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4.2 ANALISI DELLA STRUTTURA DEL CAPITALE DELLE IMPRESE MANIFATTURIERE STATUNITENSI

4.2.2 I RISULTATI DELLE REGRESSIONI

La tabella 4.10 presenta i risultati dei tre modelli di regressione appena descritti.

Tabella 4.10: risultati dell’analisi di regressione. La prima colonna fa riferimento ai risultati del modello 1 mentre la seconda e terza colonna fanno riferimento rispettivamente ai risultati dei modelli 2 e 3.

Fonte: Coleman S. (2006), “Capital structure in small manufacturing firms: Evidence from the data”.

I risultati del modello 1 sono presentati nella prima colonna della tabella 4.10. La prima cosa che emerge è che le variabili significative sono quelle rappresentanti le dimensioni, l'età, lo stato organizzativo, la redditività e la struttura dell'attivo dell’impresa. La variabile settoriale non è, tuttavia, significativa.

La variabile utilizzata per rappresentare le dimensioni dell'impresa, Logsales, è significativa e positiva, indicando che, in media, le imprese più grandi hanno livelli di indebitamento più elevati, come suggerito dalla ricerca precedente. Le imprese più grandi possono essere più attraenti per i finanziatori perché stipulano prestiti più grandi. Allo stesso modo, la semplice dimensione delle

109 imprese più grandi può dare l'impressione di una maggiore stabilità e di una maggiore capacità di sopravvivenza. Inoltre, possono trovarsi in una posizione migliore nell’utilizzo del credito commerciale come fonte di finanziamento, perché possono esercitare un maggiore potere di mercato sui loro fornitori rispetto alle imprese più piccole.

La variabile che rappresenta l'età dell’impresa (Firmage) è significativa e negativa, come anticipato, indicando che le imprese più giovani mostrano un maggior livello di leva finanziaria e dunque tendono ad avere rapporti di indebitamento più elevati, probabilmente perché sono ancora in crescita e non sono ancora in grado di generare utili sufficienti per l'autofinanziamento. In questo senso, questi risultati sono coerenti con la teoria del ciclo di vita di Berger e Udell (“The economics of small business finance: The roles of private equity and debt markets in the financial growth cycle”, 1998), secondo la quale le imprese utilizzano diversi tipi di finanziamento in fasi diverse del loro sviluppo. In particolare, le imprese più giovani che sono ancora in crescita, possono aver bisogno di fonti esterne per finanziare lo sviluppo prodotto o l'espansione, perchè hanno meno probabilità di avere utili che potrebbero essere utilizzati come fonte di finanziamento. La fonte esterna più utilizzata è il debito in quanto, come Myers con la pecking order theory insegna, è meno costoso dell’emissione azionaria data la forte asimmetria informativa che caratterizza questa tipologia di imprese.

La variabile che rappresenta lo status organizzativo (Org) è significativa e positiva. Pertanto, le imprese organizzate come entità a responsabilità limitata hanno maggiori probabilità di utilizzare livelli di indebitamento più elevati. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che la forma di organizzazione a responsabilità limitata protegge i loro proprietari dal rischio di fallimento personale. In alternativa, i finanziatori possono ritenere che le imprese organizzate come società di capitali o società in accomandita hanno un livello più elevato di sofisticazione e hanno meno probabilità di subire difficoltà finanziarie. Infatti, le imprese organizzate come società per azioni o a responsabilità limitata possono avere sistemi più sofisticati di gestione finanziaria e di reporting che possono dare loro un vantaggio nel trattare con i finanziatori. Queste considerazioni portano a dare sostegno alla teoria del tradeoff.

Come previsto precedentemente, la variabile che rappresenta la redditività (ROS) è significativa e negativa. Le imprese redditizie possono autofinanziarsi con gli utili non distribuiti invece di utilizzare fonti esterne come il debito o l’emissione di azioni. Questa conclusione è coerente con la teoria del pecking order di Myers, secondo la quale le imprese preferiscono le fonti di finanziamento interne prima di ricorrere a quelle esterne. Utilizzando gli utili non distribuiti piuttosto che emettere nuove azioni, i proprietari originali sono in grado di mantenere la proprietà e il controllo e non devono condividere gli utili futuri con i nuovi azionisti. Inoltre, utilizzando gli utili non distribuiti piuttosto che il debito, i manager proprietari sono in grado di evitare i rischi e le restrizioni che può accompagnare l’assunzione di debito. Come già discusso, quest’ultimo aumenta il rischio di difficoltà finanziarie e fallimento, e gli istituti di credito possono anche imporre vincoli restrittivi che limitano la flessibilità operativa dell'impresa. L'utilizzo degli utili trattenuti come fonte di finanziamento da parte di imprese redditizie può anche fornire supporto alla Signaling Theory di Leland e Pyle (“Informational asymmetries, financial structure, and financial intermediation”, 1977), descritta brevemente nel capitolo primo, la quale afferma che quando i proprietari sono ottimisti circa le prospettive di crescita delle loro imprese, preferiscono reinvestire i propri guadagni piuttosto che condividere i profitti futuri e la proprietà con gli investitori esterni.

La variabile proxy della struttura patrimoniale, il rapporto tra attività fisse e totale attivo (FA/TA), è significativa e positiva, il che rivela che, come previsto, le imprese con livelli più elevati di attività fisse hanno livelli di indebitamento più elevati. Le imprese con alti livelli di immobilizzazioni materiali hanno ovviamente bisogno di capitale per finanziare quelle attività che, a loro volta,

110 possono essere utilizzate come garanzia dei prestiti assunti. La disponibilità di garanzie collaterali riduce la rischiosità del prestito al mutuante e può aumentare la disponibilità di capitale al mutuatario. Inoltre, l'avvalersi di garanzie è uno dei modi in cui le imprese e i prestatori possono almeno in parte alleviare il problema dell'informazione asimmetrica.

La variabile che rappresenta la classificazione del settore ("Manuf") non è significativa. In questo primo modello, la classificazione del settore di per sé non distingue le imprese che utilizzano strutture di capitale diverse. Piuttosto, le caratteristiche specifiche delle imprese, in questo caso dimensioni, età, stato organizzativo, redditività e struttura dell'attivo, hanno differenziato le imprese che utilizzano livelli più o meno elevati di leva finanziaria.

I risultati per i modelli 2 e 3 sono presentati anch’essi nella tabella 4.10, rispettivamente nella seconda e terza colonna.

Nel Modello 2 il rapporto tra prestiti ottenuti dall'esterno e totale attivo è stato utilizzato come variabile dipendente e come misura della struttura del capitale. I prestiti esterni sono tipicamente ottenuti da una banca o da un altro tipo di istituto finanziario. Poiché i prestiti bancari sono una delle principali fonti di finanziamento per le piccole e medie imprese, è importante identificare le caratteristiche dell'impresa che portano ad ottenerli. I risultati per il Modello 2 sono molto simili a quelli del Modello 1. Come nel modello precedente, le misure relative alle dimensioni dell'impresa, all'età dell'impresa, allo stato organizzativo, alla redditività e alla struttura dell'attivo sono significative, mentre la classificazione del settore non lo è. Ciò implica che le banche e le altre istituzioni finanziarie preferiscono prestare a società più grandi, che hanno la forma societaria dell'organizzazione e che hanno beni che possono essere usati come garanzia collaterale. D’altro canto, le imprese più giovani e le imprese più redditizie hanno meno probabilità di ottenere e/o chiedere prestiti all’esterno.

Infine, nel modello 3, la variabile dipendente è il rapporto tra indebitamento a lungo termine e totale attivo (LTDTA). In questo modello non sono significative né la variabile dimensionale (Logsales) né la variabile settoriale (Manuf). Contrariamente alle aspettative le imprese manifatturiere statunitensi più grandi non sono quindi più propense ad avere livelli di indebitamento a lungo termine più elevati rispetto alle imprese più piccole. Infine, come nei primi due modelli, la variabile che rappresenta il settore industriale (Manuf) non è significativa. Pertanto, come si è detto in precedenza, il semplice fatto di essere un'impresa manifatturiera non comporta necessariamente un aumento dei livelli di indebitamento a lungo termine.

Riassumendo, la conclusione più importante della ricerca di Susan Coleman per quanto concerne le PMI statunitensi è che il settore industriale da solo non determina la struttura del capitale delle piccole imprese. In questo senso, questi risultati sono in conflitto con alcuni risultati della ricerca precedente ma dimostrano che la struttura del capitale è determinata dalle caratteristiche dell'impresa, tra cui dimensioni, età, stato organizzativo, redditività e struttura patrimoniale.

Dall’analisi di regressione emerge in particolare che la struttura dell'attivo è un importante fattore determinante la struttura del capitale. Sebbene l'intensità di capitale sia una caratteristica del settore manifatturiero, è anche una caratteristica di altri settori industriali, vale a dire i trasporti e l'edilizia, nonché di molti tipi di imprese di vendita al dettaglio e di servizi. Questi risultati sembrano indicare che la struttura degli attivi, piuttosto che il settore industriale, è ciò che determina la struttura del capitale.

In ogni caso, le imprese con livelli più elevati di immobilizzazioni materiali, utilizzano e richiedono maggiori livelli di capitale esterno sotto forma di finanziamento del debito. Come Susan Coleman

111 osserva, focalizzandosi però solamente sul settore manifatturiero, negli anni precedenti al 2006 questo settore è stato fiorente: le vendite e i profitti sono stati forti, e la globalizzazione ha aperto molti nuovi mercati per le imprese statunitensi. Allo stesso tempo, c'è stata molta liquidità nel settore bancario e i tassi di interesse sono stati bassi. La disponibilità e l'accessibilità dei capitali ha sicuramente permesso alle piccole e medie imprese manifatturiere di acquistare attrezzature, sviluppare nuovi prodotti e processi, aggiungere dipendenti e dunque di crescere.

4.3 ANALISI DELLA STRUTTURA DEL CAPITALE DELLE