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Jorge Luis Borges racconta don Luis de Góngora y Argote

2.4.1. Saggi

Examen de un soneto de Góngora è il primo studio che Borges dedica esplicitamente all'opera gongorina e fa parte della raccolta El tamaño de mi esperanza. Lo scrittore argentino prende in esame un sonetto che Góngora compose nel 1582, nel cosiddetto periodo “italiano”:

Raya, dorado Sol, orna y colora del alto monte la lozana cumbre; sigue con agradable mansedumbre

el rojo paso de la blanca Aurora;

suelta las riendas a Favonio y Flora, y usando, al esparcir tu nueva lumbre,

tu generoso oficio y real costumbre, el mar argenta, las campañas dora,

para que desta vega el campo raso bordes saliendo Flérida de flores;

mas si no hubiere de salir acaso,

ni el monte rayes, ornes, ni colores, ni sigas de la Aurora el rojo paso,

ni el mar argentes, ni los campos dores.12

È un sonetto convenzionale, che si basa sullo stereotipo petrarchista donna- sole e Borges lo esamina parola per parola. Le critiche iniziano già con il primo verso “Raya, dorado Sol, orna y colora”, dove Borges dice di non distinguere gli eventuali tre momenti dello spuntare del sole. Prosegue prendendo in esame l'aggettivazione della prima quartina e trovandovi non tanto fantasia quanto enfasi:

Hay un enfatizar las cosas y recalcarlas, que es indicio de gozamiento. Decir alto

monte es casi decir monte montuoso, puesto que la esencia del monte es la

elevación.13

Borges critica anche il ricorso massiccio alla mitologia: Góngora non sta parlando di un'aurora di montagna, ma il sole è il dio Apollo e l'aurora una ragazza, Favonio è il vento e Flora è la dea dei fiori e dei giardini.

“El rojo paso de la blanca Aurora” è un verso che invece piace molto a Borges perché è:

un verso que resplandece; sus dos colores son brillantes e ingenuos como los de una bandera […]. Son colores propios de la poesía renacentista y los hallamos apareados en Shakespeare.14

Il poeta-critico apprezza che vengano uniti il rosso e il bianco, combinazione che, fa notare, si trova in Shakespeare, Swinburne e nella Bibbia, in un versetto del profeta Isaia. Nella contrapposizione dei due colori Borges

12

L. de Góngora,Sonetos completos, cit., p. 115.

13

J. L. Borges, “Examen de un soneto de Góngora”, in El tamaño de mi esperanza, Barcelona, Editorial Seix Barral, 1994, p. 113.

14

vuole dimostrare come le metafore si ripetano indipendentemente dall'autore. Arrivato alle due terzine, Borges le critica aspramente dicendo che non hanno sentimenti, e che dell'amore per questa Flérida Góngora non ci dice niente. Conclude lo studio accusando i versi di mediocrità, debolezza e fragilità.

Il poeta argentino approfondisce lo studio sul poeta andaluso con il saggio El culteranismo compreso ne El idioma de los argentinos. Precedentemente il saggio era uscito, con lievi differenze, nel 1927 in una pubblicazione dell'Università Nazionale di La Plata con il titolo Gongorismo. In questo saggio del 1928 Borges inizia parlando della matematica (come la matematica anche il linguaggio è oggetto di discussione e quest'ultimo ha bisogno di libri panciuti per regolarne il disordine) per poi arrivare a parlare dei fraintendimenti nella lettura di Góngora.

Borges affronta da vicino tre errori che secondo lui caratterizzano l'opera di Góngora: l'abuso di metafore, il frequente ricorso a latinismi e l'eccessivo uso della mitologia. Per quanto riguarda l'uso gongorino di metafore c'era chi ne criticava l'abuso e chi invece lo considerava un grande poeta proprio per questo motivo. Se per García Lorca Góngora:

inventa por primera vez en el castellano un nuevo método para cazar y plasmar las metáforas, y piensa, sin decirlo, que la eternidad de un poema depende de la calidad y trabón de sus imágenes15,

secondo Borges invece la metafora deve essere connessa a un sentimento: la metafora non è poetica in quanto metafora, ma per ciò che suscita. Borges prosegue dicendo di aver scoperto delle ilustres metáforas nell'opera di Góngora, metafore mai elogiate dai suoi ammiratori. Come esempio riporta la seconda terzina di un sonetto morale del 1623 (con sottotitolo De la brevedad engañosa de la vida) il cui tema è la caducità del tempo, Menos solicitó veloz

15

saeta:

Mal te perdonarán a ti las horas, las horas que limando están los días, los días que royendo están los años.16

Per Borges è una metafora adeguata che riporta un eterno sentimento, una preoccupazione, quella della durata della vita, comune a tutta la tradizione letteraria spagnola.

Se nei confronti di questa metafora Borges dimostra di apprezzare Góngora, assai netto è il suo parere negativo su quella celebre, che costituisce l'inizio della Soledad primera:

Era del año la estación florida en que el mentido robador de Europa

(media luna las armas de su frente, y el Sol todo los rayos de su pelo)

luciente honor del cielo, en campos de zafiro pace estrellas.17

Secondo Borges questa metafora zodiacale non è una vera metafora, non c'è una vera comparazione ma è una “aparencia sintáctica de la imagen, su

16

L. de Góngora,Sonetos completos, cit., p. 239.

17

L. de Góngora, Soledades, cit., p. 75.

Nello studio “Gli zaffiri di Borges” (contenuto in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, voll I-II, II, Pisa, Pacini Editore, 2006) Giulia Poggi ha riscontrato che nei suoi saggi Borges ricorda questo verso gongorino quattro volte e sempre in maniera diversa: en campos de zafir pacen estrellas (1921)

en campos de zafiro pace estrellas (1928) en campos de zafiros pace estrellas (1936) en campo de zafiros pasce estrellas (1982).

simulación”.18

Per quanto riguarda l'abuso di latinismi, Borges pensa che Góngora vi abbia fatto ricorso per dimostrare che la lingua castigliana ha le stesse possibilità della lingua latina. Egli mette in atto un parallelismo tra il comportamento verso la lingua spagnola di personaggi come Fray Luis de León, Cervantes e Gracián e quello dei suoi contemporanei, preferendo i primi ai secondi:

Yo confieso que a la cerrazón y hurañía de los puristas de hoy, prefiero las invasiones generosas de los latinizantes. Góngora y Quevedo lo fueron, y también Hurtado de Mendoza y Saavedra Fajardo y otros no tan ilustres. Fray Luis hebraizó con oportunidad; Cervantes italianizó; Gracián y Quevedo neologizaron. En suma, la tradición española no es tradicional, como los tradicionalistas pretenden.19

Il terzo errore del culteranesimo, cioè l'eccessivo utilizzo della mitologia, per Borges non è giustificabile. Chiamare a raccolta i miti è una forma di pigrizia, bisogna rielaborarli e non approfittarne. Parlando di miti invece è come parlare di cose che non esistono più ed è qui che il culteranesimo ha peccato:

[El culteranismo] se alimentó de sombras, de reflejos, de huellas, de palabras, de ecos, de ausencias, de apariciones. Habló – sin creer en ellos – del fénix, de las divinidades clásicas, de los ángeles. Fue simulacro vistosísimo de poesía: se engalanó de muertes.20

18

J. L. Borges, “El culteranismo”, in El idioma de los argentinos, Madrid, Alianza Editorial, 1998, p. 64.

19

J. L. Borges, “El culteranismo”, cit., p. 65.

20

Ripercorrendo le tappe della saggistica borgesiana degli anni successivi a questi saggi giovanili, Giulia Poggi ha notato come il discorso sul poeta andaluso venga ripreso più volte da Borges. Con familiarità polemica il Borges maturo ricorderà Góngora tutte le volte che parlerà per esempio di metafora, utilizzando esempi scelti dalla produzione gongorina e questo sta ad indicare secondo Poggi che:

Sia pure come una sorta di controfigura negativa, il grande andaluso partecipa ormai definitivamente della memoria letteraria dell'argentino, del suo vivido, atemporale immaginario e, perché no, della sua più profonda coscienza poetica.21

Un esempio di questa continua ripresa di Góngora da parte di Borges è il Discurso de Don Jorge Luis Borges. Homenaje a Góngora del 1961. Il punto di partenza del discorso sono le teorie sull'arte letteraria, una di Stéphane Mallarmé e l'altra di George Bernard Shaw. Se per lo scrittore irlandese tutti i libri sono scritti dallo Spirito, per il poeta francese la poesia si scrive con le parole, non con le idee, le passioni o i sentimenti. I rappresentanti di questa teoria verbale secondo Borges sono James Joyce per la letteratura contemporanea e Marino e Góngora per la letteratura del XVII secolo. A proposito del poeta andaluso Borges così si esprime:

Yo creo que nadie ha vivido como él en un mundo verbal, que nadie ha habitado de un modo más pleno en las palabras. Yo casi llegaría a decir que no hay metáforas en Góngora, que no compara una cosa con otra; acerca una palabra a otra, lo cual es distinto. […] No hay imágenes en Góngora; compara cosas que sensiblemente son incomparables.22

21

G. Poggi – P. Taravacci, Le bugie della parola. Il giovane Borges e il barocco, Pisa, ETS, 1984, p. 107.

22

J. L. Borges, “Discurso de Don Jorge Luis Borges. Homenaje a Góngora”, in Hispamérica, n. 50, 1988, p. 66.

Come García Lorca prima di lui, anche Borges racconta come l'audacia dell'opera gongorina sia stata lodata dai rivoluzionari e censurata dagli accademici. Per lui l'audacia dimostrata da Góngora non costituisce la parte più felice di tutta la sua opera.

Anche in questo discorso prende in esame il sonetto Menos solicitó veloz saeta del 1623, che appartiene alla fase più matura del cordovese e che Borges aveva già menzionato nel saggio giovanile El culteranismo. È sicuramente il sonetto più citato da Borges che qui riporta per esteso. Il poema si apre volutamente con un verso aspro e le “s” sibilano come sibila la saetta: “Menos solicitó veloz saeta”. “Cada sol repetido es un cometa” perché le comete profetizzano sventure ed ogni sole del sonetto profetizza la fugacità del tempo, la nostra fugacità.

Il verso “Confiésalo Cartago. ¿Y tú lo ignoras?” per Borges è un verso splendido. Nell verso successivo compare un certo Licio: “Peligro corres, Licio, si porfías / en seguir sombras y abrazar engaños”. Siamo noi questo Licio, siamo noi quindi i destinatari del sonetto. Borges ribadisce di apprezzare molto l'ultima terzina di questo sonetto, sono i versi in cui gli anni si trasformano in giorni e i giorni in ore:

Mal te perdonarán a ti las horas, las horas que limando están los días, los días que royendo están los años.23

In modo volutamente provocatorio dice a proposito di questo sonetto: “Si no supiéramos que este soneto es de Góngora, creeríamos que es de Quevedo. Este soneto sería acaso el mejor soneto de Quevedo”.24

Il poeta argentino conclude l'omaggio al poeta andaluso salvando il sonetto perché rappresenta il tema del tempo, un tema molto caro alla letteratura

23

L. de Góngora,Sonetos completos, cit., p. 239.

24

spagnola:

Creo che si tuviéramos que salvar una sola página de Góngora, no habría que salvar una de las páginas decorativas, sino este poema, que más allá de Góngora pertenece al eterno sentimiento español.25

2.4.2. Poesie

Della raccolta Los conjurados del 1985 fanno parte due poesie dove Borges parla di Góngora: De la diversa Andalucía e Góngora. A proposito di questa raccolta Micó ha notato che quasi un terzo delle composizioni sono sonetti e che questi vengono rappresentati come un blocco di testo, senza linee bianche.

De la diversa Andalucía è appunto un sonetto all'italiana senza le classiche linee bianche a dividere le quartine e le terzine. Borges fa un'ampia enumerazione dei personaggi andalusi più conosciuti, dal poeta latino nato a Cordova Marco Anneo Lucano, passando per gli arabi che occuparono il sud della Spagna per circa settecento anni, fino a Luis de Góngora e Rafael Cansinos Assens:

DE LA DIVERSA ANDALUCÍA Cuántas cosas. Lucano que amoneda

el verso y aquel otro la sentencia. La mezquita y el arco. La cadencia

del agua del Islam en la alameda. Los toros de la tarde. La bravía música que también es delicada. La buena tradición de no hacer nada.

Los cabalistas de la judería.

25

Rafael de la noche y de las largas mesas de la amistad. Góngora de oro.

De las Indias el ávido tesoro. Las naves, los aceros, las adargas.

Cuántas voces y cuánta bizarría y una sola palabra. Andalucía.26

Nonostante le dure critiche che Borges ha sempre rivolto contro Góngora, in questa poesia il poeta di Buenos Aires chiama il poeta di Cordova “Góngora de oro”.

Passando poi alla seconda composizione, Góngora, Micó ha notato come Borges abbia voluto conservare la struttura profonda del sonetto inglese, cioè una successione di quartine, cinque in questo caso, e un distico finale.

GÓNGORA

Marte, la guerra. Febo, el sol. Neptuno, el mar que ya no pueden ver mis ojos porque lo borra el dios. Tales despojos han desterrado a Dios, que es Tres y es Uno,

de mi despierto corazón. El hado me impone esta curiosa idolatría. Cercado estoy por la mitología. Nada puedo. Virgilio me ha hechizado.

Virgilio y el latín. Hice que cada estrofa fuera un arduo laberinto de entretejidas voces, un recinto vedado al vulgo, que es apenas, nada.

Veo en el tiempo que huye una saeta

26

rígida y un cristal en la corriente y perlas en la lágrima doliente. Tal es mi extraño oficio de poeta. ¿Qué me importan las befas o el renombre?

Troqué en oro el cabello, que está vivo. ¿Quién me dirá si en el secreto archivo de Dios están las letras de mi nombre?

Quiero volver a las comunes cosas: el agua, el pan, un cántaro, unas rosas...27

Come ha sottolineato Giulia Poggi28, Borges sintetizza in questa poesia le critiche che aveva rivolto nei suoi saggi giovanili al poeta barocco: l'eccessivo uso di metafore, di latinismi e della mitologia. È lo stesso Góngora a parlare, sembra dolersi per il fatto che non può affrontare nella sua poesia le cose di tutti i giorni, Virgilio gli ha fatto un incantesimo e quindi può parlare solo di mitologia. Vuole tornare alle cose comuni, non vuole più parlare per metafore, latinismi e figure mitologiche. Sembra che in questa poesia Borges voglia in qualche modo difendere Góngora lasciando a lui la parola.

In questo componimento si possono trovare anche numerosi riferimenti all'opera di Góngora e alle critiche dei suoi detrattori. La condanna del latino si può riscontrare nei versi “Hice que cada / estrofa fuera un arduo laberinto / de entretejidas voces”, dove viene criticato l'eccessivo uso dell' iperbato, una costruzione sintattica cara a Góngora e che per la sua struttura ritorta suggerisce l'idea di un labirinto. Le metafore che impediscono al poeta barocco di tornare alle comunes cosas sono l'immagine dei capelli d'oro (“Troqué en oro el cabello”), il tempo-saetta (“Veo en el tiempo que huye una saeta”), i

27

J. L. Borges, Poesía completa, cit., p. 623.

28

G. Poggi, “Dentro del laberinto (Góngora, Borges, Gimferrer)”, in Analecta Malacitana (AnMal Electrónica), n. 38, 2015, pp. 117-132.

riferimenti ai numerosi fiumi e ruscelli delle Soledades (“Un cristal en la corriente”) e le lacrime di varie donne a cui sono dedicati alcuni sonetti (“Y perlas en la lágrima doliente”).

Dietro questi versi è possibile rintracciare l'allusione a due sonetti gongorini: Mientras por competir con tu cabello del 1582 (sonetos amorosos) e Menos solicitó veloz saeta, del 1623, che appartiene alla fase più matura del cordovese e che Borges aveva già menzionato nel saggio giovanile El culteranismo e in Discurso de Don Jorge Luis Borges. Homenaje a Góngora.

Il riferimento a Mientras por competir con tu cabello lo troviamo nei versi di inizio e fine componimento. Il primo è un verso pentapartito, che racchiude cinque elementi (“Marte, la guerra. Febo, el sol. Neptuno”), mentre il secondo è un verso quadripartito perchè ne racchiude quattro (“el agua, el pan, el cántaro, unas rosas”). La stessa tipologia di versi è presente nel sonetto sul carpe diem di Góngora, nei versi 11 (“oro, lilio, clavel, cristal luciente”) e 14 (“en tierra, en humo, en polvo,en sombra, en nada”29

). Un terzo riferimento è il verso, già menzionato, “ Troqué en oro el cabello”.

Il verso di Borges “veo en el tiempo que huye una saeta” costituisce una chiara allusione al sonetto Menos solicitó veloz saeta, dove Góngora paragona il tempo dei mortali alla saetta che addenta veloce (“mordió aguda”) il bersaglio e al carro che corre e doppia la meta velocemente (“agonal carro por la arena muda / no coronó con más silencio meta”). In questo sonetto ci sono rimandi sia biblici che classici e la visione del tempo è quella lineare, sintetizzata dalla traiettoria del tempo-freccia che è talmente velocizzato da sembrare, paradossalmente, fermo. Il tempo è inteso come veloce ed inafferrabile e il ritmo veloce delle ore si dilata in quello dei giorni (“Las oras que limando están los días”30

) e degli anni.31

29

L. de Góngora,Sonetos completos, cit., p. 222.

30

Ibidem, p. 239.

31

Per un'analisi accurata del sonetto si veda G. Poggi, “Tempo freccia, tempo ruota”, in Id, Gli occhi del pavone. Quindici studi su Góngora, Firenze, Alinea Editrice s.r.l, 2009, pp 151-164.

Infine è interessante sottolineare che la poesia Góngora è stata inserita anche nella raccolta di Carlos Clementson del 2011, Cisne andaluz: nueva antología poética en honor de Góngora (de Rubén Darío a Pere Gimferrer).

2.5. Jorge Luis Borges racconta don Francisco de Quevedo y