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La dicotomia Góngora/Quevedo in cinque poeti del Novecento (Darío, Borges, Guillén, Valente, Gimferrer)

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INDICE

INTRODUZIONE...3

CAPITOLO I 1.1. Rubén Darío: il padre del Modernismo...10

1.2. I viaggi in Spagna...11

1.3. Modernismo e gongorismo...12

1.4. C'è un gongorismo effettivo in Darío?...16

1.5. Rubén Darío racconta don Luis de Góngora y Argote...18

1.6. Darío tra Góngora e Quevedo...29

CAPITOLO II 2.1. Jorge Luis Borges e l'avanguardia...31

2.2. Borges saggista...33

2.3. Borges poeta...34

2.4. Jorge Luis Borges racconta don Luis de Góngora y Argote...36

2.4.1. Saggi...36

2.4.2. Poesie...43

2.5. Jorge Luis Borges racconta don Francisco de Quevedo y Villegas...47

2.5.1. Saggi...47

2.5.2. Poesie...52

CAPITOLO III 3.1. Jorge Guillén e la Generación del 27...55

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3.3. Jorge Guillén racconta don Luis de Góngora y Argote...58

3.4. Jorge Guillén racconta don Francisco de Quevedo y Villegas...67

CAPITOLO IV 4.1. José Ángel Valente e los niños de la guerra...76

4.2. Valente, un poeta europeo e poliedrico...77

4.3. José Ángel Valente racconta don Francisco de Quevedo y Villegas....81

CAPITOLO V 5.1. Pere Gimferrer e i novísimos...93

5.2. Gimferrer, un poeta sulle tracce di Góngora...96

5.3. Pere Gimferrer racconta don Luis de Góngora y Argote...99

CONCLUSIONE...103

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INTRODUZIONE

Góngora y Quevedo, los dos poetas máximos del Siglo de Oro. (Stephen M. Hart)

Don Luis de Góngora y Argote e don Francisco de Quevedo y Villegas, due figure antinomiche che hanno rinnovato la poesia del Siglo de Oro e che hanno influito profondamente nelle poetiche degli autori successivi. L'obiettivo di questo elaborato è di cercare di analizzare come la loro poetica si rifletta nell'opera di cinque poeti di questo e del secolo scorso molto diversi tra loro, sia per origine che per bagaglio culturale: Rubén Darío, Jorge Luis Borges, Jorge Guillén, José Ángel Valente e Pere Gimferrer.

Prima di esaminare l'influenza di Góngora e Quevedo nell'opera di questi poeti è interessante ripercorrere le principali tappe della rivalità letteraria che li ha contraddistinti. Come tutti sanno, la relazione tra i due poeti non era delle migliori. Durante il suo soggiorno a Valladolid nel 1603, Góngora scrisse alcuni poemi satirici sulla città e Quevedo lo contestò con un poema che lo insultava personalmente. Da quel momento i due poeti furono nemici giurati e continuarono ad insultarsi nelle loro opere posteriori. Góngora scrisse un sonetto contro Quevedo dove, tra le varie critiche, si riferisce anche ai suoi difetti fisici, soprattutto al fatto che zoppicasse e che fosse miope. La parola pies si riferisce sia alla parte del corpo umano che alla misura del verso:

Anacreonte español, no hay quien os tope, que no diga con mucha cortesía, que ya que vuestros pies son de elegía, que vuestras suavidades son de arrope.

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¿No imitaréis al terenciano Lope, qual de Belerofonte cada día sobre zuecos de cómica poesía se calza espuelas, y le da un galope?

Góngora accusa il poeta madrileno di vantarsi della propria sapienza quando invece non è capace di leggere i testi classici in lingua originale:

Con cuidado especial vuestros antojos dicen que quieren traducir al griego, no habiéndolo mirado vuestros ojos.

Prestádselos un rato a mi ojo ciego, porque a luz saque ciertos versos flojos, y entenderéis cualquier gregüesco luego.1

Quevedo da parte sua accusa Góngora di avere ascendenze ebree. Gli dice che ungerà i suoi versi con il lardo, che come si sa, era un cibo proibito per gli ebrei:

Yo te untaré mis versos con tocino, porque no me los muerdas, Gongorilla,

perro de los ingenios de Castilla, docto en pullas, cual mozo de camino.

Apenas hombre, sacerdote indino, que aprendiste sin christus la cartilla,

1

L. de Góngora, Sonetos completos, Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, Madrid, Editorial Castalia, 1969, p. 266.

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chocarrero en Córdoba y Sevilla y, en la corte, bufón a lo divino.

Un'altra caratteristica tipica della fisionomia ebraica è avere il naso piuttosto pronunciato. Su questo particolare Quevedo costruisce la parte discendente del sonetto che così recita:

¿Por qué censuras tú la lengua griega, siendo sólo rabí de la judía, cosa que tu nariz aun no lo niega?

No escribas versos más, por vida mía; aunque aquesto de escribas se te pega,

por tener de sayón la rebeldía.2

Molto famoso è anche il sonetto di Quevedo in qui il poeta si burla del gongorismo, una ricetta per scrivere le Soledades in un giorno (Receta para hacer Soledades en un día), sonetto che fa parte della conosciuta Aguja de navegar cultos. È un sonetto in cui Quevedo motteggia lo stile colto. Secondo il poeta è facile usare questo stile, basta usare parole latine, sdrucciole e possibilmente difficili:

Quien quisiere ser culto en sólo un día, la jeri (aprenderá) gonza siguiente:

fulgores, arrogar, joven, presiente, candor, construye, métrica armonía;

poco, mucho, si no, purpuracía, neutralidad, conculca, erige, mente,

2

F. de Quevedo, Poesía original completa, Edición, introducción y notas de José Manuel Blecua, Barcelona, Editorial Planeta, 1990, p. 1094.

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pulsa, ostenta, librar, adolescente, señas traslada, pira, frustra, arpía;

cede, impide, cirusas, petulante, palestra, liba, meta, argento, alterna,

si bien disuelve émulo canoro.

Use mucho de líquido y de errante, su poco de nocturno y de caverna,

anden listos livor, adunco y poro.3

Proprio per difendere le sue Soledades Góngora scriverà un sonetto contro i suoi detrattori e nei versi della seconda quartina “Las puertas le cerró de la Latina / quien duerme en español y sueña en griego4” alcuni critici hanno ipotizzato un riferimento a Quevedo. Quelli che ho qui riportato sono solo alcuni esempi delle numerose poesie che raccontano lo scontro agguerrito tra Góngora e Quevedo. Infatti solo il poeta madrileno ha scritto più di dieci sonetti e vari altri poemi contro il suo nemico poeta.

Nonostante la loro inimicizia e il fatto che siano stati associati a due correnti contrapposte, al cultismo Góngora e al concettismo Quevedo, i due poeti costituiscono due facce della stessa medaglia, come dimostra il fatto che vengono citati ambedue nel trattato sull'agudeza di Baltasar Gracián (Agudeza y arte de ingenio del 1648). Il culteranismo di Góngora cerca soprattutto la bellezza formale. Sia i temi spesso mitologici che il lessico (con l'uso di cultismi) e la sintassi (con la figura dell'iperbato predominante) dimostrano il desiderio di rinnovare il linguaggio poetico per avvicinarlo al prestigio della lingua latina. Il conceptismo di Quevedo, invece, si preoccupa soprattutto del contenuto e dei significati delle parole. L'ideale è dire molto con il minor

3

F. de Quevedo, Poesía original completa, cit., p. 1085.

4

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numero di parole e gli ornamenti sono minimi. Nella sintassi si preferisce la frase corta e le parole hanno una forte intensità semantica. Tuttavia, nonostante queste differenze, la critica tende sempre più a smorzare la contrapposizione tra cultismo e concettismo.

Nella riscoperta dei poeti del Siglo de oro numerosi sono i saggi, le poesie dei poeti del Novecento ispirate alle tecniche dei poeti seicenteschi, le poesie in cui si parla direttamente di loro. Le maggiori correnti che hanno favorito questa riscoperta sono il Modernismo, la Generación del 27, il gruppo dei niños de la guerra e i poeti novísimos. In questo elaborato è stato preso in esame un esponente di ogni movimento: Rubén Darío in quanto padre del movimento modernista, Jorge Guillén come uno dei maggiori esponenti della Generación del 27, José Ángel Valente per rappresentare los niños de la guerra e il poeta novísimo Pere Gimferrer.

Nei poeti novecenteschi è comune la tendenza a contrapporre Góngora e Quevedo, soprattutto in Jorge Luis Borges. Il poeta argentino si occupa sia di Góngora che di Quevedo mettendoli spesso in relazione tra loro. Negli scritti giovanili è evidente come Borges preferisca Quevedo all'andaluso, che rivaluterà solo molti anni dopo. Se per Quevedo il poeta argentino ha una vera e propria ammirazione, per Góngora prevale un rapporto, spesso contraddittorio, di amore e odio. Un'altra caratteristica tipicamente borgesiana è il fatto di riprendere, durante tutto il percorso artistico e soprattutto nelle opere saggistiche, quanto già affermato in precedenza. Un esempio è il verso “en campos de zafiro pace estrellas” del famoso incipit delle Soledades di Góngora, o alcuni tra i più famosi sonetti di Quevedo, come il noto sonetto amoroso Cerrar podrá mis ojos la postrera.

Se l'interesse per le opere di Quevedo si è mantenuto alto nel corso dei secoli fino ad oggi, non è andata altrettanto bene alle opere di Góngora. Infatti il poeta andaluso cadde in disgrazia già verso la fine del seicento, dopo essere stato accusato di oscurità dai suoi detrattori, e non venne considerato durante tutto il settecento. Nell'ottocento vennero riscoperti i componimenti del

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Góngora popolare, i romances; finalmente la fine del XIX secolo segna la definitiva rivalutazione dell'intera opera gongorina grazie a Rubén Darío. La riscoperta vissuta dal poeta nicaraguense nei confronti di Góngora è però graduale: da convinto detrattore negli anni giovanili ad ammiratore negli anni della maturità artistica. Nelle opere prese in esame di Darío si può vedere anche come spesso, quando parla di Góngora, lo faccia mettendolo in contrapposizione a Quevedo.

Ma è grazie alla Generación del 27 che Góngora viene riscoperto e celebrato in nome della poesia metaforica. Tutti gli esponenti di questo gruppo gli rendono omaggio: viene celebrata una messa funebre a Madrid nella chiesa di Santa Barbara, si recano tutti a Siviglia per inaugurare l'anno accademico dell'Università e Dámaso Alonso pubblica un'edizione commentata delle Soledades. Anche Jorge Guillén, in quanto esponente della Generación del 27, non può esimersi dal parlare di Góngora e lo fa riprendendo alcuni motivi prediletti dall'andaluso, come quello dell'usignolo, o cimentandosi con delle moderne Soledades interrumpidas. Il poeta-professore si avvicina anche a Quevedo, trattando il tema della morte e criticando aspramente le sue feroci satire. I due poeti hanno una visione della vita e della morte totalmente opposta: se Quevedo ha una visione della vita pessimista, Guillén fa trasparire nelle proprie poesie una forte gioia di vivere e una serena attesa della morte.

I due poeti più giovani che sono stati scelti per l'analisi, il niño Valente e il novísimo Gimferrer, hanno abbandonato la tendenza a contrapporre i due poeti del Siglo de oro facendo invece un'esplicita scelta: Valente ha preferito raccontare Quevedo, mentre Gimferrer ha voluto raccontare Góngora.

José Ángel Valente ha un modo molto particolare di dimostrare l'apprezzamento nei confronti di Quevedo che lo differenzia dagli altri poeti. Attraverso la ricerca dell'interiorità della parola e una lirica che predilige i versi liberi e l'alternanza di endecasillabi e settenari, nelle sue poesie cita direttamente dei versi del poeta barocco, ricontestualizza i temi usati nei sonetti e in un suo componimento arriverà a parlare direttamente con la statua di

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Quevedo per chiedergli di scendere e di andare a parlare con lui. Egli vede in Don Francisco un poeta più profondo, impegnato nella vita pubblica e più sfaccettato di Góngora, in quanto autore sia di prosa che di poesia.

Il poeta catalano ancora vivente Pere Gimferrer si è occupato di Góngora sia attraverso un lavoro di critica che in alcune sue poesie, accostando per esempio dei versi del poeta barocco con dei suoi ricordi personali e delle immagini tratte dal cinema o dalla fotografia. Egli ha visto nel poeta andaluso il simbolo della bellezza e dell'arte e i suoi versi seguono il modello gongorino.

Sono presenti nell'elaborato anche numerosi accenni alla conferenza in onore di Góngora di Federico García Lorca, La imagen poética en Góngora, una conferenza fondamentale per la riscoperta del poeta andaluso. Nonostante Lorca sia un poeta di indiscussa fama e importanza per la rivalutazione di Góngora, si è operata la scelta di non analizzarlo e di preferirgli Jorge Guillén, tra i rappresentanti della Generación del 27. Questa scelta è dettata dal fatto che, come poeta, García Lorca non ha prodotto poesie ispirate alle tecniche dei poeti del Siglo de oro, e in questo caso di Góngora, e nemmeno ha parlato direttamente di loro. È vero che García Lorca ha tentato di scrivere una Soledad, come dimostra la corrispondenza tra lui e Guillén: il primo mandò alcuni frammenti della sua Soledad insegura al secondo, il quale li accolse pieno di entusiasmo e ne suggerì la pubblicazione.5 In questa poesia però non imita Góngora, non ne segue né lo schema metrico né l'argomento (in questo caso si parla della nascita di una Venere notturna). Nelle sue opere García Lorca non parla neanche della diatriba Góngora-Quevedo o delle opere del poeta madrileno.

5

J. Guillén, Federico in persona, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1960. Le lettere oggetto di interesse sono datate 2 marzo 1926 (pp. 88-96), 14 febbraio 1927 (pp. 172-176) e 25 febbraio del 1927 (pp. 182-186).

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CAPITOLO I

Nada hay, en verso castellano, que vaya más lejos que el mejor Rubén. (Pere Gimferrer)

1.1. Rubén Darío: il padre del Modernismo

Félix Rubén García Sarmiento, meglio conosciuto come Rubén Darío (1867-1916), è considerato:

El poeta más naturalmente dotado que ha tenido el castellano desde Lope de Vega, y el único capaz de igualar no sólo al Lope lírico, sino también a quienes con él se miden en el panteón de nuestros clásicos, esto es, a Góngora o a Quevedo o al fundador Garcilaso.1

È il padre del Modernismo, il movimento poetico ispanoamericano che prese vita negli anni 1880-1910. Questo movimento ebbe un'immensa importanza perché mise le basi per un'evoluzione letteraria posteriore. All'inizio veniva chiamato “modernista” lo scrittore che, negli ultimi anni dell'Ottocento, sia in America che in Europa, voleva rinnovare l'orizzonte politico e sociale. Questi giovani intellettuali rifiutavano la realtà che li circondava e i movimenti letterari a loro precedenti. In seguito, con il termine “modernista” si indicheranno gli scrittori e i poeti preoccupati principalmente dell'estetica, che adotteranno una posizione detta escapista. Ci sono due tipi di escapismo: uno temporale con elementi del mondo classico, medievale e leggendario, e un altro spaziale con elementi esotici o cosmopoliti: da qui il grande amore dei poeti verso Parigi. La protesta è il meccanismo che dà un senso alla loro vita e

1

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questo si riscontra nelle loro opere.

In Rubén Darío si può trovare una perfetta fusione di tutte le influenze ricevute dal movimento modernista dalle correnti francesi del Parnassianesimo e del Simbolismo: temi pagani, esotici, leggendari, cosmopoliti, elementi fantastici come castelli, cigni e giardini. Tutto marcato dal suo profondo senso per la musica; attraverso una varietà di registri, Darío ha rinnovato profondamente il lessico con voci arcaiche e neologismi. In campo metrico ha inventato e rinnovato le più diverse combinazioni strofiche.

Secondo Pere Gimferrer Rubén Darío è “no sólo el nuevo poeta que necesitaba la América hispana, sino el que España no tenía y, más aún, un poeta capaz de medirse con Verlaine”2

. Grazie al poeta modernista la poesia ispanica ha potuto riprendersi in un colpo solo dal periodo buio in cui era vissuta, senza Darío la poesia prodotta dai poeti anche dopo la sua morte non sarebbe stata possibile. Per Gimferrer “Rubén fundó nuestra modernidad3”.

1.2. I viaggi in Spagna

Come racconta Ginés de Albareda nel saggio Rubén Darío y España, il poeta nicaraguense intraprese il suo primo viaggio in Spagna nel 1892 come rappresentante del Nicaragua per il centenario della scoperta dell'America. Venne accolto con tutti gli onori da molti rappresentanti della scena letteraria del tempo:

Don Marcelino Menéndez Pelayo aplaude sus versos. Núñez de Arce tiene empeños en conseguirle un empleo para que se quede a vivir con nosotros. Salvador Rueda le pide un “Pórtico” para su libro En tropel, y son éstas quizás las líneas poéticas que introducen en España algo – un estilo, una norma, una manera- que va a llamarse el modernismo. Campoamor, en plena gloria, le halaga

2

P. Gimferrer, “Introducción”, cit., p. XIX.

3

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con sus elogios; y don Juan Valera, fino descubridor de talentos, es quien le introduce en los medios literarios y sociales.4

Darío tornò in Spagna nel 1898 come corrispondente per il quotidiano argentino La Nación ed entrò in contatto con la Generación del 98, un gruppo di giovani intellettuali. La data usata per indicare questo gruppo è dovuta alla guerra combattuta in quell'anno tra Stati Uniti e Spagna, che costò a quest'ultima la perdita delle sue ultime colonie d'oltremare, cioè Cuba, Porto Rico e Filippine. Tale perdita provocò in Spagna una crisi di coscienza nazionale e il sorgere di un movimento letterario e d'opinione fortemente orientato alla riflessione sui problemi della cultura e della società del paese. I giovani di questo movimento si opponevano, infatti, alla mentalità politica di quel periodo e protestavano contro il tipo di scrittura della generazione precedente. La Generación del 98 conobbe e fece sue alcune caratteristiche del Modernismo. Rubén Darío durante questo secondo soggiorno spagnolo :

Conoce a Unamuno, a Azorín, a Valle-Inclán, a Antonio Machado. Siente una especial predilección por Juan Ramón Jiménez. Y se convierte, en el centro y guión lírico de España. […] Hay versos y prosas modernistas, pero también hay un estado del alma modernista del que Rubén será ya para siempre cabeza visible, guión y estrella máxima.5

1.3. Modernismo e gongorismo

Per alcuni critici dire Modernismo equivaleva a dire nuova specie di gongorismo. Abbondano nella letteratura antimodernista le menzioni di Góngora e dei suoi seguaci. Ad esempio Miguel de Unamuno, l'esponente della Generación del 98 che più si distacca dal Modernismo di Rubén Darío, vede

4

G. de Albareda, Rubén Darío y España, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2011, p 589.

5

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nel poeta nicaraguense tracce di gongorismo. Riconosce in Rubén Darío l'assimilazione del miglior Góngora e in molte occasioni riconosce la modernità dello stile gongorino: “Y en punto a gongorismo, el que menos me importuna es el último, el más moderno, pues es, para mí, el más inteligible”6

. Nel 1903 la rivista Helios invita vari scrittori ad esprimere la propria opinione su Góngora. Tra gli scrittori che rispondono all'invito c'è Unamuno che scrive l'articolo Sobre Góngora. In questo articolo Unamuno dice di non sapere molto del poeta e che ha iniziato a leggerlo non per interesse personale, ma perché doveva scrivere su di lui. Ecco come descrive le impressioni che su di lui lasciò la lettura delle Soledades e del Polifemo:

Como yo lo leí en voz alta, con la entonación y énfasis que pide, y apenas distinguía con la vista los puntos tipográficos, me resultó que tampoco podía atinar por el contexto dónde acababa una oración y empezaba otra, y me hacía una madeja. A los cinco minutos estaba mareado. Aquellas violentas trasposiciones, aquel hiperbatón, con el cual no hay rima que se resista, aquellas alusiones mitológicas, todo aquello me impacientaba, y acabé por cerrar el libro y renunciar a la empresa. No puedo, pues, darle opinión alguna personal respecto a Góngora. […] Me quedo sin Góngora.7

Vengono marcate le critiche già mosse a Góngora dai suoi contemporanei. Proseguendo nell'articolo traspare una velata critica che Unamuno fa ai modernisti, colpevoli di aver assimilato le exquisiteces gongorine:

No voy, pues, a tomar a Góngora de achaque para despacharme a mi favor contra los que no gustan de ciertas supuestas exquiciteses, más o menos gongorinas, que ahora corren. Y mucho menos cuando la mayor parte de los poetas de nuevo estilo – llámelos usted modernistas, decadentes, estetas o como quiera – no me parecen

6

M. De Unamuno, “Sobre Góngora”, in “Nuevos ensayos”, in Obras completas, Edición dirigida por Manuel García Blanco, Madrid, Escelicer, 1968, 8 voll, III, p. 964.

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estrafalarios, ni sibilíticos ni enrevesados, ni archisutiles, sino pura y sencillamente insignificantes.8

E lancia un messaggio alle giovani generazioni:

Lo que sí deseo es que ustedes, los más jóvenes, si se ponen a leerlo y estudiarlo, le saquen cuanta sustancia poética contenga, aprendan en él cuanto de bueno pueda de él aprenderse y nos lo sirvan luego en odres nuevos.

Avvertendo che:

De aquí a veinte años nadie resistirá las gongorinadas9 de hoy, como no resistimos las de hace veinte años. Son flor de un día.10

Antonio Machado, che conobbe Rubén Darío a Parigi e che del Modernismo prese le caratteristiche più intime e simboliste, è molto critico nei confronti di Góngora, del gongorismo e più in generale del Barocco11. Juan de Mairena, apocrifo di Antonio Machado, sotto la denominazione di Barocco letterario comprende sia la corrente culterana (Góngora) che quella conceptista (Quevedo) perchè hanno una radice comune, sono due espressioni della stessa oquedad. In El “arte poética” de Juan de Mairena questo immaginario professore di ginnastica e retorica dice di essere contrario allo spirito del barocco, che secondo lui si caratterizza:

8

M. De Unamuno, “Sobre Góngora”, cit., p. 963.

9

Corsivo mio.

10

M. De Unamuno, “Sobre Góngora”, cit., pp. 963-964.

11

Per un approfondimento sulle idee che Antonio Machado ha sul Barocco vedere A.

Martinengo, Il problema del barocco nelle riflessioni di Antonio Machado sulla poetica, Pisa, Editrice Giardini, 1968.

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1. Por una gran pobreza de intuición;

2. Por su culto a lo artificioso y desdeño de lo natural; 3. Por su carencia de temporalidad;

4. Por su culto a lo difícil y su ignorancia de las dificultades reales;

5. Por su culto a la expresión indirecta, perifrástica, como si ella tuviera por sí misma un valor estético;

6. Por su carencia de gracia;

7. Por su culto supersticioso a lo aristocrático.12

Nel punto numero sette Mairena critica Góngora e dice di lui:

“Cuanto hay en él apoyado en folklore tiende a ser, más que lo popular (tan finamente captado por Lope), lo apicarado y grosero. Sin embargo, lo verdaderamente plebeyo de Góngora es el gongorismo. Enfrente de Lope, tan íntegramente español como hombre de la corte, Góngora será siempre un pobre cura provinciano”. Y en verdad que la “obsesión de lo distinguido y aristocrático no ha producido en arte más que ñoñeces. El vulgo en arte, es decir, el vulgo a que suele aludir el artista, es, en un cierto modo, una invención de pedantes” […] En suma, Mairena no se chupa el dedo en su análisis del barroco literario español.13

Machado ribadisce la sua avversione per il gongorismo, salvando però Góngora in quanto poeta, anche in un'altra occasione:

Aunque el gongorismo sea una estupidez, Góngora era un poeta; porque hay en su obra, en toda su obra, ráfagas de verdadera poesía. Con estas ráfagas por metro habéis de medirle.14

12

A. Machado, “El arte poética de Juan de Mairena”, in Obras. Poesía y prosa, Edición reunida por Aurora de Arbornoz y Guillermo de Torre, Buenos Aires, Editorial Losada, 1964, pp. 318-321.

13

A. Machado, “El arte poética de Juan de Mairena”, cit., p. 321.

14

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1.4. C'è un gongorismo effettivo in Darío?

Nel corso degli anni si sono susseguite opinioni contrastanti tra i critici sulla possibile impronta gongorina nell'opera di Rubén Darío. Dámaso Alonso, esponente della Generación del 27, poeta e studioso di Góngora, per esempio, non condivide questo parere. Per prima cosa, nel suo studio Góngora y la literatura contemporánea15 datato 1931-1932, Alonso vuole mettere in chiaro come l'origine dell'ammirazione generale per il poeta di Cordova non sia nata in Spagna. È nata in Francia ed è Verlaine, esponente della scuola simbolista francese, ad averne il merito. È nota l'ammirazione di Verlaine per Góngora, la sua abitudine di ripetere l'ultimo verso della prima Soledad, “a batallas de amor campo de pluma”16

, con una pessima pronuncia, il suo modo di salutare Rubén Darío gridandogli “¡Viva don Luis de Góngora y Argote!”. È infatti dai simbolisti francesi, durante il suo primo viaggio a Parigi, che Darío imparò ad ammirare Góngora. Per questo Alonso vede in Darío più che un anticipatore, un tramite tra i simbolisti e la nuova generazione di poeti spagnoli.

Alonso prosegue lo studio prendendo in esame Trébol, un trittico di sonetti che fa parte di Cantos de vida y esperanza del 1905, ma che era già stato pubblicato su La Ilustración Española y Americana di Madrid nel 1899. Quest'ultima data è importante per il gongorista perché è l'anno in cui si festeggiava in Spagna il terzo centenario dalla nascita del pittore Diego Velázquez, e quindi Trébol acquista un duplice significato: se da un lato sembra che Darío avesse voluto unire la figura di una gloria nazionale che tutto il mondo esaltava (il pittore) con una che nessuno o molto pochi conoscevano (il poeta), dall'altro “pone el moderno la primera piedra para la gloria de Góngora en su patria”17

. Alonso riconosce a Darío il merito di aver riabilitato Góngora in Spagna, ma per quanto riguarda il possibile gongorismo in questo trittico è apócrifos. 1936, Edición, introducción y notas de José María Valverde, Madrid, Castalia, 1971, p. 254.

15

D. Alonso, “Góngora y la literatura contemporánea”, in Estudios y ensayos gongorinos, Madrid, Editorial Gredos, 1970.

16

Cfr. L. de Góngora, Soledades, Edición de John Beverly, Madrid, Ediciones Cátedra, 2009, p. 120.

17

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molto scettico. Secondo lui il poeta nicaraguense nei tre sonetti dimostra una lettura, non approfondita, di alcune poesie di Góngora e una mancanza di conoscenza delle peculiarità sintattiche e metaforiche gongorine. Conclude dicendo che è “inútil buscar influencias o puntos de contacto en el resto de la obra de Rubén Darío. La poesía de éste no se parece en nada a la de Góngora […] su gongorismo no existe”18

.

Per Francisco Sánchez-Castañer la presenza del gongorismo in Rubén Darío è un aspetto secondario nel rapporto tra i due poeti. Nell'articolo El tema del tiempo. Coincidencia poética de Góngora y Rubén Darío, lo studioso prende in esame la Canción de otoño en primavera di Darío e il romance Que se nos va la Pascua, mozas di Góngora. In questo articolo dichiara di non pretendere di dimostrare la presenza di gongorismo in Darío ma di voler “anotar, subrayar la concurrencia paralela de procedimientos o pensamientos análogos, brotados espontánea y casualmente en personalidades distintas, aunque del mismo oficio”19

. Come dice lo stesso titolo, Castañer parla semplicemente di coincidenze nei componimenti dei due poeti e non di similitudini tematiche, frutto, in qualche caso, di una tradizione comune. Infatti, se nel romance Góngora ha un tono burlesco, il tono di Darío è filosofico e trascendentale. Non è neanche certo che il poeta nicaraguense conoscesse il romance in questione. A conclusione del suo studio Sánchez-Castañer riflette su come Darío non avesse bisogno dell'esempio gongorino per scrivere sul tema del tempo, un tema molto vivo nella letteratura universale, e che quindi potrebbe aver assimilato da altri.

Una posizione diversa da quella di Dámaso Alonso è quella di uno studioso del modernismo ispanoamericano, Antonio Melis. Secondo Melis, oltre a un riavvicinamento tra i due poeti, c'è un'effettiva conoscenza da parte di Darío dell'opera completa di Góngora. Nel saggio Darío, il gongorismo e l'unità delle arti Melis ripercorre le fasi dell'avvicinamento di Darío a Góngora.

18

Ibidem, p. 544.

19

F. Sánchez-Castañer, El tema del tiempo. Coincidencia poética de Góngora y Rubén Darío, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2011, p. 332.

(18)

All'inizio il poeta nicaraguense seguiva la critica negativa che accusava il poeta di Cordova di essere diventato un poeta “oscuro”. Per questo motivo nella sezione della lunga composizione La poesía castellana del 1882, omaggio alle maggiori figure della storia poetica spagnola, in cui chiama in causa Góngora lo fa in modo negativo, parla del suo “eccesso” di genio e del merito di Quevedo di aver attaccato il gongorismo. In Palabras preliminares, uno scritto giovanile contenuto in Prosas profanas del 1896, Darío nomina Góngora insieme ad altri grandi della letteratura spagnola, per dichiarare che il suo cuore non batte verso la realtà americana ma verso quella della Penisola Iberica. Nella prefazione di Cantos de vida y de esperanza del 1905 il nome di Góngora è associato al nome di Quevedo, in quanto sia l'uno che l'altro vengono considerati rappresentanti significativi della poesia spagnola. Ma nessuna delle due opere è da considerarsi un vero riavvicinamento tra i due poeti. Invece in Trébol Melis vede un vero avvicinamento di Darío a Góngora. D'accordo con Dámaso Alonso, Melis pensa che questi tre sonetti siano un modo per omaggiare Góngora e per augurargli un ritorno alla gloria in patria. Concludendo il proprio saggio, Melis ha notato come “la corrente simpatetica che si stabilirà a partire dalla Generación del 27 nei confronti di Góngora trova nel poeta nicaraguense un'autorevole anticipazione”, e ripercorrendo le tappe di questa riabilitazione ha mostrato che “Darío fonda un modello di rapporto dinamico e creativo nei confronti della tradizione letteraria”20

.

1.5. Rubén Darío racconta don Luis de Góngora y Argote

Darío ha un primo approccio a Góngora attraverso la ripresa degli stereotipi contro la sua poetica. Era il periodo, l'Ottocento, in cui imperversava la critica feroce di Marcelino Menéndez y Pelayo (“no entendió a Góngora21”)

20

A. Melis, Darío, “Il gongorismo e l'unità delle arti”, Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina, n. 1, 1983, pp. 413-424, p. 424.

21

Così dice Federico García Lorca ne “La imagen poética en Góngora” (in Obras completas, Recapitolación y notas de Arturo del Hoyo, Prólogo de Jorge Guillén, Epílogo de Vicente Aleixandre, Madrid, Aguilar, 1955, p. 68).

(19)

contro il cambiamento di stile della poesia gongorina, periodo in cui la visione di un Góngora oscuro invadeva la critica letteraria, come racconta Federico García Lorca nella conferenza del 1926, in occasione del centenario dalla morte del poeta di Cordova, La imagen poética de don Luis de Góngora:

Todos habéis estudiado Preceptiva y Literatura, y vuestros profesores, con raras y modernas excepciones, os han dicho que Góngora era un poeta muy bueno, que de pronto, obedeciendo a varias causas, se convirtió en un poeta muy extravagante (de ángel de luz se convirtió en ángel de tinieblas, es la frase consabida) y que llevó el idioma a retorcimientos y ritmos inconcebibles para cabeza sana.22

Anche nell'America di lingua spagnola dove viveva Darío veniva recepita questa condanna del gongorismo. Per questo motivo ne La poesía castellana, composto a soli quindici anni, Darío mantiene la visione negativa dell'opera gongorina. Il componimento, come omaggio alle maggiori figure della storia poetica spagnola, mostra la tecnica imitativa di Darío e la sua capacità di assimilazione del linguaggio e della metrica e si apre riproducendo accuratamente il vocabolario del Poema de Mio Cid. Infatti nella prima sezione il soggetto è il Cid Campeador (“Fablávase rvda et torpe fabla / cuando vevía grand Cid Campeador”), mentre nella seconda si parla di Alfonso X e delle prime opere in prosa (“Façía ya assaz clara letrada prosa / el sabio rey Alphonso, e era bona cosa”). Seguono Sentillana, Jorge Manrique, Garcilaso e le sue egloghe (“así en la Égloga está de Garcilaso / llena de majestad, pura y galana”), Herrera e Lope de Vega, “Fenix de los ingenios”, poeta fecondo che con i suoi dolci versi parlava a un pubblico vasto. Per omaggiare Vicente Espinel la sezione XII è composta in décima espinela, inventata dallo scrittore di Ronda. Una sezione è dedicata anche a Calderón de la Barca, orgoglio della Spagna. Le ultime sezioni sono dedicate ai poeti più contemporanei.

22

(20)

Nella sezione X, il succedersi di lodi ai diversi geni poetici si interrompe bruscamente. Viene chiamato in causa il Culteranismo, in quanto il Góngora culterano, come García Lorca racconterà nella sua celebre conferenza, è visto come “un monstruo de vicios gramaticales cuya poesía carece de todos los elementos fundamentales para ser bella23”.

La composizione riprende la struttura del romancillo con strofe di otto versi settenari. La parola Culteranismo, che chiude ogni strofa, si contrappone alla conquiste della poesia precedente:

X

De tantos poetas, el cantar magnífico,

el donaire puro de sus gratos himnos,

y un ingenio grande que hubo aparecido, dio por [acres] frutos

el Culteranismo. De Herrera al hermoso

cántico divino que enciende los pechos

y agrada al espíritu, lleno de pujanza, de armonía rico, sustituyó entonces el Culteranismo. Y de Garcilaso al sabroso idilio 23

(21)

que nos huele a flores, verbena y tomillo, que tierno remeda del pájaro el trino, sustituyó entonces el Culteranismo. De los Argensolas

al cantar flüido que llenaba el ánimo con su son tan lindo;

de tantos poetas al trovar magnífico,

sustituyó entonces el Culteranismo.

Segue a queste strofe un sonetto che ha come protagonista lo stesso Góngora. Se nella prima quartina si celebra il Góngora príncipe de la luz:

Góngora, con las ondas de su ingenio, antes tranquilo manantial de amores,

derramó de su mente los fulgores de la española musa en el proscenio.

Nella seconda si assiste alla metamorfosi in príncipe de las tinieblas:

Mas, ¡Ay!, la ruda tempestad del genio con sus horrendos rayos vibradores, de su alma en el vergel, tronchó las flores

(22)

Nelle terzine si descrivono le conseguenze di questo “eccesso” di genio. La poesia di Góngora si fa oscura come i nuvoloni che coprono la luna:

No de otro modo a la risueña Hecate, cada en los aires nubarrón sombrío cuando Aquilón sañoso al roble abate,

la dulce faz enturbia. El murmurío del de su numen manantial rïente, trocóse en el rugido del torrente.

Secondo l'analisi di Sinicropi24 la distinzione tra principe della luce e principe delle tenebre risale al grammatico contemporaneo di Góngora Francisco Cascales. È stato Cascales infatti a dividere l'opera gongorina in due parti e l'emblema príncipe de la luz-príncipe de las tinieblas verrà ripreso e mantenuto anche dalla critica moderna. Cascales rispettava il genio gongorino e l'eleganza della dizione, ma allo stesso tempo ribadiva i limiti della lingua spagnola che si reggeva in strutture formali diverse dalla lingua latina. Gli effetti della distorsione della frase in Góngora secondo il critico portava solo confusione.

Un altro momento nella produzione letteraria di Darío in cui viene menzionato Góngora è in Palabras preliminares, contenute in Prosas profanas y otros poemas. Darío evoca il poeta di Cordova insieme ad altri grandi della letteratura spagnola:

El abuelo español de barba blanca me señala una serie de retratos ilustres: “Éste – me dice- es el gran don Miguel de Cervantes Saavedra, genio y manco; éste es Lope de Vega, éste Garcilaso, éste Quintana”. Yo le pregunto por el noble Gracián, por Teresa la Santa, por el bravo Góngora y el más fuerte de todos, don Francisco

24

(23)

de Quevedo y Villegas.25

Anche se il nicaraguense in questo caso dà a Góngora una connotazione positiva (lo chiama bravo), il poeta andaluso non è il protagonista, ma viene solo riassorbito all'interno del quadro generale della letteratura spagnola, in quanto quello del poeta è un semplice nome in mezzo ad altri. Lo stesso accade nella prefazione di Cantos de vida y de esperanza in cui Darío mette insieme i due nemici Góngora e Quevedo, nominandoli al plurale, come semplici rappresentanti della grande poesia spagnola del Siglo de oro:

¿no es verdaderamente singular que en esta tierra de Quevedos y Góngoras los únicos innovadores del instrumento lírico, los únicos libertadores del ritmo, hayan sido los poetas del Madrid Cómico y los libretistas del género chico?26

Bisognerà aspettare i tre sonetti che compongono il Trébol, i primi due in scritti in endecasillabi e l'ultimo in alessandrini, perchè da semplice nome, Góngora diventi protagonista insieme al pittore Velázquez.

TRÉBOL 1

De Don Luis de Góngora y Argote a Don Diego de Silva Velázquez

Mientras el brillo de tu gloria augura ser en la eternidad sol sin poniente,

fénix de viva luz, fénix ardiente, diamante parangón de la pintura, de España está sobre la veste oscura

tu nombre, como joya reluciente; rompe la Envidia el fatigado diente,

25

R. Darío, Poesía, cit., p.36.

26

(24)

y el Olvido lamenta su amargura. Yo en equívoco altar, tú en sacro fuego,

miro a través de mi penumbra el día en que al calor de tu amistad, Don Diego,

jugando de la luz con la armonía, con la alma luz, de tu pincel el juego

el alma duplicó de la faz mía.

2

De Don Diego de Silva Velázquez a Don Luis de Góngora y Argote

Alma de oro, fina voz de oro, al venir hacia mí, ¿por qué suspiras? Ya empieza el noble coro de las liras

a preludiar el himno a tu decoro; ya al misterioso son del noble coro calma el Centauro sus grotescas iras,

y con nueva pasión que les inspiras, tornan a amarse Angélica y Medoro. A Teócrito y Poussin la Fama dote

con la corona de laurel supremo; que en donde da Cervantes el Quijote

y yo las telas con mis luces gemo, para Don Luis de Góngora y Argote

traerá una nueva palma Polifemo.

3

En tanto pace estrellas el Pegaso divino, y vela tu hipogrifo, Velázquez, la Fortuna, en los celestes parques al Cisne gongorino

(25)

deshoja sus sutiles margaritas la Luna. Tu castillo, Velázquez, se eleva en el camino

del Arte como torre que de águilas es cuna, y tu castillo, Góngora, se alza al azul cual una

jaula de ruiseñores labrada de oro fino. Gloriosa la península que abriga tal colonia. ¡Aquí bronce corintio, y allá mármol de Jonia!

Las rosas a Velázquez, y a Góngora claveles. De ruiseñores y águilas se pueblan las encinas, y mientras pasa Angélica sonriendo a las Meninas,

salen las nueve Musas de un bosque de laureles.27

Come sottolinea Antonio Melis28, nel primo sonetto Góngora si rivolge a Velázquez e lo loda. Augura al pittore che la sua gloria non tramonti mai come l'Impero di Carlo V (“ser en la eternidad sol sin poniente”). Il poeta dice di essere “en un equívoco altar” mentre il pittore è “en un sacro fuego”. Il Góngora di Darío vive in una zona di penombra, di oscurità, ma il ritratto29 che Velázquez gli ha fatto lo ha riportato verso la luce, ha riparato le lacerazioni provocate da chi criticava aspramente la fase culta della propria poetica. Il sonetto si conclude con una serie di iperbati, figura tipica della poetica gongorina:

jugando de la luz con la armonía, con la alma luz, de tu pincel el juego

el alma duplicó de la faz mía.

27

R. Darío, Poesía, cit., pp. 124-125.

28

A. Melis, Darío, “Il gongorismo e l'unità delle arti”, cit., pp 417-424.

29

(26)

Per unire il primo sonetto al secondo Darío utilizza una parola-chiave: alma, che compare negli ultimi due versi del primo sonetto, come aggettivo prima e come come sostantivo poi, e sempre con valore di sostantivo nel secondo sonetto (“alma de oro, fina voz de oro”). Qui è il pittore a prendere la parola e preannuncia al poeta una sorta di riscatto imminente attraverso altri poeti (“ya empieza el noble coro de las liras / a preludiar el himno a tu decoro”). Il suono del nobile coro scaccerà i Centauri, figura mitologica cara sia a Góngora che a Darío. È presente anche il riferimento letterario alle figure di Angelica e Medoro dell'Orlando furioso di Ariosto, che Góngora ha ripreso per comporre il romance En un pastoral albergue.30

La prima terzina si apre con un parallelismo tra Góngora e Teocrito, poeta greco importante per la lirica pastorale, e tra Velázquez e Poussin, pittore francese contemporaneo di Velázquez di impostazione classica. Il sonetto si conclude con Velázquez e Cervantes che accompagnano Góngora verso l'Olimpo ispanico dell'arte e con Polifemo, creatura di Don Luis, che gli consegna la palma.

Nel sonetto di chiusura del Trébol è lo stesso Rubén Darío a prendere la parola. Presenta i due artisti con i loro emblemi: “pace estellas31

el Pegaso divino” per il poeta e l'ippogrifo, animale mitologico con la testa e le ali di aquila, le zampe anteriori e il petto di grifone e il resto del corpo di cavallo, per il pittore.

Celestes parques e azul si riferiscono a un colore caro, con le sue varianti cromatiche, sia a Darío che a Góngora: Azul... è il libro della consacrazione di Darío, uscito nel 1888; l'aggettivo azul si trova in tre versi, nel secondo verso anche nella variante celestial, della Fábula de Polifemo y Galatea:

30

L. de Góngora, Obras completas, Edición de Antonio Carreira, Madrid, Biblioteca Castro, 2 volls, 2008, pp. 204-208.

31

Parole che riprendono un verso della Soledad primera:“en campos de zafiros pace estrellas”. Cfr. L. de Góngora, Soledades, cit., p. 75.

(27)

Su manto azul de tantos ojos dora

cuantas el celestial zafiro estrellas! (vv. 366-367) la playa azul, de la persona mía (v. 420).32

L'aggettivo azul, con le sue varianti turquesa e cerúleo, si trova anche nella Soledad primera:

Las que siempre dará cerúleas señas (v. 363)

cerúlea tumba fría (v.391)

le corre en lecho azul de aguas marinas,

turquesadas cortinas (vv. 416-417)

que azules ojos con pestañas de oro (v. 807).33

E nella Soledad segunda:

cristal pisando azul con pies veloces (v. 46) el cabello en estambre azul cogido (v. 450)

estrellas su cerúlea piel al día (v. 819).34

L'allusione al Cisne gongorino va vista in contrapposizione al cigno rubeniano, cigno come simbolo di tutta la sua poesia. Infatti, nell'opera di Darío, viene fatto spesso riferimento ai cigni: El Cisne è un componimento di Prosas profanas e in Cantos de vida y esperanza, los cisnes y otros poemas viene dedicata un'intera sezione ai cigni.

Anche in Góngora abbonda il simbolo del cigno: è probabilmente degli anni giovanili il sonetto attribuito Cisne gentil, después que crespo el vado dove una dama viene paragonata prima a un cigno e poi a Leda, moglie del re

32

L. de Góngora, Fábula de Polifemo y Galatea, Edición de Jesús Ponce Cárdenas, Madrid, Ediciones Cátedra, 2010, pp. 170-172 (corsivo mio).

33

L. de Góngora, Soledades, cit., pp. 91-109 (corsivo mio).

34

(28)

di Sparta Tindaro che venne sedotta da Zeus trasformato in cigno sulle rive del fiume Eurota; del 1607 è il sonetto numero 18 Cisnes de Guadïana, a sus riberas, dove Góngora chiama a raccolta tutti i poeti andalusi, i cigni appunto, per celebrare il marchese di Ayamonte; nel sonetto XXXII, probabilmente del 1621, Patos de la aguachirle castellana il poeta andaluso critica aspramente i seguaci di Lope de Vega chiamandoli papere e contrapponendoli ai cisnes cultos, cioè ai poeti colti. Ma i cigni gongorini non si trovano soltanto nei sonetti: essi abbondano anche come termine di paragone nel Polifemo (“Pavón de Venus es, cisne de Juno”35

) e nelle Soledades. Nella Soledad primera li troviamo nei seguenti versi:

Del Ganges cisne adusto (v. 668) ni al blanco cisne creo (v. 843)

cisnes pues una y otra pluma, en esta (v. 939)36

E nella Soledad segunda nei seguenti:

De blancos cisnes, de la misma suerte (v. 252) que cisnes me recuerdan a la hora (v. 393) ¿qué cisne te conduzgo a esta ribera (v. 544)

el Cisne perdonara, luminoso (v. 805)37

Non a caso quindi, se Góngora è il Cisne andaluz, Darío è il Cisne de Nicaragua.

Nel terzo sonetto è possibile riscontrare anche una serie di parallelismi tra il poeta e il pittore: le aquile e le rose per Velázquez, gli usignoli e i garofani per Góngora. Il verso “y mientras pasa Angélica sonriendo a las meninas” sta a significare l'unione delle arti perchè Las Meninas è il celebre quadro di

35

L. de Góngora, Fábula de Polifemo y Galatea, cit., p. 159 (corsivo mio).

36

L. de Góngora, Soledades, cit., pp. 103-115 (corsivo mio).

37

(29)

Velázquez38 e Angelica è la potragonista del già citato romance gongorino En un pastoral albergue. È l'unione di poesia e pittura che hanno entrambe fama: “salen las nueves Musas en un bosque de laureles”.

Trébol è stato incluso come poesia di chiusura nella Antología poética en honor de Góngora: desde Lope de Vega a Rubén Darío preparata da Gerardo Diego nel 1927, per ricordare il tricentenario della morte del poeta barocco, e come poesia di apertura nella raccolta curata da Carlos Clementson nel 2011, per i quattrocentocinquanta anni dalla nascita di Góngora, Cisne andaluz: nueva antología poética en honor de Góngora (de Rubén Darío a Pere Gimferrer).

Concludendo, da questa analisi attraverso alcune opere di Darío è interessante notare come il modernista non citi quasi mai le opere di Góngora. Darío infatti inaugura un modo nuovo di citare l'andaluso, attraverso la tecnica del ritratto. Infatti il nigaraguense più che citare le opere gongorine, ritrae l'andaluso nei vari momenti della sua poesia: dal principe della luce a quello delle tenebre ne La poesía castellana, dall'oblio alla riscoperta in Trébol.

1.6. Darío tra Góngora e Quevedo

È importante notare come Darío, quando parla di Góngora, spesso sente il bisogno di metterlo in relazione con il suo acerrimo nemico Quevedo. È interessante vedere qualche esempio.

Nella già citata Poesía castellana Darío riserva la sezione XI della composizione a Quevedo e lo loda. Tra i meriti di questo poeta c'è il fatto che “ataca al gongorismo nulo”:

38

(30)

XI

¿Quién aparece con su voz ahora dominando en la hispania poesía? ¿Quién trajo, en el raudal de su armonía

sátira perspicaz, nota sonora? ¿Quién, cuando ríe alegre, triste llora

y en sus cantos derrama la alegría, al par que con su acento arrancaría lágrima, de los ojos, quemadora? ¿Quién nos ofrece su cantar hermoso?

¿Quién engalana el Español Parnaso y quién ataca al gongorismo nulo? Francisco de Quevedo, ese coloso que pudiera montar en el Pegaso

al par de Juvenal y del Tibulo.39

In Palabras preliminares Darío nomina Quevedo considerandolo importante nell'evoluzione della poesia ispanica: “Y el más fuerte de todos, don Francisco de Quevedo y Villegas”.40

Un ultimo esempio lo possiamo trovare nella prefazione a Cantos de vida y de esperanza già citato precedentemente, dove il nicaraguense accosta Quevedo a Góngora, due facce della stessa medaglia barocca.

39

R. Darío, Poesía, cit., pp. 286.

40

(31)

CAPITOLO II

Ser lector de Borges es, primero, una forma de ser lector y, luego, una forma de ser. (Luis García Montero)

2.1. Jorge Luis Borges e l'avanguardia

Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (1899-1986) è ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo. Grande conoscitore della poesia spagnola, della letteratura inglese e di quella tedesca, Borges è narratore, poeta e saggista, famoso sia per i suoi racconti fantastici che per la sua ampia produzione poetica. Bambino precoce nelle lettere al pari di Rubén Darío, a sette anni scrisse il suo primo racconto e a venti venne pubblicata per la prima volta una sua poesia, Himno al mar. Il giornalista e poeta argentino Horacio Armani dice di lui e della sua poetica:

Borges es el primer poeta argentino en quien la inquietud metafísica se manifiesta casi en cada poema. Esa inquietud está presente en sus metáforas, en sus imágenes, en las hondas sugerencias de su verso sálmico, construido muchas veces sentenciosamente, eslabonándose línea a línea. En pocos versos puede describirnos su vida.1

Oltre che scrittore di racconti e saggi, Borges è conosciuto anche per la sua attività di poeta. Una poesia, la sua, che va dalle prime sperimentazioni a uno stile più classico, e a cui ritornerà, dopo un periodo di pausa, a partire dal 1953, anno che coincide con l’inizio della discesa verso la cecità.

1

H. Armani, “Evolución de la poesía borgeana”, in Homenaje a Jorge Luis Borges, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2003.

(32)

Durante la prima parte della sua formazione, Borges entra in contatto con i classici spagnoli: San Juan de la Cruz, Fray Luis de León, Lope de Vega, Góngora, Quevedo e Cervantes. Ma è il movimento poetico conosciuto come Ultraísmo, movimento che prese avvio nel 1918 e che raggruppava vari poeti che avevano l'obiettivo comune di rinnovare radicalmente lo spirito e la tecnica poetica, a lasciare un'impronta profonda nel Borges degli inizi. Infatti durante il suo primo soggiorno in Spagna conosce tra i vari poeti anche Rafael Cansinos Assens, promotore dell'Ultraísmo per il quale nutrirà sempre una grande ammirazione. Nel gennaio del 1921 viene pubblicato il primo numero della rivista di questo nuovo movimento, Ultra, dove oltre a Cansinos Assens e Borges collaborarono anche Ramón Gómez de la Serna e Guillermo de Torre.

Tornato a Buenos Aires, nel dicembre del 1921 Borges pubblica sulla rivista Nosotros un articolo importante, Ultraísmo2, dove spiega la nuova estetica. Il poeta argentino apre l'articolo definendo la missione dei poeti ultraisti: abolire il rubenianismo e l'anecdotismo vigenti. Critica anche i “sencillistas que tienden a buscar poesía en lo común y corriente, y a tachar de su vocabulario toda palabra prestigiosa” perchè secondo Borges “ desplazar el lenguaje cotidiano hasta la literatura, es un error”3

. Ribadisce la propria ammirazione per Cansinos Assens e illustra i principi che regolano la poetica ultraista:

1. Reducción de la lírica a su elemento primordial: la metáfora.

2. Tachadura de las frases medianeras, los nexos, y los adjetivos inútiles.

3. Abolición de los trebejos ornamentales, el confesionalismo, la circunstanción, las prédicas y la nebulosidad rebuscada.

4. Síntesis de dos o más imágenes en una, que ensancha de ese modo su facultad de sugerencia.

2

Questo articolo uscì quasi simultaneamente anche nel primo numero della rivista Prisma.

3

J. L. Borges, “Ultraísmo”, in Textos recobrados (1919-1929), Barcelona, Emecé Editores, 1997, p. 127.

(33)

Per concludere che:

Los poemas ultraicos constan pues de una serie de metáforas, cada una de las cuales tiene sugestividad propia y compendiza una visión inédita de algún fragmento de la vida.4

2.2. Borges saggista

Come si è detto Borges scrisse senza interruzione, oltre a poesie e racconti, saggi critici. Fino agli anni ottanta la sua saggistica era sparsa in riviste e quotidiani. Come ha scritto Alessandra Ghezzani5, i suoi saggi non sono di facile lettura, soprattutto per le numerose citazioni che li intessono.

Degli anni giovanili fanno parte le raccolte di saggi che Borges non volle più ripubblicare, perché le considerava immature: Inquisiciones (1925), El tamaño de mi esperanza (1926) ed El idioma de los argentinos (1928). Queste raccolte racchiudono la maggior parte dei saggi scritti durante il suo soggiorno in Spagna e il suo rientro in Argentina e sono il primo approccio che ha verso i classici della letteratura spagnola, come Góngora, Quevedo e Cervantes. Una delle tematiche affrontate da Borges in questi saggi è l'opposizione tra il concettismo di Quevedo e il culteranesimo di Góngora, con preferenza del primo. Se per l'argentino Quevedo ha sempre avuto una notevole predilezione, la sua attitudine verso Góngora sarà sempre ambigua: di ammirazione e rifiuto allo stesso tempo.

Inquisiciones è anche una raccolta ricca di ironia verso Rubén Darío e i modernisti. Nel saggio Menoscabo y grandeza de Quevedo Borges equipara la satira anticulterana di Quevedo a un contesto contemporaneo:

4

J. L. Borges, “Ultraísmo”, cit., p. 128.

5

A. Ghezzani, Borges critico letterario. Strutture e procedimenti discorsivi, Pisa, Edizioni ETS, 2008.

(34)

fingió en uno de sus libros un altercado entre el poeta de los pícaros y un seguidor de Góngora (esto es, entre un coplero y un rubenista)6.

Borges continua questa opposizione avanguardista al modernismo anche nel saggio Ejecución de tre palabras7, in cui immagina di condannare tre parole tipiche moderniste: inefable, misterio e soprattutto azul. Per Borges azul è un vocabolo universale, cortigiano e debilitante, che unito a nomi astratti è un aggettivo che non dice niente.

Dopo il periodo giovanile di avanguardia, negli anni trenta lo stile di Borges diventa più classico, più nitido, più lineare, ma mantiene e amplia gli stessi temi delle opere precedenti, come ad esempio la metafora e la figura di Francisco de Quevedo, che tornerà in Otras Inquisiciones del 1952. infatti, come afferma Miguel Gomes:

La roptura del Borges maduro con sus creencias juveniles no se efectuará de modo brusco, sino que muchos elementos de sus años de formación, más que desaparecer o ser negados de plano, se reconcepturarán.8

2.3. Borges poeta

Dal punto di vista della produzione poetica, abbandonata negli anni Trenta e poi ripresa negli anni Sessanta, come ci dice José María Micó nel saggio Borges en el soneto,9 dall'uso del verso libero nei poemi ultraisti e nei suoi

6

J. L. Borges, “Menoscabo y grandreza de Quevedo”, in Inquisiciones, Barcelona, Editorial Seix Barral, 1994, p. 48.

7

J. L. Borges, “Ejecución de tres palabras” in Inquisiciones, cit., pp. 163-169.

8

M. Gomes, La voz alterna: Quevedo como signo en la obra de Borges y Paz, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2007.

9

J. M. Micó, “Borges en el soneto”, in Las razones del poeta. Forma poética e historia literaria, de Dante a Borges, Madrid, Editorial Gredos, 2008, pp. 199- 218. Un altro interessante studio sul sonetto borgesiano è “Apuntes sobre el soneto” (contenuto in El siglo de Borges, a cura di A. del Toro e S. Ragazzoni, Madrid, Vervuert-Iberoamericana, 2 voll, II, 1999, pp. 203-214) di Tommaso Scarano. In questo studio Scarano anticipa Micó e nota come Borges, dal 1965 in poi, preferisca il sonetto inglese, la cui particolarità consiste nel distico finale che

(35)

primi tre libri, il Borges maturo, dalla raccolta El Hacedor (1960), passa ad usare costantemente la rima, elaborando soprattutto sonetti (così scrive Micó: “se diría que todos los libros poéticos de Borges parecen construido en torno al soneto”10

), sia seguendo il modello italiano che quello inglese, che il poeta predilige perché più libero. Borges distingue i due tipi di sonetti anche tipograficamente: il sonetto italiano con le linee bianche tra le strofe, mentre quello inglese come un unico blocco di testo. In molti di questi sonetti Borges rispetta le frontiere naturali della strofa e limita gli enjambement ai versi interni delle quartine.

Nelle opere di Borges è ben visibile la passione che l'argentino ha per la sua città, Buenos Aires (basti pensare a Fervor de Buenos Aires, Luna en frente e Cuaderno de San Martín), ma anche la sua attrazione per la grandezza della Spagna, per le sue virtù e i suoi difetti, e per gli scrittori spagnoli. A dimostrazione di ciò, dagli anni sessanta, nella produzione del Borges maturo, un gruppo di poesie documentano il suo continuo interesse per la Spagna e gli autori spagnoli. Ad esempio, della raccolta El otro, el mismo del 1964 fa parte una poesia dal titolo España dove, in un “atardecer del mes de julio de 1964”, il poeta di Buenos Aires descrive la Spagna attraverso gli elementi che più la caratterizzano. È la Spagna di Cervantes e San Juan de la Cruz (“y de la Noche Oscura del Alma”), della mitologia (“España donde Ulises descendió a la Casa de Hades”) e delle dominazioni:

España del íbero, del celta, del cartaginés, y de Roma, España de los duros visigodos,

de estirpe escandinava, […]

España del Islam, de la cábala.11

quasi sempre è caratterizzato da immagini di forte intensità.

10

J. M. Micó, “Borges en el soneto”, cit., p. 204.

11

(36)

Dalla temibile Inquisizione spagnola alle scoperte di nuovi mondi, la Spagna fa parte di Borges, delle proprie origini, anche se il poeta professa amore per altre nazioni e la dimentica.

2.4. Jorge Luis Borges racconta don Luis de Góngora y

Argote

2.4.1. Saggi

Examen de un soneto de Góngora è il primo studio che Borges dedica esplicitamente all'opera gongorina e fa parte della raccolta El tamaño de mi esperanza. Lo scrittore argentino prende in esame un sonetto che Góngora compose nel 1582, nel cosiddetto periodo “italiano”:

Raya, dorado Sol, orna y colora del alto monte la lozana cumbre; sigue con agradable mansedumbre

el rojo paso de la blanca Aurora;

suelta las riendas a Favonio y Flora, y usando, al esparcir tu nueva lumbre,

tu generoso oficio y real costumbre, el mar argenta, las campañas dora,

para que desta vega el campo raso bordes saliendo Flérida de flores;

mas si no hubiere de salir acaso,

ni el monte rayes, ornes, ni colores, ni sigas de la Aurora el rojo paso,

(37)

ni el mar argentes, ni los campos dores.12

È un sonetto convenzionale, che si basa sullo stereotipo petrarchista donna-sole e Borges lo esamina parola per parola. Le critiche iniziano già con il primo verso “Raya, dorado Sol, orna y colora”, dove Borges dice di non distinguere gli eventuali tre momenti dello spuntare del sole. Prosegue prendendo in esame l'aggettivazione della prima quartina e trovandovi non tanto fantasia quanto enfasi:

Hay un enfatizar las cosas y recalcarlas, que es indicio de gozamiento. Decir alto

monte es casi decir monte montuoso, puesto que la esencia del monte es la

elevación.13

Borges critica anche il ricorso massiccio alla mitologia: Góngora non sta parlando di un'aurora di montagna, ma il sole è il dio Apollo e l'aurora una ragazza, Favonio è il vento e Flora è la dea dei fiori e dei giardini.

“El rojo paso de la blanca Aurora” è un verso che invece piace molto a Borges perché è:

un verso que resplandece; sus dos colores son brillantes e ingenuos como los de una bandera […]. Son colores propios de la poesía renacentista y los hallamos apareados en Shakespeare.14

Il poeta-critico apprezza che vengano uniti il rosso e il bianco, combinazione che, fa notare, si trova in Shakespeare, Swinburne e nella Bibbia, in un versetto del profeta Isaia. Nella contrapposizione dei due colori Borges

12

L. de Góngora,Sonetos completos, cit., p. 115.

13

J. L. Borges, “Examen de un soneto de Góngora”, in El tamaño de mi esperanza, Barcelona, Editorial Seix Barral, 1994, p. 113.

14

(38)

vuole dimostrare come le metafore si ripetano indipendentemente dall'autore. Arrivato alle due terzine, Borges le critica aspramente dicendo che non hanno sentimenti, e che dell'amore per questa Flérida Góngora non ci dice niente. Conclude lo studio accusando i versi di mediocrità, debolezza e fragilità.

Il poeta argentino approfondisce lo studio sul poeta andaluso con il saggio El culteranismo compreso ne El idioma de los argentinos. Precedentemente il saggio era uscito, con lievi differenze, nel 1927 in una pubblicazione dell'Università Nazionale di La Plata con il titolo Gongorismo. In questo saggio del 1928 Borges inizia parlando della matematica (come la matematica anche il linguaggio è oggetto di discussione e quest'ultimo ha bisogno di libri panciuti per regolarne il disordine) per poi arrivare a parlare dei fraintendimenti nella lettura di Góngora.

Borges affronta da vicino tre errori che secondo lui caratterizzano l'opera di Góngora: l'abuso di metafore, il frequente ricorso a latinismi e l'eccessivo uso della mitologia. Per quanto riguarda l'uso gongorino di metafore c'era chi ne criticava l'abuso e chi invece lo considerava un grande poeta proprio per questo motivo. Se per García Lorca Góngora:

inventa por primera vez en el castellano un nuevo método para cazar y plasmar las metáforas, y piensa, sin decirlo, que la eternidad de un poema depende de la calidad y trabón de sus imágenes15,

secondo Borges invece la metafora deve essere connessa a un sentimento: la metafora non è poetica in quanto metafora, ma per ciò che suscita. Borges prosegue dicendo di aver scoperto delle ilustres metáforas nell'opera di Góngora, metafore mai elogiate dai suoi ammiratori. Come esempio riporta la seconda terzina di un sonetto morale del 1623 (con sottotitolo De la brevedad engañosa de la vida) il cui tema è la caducità del tempo, Menos solicitó veloz

15

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saeta:

Mal te perdonarán a ti las horas, las horas que limando están los días, los días que royendo están los años.16

Per Borges è una metafora adeguata che riporta un eterno sentimento, una preoccupazione, quella della durata della vita, comune a tutta la tradizione letteraria spagnola.

Se nei confronti di questa metafora Borges dimostra di apprezzare Góngora, assai netto è il suo parere negativo su quella celebre, che costituisce l'inizio della Soledad primera:

Era del año la estación florida en que el mentido robador de Europa

(media luna las armas de su frente, y el Sol todo los rayos de su pelo)

luciente honor del cielo, en campos de zafiro pace estrellas.17

Secondo Borges questa metafora zodiacale non è una vera metafora, non c'è una vera comparazione ma è una “aparencia sintáctica de la imagen, su

16

L. de Góngora,Sonetos completos, cit., p. 239.

17

L. de Góngora, Soledades, cit., p. 75.

Nello studio “Gli zaffiri di Borges” (contenuto in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, voll I-II, II, Pisa, Pacini Editore, 2006) Giulia Poggi ha riscontrato che nei suoi saggi Borges ricorda questo verso gongorino quattro volte e sempre in maniera diversa: en campos de zafir pacen estrellas (1921)

en campos de zafiro pace estrellas (1928) en campos de zafiros pace estrellas (1936) en campo de zafiros pasce estrellas (1982).

(40)

simulación”.18

Per quanto riguarda l'abuso di latinismi, Borges pensa che Góngora vi abbia fatto ricorso per dimostrare che la lingua castigliana ha le stesse possibilità della lingua latina. Egli mette in atto un parallelismo tra il comportamento verso la lingua spagnola di personaggi come Fray Luis de León, Cervantes e Gracián e quello dei suoi contemporanei, preferendo i primi ai secondi:

Yo confieso que a la cerrazón y hurañía de los puristas de hoy, prefiero las invasiones generosas de los latinizantes. Góngora y Quevedo lo fueron, y también Hurtado de Mendoza y Saavedra Fajardo y otros no tan ilustres. Fray Luis hebraizó con oportunidad; Cervantes italianizó; Gracián y Quevedo neologizaron. En suma, la tradición española no es tradicional, como los tradicionalistas pretenden.19

Il terzo errore del culteranesimo, cioè l'eccessivo utilizzo della mitologia, per Borges non è giustificabile. Chiamare a raccolta i miti è una forma di pigrizia, bisogna rielaborarli e non approfittarne. Parlando di miti invece è come parlare di cose che non esistono più ed è qui che il culteranesimo ha peccato:

[El culteranismo] se alimentó de sombras, de reflejos, de huellas, de palabras, de ecos, de ausencias, de apariciones. Habló – sin creer en ellos – del fénix, de las divinidades clásicas, de los ángeles. Fue simulacro vistosísimo de poesía: se engalanó de muertes.20

18

J. L. Borges, “El culteranismo”, in El idioma de los argentinos, Madrid, Alianza Editorial, 1998, p. 64.

19

J. L. Borges, “El culteranismo”, cit., p. 65.

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