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Le sperimentazioni del primo Novecento

In cerca della voce primordiale: i Beat e gli archetipi del sacro

Capitolo 4 Altre latitudini

4.1 Le sperimentazioni del primo Novecento

Ben prima che Adriano Spatola parlasse di "poesia totale", e che in diverse parti del mondo si teorizzasse una fusione delle arti per dare vita a un linguaggio universale, anche il Futurismo, la prima avanguardia storica del Novecento, persegue l'idea di un'arte totale, che chiama Arte-azione futurista.

Sebbene alcuni siano convinti che la sua rilevanza storica si consumi «nel volgere d'una decina d'anni [...], la portata della sua provocazione fu tale che nessuno sperimentalismo successivo, in Italia, può considerarsi sciolto dal debito»3. Nel primo Manifesto del Futurismo, pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, i nuovi artisti dichiarano i loro intenti con un procedimento retorico paradossale, per chi dice di volersi liberare dal fardello del passato (a costo della distruzione delle biblioteche e dei musei), dove la formula "Noi canteremo" – di classica memoria – ci riporta ai grandi versi di Omero, Dante, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso. Come già questi illustri nomi del passato, anche il poeta futurista si presenta come colui che canta:

Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano [...].4

3 G. Rimondi, La scrittura sincopata: jazz e letteratura nel Novecento italiano, Mondadori, Milano, 1999, pag. 74.

Del Marinetti precursore inconsapevole della neo-avanguardia, possiamo citare l'opera Zang

Tumb Tumb (1914), ispirata all'assedio di Adrianopoli durante il primo conflitto nei Balcani,

nella quale il poeta, con la tecnica futurista del paroliberismo (che prevede l'eliminazione della sintassi), l'uso massiccio di termini onomatopeici e con l'utilizzo di caratteri tipografici di varie dimensioni, riproduce – anche visivamente – il dinamismo e il fragore della guerra, il suo cogliere di sorpresa.

Oppure si pensi ai versi di Aldo Palazzeschi, che ha esordito come poeta crepuscolare per poi entrare a far parte del movimento futurista, famoso per il suo gusto per l’ironia e la voglia di prendersi gioco di tutte le convenzioni e gli schemi poetici del passato. I suoi testi, fortemente ritmati e alleggeriti da una metrica libera caratterizzata da versi brevi (quasi ridotti all'osso), sono più efficaci se letti ad alta voce, in modo da valorizzare i loro «vistosi aspetti mimici e teatrali»5; «Palazzeschi non intensifica la parola poetica, ma la alleggerisce, perché l'arte (come sostengono dada e surrealisti) non è seria, il riso sgrava del suo peso la parola, conduce al ripudio degli aulicismi, del lessico grave, ed esalta tutto quanto è vicino alla comunicazione orale, l'interiezione, la glossolalia balbettata»6. Nelle sue poesie, o per lo meno in quelle composte nel periodo futurista, il valore prosodico del ritmo ha la precedenza sul valore semantico della parola, che spesso è soverchiato anche dalla presenza frequente di elementi fono-simbolici (suoni linguistici associati ad elementi del mondo fisico o psichico), come le onomatopee, «parole pregrammaticali che valgono come suono e non come significato»7. Valga per tutte l'esempio della poesia Lasciatemi divertire, nella quale il poeta, consapevole di non avere più un ruolo utile all'interno della società, si accontenta di potersi divertire con le parole, alternando al suo lucido lamento sequenze di suoni in libertà, «grullerie», «spazzatura di altre poesie».

In pittura, chi incluse nella propria opera una forte componente sinestetica fu Giacomo Balla, che già prima del futurismo aveva espresso la sua «volontà di sonorizzare l’immagine»8. Balla è stato uno dei firmatari del manifesto L'arte dei rumori (1913) redatto da Luigi Russolo, nel quale l'artista sosteneva la necessità di ampliare la gamma degli strumenti musicali, che secondo lui offrivano una varietà di timbri e di suoni troppo limitata, ad una nuova varietà di 5 P. Vincenzo Mengaldo, La tradizione del Novecento. Prima serie, Bollati-Boringhieri, Torino, 1996, pag.

257.

6 G. Luigi Beccaria, Storia della lingua italiana, Einaudi, Torino,1993, pagg. 724-727. 7 Ivi, pag. 727.

8 G. Lista, Balla e la «musica», in 12-29 FUTUR BALLA, Catalogo della mostra a cura di Elena Gigli, Milano, Arte Centro, 6 novembre – 20 dicembre 2008.

strumenti di sua invenzione, gli intonarumori, che erano in grado di riprodurre versi umani ed animali e rumori tra i più disparati (stridii, scoppi, bisbigli, fischi, boati, scrosci, etc.). I macchinari, le automobili e gli aerei avevano introdotto nuove sonorità che secondo lui dovevano essere comprese nella cosiddetta "orchestra futurista", per far sì che un giorno i motori e le macchine delle città industriali potessero essere «sapientemente intonati, in modo da fare di ogni officina una inebriante orchestra di rumori.»9

Il paroliberismo di Marinetti aveva inaugurato una stagione di grande libertà per i poeti, improntando le ricerche successive di artisti come Hugo Ball, uno degli esponenti di punta del giovane movimento Dada fondato a Zurigo nel 1916. Ball, mosso dalla nostalgia per un tempo remoto e archetipico in cui l'arte muoveva i primi passi e non era asservita all'estetica della borghesia, è alla ricerca di una lingua originaria, «che non contenga tracce del decadimento e dell'inquinamento moderno, che non sia stata contaminata dal tempo o dall'abuso quotidiano»10. Egli cerca di riprodurre questo linguaggio primordiale «attraverso un sistema linguistico basato sull'allitterazione e sulla ricerca di una sinestesia tra suoni, rumori, colori»11. Le poesie sonore di Hugo Ball sono «riconducibili unicamente a un'origine fonetica, distruggono ogni logica, senso grammaticale e struttura semantica, impedendo così al linguaggio di mantenere la sua funzione sociale e comunicativa.»12 Non ci resta che far parlare i versi "senza parole" di Karawane (o Zug der Elefanten), per cogliere l'assoluta novità della lingua creata da Ball:

Jolifanto bambla o falli bambla grossiga m'pfa habla horem egiga goramen

higo bloiko russula huju hollaka hollala

anlogo bung

blago bung blago bung bosso fataka

ü üü ü

schampa wulla wussa olobo hej tatta gorem

eschige zunbada wulubu ssubudu uluwu ssubudu

9 L. Russolo, L'arte dei rumori, pp. 15-16, Milano, 11 marzo 1913 (fonte Wikipedia).

10 Gli intellettuali e la guerra, B@beleonline/print, Rivista semestrale di Filosofia, N°18/19, 2015. 11 Ibidem.

tumba ba-umf kusa gauma ba - umf.13

Nonostante l'apparente casualità e insensatezza della poesia, «Ball si rifà ai dialetti africani e indonesiani, utilizza anche parole bibliche, latine e greche. [...] Spesso i suoni sono il risultato di un amalgama di diverse lingue e di diversi significati, che possono avere un'assonanza sonora, o, invece, rinviare a diverse, se non opposte, sensazioni visive, olfattive e auditive»14. Prima, Ball abbandona il linguaggio per «ritornare alla profondissima alchimia della Parola»15; successivamente si libera della parola stessa, per assumere il fonema come elemento linguistico fondamentale, il che rappresenta l'ultimo stadio evolutivo della poesia dadaista, «che per ciò stesso si classifica come poesia libera da ogni antecedente, come l’arte di Marcel Duchamp aveva già rivelato la possibilità della pittura di svincolarsi dal pennello, dal colore e dalla stessa mano dell’uomo.»16

Dalla poesia sonora di Hugo Ball allo zaum di Chlebnikov, il passo è breve. Lo zaum (o zanghesi) è una lingua poetica inventata dal poeta futurista russo Velimir Chlebnikov (1885-1922) intorno al 1913, caratterizzata da un misto di lingue preistoriche e asiatiche, tra cui il cinese; era il retaggio «delle tribù mussulmane rimaste negli Urali e di una setta russa, che credeva di non avere il diritto di invocare Dio se non con l'aiuto di suoni primordiali AU, EI, O etc., facendone una sorta di liturgia.»17 Il linguaggio zaúm o transmentale è costituito da una serie di fonemi e di sillabe che non riconducono a significati convenzionali, ma si ritiene siano in grado di evocare oggetti, colori, sentimenti e idee. Chlebnikov attribuisce arbitrariamente alle consonanti un valore semantico e alla prima consonante della parola un valore dominante delle lettere successive e del significato complessivo della parola stessa. Da

Uno sgraffio sul cielo, nella traduzione di Angelo Maria Ripellino:

Dov’è di verdi CHA per due uno sciame, e nella corsa un’ELLE di vestiti,

un GO di nubi sopra i giuochi umani, un VE di folle attorno a fuochi aviti, ČA di ragazzo, DO di vesti lievi,

13 H. Ball, Karawane, 1916 (fonte Wikipedia).

14 Gli intellettuali e la guerra, B@beleonline/print, Rivista semestrale di Filosofia, N°18/19, 2015. 15 Ibidem.

16 Ibidem.

17 Lettera inviata da R. Hausmann a H. Chopin, datata 9 agosto 1963, in Dalla pagina alla parete: tipografia

ZO dell’azzurra camicia d’un giovane, PE blusa porporina d’una vergine, KA di sangue e di cieli

[...]

Il movimento d'avanguardia di cui Chlebnikov fa parte si chiama budetljane, che in russo significa "coloro che saranno"; al contrario dei futuristi italiani, che non erano realmente proiettati verso il futuro ma vivevano in un eterno presente ripudiando il passato, questi artisti erano tesi al «superamento dello spazio e del tempo non in un infinito dinamismo, ma nella ricostituzione di un mondo leggendario e mitico che ha lasciato traccia di sé nella pietra delle steppe e nel patrimonio epico delle genti d’Asia.»18 Anche per Chlebnikov, il futuro della poesia è da ricercare nel suo passato.

Con il lettrismo, movimento letterario e artistico fondato a Parigi da Isidore Isou (1925-2007) al termine della seconda guerra mondiale, ci avviciniamo cronologicamente agli anni Cinquanta. Come recita il manifesto pubblicato nel 1947 all'interno dell' Introduction à une

Nouvelle Poésie et une Nouvelle Musique, il lettrismo è un'arte «qui accepte la matière des

lettres réduites et devenues simplement elles-mêmes (s'ajoutant ou remplaçant totalement les éléments poétiques et musicaux) et qui les dépasse pour mouler dans leur bloc des œuvres cohérentes.» Il poema lettrista è un testo partitura destinato all'esecuzione vocale (sebbene esista indipendentemente dalla sua realizzazione sonora), in cui le lettere isolate e le onomatopee prendono il posto delle parole e, di conseguenza, l'assenza di significato è pregnante; talvolta alle lettere dell'alfabeto si sostituiscono quelle che Isou chiama «les "lettres nouvelles", ou "lettres a-alphabétiques", constituées par un lexique de sons inarticulés, corporelles»19, come colpi di glottide, sospiri, rantoli, applausi, starnuti: la voce umana è lo strumento che domina questa orchestra di suoni, ed è «usata in tutte le sue possibilità, naturali e forzate.»20 Un prodotto del lettrismo è l'ipergrafia, intesa come una sintesi tra scrittura ed arti visive. In pittura le lettere dell'alfabeto non vengono utilizzate in modo autoreferenziale ma per il loro valore estetico, e in letteratura la scrittura alfabetica viene integrata con sistemi segnici e simbolici di altre discipline (algebra, matematica, musica, etc.). Questo carattere sinestetico dell'avanguardia lettrista, che intendeva moltiplicare le possibilità espressive di tutte le forme d'arte (si occupò infatti anche di cinema, fotografia e architettura) ci ricorda da 18 https://ilmestieredileggere.wordpress.com/2009/02/02/futurismo-mitologia-e-avanguardia-letteraria-russa/ 19 Lettrisme. Wikipédia, l'encyclopédie libre. Pagina consultata il 16/05/2020. Link alla versione citata:

http://fr.wikipedia.org/w/index.php?title=Lettrisme&oldid=170936261. 20 A. Spatola, Verso la poesia totale, Paravia, Torino, 1978.

un lato le esperienze futuriste e dadaiste del primo Novecento, dall'altro anticipa la poesia concreta degli anni Cinquanta, quando «il vecchio bisogno di far esplodere il linguaggio anima la grafia e il suono della poesia»21.