Il Tribunale, secondo l’articolo 11 dello Statuto, si compone di un collegio giudicante, formato da undici giudici divisi nelle due Camere di primo grado (sei) e nella Camera d’appello (cinque),
34 La disciplina dei motivi d’impugnazione è affidata all’art. 24 dello Statuto: “a) errore
dall’Ufficio del Procuratore (Prosecutor) e dalla Cancelleria. Le disposizioni che regolano l’attività processuale del Tribunale si basano su una concezione accusatoria del processo, con apertura ad elementi propri della tradizione inquisitoria, come lo spazio si manovra riservato ai giudici. Il collegio giudicante provvede a nominare al suo interno un Presidente, un vice – Presidente e i Presidenti di entrambe le Camere.
A differenza dei Tribunali Militari di Norimberga e di Tokyo, il Tribunale per la ex – Jugoslavia necessita della collaborazione degli Stati per il suo funzionamento, perché diversamente dai due Tribunali del dopoguerra, i maggiori indiziati come responsabili di crimini internazionali non facevano parte della schiera dei “vinti”, bensì facevano parte dei negoziatori che avrebbero dovuto contribuire ad una soluzione politica del conflitto. Per questo motivo, molti indiziati si trovano tuttora sotto la protezione di autorità politiche o militari che non intendono consegnarli agli organi di giustizia internazionale. Gli Stati sono, dunque, chiamati a collaborare con il Tribunale nell’esecuzione delle indagini e nel perseguimento degli accusati, e devono dare esecuzione senza ritardo alle richieste d’assistenza delle camere di primo grado.
La corte è innanzitutto competente per materia (ratione materiae) verso: crimini di guerra (art. 2 e art. 3 Statuto), ovvero le violazioni delle leggi e degli usi che regolano la conduzione delle ostilità durante i conflitti armati interni ed internazionali; genocidio (art. 4 Statuto), crimine che rientra nella categoria generale dei crimini contro l’umanità, ma che se ne distingue per il carattere di “dolo specifico”, cioè per la particolare finalità di eliminare, in tutto o in parte, un determinato gruppo etnico, linguistico o religioso, ma che può essere promosso anche verso una sola persona, purché sia evidente il fatto che la violenza nei suoi confronti sia motivata proprio dalla sua appartenenza ad un certo gruppo; crimini contro l’umanità (art. 5 Statuto), punibili solo se commessi durante un conflitto internazionale o interno contro vittime civili e pianificati in modo omogeneo e non episodico. 35
Per quanto riguarda la competenza verso i soggetti (ratione
personae), l’articolo 7 dello Statuto disciplina l’autorità del
Tribunale nei confronti di: responsabili politici, ovvero i capi di Stato e gli alti funzionari che abbiano violato le leggi di guerra per scopi politici, pianificando, incoraggiando o incitando la commissione dei crimini puniti dal Tribunale; superiori gerarchici
militari e autorità civili che abbiano ordinato ai loro subordinati la commissione di atti criminosi, o che essendo venuti a conoscenza della loro commissione non hanno provveduto a punirli; semplici esecutori, cioè coloro che hanno materialmente compiuto il fatto criminoso: essi non possono giustificarsi semplicemente dichiarando di non essersi potuti sottrarre ad ordini superiori; è compito del giudice valutare caso per caso se tale rivendicazione può costituire un’attenuante o addirittura una circostanza esimente. Inoltre, non possono essere condotte dinanzi al Tribunale né le persone giuridiche, né le organizzazioni internazionali, né gli Stati, poiché solo gli individui sono passibili di processo in ossequio al principio di responsabilità penale individuale in ambito di diritto internazionale umanitario.
La procedura dinanzi al Tribunale si sviluppa secondo le disposizioni dello Statuto e del Regolamento di procedura e di
prova. La prima fase del processo è rappresentata dall’attività
d’indagine svolta dal Procuratore, al quale spetta l’esercizio dell’azione penale (art. 16 Statuto). Le indagini vengono avviate ogni volta che il Procuratore ritiene che le informazioni in suo possesso, ottenibili da governi, organizzazioni non governative e singoli individui, costituiscano una buona base per procedere; la
persona oggetto delle indagini viene identificata come “sospettato”. La seconda fase è detta “pre – processuale”, e consiste nella preparazione dell’atto d’accusa da parte del procuratore quando ritenga che le indagini abbiano prodotto elementi sufficienti per procedere in giudizio; l’atto d’accusa viene inviato al giudice di prima istanza che, se lo ritiene fondato, lo conferma e lo rende pubblico, avviando così la fase processuale. Per effetto della conferma dell’accusa, il sospettato assume la qualifica di “accusato”, e nei suoi confronti il giudice può emettere un mandato d’arresto ed ogni altro provvedimento necessario per procedere in giudizio; 36 se il tribunale non è in grado di assicurare la presenza
dell’accusato, ad esempio a causa della mancata collaborazione di uno Stato nell’eseguire il mandato d’arresto, il giudice può consentire la presentazione in udienza preliminare delle prove a carico dell’accusato che, se ritenute sufficienti, legittimano l’emissione di un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti. La terza fase prevede la lettura dei capi d’accusa alle parti e la sollecitazione del giudice all’accusato di presentare una dichiarazione d’innocenza o di colpevolezza; nel primo caso viene
36 Tra i principali provvedimenti vi sono: ordinanze di custodia cautelare, ordinanze di
rilascio ed ordinanze di trasferimento, quando il Tribunale decide di avvalersi della facoltà prevista dall’art. 9 dello Statuto richiedendo che il procedimento già in corso in uno Stato venga trasferito presso di sé.
fissata la data per la prima udienza, nel secondo caso si supera la fase processuale e viene decisa la data per l’udienza preliminare alla sentenza; sempre in questa fase si procede alla disclosure, ovvero il momento in cui ciascuna parte rivela all’altra il materiale probatorio rilevante. Nella quarta fase si realizza il processo vero e proprio: esaurita l’attività di acquisizione delle prove, il giudice di primo grado dichiara conclusa l’udienza e si ritira in privato per decidere la sentenza che accerta l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato; in un secondo momento il Tribunale provvede a definire la pena, il cui massimo grado è rappresentato dall’ergastolo. La quinta fase identifica, infine, il giudizio di secondo grado (art. 25 Statuto) nel caso in cui venga fatto appello alla sentenza sulla base di un errore di diritto o di fatto.