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La tutela dei diritti naturali come questione politica fondamentale

Capitolo Secondo - L’individuo e lo Stato

1. La tutela dei diritti naturali come questione politica fondamentale

Il contesto di ridotta libertà politica, economica e d’espressione nel quale D’Ondes visse gli anni della prima formazione contribuì certamente a renderlo sensibile al valore della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo in ordine al progresso delle società umane.

La Sicilia dei primi decenni dell’Ottocento versava in una condizione di forte crisi dovuta alla cattiva gestione borbonica, che – come abbiamo detto nel capitolo precedente – attraverso la riforma amministrativa e l’unificazione delle due corone di Napoli e Sicilia, aveva ridotto l’antico Regno siciliano a mera appendice della nuova entità statuale: debolezza del Parlamento, lacci burocratici e fiscali nei commerci, controllo asfissiante della stampa erano solo alcuni degli effetti del malgoverno borbonico in Sicilia. Questa situazione aveva contribuito a far maturare nel D’Ondes una profonda diffidenza nei confronti d’ogni forma di centralismo, portandolo a ritenere che l’accentramento amministrativo rappresentasse sempre, anche nelle sue forme più blande, l’anticamera del dispotismo. In uno dei primissimi scritti, risalente al periodo della collaborazione al Giornale di Statistica, il suo risentimento verso il dispotismo politico, che in quel preciso momento aveva

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per lui il volto dei Borbone di Napoli, sembra già essere pienamente maturo e manifesto. E saranno proprio i toni da lui impiegati sulle pagine di questo e altri giornali a costargli il trasferimento sul continente; un trasferimento imposto dalle autorità governative al fine di tenerlo distante dalle fibrillazioni rivoluzionarie che nella Capitale dell’isola, giorno dopo giorno, apparivano sempre meno gestibili:

Santo nome di cosa pubblica assai spesso sagrilegamente impiegato per tribolare i cittadini d’una nazione! Gl’interessi di tutti i particolari formano la cosa pubblica. Quando i pubblici ordinamenti non sono diretti a fornire la prosperità dei privati, l’idea del bene pubblico diviene un idolo misterioso e crudele, a cui sagrifica preziosi olocausti tutto un popolo ingannato, ed oppresso da bugiarda ed insultante casta, che se ne fa l’interpetre [sic] e l’organo, che sola s’ingrassa, e delinque […]74

Le sue posizioni nei decenni a venire non mutarono. Tesi analoghe a quella appena letta furono da lui ribadite anche nel periodo dell’esilio, sia in ambito accademico, durante le lezioni che tenne dalla cattedra di diritto costituzionale pubblico e internazionale presso l’università di Genova, sia dallo scranno parlamentare che occupò consecutivamente per le prime tre legislature del Regno d’Italia. Nella tornata dell’8 febbraio 1865, per esempio, non mancò di sottolineare quelli che riteneva essere i fini legittimi dello Stato, riprendendo una tesi lungamente sostenuta nelle sue opere filosofiche, e cioè che

[...] lo Stato non ha altro scopo, e ragione d’essere se non di fare, che i diritti naturali eterni ed immutabili degl’individui umani meglio si esercitino; lo Stato non è legittimo, se invece perturba, o impedisce l’esercizio di questi diritti.75

Come vedremo meglio a breve (ma lo si può intuire già da questi primi cenni) una caratteristica ricorrente nella riflessione politica di D’Ondes Reggio intorno al rapporto Stato/individuo è la centralità del valore dell’individuo e dei suoi diritti

74 Vito D’Ondes Reggio, Memorie legislative ed economiche, dalla Tipografia di Fr. Lao, Palermo, 1844, p. 87.

75 Vito D’Ondes Reggio, Discorsi al Parlamento italiano, Vol. II, Tipografia Eredi Botta, Firenze, 1868, p. 218.

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fondamentali, rispetto alla quale la riflessione intorno allo Stato e alle sue competenze legittime si presenta come un discorso totalmente derivato e dipendente dal primo. Detto altrimenti, nel sistema dondessiano, elaborato nel solco della più autentica tradizione liberale, si riscontra costantemente un approccio assiologicamente sbilanciato, nel quale il polo rappresentato dalle istituzioni deputate al governo è considerato e giudicato solo ed esclusivamente in relazione all’efficacia con cui esse indirizzano la loro azione di tutela nei confronti dei diritti fondamentali degli individui. Nel quadro teorico da lui prospettato, è sempre e soltanto l’individuo a valere di per sé, a possedere un valore intrinseco che richiede custodia, ed è a partire da questo assunto che egli giustifica l’emergenza d’ogni ulteriore istituto superindividuale:

[…] in mezzo ad una società alcuni tralignano, uccidono, rubano, o calunniano, impediscono in qualche modo agli altri l’esercizio dei diritti o dei doveri. Sorge allora la necessità della costituzione dello Stato, la necessità di un Governo, che stabilisca pene e le applichi a’ rei con forza materiale per la sicurezza di tutti. […] Gli Stati adunque sono nati per la sicurezza interna e la difesa da estranei nemici delle umane società. I Governi propriamente non hanno diritti, ma hanno funzioni, molto meno essi possono concedere diritti o imporre doveri agli uomini; i diritti e doveri gli uomini ricevono dalla natura, cioè da Dio. Sì, la sicurezza e la difesa della società, sono il titolo legittimo degli Stati e dei Governi, sono il loro obbietto; e perché altrimenti dovrebbero essere in una società uomini, che esercitino imperio sugli altri con forza materiale?76

Da questo punto di vista, si potrebbe dire che non v’è traccia di organicismo politico nelle sue parole. L’individuo non viene mai considerato ontologicamente quale momento di una totalità più ampia, né i suoi interessi sono mai posposti a una superiore ragion di Stato: dinnanzi al valore della persona ogni ordinamento politico si deve arrestare. Queste, dunque, sono le coordinate entro cui collocare la nozione di «titolo legittimo degli Stati e dei governi» di cui parla D’Ondes, la quale esprime quella problematica tipica della modernità politica che è l’obbligazione.

76 Vito D’Ondes Reggio, Discorso sulla legge della libertà dell’insegnamento e delle professioni proposta da

lui medesimo, tornata della Camera dei Deputati 25 febbraio 1869, Tipografia Eredi Botta, Firenze, 1869, p. 12 (corsivi miei).

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Fino a questo momento, ci siamo limitati a presentare passi della produzione dondessiana che abbiamo ripreso dai discorsi d’occasione, cioè dall’ordinaria dialettica politica, ora propagandistica, ora istituzionale. Per conoscere, invece, il discorso che porta D’Ondes a tali conclusioni occorre rivolgersi alla sua principale opera, l’Introduzione ai principi delle umane società (1857), nelle cui pagine viene esposto l’impianto teorico che funge da fondamento all’intera azione politica del barone. Emerico Amari, commentando in anteprima l’opera dell’amico, in riferimento al carattere di sistematicità impresso dal suo autore, assai correttamente affermò che

[…] nel pensiero ampio e completo del professore di Genova, il giusto, il diritto universale, l’ordinamento supremo delle umane società, gli statuti, i codici, le leggi, sino al modesto regolamento municipale, non sono che la divina catena, il cui primo anello sta in mano della Provvidenza, e l’ultimo tocca i più poveri interessi del più umile cittadino.77

L’opera di D’Ondes, infatti, prende le mosse dalla considerazione dei principi primi di ogni scienza umana per passare, successivamente, alla considerazione dei principi propri di quella macro-scienza che egli chiama Scienza della Giustizia e che ingloba tutte le discipline che hanno a che fare con l’agire dell’uomo. Attraverso, poi, una serie di passaggi volti all’esposizione di alcuni temi portanti nell’economia generale di tale scienza, arriva, infine, a concentrarsi sulla società politica, trattando prima della sua origine e, successivamente, del suo “titolo legittimo”. In quest’ultimo passaggio, troveremo esposta la questione cruciale del tipo di rapporto che lega lo Stato agli individui, governanti e governati.

77 Emerico Amari, Sui primi veri della Scienza della Giustizia, «L’Economista», 6 aprile 1856, riportato come Appendice in IPUS, pp. 411-420. Altre recensioni dell’opera furono: S.N. (solo L.), «Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft», Vol. 1, n.1, 1859, pp. 151-155; Henri Cazalis, in «Revue historique de droit français et étranger (1855-1869)», Vol. 6, 1860, pp. 475-477.

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