Capitolo Terzo - La proprietà dei beni
1. La riflessione giovanile sulla proprietà
1.5. Sulla proprietà delle isole che nascono dal mare
Relativamente alla riflessione intorno alla definizione e all’acquisizione della proprietà, questa prima opera giovanile non contiene ulteriori elementi degni di nota. Prima di passare alle opere della maturità, però, sarà interessante, per una panoramica più completa sul pensiero dondessiano, riportare gli argomenti che egli propose per risolvere la controversia su Ferdinandea, i quali, come abbiamo detto pocanzi, lo resero noto alla comunità scientifica dell’epoca. Dovendosi occupare di un problema riguardante la proprietà di una terra emersa dal mare, il giovane D’Ondes ritenne opportuno pronunciarsi preliminarmente su due problemi fondamentali a esso connessi. Il primo lo abbiamo appena analizzato: è la questione dell’origine della proprietà in generale; il secondo, invece, riguarda la domanda se il mare possa appartenere o meno a qualcuno. La sua risposta al riguardo è positiva: secondo il barone, non vi sono ragioni rilevanti che debbano indurci a trattare il mare in un modo diverso da qualsiasi altra entità che possa divenire proprietà di qualcuno. Anzi, soggiunge, a ben vedere, la proprietà del mare non ha nulla che la renda diversa da quella della terra, essendo le regioni marine nient’altro che terre sommerse dalle acque:
[…] la natura per lo soddisfacimento dei bisogni umani siccome vuole la proprietà d’ogni cosa, vuole anche quella del mare; l’amplitudine del mare non ne contraria, ma ne favorisce la proprietà; dal dritto di commercio a tutti gli uomini comune siegue non che il mare sia comune, ma che su d’esso sia dritto di passaggio; la sua liquidità non osta ad avere termine; ed il tutto si conferma dall’averlo moltissime nazioni tenuto in proprietà.163
A partire da questo dato e richiamando pure quanto detto in precedenza sulla nozione generale di proprietà, egli può quindi affermare che le porzioni di mare che bagnano i confini di uno Stato devono essere considerate proprietà dello stesso, dal momento che sono primariamente i suoi abitanti a navigarvi, a pescarvi e a
163 DPP, p. 53.
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svolgervi tutte quelle attività che sono necessarie alla vita prospera di un popolo164. Declinando tali principi sul caso specifico dell’Isola Ferdinandea, e constatando il fatto che essa si trovasse in una porzione di mare della quale può essere legittimamente considerato proprietario il Regno delle Due Sicilie (non essendo infatti la distanza dell’isola dalla terraferma tale da considerarla al di fuori del “dominio” marittimo di tale Stato), allora è a quest’ultimo che anch’essa doveva essere attribuita. Con questa sua dimostrazione, egli ritiene di aver definitivamente risolto la disputa:
La verità di questi principii non sottastando a dubii avviene, che sendo i fiumi, che adacquano le terre delle nazioni, propri d’esse, proprie delle medesime sono altresì le isole, che vi nascono; ed in simile guisa che i mari, che si trovano intorno alle terre delle nazioni, come abbiamo mostrato, sendo propri d’esse, sono proprie delle medesima le isole, che vi nascono, e che essendo con ragione fuori di proprietà que’ tratti de’ vasti oceani, dei quali la proprietà inutile sarebbe alle nazioni, le isole solamente, che nascono in que’ tratti sono di niuna nazione, ed addivengono proprie di quella, che prima le occupi.165
Lo stesso principio di acquisizione, come abbiamo letto, non sarebbe valso per Ferdinandea qualora l’isola fosse sorta nelle acque dell’oceano, le quali in ragione
164 Cfr. DPP, p. 68: «[…] pare chiaro, che il mare circostante una terra sia pertinenza della medesima, vale a dire, che una terra, che contiene acqua, e che noi diciamo mare, sia pertinenza di una altra, che l’è congiunta, giacchè di questa altra è continuazione: nè dal contenere acqua puossi mai conseguitare non esservi quella pertinenza, come da ciò stesso non si è mai conseguitato non essere i fiumi pertinenza di quella terra, tra la quale scorrono: se attentamente si rifletta quale differenza passi tra un fiume, che è posto tra una terra d’una nazione, ed un mare, che è posto tra due terre della medesima, non se ne inviene altra, che il letto del mare è più profondo di quello del fiume; e questa sola differenza, e non altra s’inviene tra un fiume, ed un mare, che sono posti tra le terre di due nazioni, e che le partono; e perciò dicea ottimamente Seldeno: “I fiumi sono mari minori”». N.b. Se ci è consentito di avanzare un rilievo critico, ci sembra che quest’ultimo passaggio contenga un elemento problematico, consistente nel fatto che D’Ondes Reggio, invocando per un ente “convenzionale”, ossia uno Stato, un diritto di proprietà “naturale”, sembra aver applicato un principio che egli ha dimostrato essere valido per i soli individui e non per altre forme di aggregazione. Certamente, egli avrebbe buon gioco di dire che il mare appartiene allo Stato in quanto lo Stato non è altro che una costruzione voluta da tutti gli individui per meglio perseguire il proprio utile e che pertanto essi preferiscano delegarne allo Stato nella sua interezza la gestione, piuttosto che ai singoli. Tuttavia, riteniamo che l’argomento avrebbe certamente meritato una più approfondita giustificazione.
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della loro “equidistanza” da tutti gli Stati non avrebbero potuto essere considerate proprietà di nessuno in particolare. Solo in quel caso, dunque, sarebbe valso il principio di appropriazione generale, in virtù del quale il primo Stato che vi fosse giunto ne sarebbe divenuto ipso facto proprietario.
Ma c’è un ultimo problema che D’Ondes ritiene di dover risolvere per rendere indefettibile il proprio argomento, e cioè quello di stabilire univocamente e con certezza fino a quale distanza possiamo considerare un’isola compresa nel dominio marittimo legittimo di uno Stato. La faccenda, ovviamente, è tutt’altro che secondaria, dal momento che l’argomento del barone si regge precisamente sulla “vicinanza” di Ferdinandea al Regno delle Due Sicilie e sul fatto che essa risulti inclusa all’interno della sfera d’influenza borbonica. Al tempo in cui scriveva D’Ondes Reggio esistevano diversi criteri codificati al riguardo, ma essi assumevano parametri di misurazione estremamente arbitrari: si andava, infatti, dai due giorni di navigazione proposti dal giurista tedesco Loccenio (1598-1677) alla gittata dei cannoni del giurista olandese van Bynkershoek (1673-1743) o, ancora, alle 60 miglia di lunghezza suggerite da Jean Bodin (1530-1596). D’Ondes propone, invece, una formula che tende a ridurre al minimo i margini di arbitrarietà insiti nella convenzionalità e che ambisce ad assumere i caratteri dell’oggettività geometrica:
[…] diciamo adunque: che ciascuna nazione è proprietaria di quel mare, che giace dalla sua terra sino a quel punto, che a nessuna terra d’altra nazione è più vicino, che alla sua; eccezione facendo per alcune parti degli ampiissimi oceani, delle quali la proprietà sino al detto punto per l’ampiezza stessa riuscendo inutile, è dessa limitata sin dove le nazioni utilità ne ricavano; e per levare la troppa indeterminazione diciamo: per quanto spazio alcuna nazione ha massimo negli altri mari.166
Da un certo punto di vista, si potrebbe dire che tale soluzione pecchi di ingenuità, dato che non tiene in considerazione alcuna i reali rapporti di forza tra le nazioni,
166 DDP, p. 77.
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tuttavia risulta particolarmente apprezzabile per il rigore e l’imparzialità con cui essa vorrebbe risolvere la contesa.