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4.5 FOCUS SU UNA REGIONE ITALIANA SPECIFICA: LE MARCHE

4.5.1 LE IPOTESI DA TESTARE

Come nell’analisi di Matteo Rossi (“Capital structure of small and medium enterprises: the Italian case”, 2014) precedentemente descritta, saranno elencate in questo sottoparagrafo una serie di ipotesi sulla possibile relazione esistente tra la leva finanziaria delle PMI e i fattori che la influenzano, sviluppate da Oscar Domenichelli sulla base delle teorie fondamentali della struttura

127 del capitale. Queste ipotesi saranno testate nella successiva analisi di regressione. Si può facilmente osservare che alcune di queste ipotesi sono le stesse di quelle presenti nel documento di Matteo Rossi.

Poiché gli interessi passivi sono deducibili dal reddito societario, le piccole imprese redditizie potrebbero cercare di aumentare il livello del debito al fine di ridurre la tassazione sulle società con il conseguente aumento del valore dell’impresa (Modigliani e Miller, “Corporate income taxes and the cost of capital: a correction”, 1963). Pertanto, la prima ipotesi formulata dall’autore è:

 Ipotesi 1: L'aliquota fiscale effettiva è positivamente correlata alla leva finanziaria.

Come sottolineato da DeAngelo e Masulis (“Optimal Capital Structure Under Corporate and Personal Taxation”, 1980), gli scudi fiscali non creditizi, come la svalutazione o i crediti d'imposta sugli investimenti, danno un ulteriore contributo alla riduzione dell'imposta sul reddito, evitando, allo stesso tempo, i costi di stress finanziario ed eventuali altri costi di aggiustamento. Pertanto, ci si può aspettare un rapporto inverso tra gli scudi fiscali diversi dal debito e il leverage nelle imprese più piccole, poiché gli scudi fiscali diversi dal debito diminuiscono l'opportunità di aumentare il debito. L'ipotesi successiva è:

 Ipotesi 2: Gli scudi fiscali diversi dal debito sono collegati negativamente alla leva finanziaria.

Secondo la teoria del tradeoff, l'aumento dei costi diretti e indiretti attesi di insolvenza impedisce alle imprese di assumere un livello considerevole di indebitamento. Tali costi sono più elevati quando l'utile operativo di un'impresa è più volatile, poiché le possibilità di fallimento sono maggiori. È probabile che le piccole imprese risentiranno di maggiori costi di difficoltà finanziarie in termini relativi. Inoltre, l'utilizzo della volatilità degli utili come proxy del rischio di default, è noto in letteratura, quindi l'ipotesi successiva dell’autore è:

 Ipotesi 3: Il rischio di default è legato negativamente alla leva finanziaria.

Come già riscontrato in quasi tutti i documenti analizzati fino ad ora, le dimensioni dell’impresa influenzano in modo statisticamente significativo la sua leva finanziaria. Le considerazioni dell’autore in merito a questo fattore sono le seguenti. In primo luogo, le imprese più piccole possono trovare relativamente più costoso risolvere le asimmetrie informative con i creditori, come discusso precedentemente, e questo rende difficile per le imprese più piccole acquisire il finanziamento del debito. Inoltre, sulla base della tradeoff theory, le imprese più grandi dovrebbero raggiungere livelli di indebitamento più elevati in quanto sono esposte a costi di fallimento più bassi, poiché sono in grado di offrire maggiori garanzie collaterali e sono meno rischiose essendo più diversificate. Di conseguenza, un'ulteriore ipotesi è:

 Ipotesi 4: La dimensione dell'impresa è positivamente correlata alla leva finanziaria.

I costi di agenzia del debito sono in particolare associati al comportamento opportunistico degli azionisti a scapito dei detentori di debito, e consistono principalmente in sostituzione degli attivi e sottoinvestimento. Tali costi di agenzia sono ritenuti più elevati nelle piccole imprese. In primo luogo è probabile che il proprietario/manager di una piccola impresa metta al primo posto il suo interesse e quello della sua impresa, soprattutto nei primi anni più problematici. In secondo luogo, il livello di informazione asimmetrica è più elevato quando si considerano le imprese più piccole, che di solito non sono tenute a fornire molte informazioni e quindi cercano di evitare spese significative volte a fornire tali informazioni agli outsider.

I creditori razionali per ridurre questo problema, cercano di compensare la possibilità di comportamenti opportunistici degli azionisti pagando meno per il debito emesso dall'impresa e chiedendo tassi di interesse più elevati, richiedendo attività di monitoraggio (riguardanti, ad

128 esempio, restrizioni sul pagamento di dividendi futuri e modalità di raccolta di finanziamenti) e attività di bonding (ad esempio, relazioni dettagliate, rendiconti finanziari e bilanci controllati da revisori esterni indipendenti) come sottolineato in Jensen e Meckling, (1976) “Theory of the firm:

managerial behavior, agency costs and ownership structure”. Ciò comporta un aumento dei costi di agenzia sostenuti dall'impresa e quindi una riduzione del valore dell'impresa e del patrimonio degli azionisti. È evidente, dunque, come tali costi impediscono alle piccole imprese di raggiungere un elevato livello di indebitamento.

È generalmente riconosciuto che i costi di emissione del debito e i conflitti tra azionisti e obbligazionisti associati al debito sono più elevati per le imprese con notevoli opportunità di crescita rispetto alle imprese con piccole o nulle opportunità di crescita. Inoltre, la crescita aumenta i costi di stress finanziario. Secondo la teoria del trade-off e del risk shifting, le imprese con maggiori opportunità di investimento dovrebbero quindi avere meno leva finanziaria. Quindi l'ipotesi successiva è la seguente:

 Ipotesi 5: Le opportunità di crescita sono legate negativamente alla leva finanziaria.

I costi asimmetrici dell'informazione sono causati dal fatto che i mutuatari possiedono maggiori informazioni rispetto ai finanziatori con riferimento al valore reale delle attività esistenti o alle future opportunità di crescita delle loro imprese; pertanto queste ultime devono affrontare un problema di selezione avversa (Stiglitz e Weiss, 1981 “Credit Rationing in Markets with Imperfect Information”), che può causare una perdita di rendimento e di ricchezza investita nelle imprese che finanziano. Inoltre, i finanziatori non hanno alcun controllo sulle modalità di investimento dei fondi erogati, per cui sono colpiti anche da un problema di rischio morale. L'asimmetria informativa è particolarmente significativa per le piccole imprese, a causa della scarsa qualità delle loro informazioni finanziarie. Di conseguenza, i finanziatori possono compensare il rischio che si assumono richiedendo garanzie, per cui ci si aspetta un rapporto positivo tra la disponibilità di immobilizzazioni materiali facilmente garantibili o liquidabili e la leva finanziaria. L'ipotesi successiva è:

 Ipotesi 6: Le immobilizzazioni materiali sono positivamente correlate alla leva finanziaria.

Un ulteriore riferimento ai costi dell'informazione asimmetrica si riscontra nella pecking order theory di Myers. Sebbene, originariamente pensata per spiegare soprattutto la politica finanziaria delle imprese quotate in mercati dei capitali molto efficienti, in particolare quelli degli Stati Uniti e del Regno Unito, la pecking order theory è stata specificamente utilizzata per spiegare le scelte finanziarie delle piccole e medie imprese, soprattutto se si considera la seguente gerarchia di finanziamento: fondi interni e risparmi personali, debiti a breve e a lungo termine e, come ultima risorsa, nuove emissioni di azioni.

La pecking order theory è applicabile alle piccole imprese per tre motivi principali. In primo luogo, le piccole imprese si trovano di fronte ad un problema di "gap finanziario", che impedisce loro di acquisire capitale a basso costo; la principale fonte di finanziamento a lungo termine è quindi la conservazione degli utili e, se necessario, dei prestiti bancari, analogamente alle previsioni della pecking order theory. In secondo luogo, sia gli interessi comuni tra gli attuali azionisti e i loro manager che molto spesso sono gli stessi individui (nessun costo di agenzia dell’equity), sia l'elevata asimmetria informativa tra insiders e investitori esterni sostengono la tradizionale gerarchia della pecking order theory per le piccole imprese. In terzo luogo, è ben noto nella letteratura delle piccole e medie imprese che i proprietari-manager mostrano una forte avversione a cedere anche parzialmente il controllo delle loro imprese: gli attuali azionisti non sono disposti ad emettere nuovo capitale proprio.

129 Pertanto, per tutte le ragioni appena indicate, le piccole imprese più redditizie dipendono in larga misura dagli utili non distribuiti e, di conseguenza, l'ipotesi successiva è la seguente:

 Ipotesi 7: Il rendimento delle attività è correlato negativamente alla leva finanziaria.

Come riportato da Oscar Domenichelli nel suo documento, Petersen e Rajan nel loro studio del 1994 “The Benefits of Lending Relationships: Evidence from Small Business Data” mostrano che la leva finanziaria diminuisce con l'età, poiché probabilmente le imprese più anziane tendono ad accumulare utili non distribuiti. Coerentemente, altri studi empirici trovano che, per le piccole e medie imprese, il debito è fondamentale nella fase iniziale del loro sviluppo, mentre nella fase di maturità sostituiscono gradualmente il debito al capitale interno; a sua volta, questo può anche dimostrare la loro preferenza per gli utili non distribuiti rispetto alle risorse finanziarie esterne, cioè un comportamento finanziario gerarchico. L'ultima ipotesi sviluppata dall’autore è pertanto:

 Ipotesi 8: L'età è correlata negativamente alla leva finanziaria.