• Non ci sono risultati.

Reciprocità, reputazione, altruismo: condividere la conoscenza

3. La conoscenza: un asset strategico immateriale

3.3.1 Reciprocità, reputazione, altruismo: condividere la conoscenza

e fruibile da parte degli altri oltre che dell'azienda stessa, considerata nella sua globalità. Se infatti la realtà politica di un'organizzazione è tale per cui il controllo è gestito da accumulatori “opportunisti” della conoscenza, allora i potenziali acquirenti di tale conoscenza non potranno mai disporre di mezzi di scambio in quantità sufficiente da

permetterne l'effettiva condivisione.88

3.3.1 Reciprocità, reputazione, altruismo: condividere la conoscenza

La conoscenza, come un qualsiasi bene di mercato, passa quindi attraverso acquirenti, fornitori e intermediari. Nella condivisione di conoscenza subentrano principalmente tre fattori: la

reciprocità, la reputazione e l'altruismo.89 A riguardo risulta calzante

l'esempio di un consulente – preso a riferimento come fornitore di conoscenza – che a fine giornata lavorativa riceve la telefonata di un

87 Davenport T. H., Prusak L. (2000), Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare

e trasferire conoscenza, Milano, Etas, p. 33.

88 Ivi, p. 34. 89 Ivi, p. 39.

collega, il quale chiede informazioni in merito a un cliente. Il consulente in questione da cosa può essere spinto a ritardare l'arrivo a casa per fornire conoscenza al collega? La risposta sta tutta, appunto, nei principi di reciprocità, reputazione e altruismo.

– Reciprocità: tempo, energia e conoscenza sono risorse scarse, e

nessuno sarà spinto ad impiegarle a meno di poter giustificare tale impiego con un rendimento sostanziale.

– Reputazione: si tratta di un concetto immateriale, ma che

origina risultati tangibili; può aiutare a raggiungere una situazione di reciprocità. Inoltre, essere reputato un buon fornitore di conoscenze può garantire miglioramenti anche nel campo lavorativo.

Nell'esempio, il desiderio di migliorare la propria reputazione potrebbe spingere il consulente a dedicare del tempo al collega per trasferirgli conoscenza preziosa, contando su un positivo “passaparola” da parte dei colleghi in seguito.

– Altruismo: diversamente, al consulente potrebbe

semplicemente bastare un “grazie”, in virtù del suo altruismo.

Anche la fiducia gioca un ruolo importante: questa deve essere infatti visibile e diffusa, e la credibilità dell'impegno deve partire dal vertice affinché possa più efficacemente costituire un circolo virtuoso della collaborazione e del reciproco apprendimento.

3.3.2 Inefficienze e patologie del mercato della

conoscenza nelle organizzazioni

Com'è stato detto, la conoscenza è un bene immateriale soggetto anch'esso alle regole del mercato; esiste quindi un mercato

della conoscenza, che come tutti i mercati può essere soggetto ad inefficienze o a vere e proprie patologie, che ne minano il buon funzionamento.

Le principali cause di inefficienze del mercato della conoscenza all'interno delle organizzazioni dipendono perlopiù da tre distinti fattori: incompletezza delle informazioni riguardanti il mercato; l'asimmetria della conoscenza e la localizzazione della

conoscenza.90

In particolare, la conoscenza risulta incompleta quando le organizzazioni non sanno dove essa risieda al loro interno, in assenza di “cartine” guida, o quando mancano informazioni esplicite; asimmetrica quando, all'interno della medesima organizzazione, è presente un'abbondante concentrazione di conoscenza in una determinata area, mentre ne risulta una carenza in un'altra; difficile da localizzare quando si preferisce ottenerla, all'interno di un'azienda, dal collega accanto piuttosto che da chi effettivamente la detiene.

Il mercato della conoscenza è soggetto anche a diverse patologie: per patologie del mercato sono intese le distorsioni che

inibiscono drasticamente il flusso della conoscenza trasferito.91

Le patologie sono quelle tipiche di qualsiasi mercato, dal monopolio alle barriere all'ingresso.

– Monopolio: questa patologie sussiste quando un solo individuo o

un solo gruppo detiene la conoscenza ricercata da altri.92 L'effetto è

appunto molto simile a quello riscontrabile nella normale realtà economica: in virtù della situazione di mercato, il prezzo del bene in questione aumenta. All'interno di un'impresa spesso alcuni individui

90 Ivi, p. 50. 91 Ivi, p. 54. 92 Ibid.

detengono in esclusiva alcune competenze e conoscenze, utilizzate per stabilire una posizione di potere; il rischio che ciò avvenga è presente specialmente nelle organizzazioni medio-piccole, in quanto la conoscenza personale è interpretata come un patrimonio proprio, una sorta di assicurazione volta a garantire la propria utilità nell'azienda e quindi a mantenere il proprio posto di lavoro.

– Scarsità artificiale: la cultura dell'accumulazione individuale

rende scarsa la conoscenza, perché le aree organizzative o i gruppi possono non possedere la conoscenza di cui necessitano per operare efficacemente. Anche lo stesso monopolio è una forma di scarsità artificiale, così come lo possono divenire le diverse fasi di ristrutturazione aziendale, le quali, agendo ad esempio tramite l'eliminazione di risorse umane, possono rendere più scarsa la conoscenza.

– Barriere commerciali: la presenza di barriere può essere

provocata, ad esempio, dalla mancanza di una rete informatica o di un efficiente sistema di comunicazione.

3.3.3 Sviluppo e valore dei mercati della conoscenza

La costruzione dei mercati all'interno delle organizzazioni passa attraverso la creazione di un insieme di spazi reali e virtuali dedicati allo scambio di conoscenza: ad esempio, ci sono imprese che hanno aperto degli spazi ricreativi in cui i ricercatori possono discutere insieme dei progressi compiuti dal loro lavoro. In relazione agli spazi virtuali, i fattori più positivi sono costituiti dalla convenienza e dalle alternative di scelta; i fattori negativi sono la qualità variabile e la mancanza di contatto personale, ciò che tende a ridurre il senso di fiducia e di impegno. Necessario ed implicito nella costruzione di un

mercato è il bisogno di assegnare ai componenti tempo sufficiente per reperire o distribuire conoscenza.

Al fine di creare e definire il valore nel mercato della conoscenza, la metodologia più sicura è di carattere empirico, consistente nella dimostrazione esplicita di meccanismi di riconoscimento, promozione e premio determinati dalla condivisione. Gli investimenti di un'impresa nello scambio di conoscenza rappresentano un'altra forma con cui segnalare la sincerità dello

sforzo nella valutazione della conoscenza.93

I diffusori di conoscenza all'interno dell'organizzazione assumono un valore strategico, in quanto detentori, diffusori e moltiplicatori delle conoscenze: con riferimento a loro, si parla di “evangelisti” della conoscenza.

Esistono anche de vantaggi cosiddetti secondari dei mercati della conoscenza: si tratta dei nonmarket benefits, i quali contribuiscono ugualmente ma indirettamente al successo dell'impresa. I vantaggi secondari possono contribuire in modo decisivo a: rendere più elevato il morale dei dipendenti, che vedono assegnato valore alle proprie competenze; creare una maggiore coerenza del sistema, attraverso lo scambio attivo di informazioni che in un clima aperto e di fiducia aiuta i dipendenti nella comprensione delle azione compiute dall'organizzazione; costituire un più ricco patrimonio di conoscenza, attraverso l'interazione tra idee che ne crea di nuove; rispettare una maggiore meritocrazia delle idee, ottenuta grazie all'apertura del mercato.

Pensando in termini di mercato emerge l'importanza della gestione della conoscenza, quale strumento essenziale per garantire lo sviluppo virtuoso del sapere e del valore all'interno

dell'organizzazione.

“Riteniamo che il knowledge management possa essere considerato come uno sforzo per aumentare l'efficienza dei mercati della conoscenza.”94

3.4 I diversi tipi di conoscenza

La conoscenza è una risorsa astratta, e dal punto di vista dei livelli di astrazione questa può assumere varie forme a cui corrispondono differenti livelli di precisione: conoscenza fattuale, quando rappresenta oggetti individuali; conoscenza concettuale, quando rappresenta entità e funzioni contenuti in modelli dell'impresa; conoscenza metodologica, quando traccia linee guida per la costruzione di una knowledge based ottenuta con metodi di ingegneria della conoscenza.

Un'altra suddivisione è relativa ai livelli di formalizzazione della conoscenza: la conoscenza informale è contenuta in documenti testuali o nella cultura d'impresa, la conoscenza semiformale è rappresentata da diagrammi, schede e organigrammi con struttura rigorosa, la conoscenza formale infine è quella in cui si adottano linguaggi di specificazione con una sintassi e una semantica precisa.

In relazione all'oggetto e al contenuto che la caratterizzano, la conoscenza è ulteriormente suddivisibile in: dichiarativa/descrittiva, riferita al concetto di know-about, legata alla capacità di riconoscere e classificare concetti, elementi, avvenimenti e situazioni, riguardante oggetti e fatti, facilmente esplicitabile e trasferibile; procedurale,

riferita al concetto di know-how, legata alle abilità pratiche delle persone, come esecuzione di compiti e incarichi, generata dall'esperienza e acquisibile solo osservando chi la detiene; causale/razionale, riferita al concetto di know-why, legata alla capacità di comprendere le cause di quanto accade dentro e fuori le organizzazioni, a leggi e principi economici, sociali etc., codificabili e trasmissibili in forma scritta tramite formule, tabelle, figure etc.; relazionale, riferita al concetto di know-with, legata alla capacità di avere un'idea delle relazioni tra le precedenti tipologie di conoscenza, in quanto molte volte la nuova conoscenza è frutto di processi di rielaborazione, scomposizione e ricomposizione di conoscenze già disponibili in azienda; conoscenza delle fonti della conoscenza, riferita al concetto di know-who, consistente nel sapere dove reperire conoscenze utili per un'attività e riguardante i contenuti, la qualità e

l'affidabilità.95

3.4.1 Conoscenze tacite e conoscenze esplicite

Le tipologie di conoscenza esaminate ne permettono una classificazione coerente e funzionale; vi è però una suddivisione ulteriore del concetto di conoscenza, di basilare importanza ai fini di un suo efficace utilizzo nell'ambito dell'organizzazione: quella tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita.

Ogni individuo è portatore di una conoscenza personale, strettamente legata alla propria sfera di individualità, alla formazione ricevuta e alle esperienze vissute. Il percorso formativo intrapreso, le

skills apprese con l'applicazione diretta sul lavoro, le competenze

frutto di anni di esperienza: tutto ciò va a formare un bagaglio di

95 Bellandi G. (2009), La conoscenza partecipata. Condividere efficacemente conoscenze ed esperienze

conoscenze che determinano il successo o l'insuccesso del soggetto sul mercato del lavoro, e per questo è sempre più di basilare importanza interpretare la formazione e l'esperienza come investimenti in se stessi, ai fini della propria realizzazione.

Questo bagaglio soggettivo e personale costituisce un insieme di conoscenze che vengono definite come “tacite”: queste sono composte sia da elementi cognitivi che dalle idee, dalle esperienze e dalle percezioni di chi le possiede e sviluppa. Può essere osservata soprattutto durante il suo concreto utilizzo e acquisita

attraverso la pratica e l'esperienza.96

Al contrario, la conoscenza esplicita riguarda informazioni strutturate come brevetti, documenti, regole, procedure ovvero qualcosa di codificato, disponibile e, quindi, facilmente trasmissibile e

conservabile.97

Se la conoscenza tacita è quindi personale, specifica del contesto e in quanto tale è difficilmente formalizzabile e comunicabile, quella esplicita è codificata e trasmissibile attraverso un linguaggio formale.

La conoscenza esplicita è più semplice da valutare e controllare, si presta a successive elaborazioni, ad essere trasmessa con mezzi elettronici; al contrario, quella tacita risulta più intuitiva e personale. In questo senso il modello giapponese è stato rivoluzionario, poiché capace di alimentare la competitività dell'impresa attraverso saperi e competenze contestuali che nella produzione di massa non erano state valorizzate. Il taylorismo e la tradizione gestionale che ne derivò invece erano espressione di un approccio che vedeva la conoscenza necessariamente come esplicita,

96 Ivi, pp. 28-29.

97 Azzariti F., Mazzon P. (2005), Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge

nell'ottica di una promozione dell'efficienza attraverso il controllo dei comportamenti e la conformazione alle direttive aziendali. Al contrario però, la creazione e la condivisione della conoscenza sono attività immateriali che non possono essere né controllate né imposte: esse si

realizzano solo attraverso la cooperazione libera.98

In quest'ottica è possibile operare un confronto tra la tradizione intellettuale occidentale e quella giapponese: i manager occidentali tendono a privilegiare l'importanza della conoscenza esplicita a scapito di quella tacita, che è invece preferita in Giappone, cultura in cui si pone maggiormente l'accento sull'importanza della “personalità completa”, che privilegia l'esperienza personale e

corporea rispetto all'astrazione intellettuale.99

Essere capaci di gestire e promuovere le fonti come dati aziendali, le informazioni, la conoscenza, costituisce una solida base per una strategia efficace: questo corpus di risorse immateriali forma infatti la conoscenza aziendale, ovvero l'insieme di ciò che l'azienda sa – conoscenza esplicita – e di ciò che essa non sa di avere – conoscenza tacita.

La conoscenza aziendale è soggetta ad un mutamento continuo, finalizzato a mantenere l'organizzazione sempre connessa e adattata alla realtà esterna; per questo l'impresa deve essere disposta ad abbandonare le conoscenze divenute obsolete e ad apprendere come crearne di nuove attraverso il miglioramento continuo di ogni attività e lo sviluppo di nuove applicazioni a partire dai propri successi, attraverso un processo organizzativo

d'innovazione continua.100

98 Ivi, pp. 110-111. 99 Ibid.