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Tra sacro e profano: Ginsberg, Blake, Whitman e la predicazione orale

In cerca della voce primordiale: i Beat e gli archetipi del sacro

3.3 Tra sacro e profano: Ginsberg, Blake, Whitman e la predicazione orale

La figura del predicatore, rispetto a quella del profeta/veggente, potrebbe sembrare a dir poco inadatta a inquadrare i poeti della Beat Generation; certo lo è se intendiamo il termine

predicatore in senso superficiale e generico (colui che appunto fa la predica, invitando a

pentirsi e incitando al rispetto dei valori tradizionali), cercando di conciliarlo con gli slanci più provocatori di Ginsberg o con il disprezzo per la disciplina, per le convenzioni e per l'autorità manifestato da molti esponenti della Beat Generation. L'accostamento, come si vedrà, è invece tutt'altro che malposto; per meglio comprenderlo dobbiamo contestualizzarlo e tenere ben presenti l'antimaterialismo e il pacifismo dei Beat, la protesta e l'afflato libertario sempre impliciti nelle loro opere.

Appare evidente, da questo punto di vista, che il valore di un poema come Howl non si 40 G. Benedetti, La figura del poeta nel ùgveda e nella cultura greca e romana arcaica: le possibilità di un

confronto e di una comune eredità, Università di Pisa, pag. 119.

41 G. Detienne (a cura di), Transcrire les mythologies: tradition, écriture, historicité, Bibliothèque Albin Michel, 1994, pag. 105 e sg.

esaurisce nello stile profetico, nella mera elencazione di ciò che il poeta-veggente afferma di aver visto. Tutto ciò che segue l'«I saw» iniziale è chiaramente iscritto nel grido di dolore anticipato dal titolo e implica, proprio come in una predica, la contestazione dell'esistente, di uno stato di cose irrimediabilmente corrotto, con toni apocalittici. In opposizione a questo stato di cose, Ginsberg invoca, nella parte finale del poema, una lunga serie di valori per lui sacri a cui attribuisce un potere salvifico («Holy forgiveness! mercy! charity! faith! holy! ours! / bodies! suffering! magnanimity! […]»), sempre, per l'appunto, come in una predica. Lo scrittore Vincent McHugh ha definito la poesia di Ginsberg «a vision of a modern hell»42, iscrivendola nella lunga tradizione della catabasi, il motivo topico della discesa agli inferi che trova in Dante e in Omero (XI libro dell'Odissea) i precedenti più famosi. Se però vogliamo individuare un antenato più diretto della commistione tra sacro e profano che caratterizza i Beat e Ginsberg in particolare, non possiamo che citare ancora una volta William Blake. La rinuncia di Blake all'ortodossia sociale, il suo misticismo e lo stile fortemente prosastico43

lasciano il segno in Ginsberg e gli ispirano la famosa visione, tanto rivelatrice da farlo sentire investito di un compito di portata universale: « Non negate mai la voce – no, non dimenticatela mai, non perdete la testa vagando in altri mondi spirituali o mondi dei mestieri americani, o mondi della guerra o mondi terreni, ma lo spirito dell'universo era ciò che ero nato per realizzare».44 Cogliendo la sfida di realizzare nel mondo reale l'estasi provocata dalla visione, Ginsberg credette

all'autenticità di quell'esperienza come il momento in cui la sua anima spirituale e quella poetica si erano fuse nell'uomo e nel poeta che sarebbe diventato. […] La paura immediata [...] era che una poesia del genere avrebbe dovuto per forza essere sovversiva; che la società [...] sarebbe sempre stata sospettosa nei riguardi dell'”estasi” e vi si sarebbe opposta […].45

Quando ci invita a «non negare mai la voce» Ginsberg sembra quasi immedesimarsi in una moderna Cassandra; anche il timore di rimanere un “profeta inascoltato”, l'urgenza di protestare, la convinzione pessimistica che al disastro imminente non ci sia rimedio, possono contribuire a spiegare i toni di Howl, esaltati quanto incisivi.

Sul piano prettamente stilistico, il recupero degli stilemi tipici della predicazione orale è ben 42 V. McHugh, in L. Hyde, On the poetry of Allen Ginsberg, University of Michigan Press, 1984, pag. 51. 43 Cfr. J. L. Mezzetta (a cura di), L'impermeabile di Kerouac. Interviste sulla Beat Generation a Sanders,

Hirschman, Ferlinghetti, Lacy, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2005, pagg. 7-8.

44 A. Ginsberg in J. Campbell, Questa è la beat generation, Guanda, Parma, 2001, pag.100. 45 J. Campbell, Questa è la beat generation, Guanda, Parma, 2001, pag. 100.

riconoscibile nel frequente ricorso di Ginsberg alla paratassi, a ripetizioni e anafore («Moloch! Moloch! Nightmare of Moloch! Moloch the / loveless! Mental Moloch! Moloch the heavy judger of men! […]»), ad una versificazione che predilige l'uso di coordinate, di elenchi, enumerazioni dove le parti del discorso vengono addizionate, affiancate. Nelle culture orali la ripetizione di una formula ha sempre valore apotropaico: più volte la si ripete, più aumenta la probabilità che il rito o la benedizione abbiano successo. Il medesimo stile paratattico e additivo, estremamente frequente nei testi sacri (basti pensare, per la Bibbia, ai salmi, ai dieci comandamenti o al racconto della creazione nella Genesi) e modellato su esigenze sintattiche, coesisteva con gli aspetti pragmatici della comunicazione orale. La diffusione del messaggio cristiano nelle prime comunità di fedeli – in un periodo storico in cui il numero degli analfabeti superava di gran lunga quello delle persone alfabetizzate46 – era affidato principalmente ai sermoni, alle omelie, ai discorsi, cui i primi padri della Chiesa dedicavano quindi gran parte delle loro energie; lo stesso Francesco d'Assisi, che certamente sapeva leggere, «consultava raramente e desultoriamente la Bibbia, ma ne conosceva e diffondeva i contenuti soprattutto per via orale».47

Mentre gli aspetti mistici e visionari evidenziano il debito di Ginsberg (e della poesia beat in generale) nei confronti di Blake, è soprattutto a Walt Whitman che rimandano i toni profetici e messianici, gli elenchi, le litanie, le anafore e gli altri stilemi derivati dai testi religiosi e dalla predicazione orale. Non è difficile ritrovare nei brani che seguono – entrambi tratti da Leaves

of grass (1855) – la paratassi, il verso libero, l'idea di una generazione di intellettuali

socialmente alienati ma elevati spiritualmente, la contemplazione del declino inarrestabile di nazioni un tempo gloriose, la ricerca della voce salvifica e primordiale; tutto ciò che tornerà, mediato dallo sguardo di Ginsberg, in Howl:

Victory, union, faith, identity, time,

The indissoluble compacts, riches, mystery,

Eternal progress, the kosmos, and the modern reports. This then is life,

Here is what has come to the surface after so many throes and convulsions. How curious! how real!

Underfoot the divine soil, overhead the sun […]

(Leaves of grass, Book 2, Starting from Paumanok) 46 Cfr. L. Sbardella, Oralità. Da Omero ai mass media, Carocci, Roma, 2006, pag. 81.

Dead poets, philosophs, priests,

Martyrs, artists, inventors, governments long since, Language-shapers on other shores,

Nations once powerful, now reduced, withdrawn, or desolate, […]

I stand in my place with my own day here. Here lands female and male,

[…]

Here spirituality the translatress, the openly-avow’d, The ever-tending, the finale of visible forms, The satisfier, after due long-waiting now advancing, Yes here comes my mistress the soul.

(Leaves of grass, Book 2, Starting from Paumanok, 5) Ulteriori corrispondenze fanno di Whitman un padre e antesignano della Beat Generation: l'utilizzo di un linguaggio molto colloquiale, con termini anche scabrosi ed espliciti riferimenti all'omosessualità, la ricerca di uno stile americano, le sperimentazioni sul verso libero e sul linguaggio, «fino al punto di coniare delle parole strampalate. Il grido barbarico (barbaric yawp) nella sua Song of Myself (1855) vide la luce esattamente cento anni prima dell'urlo di Howl (1955)».48 Dopo cento anni e due guerre mondiali, distrutte dalla pazzia le menti migliori della sua generazione, l'inferno in terra, lungi dal migliorare, aveva assunto connotati mostruosi; Ginsberg trasforma l'urlo barbarico di Whitman in un bestiale grido di dolore:

Like Whitman, Ginsberg yokes the sacred and the profane. Ginsberg’s expansiveness, his transcendental defiance of space and time, link him to Whitman. But in Ginsberg […] The mood is one of alienation more than connection. Ginsberg’s America is like Dante’s hell or Blake’s London (Blake’s supernatural visions had a strong influence on Ginsberg). The unacknowledged madness of the postwar world is destroying the best minds of his generation. Whitman’s “barbaric yawp” is now a “howl”– an animal cry of pain.49

Gli scrittori della Beat Generation hanno risposto a questo dolore sublimandolo in un 48 J. L. Mezzetta (a cura di), L'impermeabile di Kerouac. Interviste sulla Beat Generation a Sanders,

Hirschman, Ferlinghetti, Lacy, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2005, pag. 7.

49 B. Costello, The poetry of Walt Whitman and Allen Ginsberg, in Bulletin of the American Academy of Arts & Sciences, Summer 2016.

sentimento di empatica comunione con tutti gli esseri umani: per loro qualsiasi cosa, qualsiasi persona è sacra. Ginsberg stesso identifica in Walt Whitman il precursore di questa tendenza all'universalismo: «I am taking the word from our prophet, Walt Whitman. This is the tradition of the Founding Fathers, this is the true myth of America, this is the prophecy of our most loved thinkers – Thoreau, Emerson and Whitman. That each man is a great universe in himself […]».50 Whitman, cresciuto in una famiglia di quaccheri, era stato a sua volta influenzato da quelle tradizioni e dall'eloquenza performativa di predicatori nomadi come Elias Hicks. Concetti come la purezza spirituale, l'uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini, il divino che si manifesta nell'umano, avrebbero lasciato in lui il segno:

The Quakers were an influence on Whitman's world view, undoubtedly; […] what Whitman most admires is the respect that each Quaker accords to individual subjectivity. The traditional core belief of Quakers is usually worded as "there is that of God in every person."The imaginative consequences of this idea ("there is that of God within every person") are profoundly democratic. Quakers imagined "that" as neither male nor female but as an elemental form of generative energy: a seed, an inner light, a spirit-within corresponding mysteriously to the Universal Spirit that created it. Thus, each human soul is as uniquely precious to the universe, and as divinely equal, as any other; and thus it is wrong for any human being to defer to, or to do violence to, any other.51

Se la predicazione orale aveva garantito, nelle epoche in cui gli analfabeti costituivano la maggioranza della popolazione, che la benedizione divina pervenisse omogeneamente a persone di qualunque estrazione sociale, il suo recupero da parte della Beat Generation avviene nel segno dell'anticonformismo, della liberazione sessuale, del pacifismo e della ribellione. Come nota Kenneth Rexroth a proposito dei versi finali di Howl, la salvezza invocata dai Beat non ha nulla a che fare con le istituzioni gerarchiche del sacro, ma si traduce nella sacralità dell'umano, nell'amore di cui ogni uomo è capace:

The reference is to the Benedicite, which says over and over again, “Blessed is the fire, Blessed is the light, Blessed are the trees, and Blessed is this and Blessed is that,” and he is saying, “Everything that is human is Holy to me,” and that the possibility of salvation in this terrible situation which he reveals is through love and through the love of everything Holy in man.52

50 A. Ginsberg, B. Morgan, Deliberate prose. Selected Essays 1952-1995, Harper Collins, 2001, pag. 68. 51 S. D. Dean, Quakers and Quakerism, in AA. VV., Walt Whitman: An Encyclopedia, New York: Garland

Publishing, 1998.

Negli anni '60 e '70 sarà soprattutto Dylan – trasponendo molti dei temi della poesia e della contestazione beat in forma di canzone – a ereditare il ruolo del “predicatore”, finendo per portarlo al parossismo: durante i tour dei due album gospel Slow train coming (1979) e Saved (1980), frutto della sua temporanea conversione a cristiano rinato, indirizzava letteralmente prediche al pubblico, su ogni genere di argomento. Influenze ginsberghiane si potrebbero individuare anche nell'apocalittica The future (1992) di Leonard Cohen: «[…] I'm the little jew / who wrote the Bible / I've seen the nations rise and fall […] You'll see a woman / hanging upside down / her features covered by her fallen gown […] I've seen the future, baby: / it is murder». In Italia era stato Francesco Guccini, con Dio è morto (1965), a tornare sulla strada di Ginsberg, omaggiando esplicitamente Howl tanto a livello di testo, soprattutto nella strofa incipitaria («Ho visto / La gente della mia età andare via / Lungo le strade che non portano mai a niente / Cercare il sogno che conduce alla pazzia […] Dentro le stanze da pastiglie trasformate / Dentro le nuvole di fumo […]»), quanto nella struttura, con l'apertura finale a un nuovo modo di intendere il sacro: «In ciò che noi crediamo Dio è risorto, / in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, / nel mondo che faremo Dio è risorto».