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La figura del Procuratore negli organismi di giustizia internazionale

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Indice

CAPITOLO 1 – PREMESSA STORICA: LE PRIME

ESPERIENZE

DI

TRIBUNALI

PENALI

INTERNAZIONALI………

… 3

1.1 – L’evoluzione della repressione dei crimini

internazionali……….. 3 1.2 – I Tribunali Militari di Norimberga e di Tokyo: critiche ad un modello di “giustizia dei vincitori sui vinti………. 13

CAPITOLO 2 - L’INTRODUZIONE DELLA FIGURA

DEL “PROSECUTOR”

NEI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PER LA EX – JUGOSLAVIA E

PER IL RUANDA

……….. 23

2.1 – Continuità e differenze rispetto ai Tribunali Militari del dopoguerra………... 23 2.2 - L’istituzione del Tribunale per la ex – Jugoslavia………27 2.3 - L’istituzione del Tribunale per il Ruanda: composizione ed esercizio dell’azione penale……… 31 2.4 – La prima esperienza della figura del Procuratore nello Statuto del Tribunale per la ex – Jugoslavia……… 37 2.5 – Il ruolo “monopolista” del Procuratore nell’esercizio dell’azione penale……… 42

CAPITOLO 3 – IL RUOLO DEL PROCURATORE

NELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

………..52

3.1 – La Corte Penale Internazionale: i lavori preparatori e l’adozione del sistema processuale “misto”……… 52 3.2 – Il dibattito sull’istituzione del Procuratore: dalla

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Commissione per il Diritto Internazionale alla Conferenza Diplomatica……….. 58 3.3 – La struttura e l’organizzazione dell’Ufficio

del Procuratore………. 63 3.4 – La giurisdizione della Corte e il principio

di complementarietà………. 66 3.5 – I meccanismi d’attivazione della Corte; il potere

del Procuratore d’indagare “ex officio”……… 74 3.6 –Lo svolgimento dell’attività d’indagine; l’autorizzazione della Pre – Trial Chamber……… 88 3.7 – L’esercizio dell’azione penale e il ruolo del Procuratore nella fase del dibattimento……… 99

CAPITOLO 4 – IL PROGETTO PER L’ISTITUZIONE

DEL “PROCURATORE EUROPEO”

………... 110

4.1 – La proposta della Commissione Europea di istituire un Procuratore per la tutela degli interessi finanziari

dell’Unione Europea……….. 110 4.2 – La riforma dell’ufficio Eurojust………... 115 4.3 – Le precedenti esperienze di uffici anti-frode in ambito

comunitario: l’UCLAF e l’OLAF……… 118 4.4 – La struttura e le competenze dell’Ufficio del Procuratore Europeo……… 123 4.5 - L’attività processuale del Procuratore Europeo; il

coordinamento con le autorità nazionali e le garanzie

processuali………. 128

Bibliografia

……… 138

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CAPITOLO 1 - PREMESSA STORICA: LE

PRIME ESPERIENZE DI TRIBUNALI PENALI

INTERNAZIONALI

1.1 - L’evoluzione della repressione dei crimini

internazionali

Fin dalle origini della moderna comunità degli Stati, formatasi dopo la pace di Westfalia del 1648, fu riconosciuta l’esistenza e la relativa gravità di crimini internazionali individuali, o delicta iuris gentium, secondo la definizione che, a partire soprattutto dalla fine del XIX secolo, viene applicata ad attività lesive di beni particolarmente protetti dal diritto internazionale poste in essere sia da semplici individui, sia da individui aventi la qualità di organi statali. 1

Tuttavia, il rispetto della sovranità degli Stati, che esclude interferenze esterne nel rapporto tra gli stessi Stati e i loro cittadini, aveva impedito fino a quel momento l’istituzione di una

1 Cfr. RONZITTI, Crimini internazionali, in Enciclopedia Giuridica, 1988, pp. 1 ss. e

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giurisdizione internazionale permanente competente nel giudicare gli individui responsabili di crimini internazionali: tale funzione era riservata ai soli tribunali statali, interni, in base al criterio della giurisdizione universale che, in relazione ad alcune tipologie di crimini, attribuisce ad ogni Stato la facoltà di perseguire i responsabili indipendentemente dagli ordinari criteri di collegamento all’ordinamento nazionale, oppure tramite l’obbligo imposto in ambito internazionale allo Stato di perseguire i colpevoli di tali crimini dinanzi ai propri tribunali o di consegnarli ad altri Stati affinché siano giudicati dalle rispettive corti. 2 Il principio da

cui discende tale obbligo è denominato aut dedere aut iudicare, accolto per i crimini di guerra dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, ma il cui valore consuetudinario è tutt’ora dubbio. 3

Nonostante l’istituzione definitiva di un tribunale per la repressione dei crimini internazionali sia avvenuta solo poco più di dieci anni or sono, il progetto di costituire una giurisdizione penale internazionale è tutt’altro che recente. Già nel 1920 fu proposta la creazione di un’Alta Corte internazionale “competente a giudicare i crimini contro l’ordine pubblico internazionale e il diritto universale delle

2 Vedi LATTANZI, Garanzie dei diritti dell’uomo nel diritto internazionale generale,

Milano, 1983, pp. 402 ss.

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genti” durante i lavori del Comitato dei giuristi che predispose lo Statuto della Corte permanente di giustizia internazionale (in applicazione dell’articolo 14 del Patto della Società delle Nazioni: Il

Consiglio formulerà e sottoporrà ai Membri della Società un progetto per l’istituzione di una Corte permanente di giustizia internazionale. La Corte sarà’ competente per conoscere e decidere ogni vertenza di carattere internazionale che le Parti le sottopongano. La Corte potrà anche esprimere un parere su qualunque controversia o questione deferitale dal Consiglio o dall'Assemblea). Tale progetto, che non ebbe alcun esito, seguiva di

poco il Trattato di pace di Versailles del 28 Giugno 1919, il cui articolo 227, mai applicato, prevedeva di giudicare davanti ad un tribunale internazionale speciale l’ex-imperatore di Germania Guglielmo II Hohenzollern, accusato pubblicamente dalle “Potenze alleate” (Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Giappone, Italia e Francia) di “crimine supremo contro la morale internazionale” 4, e

per il quale le stesse forze alleate avrebbero fatto richiesta al governo dei Paesi Bassi per ottenerne la consegna al fine di poterlo processare. L’intento dichiarato delle potenze alleate era quello di interrompere la tradizionale prassi delle amnistie e di sottoporre a

4 Vedi testo art. 227, comma 1, Trattato di pace di Versailles tra le potenze alleate e

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giudizio, anche una volta terminato il conflitto, i criminali di guerra; in quest’occasione si volle punire specificamente il più diretto responsabile dell’aggressione che scatenò il primo conflitto mondiale nel 1914. Il Trattato di Versailles del 1919 fu il primo documento ufficiale a prevedere l’istituzione di un tribunale penale internazionale. Poco prima della ratifica di tale Trattato era stata istituita, inoltre, una Commissione ad hoc che aveva l’obiettivo di determinare l’eventuale esistenza di un fondamento giuridico per la responsabilità penale dei criminali di guerra, e di individuare l’autorità legittimata alla persecuzione penale dell’imputato. Secondo la Commissione erano da ritenere responsabili coloro che si erano resi colpevoli di violazioni delle leggi e degli usi di guerra, nonché di violazioni del diritto umanitario; allo stesso tempo riteneva, però, che tali tipologie di reati richiedessero la formazione di un tribunale internazionale. Nonostante tale raccomandazione, le proposte della Commissione non furono mai adottate, e la Germania propose un compromesso: tutti i soggetti colpevoli di crimini di guerra indicati dalle potenze Alleate sarebbero stati processati e giudicati dinanzi alla Corte Suprema del Reich, con sede a Lipsia; senza troppa convinzione e con molte riserve, gli alleati accettarono tale proposta, e l’imperatore Guglielmo II chiese ed ottenne asilo nei

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Paesi Bassi, evitando di essere poi sottoposto a quelle autorità giudiziali che avrebbero dovuto verificare in modo approfondito le sue responsabilità dirette.

La mancata attuazione di un progetto di giustizia penale internazionale, insieme alla volontà di superare l’applicazione della giustizia unilaterale (la c. d. “giustizia dei vincitori”) contribuì ad accrescere, nella comunità internazionale, l’esigenza di istituire un tribunale penale internazionale che operasse non solo a livello intergovernativo, ma anche non governativo; il risultato di maggior rilievo sulla questione fu la costituzione della Convenzione sulla Repressione del Terrorismo del 1937, alla quale fu allegato un Protocollo di 56 articoli volto a istituire una corte criminale internazionale. Ciononostante, tale documento non entrò mai in vigore a causa del mancato raggiungimento del numero di ratifiche e richiesto. 5

Un progresso significativo ebbe luogo nel 1945, mediante l’istituzione dei Tribunali di Norimberga e di Tokyo al fine di giudicare i responsabili degli atroci crimini commessi nel corso della Seconda Guerra Mondiale: essi, infatti, rappresentarono la

5 Cfr. STERN, La Cour criminelle internazionale dans le projet de la Commission du

droit International, in International legal issues arising under the United Nations decade of International Law, The Hague-Boston-London, 1995, pp. 739 ss.

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prima esperienza concreta di giurisdizioni penali ad hoc istituite a livello internazionale, 6 e dettero un notevole impulso allo sviluppo

delle norme applicabili, in particolare in relazione alla categoria dei crimini contro l’umanità, categoria che iniziava a delinearsi e che si sarebbe consolidata di lì a pochi anni per effetto della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. 7

Dopo questa prima esperienza di tribunali militari ad hoc, si avvertì nella comunità internazionale l’esigenza di consolidare alcuni principi degli Statuti dei due Tribunali in modo da renderli di generale applicazione e di provvedere alla realizzazione di strutture sovranazionali per un’adeguata protezione dei diritti umani e per la codificazione dei crimini di diritto internazionale. Di una simile esigenza si fece carico l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che per mezzo di una serie di risoluzioni emanate a partire dal 1946, si occupò di promuovere da un lato la codificazione dei crimini internazionali contro la pace e contro la sicurezza, dall’altro la costituzione di una Corte Penale Internazionale permanente. In particolare, al termine della Seconda Guerra Mondiale, con la Risoluzione n. 260/B del 9 Dicembre 1948 l’Assemblea dette

6 Cfr. GREPPI, I crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale,

Torino, 2001, pp. 157 ss.

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incarico alla Commissione per il Diritto Internazionale (ILC) di progettare l’istituzione di un organo giudiziario internazionale al fine di giudicare i soggetti accusati di genocidio o di altri crimini che le convenzioni internazionali attribuivano alla sua competenza, valutando l’eventualità di costituirla all’interno di una sezione penale della Corte Internazionale di Giustizia. La Commissione dette parere favorevole in merito alla possibilità e all’opportunità di realizzare una giurisdizione internazionale, esprimendo però un parere contrario circa la sua creazione all’interno alla Corte Internazionale di Giustizia. L’idea principale era quella di realizzare un sistema giurisdizionale che fissasse anticipatamente le condotte qualificabili come crimini internazionali, in ottemperanza ai fondamentali principi del nullum crimen sine lege e nulla poena

sine lege, ed il giudice competente ad accertare la responsabilità per

tali crimini e a decidere la pena da applicare. 8

L’Assemblea Generale istituì un Comitato ad hoc per elaborare proposte relative alla creazione di tale Corte. Il Comitato predispose un primo progetto di Statuto nel 1951, ed un nuovo testo modificato nel 1953; ma nel 1954, con Risoluzione 1187/XII, decise di rinviare

8 Vedi BALDONI, Da Norimberga alla Corte Penale Internazionale, in

ILLUMINATI, STORTONI, VIRGILIO, Crimini internazionali tra diritto e giustizia:

dai Tribunali internazionali alle Commissioni Verità e Conciliazione, Torino, 2000,

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del tutto l’esame del progetto di Statuto in attesa dell’adozione di una definizione del concetto di “aggressione”, ovvero uno dei crimini internazionali di potenziale competenza della Corte, alla quale si giunse solo nel 1974. In generale, l’entusiasmo manifestato nell’immediato dopoguerra per la costituzione di un tribunale internazionale permanente si spense quasi completamente nel periodo della Guerra Fredda. Solo al termine di essa le Nazioni Unite rinnovarono il loro interesse per la creazione di una Corte Penale Internazionale: nel 1989 lo Stato di Trinidad e Tobago fece appello alle Nazioni Unite affinché venisse istituita una Corte Penale per processare i trafficanti di stupefacenti, e l’Assemblea Generale ONU incaricò la ILC di occuparsi di tale questione. 9

Nel frattempo, le atrocità prodotte dalle guerre in ex - Jugoslavia e in Ruanda indussero il Consiglio di Sicurezza ONU ad istituire, in base al Capitolo VII della Carta ONU, due tribunali penali internazionali ad hoc: con la Risoluzione n. 827 del 25 Maggio 1993 istituì il Tribunale Penale Internazionale per punire i responsabili delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nei territori della ex - Jugoslavia a partire dal 1991, e con la Risoluzione n. 955 dell’8 Novembre 1994 dette vita al Tribunale

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Penale Internazionale per i crimini commessi in Ruanda e Stati limitrofi tra il 1 Gennaio e il 31 Dicembre 1994. 10 Fu questa

l’occasione in cui, per la prima volta, numerosi Stati presero posizione pubblicamente a favore della costituzione di una Corte Penale permanente con competenza generale per la repressione dei crimini internazionali, ovunque ed in qualunque tempo commessi, al punto che l’Assemblea Generale considerò l’opera di completamento del suo Statuto una “priority question”. 11

Nel 1994 la Commissione completò la bozza dello Statuto, e sottopose il progetto all’Assemblea, che nel Dicembre dello stesso anno istituì un Comitato ad hoc per la creazione di un Tribunale Penale Internazionale, il Preparatory Committee. Tale Comitato svolse, dal 1996 al 1998, diverse sessioni per preparare la Conferenza Diplomatica dei plenipotenziari dell’ONU relativa all’istituzione della Corte. In questo modo i rappresentanti dei governi e delle organizzazioni collegate ebbero l’opportunità di contribuire alla stesura del progetto di Statuto, in seguito negoziato durante la Conferenza. Infine, nella sua cinquantaduesima sessione, l’Assemblea Generale convocò la Conferenza diplomatica da tenersi

10 Il testo di entrambe le Risoluzioni ONU è reperibile al sito:

www.un.org/depts/dhl/landmark_sc/topical.htm

11 Cfr. LATTANZI, SCISO, Dai tribunali penali ad hoc ad una Corte permanente,

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a Roma il 17 Luglio 1998 al fine di concludere ed adottare una

Convenzione per la creazione di un Tribunale Penale Internazionale. A tale conferenza presero oltre 160 governi con

delegazioni di giuristi, organizzazioni governative e istituzioni specializzate. Nel Preambolo dello Statuto di Roma si evidenzia la necessità dell’istituzione della Corte per mettere fine all’impunità degli autori dei crimini di diritto internazionale che minacciano la pace, la sicurezza ed il benessere dell’umanità, sottolineando la sua funzione preventiva ed affermando il dovere di ogni Stato di esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti degli autori di tali delitti, rafforzando la cooperazione internazionale per garantire il rispetto e l’applicazione della giustizia sovranazionale.12

Il carattere permanente della Corte, la sua precostituzione rispetto ai crimini di cui è competente, il suo carattere universale non legato ad un ambito territoriale, rappresentano una garanzia contro i rischi di una giustizia selettiva, esercitabile solo nei confronti di alcuni autori e in determinati territori. La sua costituzione ha rappresentato un passo decisivo nell’evoluzione del diritto internazionale e, più specificamente, nella repressione dei crimini internazionali di individui. Lo Statuto di Roma è rimasto “aperto” alla firma degli

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Stati presso la sede dell’ONU a Roma fino al 31 Dicembre 2000; l’Italia ha provveduto a ratificare lo Statuto il 12 Luglio 1999, con la legge n. 232, ma non ha predisposto fin da subito le norme per dare concreta attuazione al trattato e per adeguare il nostro sistema al funzionamento della Corte per quanto concerne l’introduzione di alcune tipologie di reati; solo nel Dicembre 2012 con legge n. 237 ha garantito l'adeguamento del nostro ordinamento ai principi contenuti nello Statuto e la relativa operatività in territorio italiano della Corte Penale Internazionale, predisponendo gli strumenti per la collaborazione tra la nostra magistratura e gli uffici del Procuratore e dei giudici della Corte. 13

1.2 – I Tribunali Militari di Norimberga e di Tokyo;

critiche ad un modello di “giustizia dei vincitori sui

vinti”

Le barbarie ordinate e commesse durante la Seconda Guerra Mondiale dagli ufficiali del regime nazista indussero gli Stati

13Cfr. AMATI, La repressione dei crimini di guerra tra diritto internazionale e diritto

interno, in ILLUMINATI, STORTONI, VIRGILIO, Crimini internazionali tra diritto e giustizia, cit., pp.101 ss.

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vincitori ad istituire due tribunali militari speciali che provvedessero a giudicare e punire i maggiori criminali di guerra delle forze dell’Asse (nazisti e loro alleati), macchiatisi di crimini di guerra, crimini contro la pace e contro l’umanità: il Tribunale Internazionale Militare di Norimberga e il Tribunale Internazionale Militare per l’Estremo Oriente (ovvero, il Tribunale di Tokyo), costituiti rispettivamente l’8 Agosto 1945, per mezzo del Patto di Londra, e il 19 Gennaio 1946, ad opera di un’ordinanza speciale del generale statunitense Mc Arthur, in qualità di comandante supremo degli Alleati in Oriente e somma autorità delle forze militari occupanti. 14

Tra gli obiettivi che i due Tribunali ad hoc si proponevano di conseguire vi era indubbiamente quello di esercitare una funzione deterrente e punitiva, in modo, così, da dimostrare che azioni criminali di tale atrocità non sarebbero rimaste impunite. Essi rappresentarono senz’altro un punto di svolta nelle relazioni internazionali: tramite il superamento della Quarta Convenzione de’ L’Aja, che stabiliva che solamente gli Stati potevano essere chiamati a rispondere delle violazioni del diritto di guerra commesse

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dai loro militari, si affermò la responsabilità penale internazionale anche dell’individuo. 15

Il Processo di Norimberga è da molti considerato come il modello di riferimento per la giustizia penale internazionale, non solamente perché davanti ad esso, per la prima volta nella storia, vennero giudicati coloro che si erano resi responsabili di crimini internazionali, ma anche per le innovazioni ed i principi fondamentali che furono enunciati. A processo concluso, infatti, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì una Commissione per la promozione e lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione, che nel 1950 produsse una dichiarazione contenente i sette principi discendenti dal Tribunale di Norimberga: responsabilità personale, primato del diritto internazionale su quello nazionale, divieto di concedere immunità in base alla teoria degli “atti di sovranità”, divieto di concedere immunità sulla base di “ordini superiori”, diritto ad un equo processo, enunciazione e definizione dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità.

Da quel momento fu stabilito, dunque, che nessuna carica istituzionale avrebbe potuto proteggere una persona fisica dalle sue

15Il testo della Convenzione è reperibile all’indirizzo:

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responsabilità per i crimini internazionali da lui commessi, e che nessuno sarebbe stato ritenuto non colpevole di tali crimini solo perché si è limitato ad eseguire gli ordini impartiti dai suoi superiori. Tuttavia non mancarono le critiche nei confronti di tale tribunale, mosse anche da importanti giuristi dell’epoca come Hans Kelsen, rivolte verso alcune illegittimità e iniquità procedurali. Il primo profilo d’illegittimità del Tribunale riguardava la lesione del principio d’irretroattività della legge penale: infatti sia il crimine di aggressione, sia i crimini contro l’umanità erano stati “coniati” solo dopo la loro commissione; mancava, quindi, una norma che avesse preventivamente stabilito che tali fatti costituivano reato, e che avesse predeterminato le pene da applicare, con conseguente lesione del principio nullum crimen sine lege. La principale motivazione che i giudici del Tribunale addussero per negare la violazione di tale principio fu che gli imputati non potevano asserire di non percepire il carattere illegale delle loro azioni, e se anche tale principio fosse stato effettivamente violato sarebbe stato giustificato dallo stato di necessità. Un’altra questione rilevante riguarda il difetto di giurisdizione del Tribunale: infatti, gli organi composti da membri di diversi Stati si trovarono a giudicare un altro Stato, tramite l’imputazione delle sue istituzioni, senza che quest’ultimo fosse

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sottoposto alla loro autorità giurisdizionale. Tale questione fu però superata dall’idea che il Tribunale avesse agito come “organo della collettività internazionale”, investito delle sue funzioni per effetto sia di accordi tra gli Stati, sia della situazione instauratasi di fatto con la fine della guerra e legittimatasi mediante il consenso tra gli Stati, compresi quelli vinti che firmarono l’armistizio. Infine, il problema che ha mosso le critiche maggiori fu quello relativo alla non imparzialità del Tribunale: secondo molti giuristi, i responsabili delle atrocità naziste avrebbero dovuto essere giudicati da una corte internazionale terza e imparziale, composta da giudici di Paesi neutrali, e non da un tribunale che fondava la sua base legale su un patto firmato dalle sole forze vincitrici. Secondo lo stesso Kelsen, non doveva neanche definirsi tribunale “internazionale”, perché era rappresentativo solo di alcuni Stati, e non di tutta la comunità internazionale; inoltre, era ritenuto inammissibile il fatto che i Paesi vincitori, resisi responsabili di crimini altrettanto gravi, quali i bombardamenti delle città di Hiroshima e Nagasaki ad opera degli Stati Uniti e gli stupri di massa delle donne tedesche compiuti dai militari dell’Unione Sovietica, si ergessero a paladini della morale internazionale.

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Anche alcuni diritti soggettivi degli imputati si ritennero violati, principalmente a causa della generale presunzione di colpevolezza

degli imputati che anticipava e rendeva puramente spettacolare il giudizio penale. 16

Infine, i diritti degli imputati furono ritenuti violati anche sotto il profilo delle pene applicate: l’aspetto rieducativo della sanzione veniva totalmente annullato, in quanto alla maggior parte dei condannati fu applicata la pena di morte.

Le inosservanze di alcuni tra i più importanti principi giuridici in fatto di processi furono giustificate da esigenze e ragioni di carattere politico, in forza delle quali si riteneva necessario e quanto mai doveroso assicurare alla giustizia i principali responsabili delle efferatezze compiute precedentemente e contestualmente allo sviluppo del secondo conflitto bellico mondiale, anche e soprattutto per mezzo della pena capitale. Tra le forze vincitrici non vi fu, però, subito un accordo circa il modo migliore per giudicare i vinti; l’Inghilterra di Churchill riteneva che fosse sufficiente l’operato delle corti marziali, l’Unione Sovietica propose di procedere a esecuzione sommaria dei principali responsabili, mentre gli Stati Uniti promossero l’istituzione di un organo giudicante ad hoc, per

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produrre un effetto deterrente e dissuasivo in ottica futura; fu proprio quest’ultima, al termine delle dissertazioni, la linea processuale perseguita dalle forze alleate. 17

Inizialmente fu costituita una Commissione quale organo intergovernativo avente come scopo la ricerca delle prove di crimini di guerra, e successivamente fu istituito il Tribunale; gli Alleati incontrarono, però, ingenti difficoltà nella redazione del suo Statuto, poiché provenivano da tradizioni giuridiche diverse: il rito processuale anglosassone era di tipo accusatorio e fondato sul sistema di Common Law, la Francia apparteneva al sistema di Civil

Law, mentre l’Unione Sovietica aveva un proprio sistema di

giustizia socialista. Il risultato fu la realizzazione di un iter processuale misto.

Davanti al Tribunale le accuse venivano promosse da quattro diversi gruppi, rappresentativi dei quattro Stati firmatari del Patto di Londra; secondo l’articolo 15 dello Statuto del Tribunale di Norimberga, il compito dell’accusa era quello di ricercare, riunire e

presentare tutte le prove necessarie, prima e durante il processo.18

17 Cfr. DE ZAYAS, Il processo di Norimberga davanti al Tribunale Militare

Internazionale, in DEMANDT, Processare il nemico. Da Socrate a Norimberga,

Einaudi, Torino, p.103

18Il testo dello Statuto del Tribunale di Norimberga è reperibile all’indirizzo:

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Ogni gruppo aveva il compito di stilare un programma di lavoro, all’interno del quale avrebbero dovuto indicare i nomi degli imputati da condurre davanti al Tribunale, e di redigere delle regole di procedura, che il Tribunale avrebbe dovuto approvare.

La Commissione istitutiva del Tribunale per l’Estremo Oriente (ovvero, il Tribunale di Tokyo) fu, invece, costituita a Mosca nel Dicembre del 1945 per volere specifico dell’Unione Sovietica, la quale intendeva ottenere un ruolo prioritario nell’adozione delle decisioni riguardanti il futuro del Giappone; tale Commissione non ricoprì solamente la funzione giuridica di condurre le indagini sui crimini di guerra compiuti in Estremo Oriente, ma svolse anche un ruolo politico, poiché si occupò di dirigere il processo di occupazione del Giappone. Davanti ad entrambi i Tribunali, l’organo d’accusa non era indipendente dai governi degli Stati che componevano le forze alleate, bensì agiva in loro nome ed era formalmente responsabile di fronte al proprio Presidente.

Gli imputati condotti a giudizio dinanzi al Tribunale di Norimberga furono 24, mentre quelli del Tribunale di Tokyo furono 28; si trattava di un numero piuttosto ristretto, che evidenziava l’opera di selezione drastica compiuta dalle rispettive Commissioni. Tale attività selettiva non si fondava su alcuna norma, e non venne

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accompagnata da un’esplicazione dei criteri di procedura seguiti: non era stato raggiunto, infatti, alcun accordo circa i principi che l’accusa avrebbe dovuto rispettare nel condurre l’attività di selezione degli imputati. 19 Secondo la procedura seguita da

entrambi i Tribunali, era sufficiente che vi fosse un atto d’imputazione a carico di un soggetto affinché questo potesse essere giudicato; non era, infatti, previsto alcun “filtro”, come, ad esempio, l’udienza preliminare nel processo penale italiano, per verificare la fondatezza del capo d’accusa e la sufficienza degli elementi di prova che motivavano il rinvio a giudizio dell’accusato. Inoltre, l’atto d’accusa, una volta depositato, non poteva essere modificato senza un previo accordo dei giudici, e il procuratore aveva la facoltà di interrompere discrezionalmente l’attività d’indagine nei confronti di un sospettato, in quanto non c’era alcuna indicazione esplicita in merito negli Statuti di entrambi i Tribunali. Tali stringenti regole processuali esprimono chiaramente la volontà delle potenze alleate di utilizzare i due Tribunali per scopi principalmente politici: gli organi d’accusa si occuparono esclusivamente di inchieste che coinvolgevano i responsabili appartenenti agli Stati dell’Asse

19Così BASSIOUNI, International Criminal Law. A Draft International Criminal

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“Roma-Berlino-Tokyo”, mentre non fu mai convocato davanti all’accusa nessun membro delle forze alleate.

I due Tribunali si caratterizzavano, dunque, per il fatto di disporre di un’autorità penale esclusiva e sovraordinata rispetto alla giustizia penale nazionale, di operare essenzialmente nei Paesi dei cui cittadini si trattava, e di giudicare gli accusati direttamente disponendo di accesso diretto alle prove, secondo un modello di

direct enforcement. 20 Le incongruenze procedurali e l’idea

dell’utilizzo della giustizia da parte dei vincitori nei confronti dei vinti ha notevolmente compromesso la credibilità dell’operato di queste due corti.

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CAPITOLO 2 – L’INTRODUZIONE DELLA

FIGURA DEL “PROSECUTOR”

NEI

TRIBUNALI INTERNAZIONALI PER LA EX –

JUGOSLAVIA E PER IL RUANDA

2.1 - Continuità e differenze rispetto ai Tribunali

Militari del dopoguerra

Nell’occasione della costituzione dei tribunali ad hoc per la ex – Jugoslavia e il Ruanda, le Nazioni Unite hanno agito con modalità eccezionali, in quanto per la prima volta sono state interpretate in senso innovativo le disposizioni della Carta dell’ONU relative al Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace, fino a ricomprendervi il potere di dare vita ad un organo giurisdizionale internazionale. In questo modo è stata superata la rigida concezione della “sovranità degli Stati” per effetto del trasferimento ad un organo sovranazionale di una parte della potestà punitiva statuale.

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Gli Statuti dei due Tribunali indicano tra i crimini da perseguire quelli già considerati dai Trattati internazionali in materia, disciplinando espressamente il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (ratione materiae), e stabiliscono la competenza dei Tribunali nei confronti delle persone fisiche (ratione personae) che abbiano commesso crimini in determinati periodi (ratione temporis). 21 Essi rispecchiano, inoltre, i più alti

standard di tutela dei diritti umani, delle garanzie di difesa e di un processo equo ed imparziale; è stato, infatti, superato il carattere punitivo stabilito dai vincitori sui vinti proprio dei Tribunali di Norimberga e di Tokyo, oggetto di forti critiche relative alla violazione dei principi di nullum crimen sine lege e nulla poena sine

lege.

Come i Tribunali di Norimberga e di Tokyo, anche quelli per la ex – Jugoslavia e per il Ruanda sono organi giudiziari istituiti post facto ed extra ordinem, cioè a seguito della commissione dei crimini di cui si occupano e aventi carattere eccezionale; ma rispetto ai primi costituiscono un importante evoluzione in termini di garanzie processuali e si caratterizzano per maggiore imparzialità e maggiore indipendenza, in quanto sono tribunali istituiti dall’intera comunità

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internazionale per mezzo dell’ONU, e non dagli Stati vincitori del conflitto in cui erano coinvolti (come, appunto, i Tribunali del dopoguerra). I giudici che ne fanno parte provengono da Paesi di ogni continente e non sono vincolati alle norme del diritto “interno”, né per quanto concerne l’attività processuale, né per quanto riguarda la sua giurisdizione. Proprio in riferimento a quest’ultima, mentre i Tribunali di Norimberga e di Tokyo avevano giurisdizione esclusivamente su crimini commessi durante un conflitto armato internazionale, i Tribunali per l’ex – Jugoslavia e per il Ruanda esercitano la loro potestà giudiziale anche per i crimini commessi nell’ambito di una guerra civile, ovvero un conflitto meramente interno ad un determinato Stato. 22

Dal punto di vista delle garanzie a tutela dell’imputato non sono consentiti processi in contumacia, non è possibile applicare la pena di morte e gli imputati possono presentare mozioni nei confronti della giurisdizione del Tribunale; per quanto riguarda l’esercizio dell’azione penale, essa è fondata sul principio essenziale di indipendenza del Procuratore e sulla sua facoltà di esercitare

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liberamente l’azione, anche su iniziativa di singoli individui ed entità non governative. 23

Infine, a differenza di quanto era accaduto per i processi di Norimberga e Tokyo, nel caso dei Tribunali per ex- Jugoslavia e Ruanda non c’è stata alcuna violazione del principio nulla poena

sine praevia lege poenali, poiché i crimini commessi nei due Paesi

erano già stati oggetto di previsione esplicita da parte di trattati internazionali come Convenzione sul genocidio del 1948 e la Convenzione di Ginevra del 1949; è stata, però, rinvenuta una violazione del principio di irretroattività della giurisdizione, in quanto il Tribunale per la ex – Jugoslavia beneficia di una priorità giurisdizionale rispetto ai tribunali interni degli Stati formatisi in seguito alla disgregazione della Repubblica Federale di Jugoslavia ed ha competenza sui fatti accaduti a partire dal Gennaio 1991, data piuttosto anteriore rispetto a quella dell’istituzione del Tribunale. 24

23 Cfr. CARELLA, Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, in

PICONE, Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, Padova, 1995, pp. 501 ss.

(27)

2.2 – L’istituzione del Tribunale per la ex - Jugoslavia

La decisione di istituire un tribunale internazionale per i crimini commessi nell’ex – Jugoslavia rappresenta il punto d’arrivo di una serie di misure adottate a partire dal Settembre del 1991 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per far cessare gli episodi di violazione dei diritti umani perpetrati nell’ambito della logorante guerra civile che si era scatenata nelle regioni balcaniche. Per effetto dell’emanazione della Risoluzione n. 827/1993 25, il

Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite decise di sottoporre a giudizio i responsabili delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse fin dal 1991; la decisione fu adottata all’unanimità nonostante le obiezioni mosse dal governo della Repubblica Federale di Jugoslavia e ad essa fu allegato lo Statuto del Tribunale, redatto dal Segretario Generale ONU, incoraggiato dal Consiglio a provvedere d’urgenza alle disposizioni pratiche per rendere concretamente funzionante il Tribunale nel più breve tempo possibile. Una simile urgenza e il carattere delicato di tale iniziativa risultano chiari nello stesso Preambolo dello Statuto del Tribunale, dove il Consiglio di Sicurezza esprime il suo grave

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allarme per i continui rapporti delle diffuse e flagranti violazioni della legge umanitaria internazionale che accadono all’interno del territorio della ex – Jugoslavia, e particolarmente nella Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, includendo i rapporti delle uccisioni di massa, di violenza massiccia, organizzata e sistematica sulle donne e di continuazione della pratica di ‘pulizia etnica’ (…) ed è convinto

che l’istituzione di un Tribunale internazionale contribuirebbe a

ripristinare la pace e ad assicurare che tali violazioni siano cessate ed efficacemente smascherate. 26

Tuttavia, nonostante tali motivazioni, la costituzione del Tribunale per la ex – Jugoslavia è stata oggetto di critiche in merito alla legittimità della sua istituzione. Il Consiglio di Sicurezza, come indicato nel testo della Risoluzione n. 827/1993, decise di agire in base ai principi di cui al Capo VII della Carta ONU: 27 secondo

quanto prevede l’articolo 24, comma 1 di tale Carta, i membri conferiscono al Consiglio la responsabilità principale del

mantenimento della pace e della sicurezza internazionale,

riconoscendo che nell’adempimento delle funzioni connesse a tale

responsabilità il Consiglio di Sicurezza agisce in loro nome;

26 Lo Statuto del Tribunale per l’ex – Jugoslavia è reperibile al sito: www.un.org/icty 27 Il testo della Carta delle Nazioni Unite è reperibile al sito:

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l’articolo 39 prevede che il Consiglio di Sicurezza, accertata

l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto d’aggressione, può fare raccomandazione oppure decide quali misure devono essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, ed

è proprio in base a questo potere riconosciuto dalla Carta ONU che il Consiglio di Sicurezza ritenne di avere il potere di costituire una corte internazionale ad hoc, considerando tale situazione pienamente rientrante tra quelle disciplinate dagli articoli 41 e 42 della Carta. In particolare, il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, che non prevedano l’impiego della forza armata, possono essere adottate per dare efficacia alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, o telegrafiche, e la rottura delle relazioni diplomatiche. Inoltre, se il Consiglio ritiene che le misure previste dall’art. 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, può intraprendere con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che ritiene necessaria a mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi

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ed altre operazioni tramite l’impiego di forze aeree, navali o terrestri di membri delle Nazioni Unite.

I critici hanno sottolineato che in realtà non è rinvenibile alcuna giustificazione plausibile per la costituzione di una corte internazionale ad hoc su crimini contro l’umanità da parte del Consiglio di Sicurezza, lamentando l’applicazione di uno ius

puniendi che fuoriesce dai poteri attribuiti alle Nazioni Unite e ai

loro organi. 28 Tuttavia, nonostante le opinioni negative di una

schiera di giuristi e studiosi di diritto, il Tribunale per la ex – Jugoslavia rappresenta indubbiamente una rilevante evoluzione del modello giurisdizionale di Norimberga, e la sua giurisprudenza costituisce una fondamentale tutela verso i crimini internazionali commessi da singoli individui.

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2.3 - L’istituzione del Tribunale per il Ruanda;

composizione ed esercizio dell’azione penale

L’istituzione del Tribunale per i crimini internazionali commessi in Ruanda e Stati limitrofi era stata sostenuta da una commissione di esperti nominata dal Segretario Generale ONU a seguito della Risoluzione n. 955/1994 del Consiglio di Sicurezza; 29 essa rilevò

l’esistenza di crimini contro l’umanità e violazioni del diritto internazionale umanitario commessi da individui di entrambe le fazioni in guerra, gli Hutu e i Tutsi, mentre i crimini di genocidio erano stati commessi solo da soggetti appartenenti all’etnia Hutu. Il Tribunale fu investito della capacità di giudicare i responsabili dei fatti delittuosi compiuti tra il 1 Gennaio e il 31 Dicembre del 1994, ed allo stesso modo della Risoluzione anche lo Statuto del Tribunale ripropone nella sostanza lo Statuto del Tribunale per la ex – Jugoslavia. La sola differenza di rilievo tra i due testi è la diversa elencazione dei crimini di competenza del Tribunale: nello Statuto del Tribunale del Ruanda, infatti, viene attribuita rilevanza principale al crimine di genocidio, rispetto alle violazioni delle leggi

29U.N. Doc. S/1994/1125 del 1994, reperibile al sito:

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e degli usi di guerra, per rimarcare il carattere “interno” del conflitto africano. 30

Diversamente da quanto accaduto nell’ex – Jugoslavia, è stato lo stesso governo del Ruanda a sollecitare l’istituzione di un tribunale internazionale, a causa del quasi totale disinteresse da parte di tutti gli Stati. Le motivazioni poste a fondamento della richiesta del governo furono molteplici; in primo luogo, la volontà di dare al Tribunale una configurazione imparziale tramite il coinvolgimento di tutta la comunità internazionale, scongiurando così un’idea di giustizia dei vincitori sui vinti; inoltre, risultava più semplice per un organismo internazionale, rispetto ad un tribunale interno, arrestare criminali fuggiti fuori dai confini del Ruanda; infine, il governo ritenne che la repressione delle atrocità promossa da un tribunale sovranazionale ne avrebbe ampliato la portata criminogena, cosicché tali crimini non avrebbero riguardato solo il Ruanda, ma sarebbero stati concepiti come offese all’intera comunità internazionale, in quanto “crimini contro l’umanità”.

Nonostante la sollecitazione del governo ruandese per l’istituzione del Tribunale, l’unico membro del Consiglio di Sicurezza che

30 Per le ragioni e lo sviluppo del conflitto in Ruanda cfr. MAGNARELLA, Justice in

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espresse parere negativo verso la proposta di Statuto del Tribunale da parte del Segretario Generale ONU fu proprio il Ruanda, che formulò tre obiezioni, richiedendo: che lo Statuto prevedesse come massima sanzione la pena di morte; un ampliamento della giurisdizione ratione temporis, tale da ricomprendere tutti i fatti di violenza occorsi dal 1990 e non solo quelli compiuti nel 1994; che la sede del Tribunale fosse stabilita in Ruanda invece che ad Arusha (Tanzania). Il Consiglio non assecondò nessuna di tali richieste, ma se dapprima il Presidente ruandese Bizimungu criticò l’operato dell’ONU, in un secondo tempo accettò di cooperare, rendendosi conto del fatto che solo il Tribunale Internazionale sarebbe stato capace di sottoporre a giudizio i maggiori responsabili del genocidio, perché molti di loro erano fuggiti all’estero e in Ruanda mancava una disciplina sull’estradizione. L’obiettivo del nuovo governo era quello di fare in modo che l’istituzione del Tribunale producesse un effetto deterrente verso il popolo ruandese, mentre l’auspicio di tutta la comunità internazionale era quello di poter trasmettere un messaggio importante al mondo intero circa la certezza della punibilità degli efferati atti di genocidio.31

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Il modello procedurale del Tribunale per il Ruanda è formalmente lo stesso del Tribunale per la ex – Jugoslavia, così come sono analoghe ed uniformi le strategie inquisitorie di entrambi; addirittura, fino all’anno 2003 esisteva un solo ufficio del Procuratore per tutti e due i Tribunali, e tutt’ora le Camere d’appello del Tribunale per la ex – Jugoslavia svolgono la stessa funzione anche per i casi condotti davanti al Tribunale per il Ruanda. 32 L’esigenza di garantire una

certa uniformità nell’applicazione del diritto per identità di crimini internazionali e la necessità di economizzare sulle limitate risorse disponibili hanno ispirato la decisione di far coincidere lo stesso organo responsabile per l’accusa per entrambi i Tribunali.

Il Tribunale si compone di due Camere di prima istanza, ciascuna formata da tre giudici, una Camera d’Appello, formata da cinque giudici, e l’ufficio del Procuratore; l’elezione dei giudici spetta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite secondo un criterio di equa distribuzione geografica, mentre il Procuratore è nominato dal Consiglio di Sicurezza.

Ha una competenza limitata a livello temporale (ratione temporis), in quanto può occuparsi solo dei fatti accaduti nell’anno 1994, territoriale (ratione loci), riguardante i delitti commessi in Ruanda e

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negli Stati limitrofi, personale (ratione personae), poiché può processare solo individui e non anche persone giuridiche o Stati, ed oggettiva (ratione materiae), per cui gli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto disciplinano la competenza del Tribunale rispettivamente per il crimine di genocidio, per i crimini contro l’umanità (tra cui: riduzione in schiavitù, deportazione, tortura, persecuzione per ragioni discriminatorie) e per i crimini di guerra, identificati nella violazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949. 33

Per quanto concerne la procedura, essa si sviluppa in modo pressoché identico a quella stabilita per il Tribunale per la ex – Jugoslavia; l’azione penale viene esercitata solo dal Procuratore, il quale ha il compito di presentare un atto d’accusa con indicazione delle indagini svolte in collaborazione con il Procuratore aggiunto. Tale accusa deve essere confermata da un giudice designato dal tribunale; nel caso in cui l’imputazione risulti fondata si procede alla ricerca dell’imputato ed al suo arresto. La Cancelleria provvede a trasmettere l’avviso di cattura alle autorità nazionali dello Stato che ha giurisdizione verso l’accusato, le quali provvedono a trasferire lo stesso nel luogo indicato dal Presidente del tribunale per la sua detenzione. Se le autorità nazionali non sono in grado di dare corso

33 In particolare, la violazione dell’art. 3 comune a tutte e quattro le Convenzioni del

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all’arresto, la Camera Preliminare può emanare un mandato internazionale d’arresto, da trasmettere a tutti gli Stati. A seguito dell’arresto, l’accusato viene portato davanti ad una delle due Camere di prima istanza per essere accusato formalmente, in modo da poter conoscere dettagliatamente l’atto d’accusa per organizzare la propria difesa. A questo punto la corte invita l’accusato a dichiararsi colpevole o non colpevole; in caso di ammissione di colpevolezza, il reato non viene derubricato, ma tale confessione viene considerata come attenuante nell’applicazione della relativa pena: si tratta della procedura del guilty plea, prevista e disciplinata anche nell’ambito dell’altro Tribunale ad hoc; se invece l’accusato si dichiara non colpevole, la Cancelleria fissa la data dell’udienza, ed il giudizio di primo grado si sviluppa in modo identico al Tribunale per la ex – Jugoslavia. La deliberazione della Camera Preliminare avviene a porte chiuse e a maggioranza, con motivazione allegata; entro 30 giorni dalla sua pronuncia le possono impugnare la sentenza. Il procedimento d’appello si svolge in modo analogo a quello di primo grado, e la sentenza che viene emessa, con cui il giudice conferma, annulla o modifica la decisione di

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primo grado impugnata, è definitiva e non ulteriormente impugnabile. 34

La disciplina delle pene applicabili è affidata all’articolo 23 dello Statuto, il quale, però, è carente di previsioni specifiche e rimanda semplicemente alla prassi applicata dai tribunali nazionali del Ruanda, per rispettare il principio del nulla poena sine lege; si tratta di previsione meramente indicativa e non vincolante, dato che la legislazione ruandese prevede l’applicazione della pena di morte, mentre il Tribunale prevede come massima sanzione l’ergastolo. Inoltre, anche nei processi di fronte al Tribunale per il Ruanda non è prevista l’eventualità di processare un imputato in contumacia, e viene garantito il principio del ne bis in idem.

2.4 - La prima esperienza della figura del Procuratore

nello Statuto del Tribunale per la ex - Jugoslavia

Il Tribunale, secondo l’articolo 11 dello Statuto, si compone di un collegio giudicante, formato da undici giudici divisi nelle due Camere di primo grado (sei) e nella Camera d’appello (cinque),

34 La disciplina dei motivi d’impugnazione è affidata all’art. 24 dello Statuto: “a) errore

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dall’Ufficio del Procuratore (Prosecutor) e dalla Cancelleria. Le disposizioni che regolano l’attività processuale del Tribunale si basano su una concezione accusatoria del processo, con apertura ad elementi propri della tradizione inquisitoria, come lo spazio si manovra riservato ai giudici. Il collegio giudicante provvede a nominare al suo interno un Presidente, un vice – Presidente e i Presidenti di entrambe le Camere.

A differenza dei Tribunali Militari di Norimberga e di Tokyo, il Tribunale per la ex – Jugoslavia necessita della collaborazione degli Stati per il suo funzionamento, perché diversamente dai due Tribunali del dopoguerra, i maggiori indiziati come responsabili di crimini internazionali non facevano parte della schiera dei “vinti”, bensì facevano parte dei negoziatori che avrebbero dovuto contribuire ad una soluzione politica del conflitto. Per questo motivo, molti indiziati si trovano tuttora sotto la protezione di autorità politiche o militari che non intendono consegnarli agli organi di giustizia internazionale. Gli Stati sono, dunque, chiamati a collaborare con il Tribunale nell’esecuzione delle indagini e nel perseguimento degli accusati, e devono dare esecuzione senza ritardo alle richieste d’assistenza delle camere di primo grado.

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La corte è innanzitutto competente per materia (ratione materiae) verso: crimini di guerra (art. 2 e art. 3 Statuto), ovvero le violazioni delle leggi e degli usi che regolano la conduzione delle ostilità durante i conflitti armati interni ed internazionali; genocidio (art. 4 Statuto), crimine che rientra nella categoria generale dei crimini contro l’umanità, ma che se ne distingue per il carattere di “dolo specifico”, cioè per la particolare finalità di eliminare, in tutto o in parte, un determinato gruppo etnico, linguistico o religioso, ma che può essere promosso anche verso una sola persona, purché sia evidente il fatto che la violenza nei suoi confronti sia motivata proprio dalla sua appartenenza ad un certo gruppo; crimini contro l’umanità (art. 5 Statuto), punibili solo se commessi durante un conflitto internazionale o interno contro vittime civili e pianificati in modo omogeneo e non episodico. 35

Per quanto riguarda la competenza verso i soggetti (ratione

personae), l’articolo 7 dello Statuto disciplina l’autorità del

Tribunale nei confronti di: responsabili politici, ovvero i capi di Stato e gli alti funzionari che abbiano violato le leggi di guerra per scopi politici, pianificando, incoraggiando o incitando la commissione dei crimini puniti dal Tribunale; superiori gerarchici

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militari e autorità civili che abbiano ordinato ai loro subordinati la commissione di atti criminosi, o che essendo venuti a conoscenza della loro commissione non hanno provveduto a punirli; semplici esecutori, cioè coloro che hanno materialmente compiuto il fatto criminoso: essi non possono giustificarsi semplicemente dichiarando di non essersi potuti sottrarre ad ordini superiori; è compito del giudice valutare caso per caso se tale rivendicazione può costituire un’attenuante o addirittura una circostanza esimente. Inoltre, non possono essere condotte dinanzi al Tribunale né le persone giuridiche, né le organizzazioni internazionali, né gli Stati, poiché solo gli individui sono passibili di processo in ossequio al principio di responsabilità penale individuale in ambito di diritto internazionale umanitario.

La procedura dinanzi al Tribunale si sviluppa secondo le disposizioni dello Statuto e del Regolamento di procedura e di

prova. La prima fase del processo è rappresentata dall’attività

d’indagine svolta dal Procuratore, al quale spetta l’esercizio dell’azione penale (art. 16 Statuto). Le indagini vengono avviate ogni volta che il Procuratore ritiene che le informazioni in suo possesso, ottenibili da governi, organizzazioni non governative e singoli individui, costituiscano una buona base per procedere; la

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persona oggetto delle indagini viene identificata come “sospettato”. La seconda fase è detta “pre – processuale”, e consiste nella preparazione dell’atto d’accusa da parte del procuratore quando ritenga che le indagini abbiano prodotto elementi sufficienti per procedere in giudizio; l’atto d’accusa viene inviato al giudice di prima istanza che, se lo ritiene fondato, lo conferma e lo rende pubblico, avviando così la fase processuale. Per effetto della conferma dell’accusa, il sospettato assume la qualifica di “accusato”, e nei suoi confronti il giudice può emettere un mandato d’arresto ed ogni altro provvedimento necessario per procedere in giudizio; 36 se il tribunale non è in grado di assicurare la presenza

dell’accusato, ad esempio a causa della mancata collaborazione di uno Stato nell’eseguire il mandato d’arresto, il giudice può consentire la presentazione in udienza preliminare delle prove a carico dell’accusato che, se ritenute sufficienti, legittimano l’emissione di un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti. La terza fase prevede la lettura dei capi d’accusa alle parti e la sollecitazione del giudice all’accusato di presentare una dichiarazione d’innocenza o di colpevolezza; nel primo caso viene

36 Tra i principali provvedimenti vi sono: ordinanze di custodia cautelare, ordinanze di

rilascio ed ordinanze di trasferimento, quando il Tribunale decide di avvalersi della facoltà prevista dall’art. 9 dello Statuto richiedendo che il procedimento già in corso in uno Stato venga trasferito presso di sé.

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fissata la data per la prima udienza, nel secondo caso si supera la fase processuale e viene decisa la data per l’udienza preliminare alla sentenza; sempre in questa fase si procede alla disclosure, ovvero il momento in cui ciascuna parte rivela all’altra il materiale probatorio rilevante. Nella quarta fase si realizza il processo vero e proprio: esaurita l’attività di acquisizione delle prove, il giudice di primo grado dichiara conclusa l’udienza e si ritira in privato per decidere la sentenza che accerta l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato; in un secondo momento il Tribunale provvede a definire la pena, il cui massimo grado è rappresentato dall’ergastolo. La quinta fase identifica, infine, il giudizio di secondo grado (art. 25 Statuto) nel caso in cui venga fatto appello alla sentenza sulla base di un errore di diritto o di fatto.

2.5 - Il ruolo “monopolista” del Procuratore

nell’esercizio dell’azione penale

L’azione penale nel Tribunale per la ex – Jugoslavia viene condotta in maniera esclusiva dal Procuratore, definito vero e proprio “monopolista” dell’azione; egli provvede ad aprire un’inchiesta in

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base a notizie provenienti da fonti esterne o d’ufficio. Le norme dello Statuto e del Regolamento di procedura e di prova che ne disciplinano l’attività sono, però, piuttosto stringate ed essenziali. L’articolo 16, comma 1, dello Statuto definisce il Procuratore il

responsabile delle indagini e dell’accusa durante il giudizio nei confronti delle persone responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio della ex – Jugoslavia dal 1 Gennaio 1991. Si tratta di un organo indipendente

nel Tribunale e, secondo il comma 2 dello stesso articolo, agisce in

condizioni di piena indipendenza, come organo separato del Tribunale internazionale; non solleciterà né riceverà istruzioni da alcun governo o da qualunque altra fonte. Inoltre, per ricoprire tale

carica sono richiesti i requisiti di elevata moralità e competenza

notoria, nonché una forte esperienza nell’esercizio delle funzioni di

pubblica accusa nel processo penale. Trattasi, perciò, delle stesse caratteristiche che devono possedere i soggetti che, nei loro paesi, aspirano ad accedere alle più importanti cariche giudiziarie. 37

La nomina del Procuratore è strettamente connessa con il requisito di indipendenza che lo caratterizza, disciplinato dal suddetto comma 2 dell’articolo 16. Tale disposizione disciplina l’indipendenza sotto

37 Cfr. VASSALLI, Il tribunale penale internazionale per i crimini commessi nei

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un duplice profilo, quello interno e quello esterno. Il primo identifica l’autonomia del Procuratore rispetto ad elementi esterni, per cui il Procuratore ed i membri del suo Ufficio non possono accedere alle aree riservate agli organi giudicanti, e viceversa. 38

Il secondo riguarda i rapporti tra l’Ufficio del Procuratore e il Consiglio di Sicurezza, ovvero l’organo che ha il compito di nominare il Prosecutor su proposta del Segretario Generale: non sono, infatti, previsti controlli formali sull’attività dell’accusa, e nemmeno la possibilità di revocare il Procuratore; tale previsione garantisce indubbiamente una forte indipendenza anche verso l’organo da cui il Procuratore è nominato. Il Consiglio di Sicurezza può impartire delle direttive al Procuratore, ma non ha poteri diretti per revocarlo.

La sede centrale dell’Ufficio del Prosecutor è a L’Aja, ma nel corso degli anni sono stati aperti uffici di collaborazione anche a Zagabria, Sarajevo, Belgrado e Banja Luka, i quali hanno avuto il compito di fornire agli investigatori locali un sostegno logistico, e di facilitare il trasferimento dei testimoni alla sede centrale.

Tra i soggetti che a partire dal 1993 si sono avvicendati nel ruolo di

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ricoprì la carica dall’Ottobre del 1996 al Giugno del 1999; la sua importanza deriva dalla sua capacità di conferire al Tribunale una chiara e rilevante impronta di politica criminale, in linea con l’indipendenza di cui gode la figura del Procuratore. 39 Sotto la

direzione della Arbour, per la prima volta l’Ufficio del Procuratore predispose atti d’accusa tra loro collegati, tramite i quali fu possibile procedere contemporaneamente contro più persone, con il vantaggio di rendere più rapido il lavoro del Tribunale e di valutare meglio gli eventi collettivi, per consentire dapprima l’individuazione dei rapporti gerarchici e per poi risalire alle responsabilità individuali; le ipotesi di responsabilità collettiva non sarebbero ricomprese, difatti, nella competenza del Tribunale. In seguito ha proseguito l ‘opera di ottimizzazione delle risorse del Tribunale e di deflazione dei processi concentrando le indagini e la raccolta di informazioni unicamente verso sospettati di un certo rilievo; un esempio di tale alleggerimento del carico processuale è stata la richiesta di ritiro dell’accusa nei confronti di 14 persone, motivata non dalla carenza di prove, ma dalla volontà del Procuratore di concentrare l’attività d’indagine verso i superiori gerarchici, soprattutto verso i principali esponenti della Repubblica Federale di Jugoslavia. Una simile

39 V. ZAPPALA’, La giustizia penale internazionale, Bologna, Il Mulino, 2005,

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politica criminale condusse alla messa in stato d’accusa dell’ex – Presidente serbo Slobodan Milosevic nel Maggio del 1998, frutto delle indagini del Procuratore Arbour sui crimini commessi nella regione del Kosovo. 40

Una volta compiuta l’attività d’indagine, il Procuratore deve decidere se esercitare o meno l’azione penale; nella prima ipotesi, cioè nel caso in cui le indagini abbiano fornito elementi di prova sufficienti per sostenere che un sospettato abbia commesso un’infrazione propria della competenza del Tribunale, egli formula un atto d’accusa (indictment) che viene inoltrato ad un giudice della Camera Preliminare, al quale è affidato il compito di esaminare e, eventualmente, confermare l’atto d’accusa. Nel corso dell’udienza di convalida il giudice può richiedere al Procuratore di fornire ulteriori elementi a sostegno dell’accusa, rinviando eventualmente la propria decisione per consentirgli di apportare le modifiche necessarie all’indictment. Una volta convalidato, l’indictment viene comunicato all’imputato in una lingua a lui comprensibile e viene reso pubblico.

40 Cfr. sul punto ASCENSIO, MASON, L’activitè des Tribunaux penaux

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Lo Statuto non impone al Procuratore un obbligo di procedere all’azione penale di fronte a qualunque notitia criminis: l’articolo 18 della versione francese dello Statuto parla espressamente di “opportunità” di dare corso all’azione, evidenziando il carattere di discrezionalità che connota tale organo. Inoltre, l’azione penale nei Tribunali ad hoc è ritrattabile. Nel periodo compreso tra la convalida dell’atto d’accusa e la comparizione dell’accusato di fronte alla Camera Preliminare, per ritirare l’atto d’accusa è necessaria un’autorizzazione del giudice che ha in precedenza confermato l’atto, mentre dopo la comparizione l’atto può essere ritirato tramite un’apposita richiesta alla Camera davanti alla quale il procedimento è stato avviato. Generalmente il controllo del giudice circa la richiesta di ritiro dell’accusa asseconda sempre il Procuratore, a conferma di una consolidata libertà d’azione accordata all’accusa nei Tribunali di cui si tratta; ma ciò non esclude, per altro verso, che il Procuratore sia obbligato ad avviare le indagini nel caso in cui riceva informazioni pertinenti circa un crimine di sua competenza provenienti da fonti esterne, a dimostrazione di una certa attenuazione del carattere di discrezionalità dell’azione.

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La verifica dell’indictment da parte della Camera Preliminare rappresenta l’unica forma di controllo sull’attività del Procuratore da parte di altri organi del Tribunale ad hoc, ma la necessità che il

Prosecutor provveda ad enunciare in modo chiaro le contestazioni

che intende muovere all’accusato e ad esporre in modo conciso i fatti oggetto dell’accusa (statements of case) contribuiscono a realizzare una sorta di “discrezionalità controllata”, per evitare che la discrezionalità dell’organo d’accusa degeneri in mero arbitrio garantendo, comunque, la necessaria elasticità alla sua azione. 41

Gli statements of case permettono l’individuazione dell’oggetto del processo e costituiscono un presupposto importante per l’instaurazione del contraddittorio: attraverso la conoscenza dei capi d’accusa, la difesa viene, infatti, messa nelle condizioni di preparare la sua linea difensiva, con la possibilità di dare un preciso indirizzo alla propria attività di ricerca probatoria. In seguito all’eventuale conferma dell’atto d’accusa, in occasione dell’udienza di prima comparizione dell’imputato, si svolge la fase della disclosure, ovvero la reciproca comunicazione di tutto il materiale probatorio raccolto rispettivamente dal Prosecutor e dalla difesa.

41 Cfr. sul punto BERGSMO, CISSE’, STAKER, Le procureurs des Tribunaux

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La procedura dinanzi al Tribunale successiva alla conferma dell’atto d’accusa si sviluppa in due fasi, quella del giudizio e quella dell’emissione della sentenza. In particolare, la prima fase può anche non avere luogo nel caso in cui l’imputato ammetta la propria colpevolezza, o durante l’udienza di prima comparizione o nel corso del dibattimento. Questa eventualità è identificata con il nome di

guilty plea, istituto processuale di derivazione anglosassone da

ricomprendere nell’ambito della c. d. “giustizia negoziata”; la diffusione di tale istituto nell’ambito dei Tribunali internazionali ha, però, comportato il verificarsi del problema della rinuncia alle garanzie dibattimentali da parte dell’imputato. In un procedimento di stampo prevalentemente accusatorio, quale, appunto, quello proprio dei Tribunali ad hoc, il dibattimento dovrebbe rappresentare la fase più importante dell’intero processo, e l’eventualità di evitare la fase dibattimentale chiudendo in anticipo il processo sembra configurare una sorta di “deriva inquisitoria”.In realtà, al di là di questo rilievo critico, l’istituto del guilty plea è previsto per consentire all’Ufficio del Procuratore di risolvere in breve tempo i casi più semplici per concentrare le proprie energie sui casi più importanti, e l’ammissione di colpevolezza da parte dell’imputato

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viene valutata dai giudici in sede di commisurazione della pena come circostanza attenuante. 42

Infine, una delle più rilevanti particolarità relative all’organo d’accusa dei due Tribunali ad hoc rispetto ai tribunali nazionali è la mancanza di una forza di polizia accanto all’esercizio della funzione giudiziaria: all’interno di un singolo ordinamento lo Stato esercita il potere coercitivo per garantire ai cittadini una convivenza civile nel rispetto della legge, perciò il potere giudiziario, coadiuvato dalle forze di polizia, è legittimato all’uso della forza nei confronti dei consociati. In ambito internazionale spesso accade che gli Stati affidino ad un tribunale parte della propria sovranità, senza che a questo segua l’attribuzione di poteri coercitivi. Nel caso dei Tribunali per la ex – Jugoslavia e per il Ruanda il problema riguarda principalmente lo svolgimento dell’attività investigativa: al Procuratore è affidata, oltre alle funzioni di iniziativa dell’azione penale, la funzione di esercizio delle indagini, che nella maggior parte degli ordinamenti statali spetta alle forze di polizia giudiziaria; poiché il Procuratore non dispone di un simile corpus di polizia, la raccolta di informazioni e di testimonianze, lo svolgimento di perquisizioni e l’identificazione di persone è realizzabile solo per

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