L’istituzione del Tribunale per i crimini internazionali commessi in Ruanda e Stati limitrofi era stata sostenuta da una commissione di esperti nominata dal Segretario Generale ONU a seguito della Risoluzione n. 955/1994 del Consiglio di Sicurezza; 29 essa rilevò
l’esistenza di crimini contro l’umanità e violazioni del diritto internazionale umanitario commessi da individui di entrambe le fazioni in guerra, gli Hutu e i Tutsi, mentre i crimini di genocidio erano stati commessi solo da soggetti appartenenti all’etnia Hutu. Il Tribunale fu investito della capacità di giudicare i responsabili dei fatti delittuosi compiuti tra il 1 Gennaio e il 31 Dicembre del 1994, ed allo stesso modo della Risoluzione anche lo Statuto del Tribunale ripropone nella sostanza lo Statuto del Tribunale per la ex – Jugoslavia. La sola differenza di rilievo tra i due testi è la diversa elencazione dei crimini di competenza del Tribunale: nello Statuto del Tribunale del Ruanda, infatti, viene attribuita rilevanza principale al crimine di genocidio, rispetto alle violazioni delle leggi
29U.N. Doc. S/1994/1125 del 1994, reperibile al sito: www.undemocracy.com/S-1994-
e degli usi di guerra, per rimarcare il carattere “interno” del conflitto africano. 30
Diversamente da quanto accaduto nell’ex – Jugoslavia, è stato lo stesso governo del Ruanda a sollecitare l’istituzione di un tribunale internazionale, a causa del quasi totale disinteresse da parte di tutti gli Stati. Le motivazioni poste a fondamento della richiesta del governo furono molteplici; in primo luogo, la volontà di dare al Tribunale una configurazione imparziale tramite il coinvolgimento di tutta la comunità internazionale, scongiurando così un’idea di giustizia dei vincitori sui vinti; inoltre, risultava più semplice per un organismo internazionale, rispetto ad un tribunale interno, arrestare criminali fuggiti fuori dai confini del Ruanda; infine, il governo ritenne che la repressione delle atrocità promossa da un tribunale sovranazionale ne avrebbe ampliato la portata criminogena, cosicché tali crimini non avrebbero riguardato solo il Ruanda, ma sarebbero stati concepiti come offese all’intera comunità internazionale, in quanto “crimini contro l’umanità”.
Nonostante la sollecitazione del governo ruandese per l’istituzione del Tribunale, l’unico membro del Consiglio di Sicurezza che
30 Per le ragioni e lo sviluppo del conflitto in Ruanda cfr. MAGNARELLA, Justice in
espresse parere negativo verso la proposta di Statuto del Tribunale da parte del Segretario Generale ONU fu proprio il Ruanda, che formulò tre obiezioni, richiedendo: che lo Statuto prevedesse come massima sanzione la pena di morte; un ampliamento della giurisdizione ratione temporis, tale da ricomprendere tutti i fatti di violenza occorsi dal 1990 e non solo quelli compiuti nel 1994; che la sede del Tribunale fosse stabilita in Ruanda invece che ad Arusha (Tanzania). Il Consiglio non assecondò nessuna di tali richieste, ma se dapprima il Presidente ruandese Bizimungu criticò l’operato dell’ONU, in un secondo tempo accettò di cooperare, rendendosi conto del fatto che solo il Tribunale Internazionale sarebbe stato capace di sottoporre a giudizio i maggiori responsabili del genocidio, perché molti di loro erano fuggiti all’estero e in Ruanda mancava una disciplina sull’estradizione. L’obiettivo del nuovo governo era quello di fare in modo che l’istituzione del Tribunale producesse un effetto deterrente verso il popolo ruandese, mentre l’auspicio di tutta la comunità internazionale era quello di poter trasmettere un messaggio importante al mondo intero circa la certezza della punibilità degli efferati atti di genocidio.31
Il modello procedurale del Tribunale per il Ruanda è formalmente lo stesso del Tribunale per la ex – Jugoslavia, così come sono analoghe ed uniformi le strategie inquisitorie di entrambi; addirittura, fino all’anno 2003 esisteva un solo ufficio del Procuratore per tutti e due i Tribunali, e tutt’ora le Camere d’appello del Tribunale per la ex – Jugoslavia svolgono la stessa funzione anche per i casi condotti davanti al Tribunale per il Ruanda. 32 L’esigenza di garantire una
certa uniformità nell’applicazione del diritto per identità di crimini internazionali e la necessità di economizzare sulle limitate risorse disponibili hanno ispirato la decisione di far coincidere lo stesso organo responsabile per l’accusa per entrambi i Tribunali.
Il Tribunale si compone di due Camere di prima istanza, ciascuna formata da tre giudici, una Camera d’Appello, formata da cinque giudici, e l’ufficio del Procuratore; l’elezione dei giudici spetta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite secondo un criterio di equa distribuzione geografica, mentre il Procuratore è nominato dal Consiglio di Sicurezza.
Ha una competenza limitata a livello temporale (ratione temporis), in quanto può occuparsi solo dei fatti accaduti nell’anno 1994, territoriale (ratione loci), riguardante i delitti commessi in Ruanda e
negli Stati limitrofi, personale (ratione personae), poiché può processare solo individui e non anche persone giuridiche o Stati, ed oggettiva (ratione materiae), per cui gli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto disciplinano la competenza del Tribunale rispettivamente per il crimine di genocidio, per i crimini contro l’umanità (tra cui: riduzione in schiavitù, deportazione, tortura, persecuzione per ragioni discriminatorie) e per i crimini di guerra, identificati nella violazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949. 33
Per quanto concerne la procedura, essa si sviluppa in modo pressoché identico a quella stabilita per il Tribunale per la ex – Jugoslavia; l’azione penale viene esercitata solo dal Procuratore, il quale ha il compito di presentare un atto d’accusa con indicazione delle indagini svolte in collaborazione con il Procuratore aggiunto. Tale accusa deve essere confermata da un giudice designato dal tribunale; nel caso in cui l’imputazione risulti fondata si procede alla ricerca dell’imputato ed al suo arresto. La Cancelleria provvede a trasmettere l’avviso di cattura alle autorità nazionali dello Stato che ha giurisdizione verso l’accusato, le quali provvedono a trasferire lo stesso nel luogo indicato dal Presidente del tribunale per la sua detenzione. Se le autorità nazionali non sono in grado di dare corso
33 In particolare, la violazione dell’art. 3 comune a tutte e quattro le Convenzioni del
all’arresto, la Camera Preliminare può emanare un mandato internazionale d’arresto, da trasmettere a tutti gli Stati. A seguito dell’arresto, l’accusato viene portato davanti ad una delle due Camere di prima istanza per essere accusato formalmente, in modo da poter conoscere dettagliatamente l’atto d’accusa per organizzare la propria difesa. A questo punto la corte invita l’accusato a dichiararsi colpevole o non colpevole; in caso di ammissione di colpevolezza, il reato non viene derubricato, ma tale confessione viene considerata come attenuante nell’applicazione della relativa pena: si tratta della procedura del guilty plea, prevista e disciplinata anche nell’ambito dell’altro Tribunale ad hoc; se invece l’accusato si dichiara non colpevole, la Cancelleria fissa la data dell’udienza, ed il giudizio di primo grado si sviluppa in modo identico al Tribunale per la ex – Jugoslavia. La deliberazione della Camera Preliminare avviene a porte chiuse e a maggioranza, con motivazione allegata; entro 30 giorni dalla sua pronuncia le possono impugnare la sentenza. Il procedimento d’appello si svolge in modo analogo a quello di primo grado, e la sentenza che viene emessa, con cui il giudice conferma, annulla o modifica la decisione di
primo grado impugnata, è definitiva e non ulteriormente impugnabile. 34
La disciplina delle pene applicabili è affidata all’articolo 23 dello Statuto, il quale, però, è carente di previsioni specifiche e rimanda semplicemente alla prassi applicata dai tribunali nazionali del Ruanda, per rispettare il principio del nulla poena sine lege; si tratta di previsione meramente indicativa e non vincolante, dato che la legislazione ruandese prevede l’applicazione della pena di morte, mentre il Tribunale prevede come massima sanzione l’ergastolo. Inoltre, anche nei processi di fronte al Tribunale per il Ruanda non è prevista l’eventualità di processare un imputato in contumacia, e viene garantito il principio del ne bis in idem.