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Jack Kerouac e la strada del ritmo

I Beat e la musica: dalla prosodia bop di Jack Kerouac ai blues di Allen Ginsberg

2.2 Jack Kerouac e la strada del ritmo

Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session d'una domenica pomeriggio. (J. Kerouac, dalla Nota di apertura a Mexico City Blues, 1959)

Nei locali che Jack Kerouac frequentava già dai primi anni quaranta, come il Minton's Playhouse nel quartiere di Harlem, si esibivano vere e proprie star del panorama jazzistico americano: i trombettisti Dizzy Gillespie e Miles Davis, i pianisti Bud Powell e Thelonious Monk e il celebre sassofonista Charlie Parker. In particolare, quelli erano gli anni del bebop, ovvero di uno stile di jazz caratterizzato da ritmi velocissimi e da armonie elaborate il cui nome deriva dal particolare fraseggio musicale con cui si segnalava spesso la fine del brano. Al posto della «base ritmica metronomica, stereotipata e automatica»18 che caratterizzava il jazz tradizionale, il bebop aveva introdotto «una nuova accentazione variabile, una nuova misura variabile, un nuovo beat variabile»19; «la sezione ritmica cessa di avere il ruolo subordinato che le era stato assegnato in passato, per intervenire con autorità e fantasia nella creazione del discorso musicale»20; la batteria e il contrabbasso, che in quegli anni erano diventati strumenti per solisti, creavano un tappeto veloce e frammentario, sul quale si inserivano gli altri strumenti con linee melodiche complesse e imprevedibili. L'improvvisazione rispetto al tema centrale diventa l'oggetto principale del brano, e il luogo dove i musicisti danno prova del loro talento esibendosi in autentici virtuosismi.

Il bebop ha un ruolo molto rilevante nella biografia di Jack Kerouac (1922-1969). Furono Seymour Wyse, un fanatico del jazz, e Jerry Newman, proprietario di un'etichetta discografica chiamata Esoteric Records (che produceva tra gli altri Thelonious Monk, Charlie Parker e Dizzy Gillespie) ad istruire Kerouac sul primo bop e sul jazz, portandolo nei club con loro. «Seymour e Kerouac improvvisavano insieme, a parole, e cantavano su tanti dischi che Wyse metteva in negozio. Tutta quell'esposizione all'esalazione dello spirito della musica bop fu, secondo Kerouac, la variabile determinante nella sua prosa e nel suo stile.»21

18 A. Ginsberg, Le migliori menti della mia generazione. Lezioni sulla Beat Generation, il Saggiatore, Milano, 2019, pag. 64.

19 Ibidem.

20 A. Polillo, Jazz. Le vicende e i protagonisti della musica afro-americana, Mondadori, Milano, 1983.

21 A. Ginsberg, Le migliori menti della mia generazione. Lezioni sulla Beat Generation, il Saggiatore, Milano, 2019, pag. 63.

Nel 1959, registrò pionieristicamente due album in studio; Poetry for the beat generation, in cui cantava suoi brani scritti per l'occasione accompagnato al piano da Steve Allen, e Blues

and Haikus con i due sassofonisti Zoot Sims e Al Cohn. Quest'ultima, in particolare

Fu l'unica registrazione in studio spontanea e originale di poesia e jazz. Vedi, tutte le altre avevano quella specie di musica da sottofondo, musica preparata o che non aveva niente a che vedere con la poesia. Kerouac leggeva un piccolo haiku come “The bottom of my shoes are wet, from walking in

the rain” e Al Cohn o Zoot Sims facevano la ritmica “ta ba da ba ta ta, ta ta, ta da da ta ta ta”, un

piccolo haiku in musica, e poi Kerouac diceva “In my medicine cabinet the winter fly has died of

old age” e Al Cohn gli rispondeva “ta ra ta ta da ta ta, ta ra ta ta, ta ra da da da”. Così costruivano

queste strutture ritmiche che si rispecchiavano. In realtà Kerouac era un musicista, o almeno ci capiva abbastanza per lavorare con i musicisti. Aveva una raffinatezza, una metrica, un orecchio musicale molto migliore dei suoi critici...22

E questo, secondo Ginsberg, faceva di lui anche un grande poeta. La produzione poetica di Jack Kerouac non eguaglia quantitativamente la sua produzione in prosa: comprende il poema

Mexico City Blues, pubblicato nel 1959 e tradotto integralmente in Italia solo nel 1979 da

Carlo A. Corsi e Paola Fanzeco per i tipi di Newton Compton, la raccolta Scattered Poems pubblicata nel 1971 e diverse altre miscellanee di poesia, canzoni e haiku. La pubblicazione postuma della maggior parte di queste raccolte, è indicativa dello scetticismo con cui la critica ha sempre guardato alla poesia di Kerouac, considerandola non all'altezza dei romanzi che lo hanno reso celebre e che gli sono valsi il titolo di "padre della Beat Generation": On the road (1951), Doctor Sax e Visions of Cody (scritti entrambi tra il 1951 e il 1952), The

Subterraneans (1953), The Dharma Bums (1958), Big Sur (1962), Vanity of Duluoz (1968) –

solo per citarne alcuni. Nonostante questo, Allen Ginsberg – che non ha mai nascosto l'ammirazione e la stima nei confronti di Kerouac - lo considerava principalmente un poeta: «A differenza di tutti quanti noi, Jack Kerouac era un poeta e basta. Era poeta nel modo di parlare, di cantare, di ridere e di raccontare. [...] La sua prosa era poesia, il modo di descrivere qualcosa, creare un'immagine, ricordare un sogno era veramente poetico.»23 Ma in che modo lo stile di Kerouac era stato effettivamente condizionato dai ritmi frenetici del nuovo jazz? Il bebop era una musica “pura” concepita per l'ascolto (diversamente dallo swing, andato per la maggiore fino agli anni Quaranta, che si ballava), e lo era pure la prosa di Kerouac, 22 A. Ginsberg, Facile come respirare. Appunti, lezioni, conversazioni, Minimum Fax, Roma, 1998, pagg.

36-37.

caratterizzata da frasi lunghe e articolate con un'accentazione variabile che si poteva cogliere solo leggendo il testo ad alta voce. «[...] Kerouac was the first writer I ever met who heard his own writing, who listened to his own sentences as if they were musical, rhythmical constructions, and who could follow the sequence of sentences that make up the paragraphs as if he were listening to a little jazz riff.»24

Si può immaginare il suo romanzo come la partitura di un'opera musicale: c'è un tema centrale riconoscibile che si sviluppa lungo la narrazione, e ci sono delle battute che deviano rispetto a questo tema centrale nelle quali l'autore, come un buon musicista, improvvisa – scrivendo sotto la dettatura della propria immaginazione. Per potersi abbandonare a queste deviazioni avendo la certezza di non perdere di vista l'obiettivo, egli sosteneva la necessità di fondersi con l'oggetto della scrittura; per utilizzare un'efficace formula di Ginsberg, Kerouac cercava di salire su una nave e contemporaneamente scriveva del tentativo di salirci: «la scrittura era diventata parte del vivere e l'artista si era fuso con il tizio che viveva. [...] Il romanzo diventa vita e la vita diventa un romanzo.»25 E infatti «Jack non doveva attingere a niente per scrivere, era al centro di un'esistenza già abbastanza interessante e tutto ciò che doveva fare era solo guardarsi intorno e scrivere della propria vita, non doveva inventare una letteratura.»26 Se prendessimo in esame ognuna delle sue opere, vedremmo che sono fitte di riferimenti autobiografici, che riguardano lui, la sua famiglia di sangue e soprattutto quella composta dagli spiriti affini che ha incontrato “sulla strada”, che non aveva confini.

L'autore di On the road ha derivato l'impostazione della sua cosiddetta “prosa spontanea” o “prosodia bop”, dalla struttura dell'improvvisazione jazzista, che irrompeva nel corpo melodico del brano con le sue variazioni e i suoi ritorni rispetto al tema centrale. A sua volta il bebop, che nacque come una rivendicazione di libertà espressiva nei confronti del jazz “inquadrato” e commerciale che aveva dominato la scena degli anni '30, imitava il linguaggio gergale della gioventù in rivolta. I cosiddetti boppers si riconoscevano come membri di una setta: per differenziarsi dagli altri musicisti di colore (il bebop voleva essere una musica “squisitamente, intrinsecamente negra”) uniformarono il loro stile e, soprattutto, adottarono un particolare gergo «che venne a innestarsi su quello, sempre esistito, del ghetto nero, nelle varianti in uso nella comunità jazzistica e tra i drogati. Nulla meglio di un gergo decifrabile 24 A. Ginsberg, Allen Verbatim. Lectures on poetry, politics, politics, consciousness, McGRAW-HILL, New

York, 1974, pag. 152.

25 A. Ginsberg, Le migliori menti della mia generazione. Lezioni sulla Beat Generation, il Saggiatore, Milano, 2019, pag. 158.

soltanto nell’ambito di una ristretta conventicola può rafforzare i vincoli fra coloro che ne fanno parte ed erigere una barriera verso il mondo esterno.»27

Quando scriveva, Kerouac aveva in mente sia gli assoli di Charlie “Bird” Parker, sia la lingua viva che si parlava nei sobborghi americani frequentati dagli emarginati, dagli alcolizzati, dai drogati, dalla gente di strada e dai boppers; «Kerouac got to be a great poet on that basis, 'cause he could hear American speech, and he could hear it in musical sequence.»28 Come Charlie Parker soffiava nell'ancia del suo sax tenore e ne uscivano vertiginosi giri di note, così Kerouac soffiava «parole-idee segrete e personali [...] nel soggetto dell'immagine»29 finché aveva aria nei polmoni, senza autocensurarsi e, soprattutto, senza soffermarsi troppo a riflettere, perché «il tempo è essenziale nella purezza del linguaggio»30. «Niente "selettività" dell'espressione, piuttosto segui la deviazione (associazione) libera della mente in infiniti mari di pensiero che-soffiano-nell'argomento, nuotando nel mare della lingua inglese senza altra disciplina che il ritmo delle esalazioni [...].»31 Per dirlo con una formula che Kerouac non si stancava mai di ripetere, “primo pensiero miglior pensiero”: si deve scrivere di getto in modo che il ragionamento logico non inquini la purezza del linguaggio, e le frasi sulla pagina devono durare fino a che l'autore (e il lettore, di conseguenza) non senta il bisogno fisiologico di riprendere fiato. Per far sì che le parole fluiscano spontaneamente dalla penna dello scrittore senza incontrare intralci e senza interferenze, anche le regole sintattiche e grammaticali vengono stravolte. «Niente punteggiatura che separi le strutture-frasi già arbitrariamente infestate di ipocriti due punti e timide spesso inutili virgole – bensì un vigoroso trattino a separare il respiro retorico (come un musicista jazz che prende fiato tra i fraseggi).»32 Sostituire la punteggiatura con i trattini non significa eliminare le pause, ma renderle più espressive e cariche di significato:

Si percepiranno allora le pause, proprio intese in senso musicale, dei suoi periodi: quelle che Kerouac nel suo decalogo ha chiamato gli “spacchi”, e, per i jazzisti, le “prese di fiato fra le varie frasi”; e l'intensità del tema centrale sarà solo sottolineata proprio dalle distrazioni, dalle sospensioni, dagli indugi creati dai temi laterali.33

27 A. Polillo, Jazz. Le vicende e i protagonisti della musica afro-americana, Mondadori, Milano, 1983.

28 A. Ginsberg, Allen Verbatim. Lectures on poetry, politics, politics, consciousness, McGRAW-HILL, New York, 1974, pag. 152.

29 A. Ginsberg, Le migliori menti della mia generazione. Lezioni sulla Beat Generation, il Saggiatore, Milano, 2019, pag. 243.

30 Ibid.

31 Ivi, pagg. 243-244 32 Ivi, pag. 243.

Se si pensa che all'epoca la maggior parte degli scrittori sembrava non essere consapevole del fatto che le frasi avessero un suono, e che le sonorità della lingua fossero importanti per la prosa quasi quanto per la poesia, diventa ancora più evidente la portata delle teorie elaborate da Kerouac, il vero “ideologo” della generazione beat. Senza di lui, ammette Ginsberg, sarebbero stati «solo un branco di professori fatti di anfetamine, froci, avanzi di galera»34; senza di lui quel tipo di fraseggio bop non sarebbe esistito. Affinché altri potessero servirsene, Kerouac elaborò sinteticamente il proprio metodo in “Dottrina e tecnica della prosa

spontanea”, un elenco di trenta punti essenziali che riassume con il linguaggio semplice,

conciso e visionario tipico degli aforismi, la sua tecnica di scrittura. In realtà, più che vademecum per aspiranti scrittori, quello di Kerouac somiglia ad un manuale per giovani leve della Beat Generation, dove accanto ai suggerimenti che riguardano in senso stretto la scrittura, ce ne sono molti altri in cui indica la via per accedere a una maggiore consapevolezza di sé; un percorso che passa per l'apertura mentale, l'ascolto della propria voce interiore, l'affidarsi con fiducia alle proprie percezioni e idee, il rispetto per la vita e per tutto ciò che è sacro.

Jack era convinto che il jazz fosse una chiamata squillante al risveglio spirituale. Era il linguaggio del fellàh [umile lavoratore della terra], perciò parlava ai più oppressi. I reietti e i condannati divennero agenti del divino. Kerouac vide nel new jazz lo squillo di tromba per una nuova coscienza. [...] Ritmi del corpo africano che penetrano il mondo meccano-civilizzato, attivando una vibrazione nel corpo umano che tornava a far danzare ancora le persone insieme.35

Questi nuovi ritmi americani ibridi di contaminazioni africane ed europee, avevano in sé

«alcune tendenze e pratiche proprie alle tradizioni dell'oralità pura, quali: frequenza dell'improvvisazione, ruolo accessorio della scrittura nella composizione, volontà predominante di stabilire un contatto immediato con l'ascoltatore»36.

Il musicista di jazz [...] intrattiene un rapporto molto stretto col suo pubblico, il quale vive con lui l'emozionante avventura dell'invenzione musicale, gioendo insieme con lui per questa o quella trovata, per l'arguzia di una citazione, per una soluzione particolarmente felice o inattesa, concorrendo persino, in qualche misura, a determinare lo svolgimento dell'opera-esecuzione, 34 A. Ginsberg, Le migliori menti della mia generazione. Lezioni sulla Beat Generation, il Saggiatore, Milano,

2019, pag. 144. 35 Ivi, pag. 271.

stimolando con le sue reazioni l'estro di chi gli offre la sua musica, o, al contrario, deprimendolo, contrastandolo.37

In questo risiede un'altra importante analogia tra i boppers e gli scrittori della Beat Generation: nel particolare tipo di relazione che intrattengono con il pubblico. Chi partecipa ai concerti di musica bop e chi in seguito frequenterà i reading di poesia, non è il pubblico composto e docile che si aspetta di assistere passivamente a uno spettacolo che potrebbe aver luogo anche in sua assenza. È, al contrario, un pubblico attivo e consapevole, il cui coinvolgimento è indispensabile affinché la performance realizzi il proprio scopo. Prima di tutto perché non c'è performance senza la presenza simultanea di entrambi gli interlocutori; in secondo luogo, perché tra di essi si instaura un dialogo che permette all'esibizione di progredire. Anche la poesia dei Greci, «Nata dall'occasione e in essa interamente conchiusa e giustificabile, [...] vive in un rapporto del tutto particolare col pubblico, complice e partecipe di un'esperienza»38 che riflette valori e comportamenti collettivi.

Ma non è solo il bebop ad aver influenzato Kerouac. In primo luogo Thomas Wolfe (1900-1938), che con le sue lunghe frasi musicali e con i suoi «heavy-voweled periods»39 ha influenzato molto gli autori della Beat Generation. In secondo luogo il “vecchio tempomane” Marcel Proust, le cui frasi secondo Kerouac erano pari agli assoli di Miles Davis alla tromba. Un esplicito riferimento all'autore della Recherche compare nell'introduzione a Big Sur (1962), dove Jack dichiara di voler riunire tutti i suoi romanzi per ricostruire la storia della propria vita, in una sorta di ricerca del tempo vissuto. «Quando sarò vecchio ho intenzione di raccogliere tutte le mie opere, reinserirvi il mio Pantheon di nomi uniformi, lasciare un lungo scaffale pieno di libri, e morire felice.»40 Infine non si può non menzionare il suo debito dichiarato nei confronti di Neal Cassady, uno dei personaggi più emblematici della Beat Generation, a cui Kerouac si ispirò per delineare il carattere di Dean Moriarty in On the road, e di Cody Pomeray in alcune opere successive (fu costretto a cambiare nome dagli editori, che non gli consentirono di mantenere gli stessi nomi per gli stessi personaggi). «Neal scrive lunghe lettere appassionate e piene di ritmo, sembrano dettate direttamente dalla voce, senza

37 A. Polillo, Jazz. Le vicende e i protagonisti della musica afro-americana, Mondadori, Milano, 1983, pag. 30. 38 AA.VV, Lirici Greci tradotti da poeti italiani contemporanei, Bompiani, Torino, 1991, pag. VII.

39 A. Ginsberg, Allen Verbatim. Lectures on poetry, politics, politics, consciousness, McGRAW-HILL, New York, 1974, pag. 152.

passare per la faticosa pratica della scrittura.»41 L'andamento «a rotta di collo»42 di queste lettere «impetuose, senza correzioni né incertezze»43, una prosa in fuga come era in fuga lui dalla legge, è stato per lui determinante. Ma per quanto si possano ricercare in altre pagine gli indizi del suo stile, lo stesso Kerouac sosteneva di aver imparato a scrivere da Charlie Parker e da Thelonious Monk, più che da qualsiasi tradizione letteraria. Nei suoi romanzi, che scrive sui lunghi rotoli di carta delle telescriventi per non doversi interrompere, «La parola orale e la parola scritta eliminano la loro cesura di ordine stilistico e linguistico e vengono a coincidere nella suprema volontà di una narrazione libera e spontanea.»44