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Jorge Luis Borges racconta don Francisco de Quevedo y Villegas

2.5.1. Saggi

Francisco de Quevedo è una presenza costante nell'opera di Borges che ha per lui una predilezione. Nelle sue raccolte giovanili Borges dedica a Quevedo due interi saggi: Menoscabo y grandeza de Quevedo, uscito prima sulla Revista de Occidente e in seguito nella raccolta Inquisiciones, e Un soneto de don Francisco de Quevedo compreso nella raccolta El idioma de los argentinos. Anche la raccolta più matura, Otras Inquisiciones del 1952, contiene un saggio a lui dedicato.

In Menoscabo y grandeza de Quevedo Borges elogia la versatilità di Quevedo paragonandolo ad un albero che ha tante parti ma allo stesso tempo è omogeneo: il poeta spagnolo è stato infatti “novelista, poeta, teólogo, sufridor estoico y pasquinador”32

.

Secondo Borges tutte le raccolte del poeta di Madrid sono eccellenti nelle figure verbali, la loro grandezza sta nella parola. A sostegno di questa tesi prende tre aspetti di Quevedo, quello metafisico, quello satirico e quello burlesco. L'aspetto metafisico è dato dalle terzine del sonetto XXXI, che fa parte dei sonetti dedicati a Lisi (libro quarto della raccolta El Parnaso Español y Musas Castellanas del 1648), dove Quevedo difende l'immortalità dell'anima e dell'amore che sopravviverà anche dopo la morte. Il Quevedo satirico si può vedere nell'Epistola Censoria scritta al Conte de Olivares sulla degradazione dei costumi dei suoi connazionali. Secondo Borges:

32

J. L. Borges, “Menoscabo y grandeza de Quevedo”, in Inquisiciones, Barcelona, Editorial Seix Barral, 1994, p. 44.

una realzada gustación verbal, sabiamente regida por una austera desconfianza sobre la eficacia del idioma, constituye la esencia de Quevedo. Nadie come él ha recorrido el imperio de la lengua española y con igual decoro ha parado en sus chozas y en sus alcázares. Todas las voces del castellano son suyas y él, en mirándolas, ha sabido sentirlas y recrearlas ya para siempre.33

L'ultimo aspetto, quello burlesco, Borges lo riprende dal primo dei dieci Bailes ottosillabici di Quevedo. È un tipo di poesia più povera, che non usa parole prestigiose e che si svolge tra i personaggi della malavita.

Per quanto riguarda il Quevedo umorista, Borges scrisse anche un articolo uscito sulla rivista La Prensa di Buenos Aires nel febbraio del 1927 sostenendo che:

La frase humorística de Quevedo es una continuada evasión, un no satisfacer nunca la expectativa, un cambiar de vereda incansablemente. […] Quevedo nos promete cielo con su reír.34

Proseguendo nel saggio, Borges accenna alla disputa tra Góngora e Quevedo e dà la sua definizione di gongorismo (o culteranesimo), ricalcando la sua consueta avversione contro la retorica dell'iperbato:

El gongorismo fue una intentona de gramáticos a quienes urgió el plan de trastornar la frase castellana en desorden latino, sin querer comprender que el tal desorden es aparencial en latín y sería efectivo entre nosotros por la carencia de declinaciones.

E di che cos'è il quevedismo (o concettismo):

33

J. L. Borges, “Menoscabo y grandeza de Quevedo”, cit., p. 47.

34

J. L. Borges, “Quevedo humorista”, in Textos recobrados (1919-1929), Barcelona, Emecé Editores, 1997, p. 288.

El conceptismo es una serie de latidos cortos e intensos marcando el ritmo de pensar. […] El quevedismo es psicológico: es el empeño en restituir a todas las ideas el arriscado y brusco carácter que las hizo asombrosas al presentarse por vez primera al espíritu.35

Secondo Borges Quevedo non ha inventato nessuna forma metrica, ma si è impegnato a capire il mondo e per questo può essere paragonato alla Spagna, che ha pulsazioni vitali così forti da superare il rumore delle altre nazioni.

In Un soneto de don Francisco de Quevedo Borges vuole analizzare il celebre sonetto, riportandolo per intero, Cerrar podrá mis ojos la postrera, di cui aveva parlato anche in un precedente saggio e che qui trascrivo:

AMOR CONSTANTE MÁS ALLÁ DE LA MUERTE Cerrar podrá mis ojos la postrera

sombra que me llevare el blanco día, y podrá desatar esta alma mía hora a su afán ansioso lisonjera;

mas no, de esotra parte, en la ribera, dejará la memoria, en donde ardía:

nadar sabe mi llama la agua fría, y perder el respecto a ley severa.

Alma a quien todo un dios prisión ha sido, venas que humor a tanto fuego han dado,

medulas que han gloriosamente ardido,

su cuerpo dejará, no su cuidado;

35

serán ceniza, mas tendrá sentido; polvo serán, mas polvo enamorado.36

Il poeta argentino esamina il sonetto da una prospettiva antibarocca e pensa che i primi otto versi siano convenzionali, mentre è nelle terzine che Quevedo si riscatta. Secondo Borges le quartine sono preparatorie di quello che verrà dopo e servono ad attirare l'attenzione del lettore. Quevedo le ha scritte solo perchè la misura del sonetto è di quattordici versi:

Estos ocho renglones preparativos son un compás de espera, un escúcheme […] No lo precisaba Quevedo y si incurrió en la haraganería de componerlos, la culpa fue de la costumbre deplorabilísima de imponer tamaño de soneto a toda emoción.37

Successivamente, Borges passa velocemente ad analizzare le terzina dove vede una originale difesa dell'immortalità dell'anima, tema di cui Quevedo si era già occupato in precedenza in altri sonetti. Per Don Francisco l'anima, racconta Borges, è un'entità a sé stante che può vivere senza le rappresentazioni di cui si nutrono i sensi. In queste terzine il poeta arriverà alla morte, ma l'ardore verso l'amata non si spegnerà mai, venas e medulas lasceranno il corpo ma continueranno ad amare, saranno sì polvere ma polvo enamorado.

Riguardo a questo sonetto è importante sottolineare come Borges sia stato il primo a ricondurre a una fonte latina il possibile antecedente utilizzato da Quevedo per il verso “Polvo serán, mas polvo enamorado”. Le parole usate per la chiusa del sonetto sono probabilmente la ripresa di un verso della prima Elegia di Properzio: “Ut meus oblito pulvis amore vacet”.38

36

F. de Quevedo, Poesía original completa, cit., p. 480.

37

J. L. Borges, “Un soneto de don Francisco de Quevedo”, in El idioma de los argentinos, Madrid, Alianza Editorial, 1998, p. 69.

38

J. L. Borges, “Quevedo”, in “Otras Inquisiciones”, in Obras completas, Barcelona, Emecé Editores, 1996, 4 voll, II, p. 42. Vedere anche G. Poggi, “Ancora sul sonetto Cerrar podrá mis

Borges termina il saggio citando un autore del quattrocento, Jorge Manrique, il quale pensava che ipotizzava tre vite possibili per l'uomo: quella terrena o temporale, quella della fama che sopravvive e quella dell'immortalità, della salvezza spirituale. Borges si augura per Quevedo tutte e tre queste vite: “De don Francisco ya sabemos que obtuvo dos; esperemos que el Señor no le haya sido avaro de la tercera”.39

Nella raccolta Otras Inquisiciones Borges torna a parlare di Quevedo. Nel saggio dal semplice titolo Quevedo, l'argentino si domanda perché Don Francisco abbia una gloria solo parziale ed elabora alcune ipotesi. La prima è che Quevedo non permette sfoghi sentimentali e né la sua opera né la sua biografia stimolano il patetismo. La seconda ipotesi è che il poeta spagnolo non ha creato un simbolo che lo rappresenti nell'immaginazione delle persone: Omero ha Priamo, Dante i gironi infernali e la rosa del paradiso, Cervantes ha Don Chisciotte e Sancho Panza, Swift i cavalli virtuosi e Melville la balena bianca. “No hay escritor de fama universal que no haya amonedado un símbolo” e invece “de Quevedo sólo perdura una imagen caricatural”.40

La terza ipotesi che elabora è che perché piaccia Quevedo bisogna essere specialisti, letterati. In riferimento a questo terzo punto Miguel Gomes ha ipotizzato che come Quevedo, anche Borges è tendenzialmente uno scrittore per eruditi e pensatori. Proseguendo il saggio Borges ribadisce che la grandezza di Quevedo è verbale e conclude dicendo che:

Quevedo sigue siendo el primer artífice de las letras hispánicas. Como Joyce, como Goethe, como Shakespeare, como Dante, como ningún otro escritor, Francisco de Quevedo es menos un hombre que una dilatada y compleja literatura.41

ojos... di Quevedo (con un'ipotesi di traduzione)”, in Signoria di parole. Studi offerti a Mario Di Pinto, a cura di G. Calabrò, Napoli, Liguori Editore, 1998, pp. 417-429.

39

J. L. Borges, “Un soneto de don Francisco de Quevedo”, cit., p. 74.

40

J.L. Borges, “Quevedo”, cit., p. 38.

41

2.5.2. Poesie

In tre poesie Borges fa riferimento a Quevedo. La prima e la seconda, A un viejo poeta e La luna, sono contenute nella raccolta El hacedor del 1960, mentre la terza è Al idioma alemán che fa parte della raccolta El oro de los tigres del 1972.

Borges dedica il sonetto all'italiana A un viejo poeta a Quevedo anche se non lo menziona esplicitamente. Il vecchio poeta sta camminando, è intento a leggere un versetto di Giovanni Apostolo ed è incapace di vedere la luna reale. Il verso finale del sonetto riprende letteralmente un verso del sonetto di Quevedo Faltar pudo su patria al grande Osuna, scritto per celebrare il duca di Osuna suo amico, morto in prigione (“diéronle muerte y cárcel las Españas”), che aveva combattuto nelle Fiandre e contro i musulmani (“su tumba son de Flandes las campañas / y su epitafio la sangrienta luna”) ed era stato viceré di Napoli (“En sus exequias encendió al Vesubio / Parténope, y Trinacria al Mongibelo”42

) .

A UN VIEJO POETA Caminas por el campo de Castilla

y casi no lo ves. Un intrincado versículo de Juan es tu cuidato y apenas reparaste en la amarilla

puesta del sol. La vaga luz delira y en el confín del Este se dilata esa luna de escarnio y de escarlata

que es acaso el espejo de la Ira.

Alzas los ojos y la miras. Una

42

memoria de algo que fue tuyo empieza y se apaga. La pálida cabeza

bajas y sigues caminando triste, sin recordar el verso que escribiste:

Y tu epitafio la sangrienta luna.43

La sangrienta luna quevedesca torna anche in un altra poesia di Borges, La luna. In questa poesia composta da ventitré quartine, l'argentino parla del suo rapporto con la luna, sia intesa come astro che come entità letteraria a cui rivolgersi, e di come, nel corso della storia, si siano rivolti a lei numerosi personaggi, da Pitagora a Lugones, passando per Adamo e Apollodoro. In una quartina nomina anche Quevedo:

Más que las lunas de las noches puedo recordar las del verso: la hechizada

dragon moon que da horror a la balada

y la luna sangrienta de Quevedo.44

In Al idioma alemán Borges identifica Quevedo con la stessa lingua spagnola, che il poeta argentino ha scelto in gioventù come lingua letteraria nonostante fosse bilingue, grazie alla nonna inglese:

Mi destino es la lengua castellana, el bronce de Francisco de Quevedo,

pero en la lenta noche caminada me exaltan otras músicas más íntimas.

Alguna me fue dada por la sangre

43

J. L. Borges, Poesía completa, cit., p. 127.

44

- oh voz de Shakespeare y de la Escritura -, otras por el azar, que es dadivoso, pero a ti, dulce lengua de Alemania,

te he elegido y buscado, solitario.45

In questa poesia Borges dichiara il suo amore per la lingua e la letteratura tedesca: ha imparato il tedesco e legge Hölderin, Goethe e Keller.

Come si è visto, Borges per raccontare Góngora e Quevedo utilizza modalità diverse. Nei saggi contrappone i due poeti, mentre nelle poesie, per quanto riguarda Góngora, utilizza la tecnica della personificazione lasciando la parola al poeta; per quanto riguarda invece Quevedo, preferisce usare la tecnica della citazione.

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CAPITOLO III

La poésie de Guillén nous convie à une jouissance totale de l'être. (Elsa Dehennin)

3.1. Jorge Guillén e la Generación del 27

Jorge Guillén (1893-1984), poeta e scrittore nato a Valladolid, fa parte della Generación del 27. L'occasione che ha dato il nome a questo gruppo è stata la commemorazione di Góngora nel 1927, in occasione del tricentenario della sua morte. Oltre a Dámaso Alonso, Federico García Lorca e Jorge Guillén, fanno parte della Generación anche Gerardo Diego, curatore della famosa antologia in onore di Góngora, Rafael Alberti, Pedro Salinas, Luis Cernuda e Vicente Aleixandre, vincitore del Premio Nobel nel 1977.

Oltre alla poesia, quello che accomunava questo gruppo era la forte amicizia. Furono infatti inseparabili fino allo scoppio della Guerra Civile nel 1936. Sia Guillén che Salinas fuggirono negli Stati Uniti, mentre la sorte peggiore toccò a García Lorca, assassinato, come si sa, nel primo anno della Guerra Civile.

I poeti di questa Generación ammiravano sia gli autori medievali e classici come Jorge Manrique, Garcilaso de la Vega e Quevedo, che quelli a loro contemporanei. Góngora è per loro un modello di lingua culta, ma allo stesso tempo coltivano anche un amore per la poesia tradizionale, quella del Cancionero e del Romancero tradizionali. Del XIX e XX secolo ammirano Bécquer, Unamuno e Machado, ma soprattutto Juan Ramón Jiménez e il padre del modernismo Rubén Darío. All'interno della poesia di questo gruppo possiamo trovare un equilibrio tra tradizione e innovazione, la convivenza di elementi opposti, come la poesia colta e quella popolare.