Capitolo Secondo - L’individuo e lo Stato
3. La classificazione delle scienze e il principio di utilità
3.1. L’Utilità Onnicomprensiva
D’Ondes è certo che, quando si tratta di indicare in che cosa consista per gli esseri senzienti la felicità, cioè in che cosa consista il loro fine naturale, si può affermare che esso coincide con il godimento di certi piaceri e la privazione di certi dolori.
Questa tesi, a prima vista non differente da un puro e semplice edonismo sensista, viene immediatamente specificata dal barone per mettere in chiaro che egli non intende in alcun modo sostenere tesi di natura riduzionista. Vero è, infatti, che il piacere è da lui indicato quale fine proprio degli esseri senzienti, ma non bisogna trascurare che i piaceri mutano al variare degli esseri rispetto ai quali si commisurano:
Che la felicità degli esseri risulti dal possedimento de’ piaceri e dalla privazione de’ dolori non è proprio solo degli umani, ma di qualunque abbia coscenza di sé, de’ creati tutti e dello stesso Creatore; ma variano que’ piaceri, e quei dolori per quei creati, che possano patirli, secondo le [sic] varia natura loro.92
92 IPUS, p. 16.
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Non bisogna, quindi, limitare i piaceri alla mera dimensione empirica, giacché questo sarà vero solo per quegli esseri che esauriscono la propria esistenza su tale livello di realtà: un animale (nel senso di un essere vivente non dotato di logos) potrà dirsi felice quando avrà appagato quei bisogni che sono propri del suo essere a-logico. In opposizione agli esseri dotati di sola materia stanno gli esseri dotati di solo spirito, la cui felicità, per l’appunto, consiste in «piaceri di spirito, ed assenza di dolori di spirito»93. In questo gruppo, però, D’Ondes non include il Creatore, come ci si aspetterebbe. In effetti, egli non dice nulla di preciso per quel che riguarda Dio, affermando semplicemente che la sua essenza sfugge alla nostra comprensione e che, di conseguenza, non ci è dato neppure sapere di che tipo di piaceri Egli goda:
Infiniti i piaceri di Dio, tali quali a noi non è dato di concepire perché di concepire non è dato la natura sua; in lui è assenza di dolori, perché altrimenti i piaceri suoi non sarebbero infiniti, non sarebbe infinita la natura sua.94
E gli esseri umani? Essi sono certo animali, ma posseggono anche una natura composita, nel senso che è in parte materiale e in parte spirituale, e pertanto, secondo questo schema, potranno godere di piaceri (e dolori) sia di tipo materiale che di tipo spirituale. La felicità dell’essere umano, dunque, non coinciderà del tutto con il soddisfacimento del bisogno di nutrimento, buona salute e riproduzione, ma necessiterà anche del godimento di beni immateriali che concernono la sfera etica, dianoetica e spirituale. Val la pena di riportare per intero il passaggio in cui D’Ondes parla di questa questione in quanto esso rappresenta forse il contributo più originale e ardito di tutta quanta la sua riflessione e, più in particolare, della sua elaborazione di un “utilitarismo cristiano”, attraverso la nozione di Utilità Onnicomprensiva:
Piaceri di spirito e di corpo, ed assenza di dolori nell’uno e nell’altro formano la felicità degli esseri, che dell’uno e dell’altro si compongono, tra’ quali gli umani. Ondechè il
93 IPUS, p .16.
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principio dell’utilità degli uomini non è sensualità o materialità, non è idealità o spiritualità, ma è l’una e l’altra, perché gli uomini spirito e materia sono. Ondechè è umana utilità la contemplazione dell’infinito, e la meraviglia dell’immenso creato, speculare il vero, cantare i fasti della patria, conseguire la gloria; ed umana utilità è il cibarsi, l’abbigliarsi, l’accasare, il sollazzarsi. Umana utilità è l’amare il prossimo suo, cioè sentire piacere del piacere suo, e del dolore suo tanto dolersi da sentire piacere nel proprio sagrifizio per sollevarlo, operare gli eroismi della carità. Umana utilità è perdonare il nemico, piacere ignoto pria che l’evangelo avesse insegnato di provarlo, e che gli uomini dalla terra verso il cielo sublima. Questa utilità adunque, che io pongo a principio degli umani voleri ed azioni, è utilità che addimandare si debba Omnicomprensiva.95
Utili, quindi, come abbiamo letto, non sono solo i piaceri del corpo ma anche quelli dello spirito: ogni essere in grado di provare piacere e dolore avrà, infatti, una gamma di piaceri e di dolori commisurati alla statura della sua dignità ontologica e, in ragione di ciò, al di là degli animali che hanno piaceri e dolori solo sul piano sensibile, tutti gli esseri dotati (anche) di spirito avranno (pure) piaceri (e dolori) di tipo spirituale. Certamente, il fascino di questa proposta non cancella la natura abbastanza controversa e problematica di alcuni passaggi. Tornando specialmente alla questione esposta in precedenza, cioè al rapporto di D’Ondes con l’intellettualismo etico, se si considera il fatto che egli non affronta mai in modo diretto il problema del libero arbitrio, rimane difficile, se non addirittura impossibile stabilire fino a che punto nel suo sistema il soggetto sia “schiavo” del principio di utilità e quanto possa invece opporsi a esso. Si potrebbe ipotizzare che, a tal riguardo, egli la pensasse come il suo sodale Ferrara, il quale, in polemica con gli ambienti dello spiritualismo cristiano, aveva apertamente negato il libero arbitrio, la possibilità cioè che la volontà fosse priva di vincoli e desse a sé stessa la norma del proprio agire. Ma non si hanno sufficienti elementi per affermarlo con certezza. Anzi, se si leggono le parole di Sbarbaro, filosofo liberale di fine Ottocento, si possono ricavare informazioni che ci costringono a mantenerci prudenti sulla definitività dei nostri giudizi:
95 IPUS, pp. 16-17.
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Questi tre valorosi uomini [Ferrara, Amari, D’Ondes Reggio, ndr], che di vederli in me stesso m’esalto, mi compariscono cinti della aureola inamabile di una triplice contraddizione: a cui Fr. Ferrara ne aggiunge, per conto proprio, una quarta: egli, l’apostolo imperturbato della più ampia libertà dell’Individuo nell’ordine economico e sociale, non ammette la Libertà dell’arbitrio nell’Uomo! Bisogna vedere cogli occhi propri nella sua mirabile prefazione al Bastiat gli sforzi di ingegno e i cavilli che accumula per provare: che i nostri atti, le nostre volizioni, sono tutte fatalmente concatenate in una serie indefinita ed arcana di cause e di effetti, che inesorabilmente ci lega ad operare più in un modo che in un altro, e come la libertà dei movimenti, l’indipendenza dell’elezione interna altro non sia che un’illusione.96
Ferrara, dunque, viene distinto dall’Amari e da D’Ondes Reggio precisamente per la questione del libero arbitrio, tuttavia resta elusa la domanda se egli venga presentato in maniera diversa dagli altri due in quanto unico membro del gruppo a trattare esplicitamente dell’argomento o in quanto latore di un’opinione in merito effettivamente divergente. Ad ogni modo, lasciando i problemi insoluti nella loro aporeticità, ciò che ci importa sottolineare adesso è che D’Ondes, attraverso la lunga argomentazione sopra riportata, ritiene d’aver fondato a sufficienza il suo utilitarismo e di aver, dunque, giustificato l’assunzione dell’“utile” quale principio primo e fine ultimo dell’agire umano. A questo punto, egli può quindi prodigarsi nella presentazione del passaggio successivo, ossia mostrare come lo stesso principio dell’agire individuale debba guidare e orientare anche l’agire dei consorzi civili.