individuo e lo Stato

2. La ricerca intorno al «primo e certo Vero»

D’Ondes, che alla storia è passato essenzialmente come un pensatore reazionario e antimoderno, proprio nelle prime pagine della sua principale opera rivela tutta la sua “modernità”. Quando vi è, infatti, da stabilire il «primo e certo Vero» su cui si fonda la conoscenza umana, egli afferma che esso va individuato nella «coscienza della propria esistenza» (IPUS, p. 3): il cogito ergo sum di cartesiana memoria è, dunque, secondo il barone, l’assioma a partire dal quale l’intelletto umano deduce fondatamente ogni altra verità. Ribadendo una tesi già sostenuta da Gioberti, il barone cerca però di ricondurre la “scoperta” cartesiana a una ripresa di tesi precedentemente sostenute da altri autori cristiani, fra i quali Agostino d’Ippona:

S. Agostino speculando sul libero arbitrio della cristiana dottrina lo aveva con pari anzi maggiore chiarezza stabilito. «Prius abs te quaero utrum tu ipse sis, an tu fortasse metuis ne in hac interrogatione fallaris, cum utique si non esses, falli omnino non posses?» Pria ti chieggo se tu stesso sii, o forse tu temi che in questa interrogazione sii ingannato; ma al certo se tu non fossi, non potresti affatto essere ingannato? E l’Ipponense andò più avanti nella sua città di Dio; imperocchè replicando quella sentenza disse: «Me et esse et hoc nosse certus sum, et hoc amo atque amare me similiter certus sum». Sono certo che io sono e che io conosco ciò, e sono certo che queste cose io amo, e similmente che io amo me. Egli così l’essere proprio, la conoscenza dell’essere proprio, e l’amare sè e la sua conoscenza pose quali coesistenze e pari certezze.78

Non bisogna, tuttavia, pensare che D’Ondes si preoccupi di mobilitare l’autorevolezza del padre della Chiesa per il solo fatto di voler ridimensionare la portata innovativa del filosofo francese. Dietro questa scelta si nasconde una strategia più ampia, che ha l’obiettivo principale di rendere “accettabile” l’utilitarismo nell’alveo della dottrina cristiana. Presentando la tesi agostiniana, D’Ondes ha la possibilità, infatti, di mostrare come anche il grande padre della

78 IPUS, p. 4. Di seguito, i passi agostiniani citati da D’Ondes Reggio riportati fedelmente: 1) «Quare prius abs te quaero, ut de manifestissimis capiamus exordium; utrum tu ipse sis. An fortasse tu metuis, ne in hac interrogatione fallaris, cum utique si non esses, falli omnino non posses?» [De libero

arbitrio, II, 3, 7]; 2) «Ibi me et esse et hoc nosse certus sum, et haec amo atque amare me similiter certus sum». Quest’ultima, inoltre, è contenuta nel libro XI, c. 27 e non nel II, c. 26, come riporta erroneamente D’Ondes.

58

Chiesa, riconoscendo l’intima connessione tra le certezze (i) d’esistere, (ii) di sapere d’esistere, (iii) di amare tali certezze e (iv) di amare sé stessi, avesse già in qualche misura preparato il terreno ad opzioni morali di tipo utilitaristico. In particolare, la premessa (iv) gli si offriva come un chiaro sostegno a una teoria morale imperniata sul binomio piacere/dolore e sul principio di utilità quale primo motore dell’azione umana. Volgendosi, poi, a Vico, il quale sosteneva che «in Deo esse primum verum, quia Deus primus Factor»79, D’Ondes afferma che questi cade in errore nell’assumere l’esistenza di Dio quale “primo vero” noto per l’uomo, in quanto si tratta al contrario di una conoscenza mediata dall’esperienza:

Dio è il primo Vero o Fatto, e quindi è il facitore d’ogni cosa. Ma quel primo e certo vero non è il primo e certo vero della conoscenza umana, poiché egli è eternamente esistito, ma gli uomini non lo conoscono che dopo la loro esistenza da lui creata, e non lo conoscono che per mezzo della coscenza della propria esistenza, onde per loro questa è il primo e certo vero, per mezzo del quale conoscono il vero eterno, e tutti i veri da lui creati. E su questo fondamento va ordinata nella seguente guisa l’umana scienza.80

Difficile non riconoscere in questo argomento la nota distinzione tomista tra la conoscenza che Dio ha di Sé stesso e la conoscenza di Dio che ha l’uomo81. Il barone, come l’Aquinate, ha ben chiaro che l’idea di Dio non appartiene al novero delle idee innate e che, al contrario, l’uomo la acquisisca per mezzo di altre credenze più prossime. Tuttavia, come abbiamo letto, egli non si limita a riproporre la tesi classica, ma aggiunge che l’idea di Dio viene ricavata dalla «coscienza della propria esistenza». Si tratta, dunque, di una conoscenza pur sempre mediata, ma che deriva dalla considerazione dei propri stati interni. Purtroppo, però, D’Ondes non approfondisce questo punto e non ci è dato di sapere se egli, nell’affermare ciò,

79 Giambattista Vico, De antiquissima Italorum sapientia ex linguae Latinae originibus eruenda, Ex Typographia Felicis Mosca, Napoli, 1710, p. 15.

80 IPUS, p. 5.

81 Cfr. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiæ, I, q. 2, a. 1: «[…] contingit aliquid esse per se notum dupliciter, uno modo, secundum se et non quoad nos; alio modo, secundum se et quoad nos […] Dico ergo quod haes propositio, Deus est, quantum in se est, per se nota est […] Sed quia nos non scimus de Deo quid est, non est nobis per se nota, sed indiget demonstrari per ea quae sunt magis nota quoad nos, et minus nota quoad naturam, scilicet per effectus».

59

avesse in mente le argomentazioni proposte da altri autori (Cartesio, per esempio, o anche Leibniz) oppure se avesse idee proprie al riguardo.

2.1. Premessa epistemologica

Avendo aperto il suo discorso ponendo il problema del fondamento del sapere umano, D’Ondes avverte l’esigenza di presentare subito la teoria della conoscenza che egli assume quale sfondo del suo discorso. Egli distingue due modi di considerare i fatti che si offrono ai sensi: l’osservazione e l’esperimento. Partendo dal fatto che gli esseri umani conoscono mediante la loro «mente, la quale è una potenza che in varii modi chiamati facoltà, tra loro più o meno ma sempre cooperanti, si spiega su’ fatti»82, si deve, infatti, constare che vi sono almeno due distinti modi attraverso cui tale facoltà si può porre in relazione ai dati dell’esperienza. Un primo modo è quello di volgersi ai fatti così come essi si presentano, rispettando la loro pura datità, e questo approccio prende il nome di “osservazione”; un secondo modo è quello di organizzare l’osservazione dei fatti secondo un certo ordine teleologicamente orientato, ovverosia attraverso una previa strutturazione del fenomeno osservato, e prende il nome di “esperimento”. D’Ondes si concentra, dunque, sull’atteggiamento assunto dal soggetto in relazione al dominio osservativo considerato, prevalentemente passivo nel primo caso e prevalentemente attivo nel secondo83. Tale dicotomia, però, viene smorzata dal fatto che in entrambi i casi la mente procede per “analisi”, ovverosia scomponendo il fatto osservato/sperimentato nei fatti più semplici di cui esso si compone:

La mente osservando o esperimentando analizza i fatti, cioè gli scompone per quanto più è possibile nelle loro parti, ed appercependo le simiglianze, e dissimiglianze d’esse

82 IPUS, p. 5.

83 Cfr. IPUS, pp. 5-6: «Gli uomini nascendo nell’ignoranza hanno bisogno de’ mezzi onde eglino conseguano la scienza. I mezzi o metodi di conoscere ogni genere di veri sono l’osservazione e l’esperimento. L’osservazione è quando la mente attende a’ fatti come da per se stessi succedono, l’esperimento è quando la mente attende a’ fatti come succedono per sua disposizione».

60

parti, estrae le simiglianze, e le sintetizza, cioè le pone come fatti generali; ed i fatti generali, che appercepisce necessarii ed immutabili, pone quali fatti universali.84

Pienamente in consonanza con l’empirismo, sia antico che moderno, D’Ondes afferma pure che la differenza tra “dato di fatto” e “dato di ragione” (corrispondente pressappoco a ciò che Hume indica coi nomi di matters of fact e relations of ideas) consiste semplicemente tra la presenza o l’assenza di mediazione intellettiva tra la mente del soggetto e il fatto intenzionato all’origine del processo conoscitivo85. Per quanto riguarda i dati di fatto, essi consistono in conoscenze che si ottengono per mezzo dell’induzione, la quale è tanto più certa quanto più esteso è il dominio osservativo. Per quanto riguarda i dati di ragione, invece, D’Ondes non si dilunga in una loro descrizione, ma si limita a presentarne un caso in particolare: le ipotesi.

Le ipotesi vengono da lui definite come “verità supposte”, le quali attendono di ricevere conferma o disconferma dall’esperimento, concorrendo in tal modo, in positivo o in negativo, all’incremento della conoscenza. Fra le ipotesi utili alla conoscenza, egli non include soltanto quelle pertinenti al dominio delle scienze naturali, ma anche le utopie politiche che vari filosofi e teorici della politica hanno proposto nel corso della storia:

84 IPUS, p. 6.

85 Essendo Hegel uno dei principali bersagli polemici della scuola cattolico-utilitaria palermitana (Emerico Amari, in particolare, fu profondamente antihegeliano e combatté la diffusione delle sue idee in Sicilia), è interessante sottolineare come il contrasto tra le rispettive vedute filosofiche appaia insanabile già da queste prime assunzioni epistemologiche fondamentali. Hegel rifiuta apertamente l’idea che si possano distinguere, separandoli con un colpo d’accetta, sapere immediato e sapere mediato, ritenendo che l’opposizione tra immediatezza e mediazione appartenga a una visione intellettualistica, cioè astratta e unilaterale, della conoscenza. Sono molteplici i passi in cui egli tratta di questa questione e uno dei più efficaci si trova nelle sue Vorlesungen über die Beweise vom Daseyn

Gottes (1829), che riportiamo: «[Alla netta separazione tra sapere immediato e mediato, ndr] contrapponiamo il fatto che non c’è alcun sapere, tanto meno come percezione, rappresentazione e volontà, nessuna attività che attenga allo spirito, proprietà o condizione che non sia mediata e mediante, così come non c’è alcun altro oggetto della natura e dello spirito, in cielo, in terra e sotto terra che non racchiuda in sé la determinazione della mediazione tanto quanto quella dell’immediatezza» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lezioni sulle prove dell’esistenza di Dio, Morcelliana, Brescia, 2009).

61

Ipotesi considerare si possono i sistemi d’ordini sociali e politici, specialmente quelli, che sulla passata pratica non si poggiano, come sono le più celebrate utopie di Platone, di Campanella, di Moro, e quelle che prive d’ogni pregio alquanti volgari fantasticano.86

Il discorso deduttivo, dunque, si sviluppa a partire dai concetti più generali che l’intelletto ha prodotto attraverso il processo di astrazione e tale tipo di discorso, pur non aggiungendo alcun elemento conoscitivo nuovo, è ugualmente indispensabile alla scienza in quanto è grazie a esso che si rendono manifeste quelle verità che discendono dai principi più generali e che sono in essi contenute implicitamente:

La deduzione, o il sillogismo, che ne è forma, debbe seguire alla induzione, o alle osservazioni ed agli esperimenti. Essa è sterile come Bacone riputò, in quanto che non scuopre i veri generali, nè gli universali, ma è feconda in quanto manifesta le conseguenze che nei veri generali ed universali si contengono.87