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4. L'utilizzo della conoscenza all'interno dell'organizzazione

4.3.2 Istituzionalizzare la comunità di pratica

La comunità può non essere riconosciuta dall'organizzazione formale all'interno della quale opera, così come perfino dagli stessi partecipanti, che non sempre sono consapevoli di farne parte: la comunità può infatti volontariamente celare la sua esistenza all'organizzazione, o diversamente può essere legittimata come rilevante dall'organizzazione stessa che ne incoraggia la partecipazione: in questo caso, essa viene istituzionalizzata e diventa parte della struttura formale dell'organizzazione.

Spesso le comunità di pratica però non sono riconosciute ufficialmente dalle organizzazioni all'interno delle quali operano in quanto basate su un'adesione volontaristica e puramente auto- organizzata, quindi sfuggenti rispetto ad un controllo formale.

Essendo a tutti gli effetti delle associazioni spontanee, non appartengono inizialmente a nessuno e rispondono solo a loro stesse di ciò che fanno: cercare di formalizzarne l'operato, specie nei primi momenti di vita, vorrebbe dire soffocarle. Gestire le comunità di pratica in modo tradizionale e verticistico significherebbe insomma annullare la loro più grande risorsa: la capacità di produrre

innovazioni uscendo dagli schemi prestabiliti.153

Lo spontaneismo che le caratterizza fa sì che al loro interno l'apprendimento sia spesso connesso a valori come appartenenza, identità, esperienza professionale, buone pratiche: in questo modo si crea un circolo virtuoso che connette i membri delle comunità di pratica prima di tutto a livello umano e personale, e in seguito anche lavorativo.

Gli stretti rapporti cooperativi instaurati tra i membri fanno

153 Bellandi G. (2009), La conoscenza partecipata. Condividere efficacemente conoscenze ed esperienze

sì che uno dei principali – e imprescindibili – tratti delle comunità di pratica sia la fiducia. A riguardo si parla infatti di capitale fiduciario presente nelle comunità, nella composizione del quale ha rilievo la fiducia vera e propria e le norme di convivenza createsi tra i membri, che regolano i rapporti sociali tra le persone secondo il principio della reciprocità.

L'insieme di parametri fatti di fiducia, confidenza e comprensione, che fungono da collante tra i membri della comunità, prende il nome di trust: si tratta di uno strumento chiave per influenzare il capitale fiduciario, aumentare fiducia, lealtà, socializzazione e incidental learning. Senza trust le conoscenze rimarrebbero isolate, impossibilitate ad innescare il processo di mutuo

apprendimento e cooperazione tipico delle comunità di pratica.154

In alcuni casi però, l'organizzazione in cui la comunità di pratica agisce può decidere di istituzionalizzarla, dotandola quindi di strumenti volti ad agevolarne lo sviluppo e il funzionamento. In generale, l'intervento dell'azienda madre può verificarsi durante la vita della comunità o promuovendone direttamente la nascita. Alcuni frequenti esempi di istituzionalizzazione sono la destinazione di fondi e risorse economiche a vantaggio della comunità, o la messa a disposizione di strumenti telematici come un sistema di messaggistica

online o un forum per facilitare la comunicazione tra i membri.

L'istituzionalizzazione comporta indubbi benefici per la comunità di pratica, ma nasconde alcune insidie che rischiano di minarne seriamente la produttività in termini di formazione e diffusione delle

best practice aziendali tra i membri. In questo senso, il

riconoscimento favorisce l'incremento della quantità e della qualità delle risorse messe in campo per un suo efficientamento, e rende possibile lo sviluppo delle competenze nel medio-lungo periodo;

analogamente, la comunità perde nella spontaneità e nell'informalità dei rapporti interni, con il rischio di possibili cadute di identità,

motivazioni e livelli di cooperazione tra i membri.155

4.3.3 Struttura e dinamica della comunità di pratica

Gli elementi fondanti di una comunità di pratica sono le persone, il lavoro collaborativo e cooperativo che tra di loro si sviluppa, la suddivisione ruoli tra maestri e allievi per realizzare un

cooperative learning, l'organizzazione delle relazioni funzionali tra i

componenti, l'apparato tecnologico condiviso.156

In ogni comunità, a livello strutturale, convivono un nucleo centrale – core – depositario del patrimonio condiviso, e rami periferici in cui agiscono nuovi adepti e in generale chi intende acquisire conoscenze, più che condividerle. La permeabilità verso i nuovi entranti è un carattere fondamentale: ciò permette alla comunità di rinnovarsi e rimotivarsi continuamente.

Al suo interno ogni membro negozia il proprio ruolo e il modo in cui svolgerlo: lo svolgimento efficace dell'attività richiede che gli individui sentano come propria l'attività comune, al fine di dedicarvi tutte le loro capacità. Se questo non avviene, il rischio concreto è rappresentato dall'innescarsi di processi di deterioramento del clima interno alla comunità, sfociante in un sentimento di antagonismo e nella mancanza di cooperazione tra i membri. Queste eventualità rappresentano casi ricorrenti di fallimento delle comunità di pratica e, per evitarli in modo efficace, è necessario non incorrere in alcuni rischi dell'istituzionalizzazione e della formalizzazione delle

155 Davenport T. H., Probst G. J. B. (2002), Knowledge Management Case Book. Best Practises. Second

edition, Berlino e Monaco, Siemens.

156 Bellandi G. (2009), La conoscenza partecipata. Condividere efficacemente conoscenze ed esperienze

attività, realizzando forme di sostegno non intrusivo alle comunità,

salvaguardandone il libero e armonioso sviluppo.157

All'interno della comunità di pratica possono organizzarsi micro-comunità interdipendenti, con contorni ben definiti ma aperti, unite e permeabili contemporaneamente; ciò avviene in virtù della multidisciplinarietà che le caratterizza.

La comunità di pratica presenta uno sviluppo trasversale rispetto a strutture e organigrammi aziendali: è possibile individuare le comunità internamente alle unità operative, trasversalmente rispetto alle differenti unità operative ed esternamente rispetto ai confini della propria organizzazione. In quest'ultimo caso la comunità di pratica attraversa i confini di molteplici organizzazioni, dando luogo a partnership informali focalizzate su obiettivi e problemi comuni, che permettono un prezioso scambio di conoscenze, buone pratiche e

know-how tra le diverse organizzazioni.

4.3.4 Il ciclo di vita della comunità di pratica

Le principali fasi di sviluppo lungo la vita di una comunità di pratica sono cinque: la fase di avvio, di consolidamento, di diffusione, di declino, di scomparsa.

Fase di avvio: la comunità è ancora un semplice network

relazionale; a riguardo è fondamentale definire con precisione gli argomenti su cui confrontarsi al suo interno. L'impresa può mettere a disposizione un coordinatore che catalizzi le dinamiche relazionali tra i partecipanti, e avviare la fase di promozione della comunità, identificando il target di individui a cui rivolgersi. Le motivazioni che

157 Davenport T. H., De Long D. W., Beers M. C. (1998), Succesfull knowledge management projects, Cambridge, Massachusetts (Stati Uniti d'America), MIT Sloan Management Review, inverno 1998, vol. 39, n. 2, pp. 43-57.

spingono il singolo a parteciparvi sono di matrice informativa, legate cioè alla volontà di accedere a determinate informazioni, o partecipativa, dovute al desiderio di far parte di un sistema di

relazioni sociali.158 E' possibile distinguere tra comunità di interesse,

dove prevale la dimensione informativa rispetto a quella partecipativa, di relazione, dove prevale quella partecipativa, e di apprendimento, che rappresenta un equilibrio tra le due tipologie precedenti. Per incentivare alla partecipazione e alla socializzazione, spesso vengono aperti forum o chat dedicati;

– Fase di consolidamento: si tratta della fase più delicata, nel

corso della quale la comunità deve essere legittimata definitivamente agli occhi dei partecipanti. Se mal gestita, la comunità apparirà poco attrattiva; per questo può risultare decisiva l'attività di un tutor avente il compito preciso di dedicarsi esclusivamente al potenziamento e alla crescita della comunità. Sempre in questa fase cominciano ad emergere i primi leader, che diverranno i futuri punti di riferimento;

– Fase di diffusione: il numero dei membri raggiunge il picco

massimo, ed è cruciale far sì che questi intensifichino sempre di più la loro partecipazione, senza abbandonare la comunità. In questa fase può risultare molto utile sviluppare nuovi tools e funzionalità in grado di soddisfare le esigenze via via sempre più sofisticate dei membri. Valorizzare la comunità al meglio in questo frangente può essere decisivo per evitare di raggiungere nel medio-breve periodo le fasi successive: ciò può avvenire, nel caso in cui la comunità di pratica risulti istituzionalizzata, riconoscendone ufficialmente l'esistenza e l'importanza, assegnandovi adeguate risorse per lo sviluppo, curandone lo spazio di socializzazione evitando il ricorso a modalità

158 Davenport T. H., Prusak L. (2000), Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare

gestionali troppo rigorose, fornendo le tecnologie di comunicazione più efficaci per favorire un compiuto sviluppo collaborativo;

– Fasi di declino e di scomparsa: si tratta di processi difficilmente

gestibili, perché una volta innescati sono quasi impossibile da fermare. Sopraggiungono quando l'impegno profuso dai membri non è più controbilanciato dai benefici da questi ricevuti, che

rappresentavano la base della loro adesione iniziale.159

4.3.5 Obiettivi, ruoli e membri

L'obiettivo di una comunità di pratica, come detto, è la diffusione di best practice, conoscenze, soluzioni e know-how tra i propri membri e quindi – potenzialmente – nella globalità dell'organizzazione. Se esaminati nei particolari però gli obiettivi di una comunità di pratica possono risultare molto vari: si tratta di obiettivi commerciali, perseguiti attraverso mailing list di persone a cui inviare pubblicità e offerte commerciali; obiettivi promozionali, che vedono nella comunità uno strumento di relazioni pubbliche, in grado di creare un legame con un marchio aziendale, un servizio o un prodotto; obiettivi informativi, il cui scopo è osservare e valutare i comportamenti e le scelte abituali degli iscritti alla comunità; obiettivi di produttività, con la missione di promuovere lo scambio di esperienze e fornire un miglioramento della produttività; obiettivi di innovazione e competitività, volti ad un potenziamento dell'autonomia e alla condivisione degli obiettivi e in cui la passione e la motivazione dei membri garantiscono la crescita dell'organizzazione.

All'interno di ogni comunità esistono ruoli più o meno formalizzati. Il punto di riferimento più alto al suo interno è

159 Bellandi G. (2009), La conoscenza partecipata. Condividere efficacemente conoscenze ed esperienze

rappresentato dal leader: il suo compito principale consiste nel motivare e guidare i membri allo scambio e all'azione. La figura del

leader di solito nasce spontaneamente, con l'esempio e con il tempo,

e soprattutto non deve essere deciso esternamente; in quest'ultimo caso verrebbe infatti a crearsi il rischio di frizioni tra la base dei membri e il leader designato, con un evidente danno all'attività di tutta la comunità. L'altro ruolo principale è ricoperto dal moderatore, che ha il compito di condurre la discussione e orientarla su argomenti che riguardano il topic, evitando sprechi di tempo e risorse; svolge anche funzioni di coaching, ed è di norma scelto dal leader in accordo con i membri.

Proprio questi ultimi sono, a loro volta, suddivisibili in diverse categorie: i visitatori sono caratterizzati da una partecipazione a periodi alterni e cambiano spesso comunità; i novizi sono invece quelli più desiderosi di inserirsi; i regolari rappresentano gli utenti più stabili e motivati; infine gli anziani sono composti dall'insieme dei fondatori, che rappresentano il nucleo solido della comunità e i più probabili candidati alla leadership.

Un'altra figura importante è quella del community manager, che è responsabile dell'andamento della comunità e ha i compiti di pianificare i temi, coordinare e controllare le attività, analizzare i

feedback, gestire i rapporti con gli stakeholder esterni e definire la policy. Ulteriori ruoli minori sono ricoperti dall'animatore e dal

responsabile dell'utenza: il primo è una figura prevalentemente di servizio e di tutoraggio soprattutto verso i novizi, si occupa del monitoraggio del forum, dell'ideazione dei temi, della gestione delle discussioni e della rimozione dei contenuti difformi; il secondo si occupa di risolvere i problemi degli utenti, tramite faq e istruzioni, rispondendo e catalogando le email, fornendo supporto qualitativo

alla stesura e alle revisione della policy.

Una delle finalità principali di tutta questa serie di tipologie di responsabili è quella di fornire supporto agli utenti; a riguardo, risulta fondamentale definire come queste figure dovranno essere percepite dagli utenti, specialmente se abbiamo a che fare con una comunità online. Le opzioni sono diverse: è possibile definire lo staff come un gruppo anonimo, oppure farlo conoscere per nome e cognome o, ancora, tramite nickname; si può anche prevedere che ogni membro dello staff abbia la sua pagina personale, con biografia e contatti; infine, lo staff può essere disponibile a partecipare anche ad eventi offline, volti a creare maggiore amalgama nel gruppo.

4.4 L'organizzazione che apprende: learning organization

e knowledge-creating company

Quelli di learning organization e knowledge-creating

company rappresentano concetti che mettono in evidenza il nuovo

ruolo dell'impresa, che fa della conoscenza – e non solo più dell'informazione – una risorsa strategica fondamentale.

Una learning organization è un'organizzazione capace di creare, acquisire e trasferire conoscenza, nonché di modificare il suo

comportamento in relazione alla nuova conoscenza posseduta.160 La

knowledge-creating company rappresenta invece un modello di

impresa che produce innovazione continua, creando nuova conoscenza, disseminandola all'interno della sua organizzazione e incorporandola in nuovi prodotti e tecnologie, anche sotto forma di

best practice.161

160 Garvin D. A. (1993), Building a Learning Organization, Boston, Massachusetts (Stati Uniti d'America), Harvard Business Review, vol.71, n. 4, pp. 78-91.

161 Albino V., Balice A. (2005), Processi di generazione del valore basati sulla conoscenza, Bari, DIMEG, p. 34.

In una knowledge-creating company tutti sono knowledge

worker162, vale a dire, tutti sono imprenditori: la creazione di nuova

conoscenza infatti non è un'attività demandata a pochi e selezioni specialisti, ma diventa un modo d'agire e d'intendere estremamente diffuso all'interno tutta l'organizzazione.

In generale, nelle imprese la gestione della conoscenza richiede differenti attività fondamentali quali la creazione di depositi –

repository – di conoscenza, l'accesso e il trasferimento della

conoscenza, la realizzazione di ambienti favorevoli alla creazione, al trasferimento e all'uso della conoscenza, il trattamento della conoscenza come un asset. Le ICT rappresentano in tutto ciò un supporto fondamentale per la costruzione di strumenti adatti alla gestione della conoscenza; a tal proposito si parla infatti di

“techknowledgy”163, un neologismo volto a sottolineare come

conoscenza e tecnologia vadano sviluppandosi e veicolandosi l'un l'altra di pari passo.

Le organizzazioni imparano da sempre, spinte alla necessità di sopravvivenza, e consolidano in cultura e tradizioni i risultati che hanno avuto successo. In merito risulta piuttosto calzante l'esempio delle piccole e medie imprese italiane, espressione di una struttura economica del Paese che si esalta nell'iniziativa individuale, faticando però poi a darsi una dimensione globale più complessa, proprio perché non del tutto capace a far diventare apprendimento organizzato la competenza e la capacità, ad esempio, del suo fondatore. In questo senso il fondatore dell'impresa ne rappresenta il

protagonista e al tempo stesso il limite principale.164

162 Nonaka I. (1991), The Knowledge-Creating Company, in Harvard Business Review, Boston, Massachusetts (Stati Uniti d'America), vol. 69, n. 6, pp. 96-104.

163 Davenport T. H., Prusak L. (2000), Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare

e trasferire conoscenza, Milano, Etas.

164 Azzariti F., Mazzon P. (2005), Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge

In particolare, le organizzazioni burocratiche sono tra quelle che più difficilmente riescono a cambiare e a valorizzare l'esperienza, in quanto ancorate al rispetto della norma e alla ripetizione delle azioni; vale invece l'opposto per le imprese operanti sui mercati della tecnologia, che esplorano continuamente l'ambiente esterno e interno per necessità fisiologicamente connesse alla propria azione nei confronti della concorrenza e dei consumatori.

Le organizzazioni che apprendono sono caratterizzate da alcuni elementi principali:

– crescere in conoscenza, interpretando l'apprendimento come

una competenza distintiva e un'opportunità per acquisire nuove conoscenze puntando all'eccellenza;

– ottimizzare la condivisione delle informazioni tramite la

condivisione in un clima di scambio e di partecipazione attiva, si pensi al networking e al problem solving;

– fondare l'azione sulla partecipazione diffondendo una cultura

democratica nella learning organization, mediante l'empowerment, accordando fiducia, organizzandosi in unità;

– riflettere sulla storia utilizzandola come base di partenza per

capire dagli errori commessi, e apprendere dall'esperienza implementando efficacia ed efficienza.

Nelle organizzazioni basate sulla conoscenza, anche la relazione con il cliente assume nuovi contorni: non è infatti più guidata in senso unico dal mercato, ma diventa una partnership in cui le soluzioni sono create insieme e la conoscenza circola in entrambe le direzioni.

decentramento di decisioni e responsabilità, le quali vengono trasferite a gruppi che lavorano in completa autonomia, dall'integrazione di tutte le funzioni lavorative all'interno dell'azienda e dall'abbattimento di rigide strutture gerarchiche. E' scoraggiato l'accumulo di conoscenza e informazioni come strumenti per avanzamenti di carriera personali, mentre è incoraggiata la condivisione della conoscenza, capace di concretare l'esperienza in

saperi socializzati.165

I processi di apprendimento individuali implicano due caratteristiche per le organizzazioni: innanzitutto, la capacità di imparare attraverso le persone che la compongono, in forma individuale; inoltre, la comprensione dei meccanismi di attivazione dell'apprendimento e delle modalità di socializzazione dei contenuti come condizione essenziale per poter utilizzare il bagaglio conoscitivo delle persone e perseguire efficacemente obiettivi aziendali.

La learning organization si muove verso la qualità totale, cercando di valorizzare le risorse invisibili e focalizzandosi sulle proprie core competences; mantiene un atteggiamento proattivo nei confronti dell'ambiente in cui agisce, sviluppando anche pratiche di

concurrent engineering. Il suo obiettivo coincide con il successo a

lungo termine, intento assai diverso dal perseguimento della semplice sopravvivenza: tale scopo richiede, infatti, lo sviluppo di un'organizzazione che sia in grado di costruire e rinnovare continuamente la propria competitività in tutte le funzioni, con

lungimiranza e capacità di programmazione.166

Complessivamente, l'organizzazione può dirsi capace di apprendere se attua tutti quei procedimenti volti a garantire

165 Gabassi P. G. (2006), Psicologia del lavoro nelle organizzazioni, Milano, FrancoAngeli.

166 Sbrana M., Torre T. (1996), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, Milano, FrancoAngeli, p. 98.

l'implementazione di strutture organizzative più snelle, attraverso un accorciamento della gerarchia e un maggior decentramento decisionale, sistemi di pianificazione e controllo impostati secondo una visione sistemica sistemi di gestione e sviluppo delle risorse umane che le pongano al centro delle strategie aziendali, come capitale da valorizzare, e sistemi di incubazione, cura e gestione delle competenze.

4.5 Conoscenza e formazione

Negli ultimi decenni la formazione professionale si è profondamente trasformata, adeguandosi alle nuove realtà competitive e assumendo via via un'importanza sempre più strategica, nella quale gli investimenti in conoscenza giocano un ruolo di primo piano. A mutare profondamente è stato lo stesso concetto di formazione: in epoca fordista l'individuo veniva formato soprattutto mediante esercizi pratici, attraverso il cosiddetto learning by doing, che vedevano nel lavoro un fattore meramente esecutivo e accessorio alle macchine; nella realtà competitiva di oggi ciò non è più possibile: è infatti fondamentale investire in processi di apprendimento a 360°, momento centrale dello sviluppo dell'impresa e fattore strategico che permea tutta l'organizzazione, senza limitarsi all'ambito ricerca e sviluppo, vedendo nella conoscenza un irrinunciabile asset

dematerializzato, dinamico e separato dalle macchine.167

La formazione non costituisce più un momento che precede l'immissione in ruoli lavorativi e che affronta tematiche di carattere esclusivamente tecnico operativo, ma diviene fondamentale strumento di valorizzazione delle risorse umane che come tali vengono concepite e dalle quali si richiede creatività e capacità di

decisione e di risoluzioni di problemi nuovi e complessi, disponibilità al cambiamento. Da un'ottica prevalentemente direttiva secondo la quale l'intento principale era la trasmissione di conoscenze e di specifiche abilità professionali, si passa a un modello attivo- partecipativo nel quale ai formandi viene richiesta un'adesione totale al progetto. La crescente complessità e imprevedibilità dei contesti necessita di adeguamenti continui: attraverso questa azione, oltre ad apprendimenti inevitabilmente direttivi, si attua una progressiva analisi e ridefinizione di atteggiamenti individuali e collettivi, di motivazioni soggettive, di obiettivi organizzativi legati al significato intrinseco ed estrinseco del lavoro. In una visione non solo tecnica ma anche sociale, la formazione diviene fattore di cambiamento non solo individuale e organizzativo ma anche sociale. Il valore di tale approccio risiede nell'acquisizione di competenze relative al sé, al proprio ruolo, alle modalità di relazionarsi in situazioni complesse:

sapere, saper fare, saper essere.168

Allo stesso tempo, però, è necessario potenziare e migliorare i percorsi di apprendimento on the job, che presuppongano un impiego immediato e contestuale delle nozioni apprese; la formazione tradizionale infatti rischia di rivelarsi soprattutto molto costosa e difficilmente modulabile rispetto alle esigenze mutevoli delle

diverse realtà lavorative.169 La rapida evoluzione delle conoscenze

supera le modalità della formazione tradizionale a favore di processi di crescita attraverso la circolazione e capitalizzazione di know-how: