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L'adeguatezza e la gradualità delle singole cautele personali

CAPITOLO III I CRITERI DELLA SCELTA GIUDIZIALE

3. L'adeguatezza e la gradualità delle singole cautele personali

Al fine di ritagliare una idonea risposta cautelare alle situazioni che necessitano di essere protette, il legislatore ha previsto in modo tassativo un ampio “ventaglio” di misure cautelari personali. Le diverse soluzioni cautelari contemplate nel sistema processuale seguono una progressiva afflittività, con al vertice la custodia cautelare in carcere. Questa pluralità di misure restrittive sottintende la volontà del legislatore di modulare la risposta cautelare a seconda della quantità e qualità dei pericoli da fronteggiare. Il rapporto tra la misura cautelare e l'intensità del periculum libertatis esprimerà il “principio di adeguatezza” (comma 1, art. 275, c.p.p.), criterio che guida la discrezionalità del giudice nella scelta della misura in concreto da applicare270. Questa valutazione consente un giudizio di utilità in base

a una scala che parte dalle misure meno gravose, cioè quelle interdittive, approdando progressivamente a quelle coercitive a contenuto meramente obbligatorio, per giungere infine a quelle pienamente detentive, ossia quelle custodiali271.

In apertura dell'art. 275 c.p.p., il criterio di adeguatezza postula che la scelta tra le varie misure cautelari avvenga soppesando la «specifica idoneità» di ciascuna di esse, in rapporto al «grado» e alla «natura» dell'esigenza concreta da realizzare, con l'ovvia conseguenza che dovrà esser scelta la misura meno limitativa della libertà personale dell'imputato o dell'indagato tra quelle di per sé astrattamente idonee a fronteggiare le suddette esigenze272. Il principio di adeguatezza

sancisce quindi che deve esserci una necessaria corrispondenza tra le esigenze cautelari riscontrate e la misura applicata, nel senso che il

270 Per i pericula più sfumati sotto il profilo della loro intensità, il giudice dovrà orientarsi “al ribasso” per una delle misure meno invasive.

271 DE CARO A., Presupposti e criteri applicativi, cit., p. 80.

giudice dovrà adottare quella cautela che risulti adatta a fronteggiare le predette esigenze con il minor sacrificio possibile della libertà del soggetto. In pratica, il principio de quo ci permette di ritenere che, se una determinata esigenza può essere soddisfatta con una misura meno grave, non è legittima l'applicazione di una restrizione maggiore: a parità di adeguatezza dev'essere applicata cioè la misura che meno incide sulla libertà del soggetto273.

Nel disporre le cautele previste dal codice, il giudice nella sua scelta dovrà tenere conto della specifica idoneità di ciascuna misura a soddisfare l'esigenza cautelare, e dovrà farlo seguendo una scala di valori e di intensità che pone la custodia cautelare carceraria al suo apice, qualificandola come l'extrema ratio. Di questa scelta dovrà dar conto l'autorità giudiziaria in sede di motivazione del provvedimento cautelare, in modo da consentire il sindacato sulla congruità del sacrificio imposto alla libertà della persona274. Peraltro la previsione di

cui all'art. 292, comma 2, lett. c-bis impone, nel caso di applicazione della custodia in carcere, «l'esposizione e l'autonoma valutazione275»

delle ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere tutelate con altre misure meno gravose. Detto ciò, in realtà, nella generale assenza di esplicite linee-guida, si ritiene che la scelta effettuata dal giudice, circa l'adeguatezza delle singole misure rispetto al caso concreto, non sia censurabile in sede di legittimità, salvi i casi di illogicità276, specificando che in capo al giudice non sussiste un

onere di dimostrare analiticamente l'inidoneità delle altre misure rispetto quella prescelta, ma risulterà sufficiente provare che

273 DE CARO A., Strumenti cautelari e precautelari, in AA.VV., Manuale di diritto processuale penale, Giappichelli, Torino, 2015, p. 339. 274 MARZADURI E., voce Misure cautelari personali (principi generali e

disciplina), cit., p. 73.

275 L'obbligo di una autonoma valutazione relativamente al contenuto dell'ordinanza cautelare è stato inserito dall'art. 8 della legge 16 aprile 2015, n. 47 con la finalità di rafforzare l'obbligo motivazionale da parte del giudice.

quest'ultima sia l'unica adeguata in base a elementi specifici a soddisfare quelle determinate esigenze cautelari277. Tuttavia, in alcune

occasioni, la giurisprudenza ha dato qualche indicazione più precisa. In tal senso, ad esempio, in ordine alla adeguatezza degli arresti domiciliari, in costanza del pericolo di cui alla lett. c dell'art. 274 c.p.p., si è sostenuto che, considerata l'eccezionalità della custodia cautelare carceraria (peraltro ancora più marcata in seguito della riforma del 2015), la misura domiciliare può essere ritenuta inadeguata soltanto in presenza di specifici elementi, inerenti al fatto, alle motivazioni di esso e alla personalità del soggetto che facciano ritenere il soggetto propenso all'inosservanza dell'obbligo di non allontanarsi dal domicilio a fini criminosi, perseguiti a ogni costo, in violazione delle cautele impostegli278. Mentre l'astratta possibilità che per

l'inefficacia dei controlli, l'imputato o l'indagato possa allontanarsi dal domicilio non vale a escludere l'adeguatezza della misura domiciliare a prevenire il pericolo di reiterazione della stessa specie279.

Il parametro dell'adeguatezza deve operare per tutta la durata della misura, nel senso che si impone una costante verifica dell'idoneità della misura applicata per le concrete esigenze che permangono, in base al principio della minor compressione possibile della libertà personale280. In questo senso, l'intento del legislatore è quello impedire

uno “spreco” di cautele a danno della liberà della persona. Del resto, anche in rapporto all'evolversi delle situazioni successive all'adozione delle misure, tale principio comporta altresì la necessità di una revoca o di una modifica del regime cautelare originario in corrispondenza del venir meno o dell'attenuarsi delle esigenze cautelari (art. 299, comma

277 Cass., Sez. VI, 5 maggio 2011, n. 17313, Cardoni, in C.e.d. 250060; Cass., Sez. V, 19 ottobre 2004, Scettro, in Guida al diritto, 2004; Cass., Sez. I, 21 novembre 2003, n. 45011, Villani, in C.e.d. 227304.

278 Cass., Sez. IV, 5 novembre 2002, Shaiti, in Mass. uff. 225235.

279 Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2002, Stojanovic, in Mass. uff. 223837. FÙRFARO S., Le limitazioni alla libertà personale consentite, cit., p. 74. 280 Cass., Sez. Un., 22 aprile 2011, n. 16085, Khalil, in C.e.d. 249323.

2, c.p.p.) e, coerentemente, lascia spazio anche ad aggiustamenti in peius (art. 299, comma 4, c.p.p.)281.

Attiene inoltre al tema dell'adeguatezza tra la misura e il fatto anche la previsione, introdotta dalla legge 128/2001282, che disciplina

l'applicazione di una misura cautelare contestualmente all'emissione della sentenza di condanna. In tale ipotesi il giudice, chiamato a valutare la sussistenza delle esigenze cautelari, deve tenere conto «anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti» (art. 275, comma 1-bis, c.p.p.). La previsione in oggetto, in realtà, appare rivestire un valore meramente simbolico e non precettivo, limitandosi a esplicare quei parametri valutativi che il giudice deve comunque adoperare nel giudizio relativo alle esigenze cautelari283.

L'art. 275, comma 3, c.p.p. nella sua proposizione iniziale enuncia il principio per il quale la custodia cautelare, ovverosia la più gravosa tra tutte le misure cautelari, può essere disposta solo allorquando ogni altra misura risulti inadeguata. Il comma proseguirà con una serie di eccezioni che via via svilupperanno il concetto di “presunzione di adeguatezza”, con la conseguenza che, da un lato, verrà svilito il senso dell'opzione discrezionale del giudice, e dall'altro, si rischia di confondere presunzione di adeguatezza con presunzione di sussistenza di esigenze cautelari284. In ogni caso, al di là delle eccezioni, la norma

afferma la regola che individua nel ricorso alla carcerazione dell'indiziato una vera e propria extrema ratio, tale cioè da utilizzarsi soltanto qualora nello specifico le esigenze cautelari non possono venire soddisfatte da nessuna differente forma di limitazione della

281 CHIAVARIO M., Art. 275 c.p.p., in AA.VV., Commento al nuovo codice di procedura penale, M. Chiavario (a cura di), vol. III, Utet, Torino, 1990, p. 66. 282 Legge 26 marzo 2001, n. 128, recante “interventi legislativi in materia di tutela

della sicurezza dei cittadini”.

283 Cfr. TONINI P., Manuale di procedura penale, cit., pp. 437 s.

libertà285. La custodia cautelare costituirà, dunque, la più intensa delle

limitazioni della libertà personale e, pertanto, dev'essere applicata soltanto quando non sia assolutamente possibile operare diversamente. Il codice fa propria tale istanza affermando il “principio di gradualità”, secondo il quale la misura custodiale in carcere potrà essere disposta solamente quando le altre misure cautelari «risultino inadeguate». La recente legge 16 aprile 2015, n. 47 ha rafforzato tale principio introducendo due nuove previsioni, che mirano a rendere residuale il ricorso alla custodia carceraria. La prima sancisce che le misure coercitive e interdittive diverse dal carcere possono essere applicate dal giudice anche cumulativamente, rendendo così più effettivo il principio di residualità della misura carceraria286. Inoltre, in base al nuovo

comma 3-bis, nel disporre la custodia intramuraria, il giudice della cautela deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene, nel caso concreto, inidonea la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'art. 275-bis, ovvero ricorrendo a strumenti tecnologici di sorveglianza elettronica287. In pratica si inserisce un

“onere di motivazione rafforzato” per disporre la custodia in carcere, coerente anche con le indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo288. Dalle stesse parole del primo periodo del terzo

comma dell'art. 275 c.p.p., si desumerà indirettamente quel principio di “minima progressione offensiva” che proietta in generale la scelta del giudice sulla misura cautelare da applicare in concreto289.

285 GREVI V., Misure cautelari e diritto di difesa, cit., p. 299.

286 A differenza del sistema previgente la legge 47/2015, oggi il giudice può combinare e sommare più misure cautelari personali al fine di individuare un livello di tutela adeguato rispetto al periculum libertatis, evitando la custodia cautelare in carcere.

287 Ciò trova corrispondenza nell'obbligo di motivazione a pena di nullità sancito dall'art. 292, comma 2, lett. c-bis.

288 Corte e.d.u., sent. 29/10/2003, Bollech c. Svizzera; Corte e.d.u., sent. 20/02/2014, Ovsjannikov c. Estonia.

289 Cfr. SPAGNOLO P., Principio di adeguatezza e residualità della custodia

cautelare, in AA.VV., La riforma delle misure cautelari personali, L. Giuliani (a

cura di), Giappichelli, Torino, 2015, pp. 96 ss.; TONINI P., Manuale di procedura

Il sistema sarà così ordinato in base al principio della pluralità graduata, secondo cui le misure sono connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale. L'esigenza di una pluralità di misure è stata ribadita anche dalla Corte costituzionale che, in più di un'occasione290, facendo leva sul criterio del minor sacrificio

necessario, ha affermato che il legislatore deve strutturare il sistema cautelare secondo un pluralità graduata, predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e deve prefigurare meccanismi individualizzati di selezione del trattamento cautelare parametrati sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete291.

Andando a esplorare le singole misure cautelari personali, a cominciare dalle quelle interdittive, si avrà, all'art. 288 c.p.p., la “sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale” - come è stata da ultimo significativamente rinominata la potestà genitoriale292 -

che consiste nella privazione temporanea, totale o parziale, dei poteri connessi a tale posizione soggettiva293. In termini generali, quella che

si definisce “responsabilità genitoriale” può essere intesa come il complesso dei poteri che l'ordinamento attribuisce ai genitori per l'adempimento dei loro doveri nei confronti dei figli, innanzitutto quelli riguardanti il mantenimento, l'istruzione e l'educazione. In tale prospettiva, anche al fine di comprendere l'oggetto della valutazione

290 Cfr. Corte cost., sent. 22/07/2005, n. 299; Corte cost., sent. 21/07/2010, n. 265. 291 SPAGNOLO P., L'assetto codicistico tra gradualità e adeguatezza, in BRONZO

P. - LA REGINA K. - SPAGNOLO P., Il pluralismo delle misure cautelari. Tra tipicità e adeguatezza, Cedam, Padova, 2017, p. 2.

292 La nozione di potestà genitoriale (già subentrata a quella di “patria potestà” con la riforma del diritto di famiglia del 1975) è stata così ridefinita dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha riscritto la relativa disposizione civilistica che ne delinea i contorni (art. 316 c.c.), in omaggio a una concezione tradizionale del rapporto genitori-figli, non più incentrata sul potere dell'adulto e sul

corrispondente stato di soggezione del figlio, ma tutta costruita intorno all'impegno che i genitori assumono nei confronti della prole.

293 Si farà riferimento ai poteri disciplinati dal Titolo IX del Libro I del codice civile conferiti ai genitori per adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli, in relazione al loro mantenimento, istruzione e educazione.

del giudice, deve quindi sottolinearsi come tale situazione giuridica venga attribuita non già nell'interesse personale dei genitori, né dell'interesse della famiglia come collettività, bensì in quello dei figli minori. La misura può riguardare sia l'intera gamma delle attribuzioni sia alcune soltanto - spetterà al giudice individuare concretamente gli atti che sono inibiti al genitore -, nonché solo alcuni figli in caso di pluralità di prole294. Il comma 2 dello stesso art. 288 c.p.p. stabilisce

che la misura può essere applicata oltre i limiti edittali prescritti all'art. 287, comma 1, c.p.p. nel caso in cui si proceda per un delitto contro la libertà sessuale o per uno dei reati di cui agli artt. 530 e 571 c.p.295

commesso in danno di prossimi congiunti. La funzione prevalente - anche se la giurisprudenza non la considera esclusiva296 - della misura

in esame sarà quella di soddisfare l'esigenza di cui alla lett. c dell'art. 274 c.p.p.297

In seguito, si ha la “sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio o servizio” di cui all'art. 289 c.p.p. attraverso la quale il giudice mira a interdire temporaneamente all'imputato, che sia pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, l'esercizio di tutte o alcune attività, legate all'ufficio o servizio, da intraprendersi in quanto strettamente attinenti alla funzione oggetto del provvedimento restrittivo. Per effetto della cautela il destinatario è temporaneamente ridotto a “non-

294 BRONZO P., Le misure interdittive, in BRONZO P. - LA REGINA K. - SPAGNOLO P., Il pluralismo delle misure cautelari. Tra tipicità e adeguatezza, Cedam, Padova, 2017, p. 184.

295 Rispettivamente i reati di “corruzione di minorenni” e “abuso di mezzi di correzione o di disciplina”. Si noti che la previsione di cui all'art. 530 c.p., considerata la sua abrogazione, va rapportata ai delitti contro la libertà personale di cui agli artt. 609-bis ss. c.p., così da determinare una continuità con gli artt. 609-quater e 609-quinquies c.p.

296 È stato ritenuto legittimo il provvedimento di sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale emesso nell'ambito del procedimento per il reato di violenza sessuale in danno del figlio minore, in quanto tale misura incide sull'esercizio di quegli stessi poteri, attraverso i quali non solo potrebbe verificarsi una

reiterazione di analoghe condotte, ma altresì pregiudicare la genuina acquisizione della prova nel successivo iter processuale. Cass., Sez. I, 12 luglio 2001, Calabrese, in C.e.d. 219993.

funzionario”, con intuibili effetti per gli atti d'ufficio che fossero compiuti sine titulo298. Questa misura ha una notevole affinità con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici ex art. 28 c.p. e ha, quale funzione prevalente, quella di salvaguardare la genuinità della prova, anche se tuttavia non può dirsi a essa estranea anche quella di prevenzione del pericolo di reiterazione di delitti. Il secondo comma prevede, in deroga alla disciplina di cui all'art. 287 c.p.p., che nel caso si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione, il giudice può disporre la sospensione nei confronti dell'incaricato di pubblico servizio o del pubblico ufficiale pur non rispettando i limiti di pena sanciti all'art. 287 c.p.p. In quest'ipotesi, la misura cautelare dovrà essere tuttavia preceduta, a pena di nullità a regime intermedio299,

dall'interrogatorio dell'indagato con le modalità di cui agli artt. 64 e 65 c.p. Su tutt'altro fronte, al comma successivo, viene esclusa l'applicabilità della misura de qua in relazione «agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare» al fine, da un lato, di evitare strumentalizzazioni delle indagini o dei processi per ragioni politiche e, dall'altro, di tutelare la volontà popolare300.

L'art. 290 c.p.p. disciplina l'ultimo esemplare di misura interdittiva, ovvero il “divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali”. Attraverso tale provvedimento il giudice interdice provvisoriamente all'indiziato, in tutto o in parte, le attività inerenti alle professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese301. Anche a questa misura corrispondono,

peraltro, delle sanzioni accessorie specifiche, ossia l'interdizione da

298 Cfr. CORDERO F., Procedura penale, cit., p. 512.

299 Cass., Sez. VI, 24 maggio 2000, n. 2412, Corea, in C.e.d. 217318.

300 TAORMINA C., Diritto processuale penale, vol. I, Giappichelli, Torino, 1995, p. 417.

301 Si farà riferimento oltre che all'imprenditore anche alle figure caratterizzate dalla titolarità di uffici direttivi, di imprese e di persone giuridiche, quali

amministratori, sindaci, liquidatori, direttori generali e ogni altro rappresentate legale dell'impresa o dell'ente in quanto investito di funzioni direttive.

una professione o da un'arte ex art. 30 c.p. e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese ex art. 32-bis c.p. Il fatto che all'art. 290 c.p.p. manchi il riferimento alle “arti” suggerisce l'esclusione dell'applicabilità del divieto alle figure di lavoro autonomo che a volte sono soggette a regime di licenza e a specifiche forme di tutela penale. Il comma secondo dell'art. 290 c.p.p. prevede, anche qui, che la misura sia comunque applicabile, a prescindere dai limiti di pena previsti dall'art. 287, nel caso in cui si proceda per un delitto contro l'incolumità pubblica o contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio ovvero per alcuno dei delitti previsti dalle disposizioni penali in materia di società e di consorzi, nonché nelle ipotesi di cui agli artt. 353, 355, 373, 380 e 381 c.p.302 Considerando, infine, le

finalità cautelari perseguibili con la misura in esame, assumerà una primaria importanza il perseguimento della finalità di cui alla lett. c dell'art. 274 c.p.p.303

Spostandoci poi alle misure coercitive, si può osservare come la successione in cui le misure vengono presentate nel Capo II del Libro IV fornisce utili indicazioni: porre qui le misure in una progressione restrittiva crescente, come fossero i “gradini di una scala” può essere un parametro di valutazione per adeguare la misura da disporre alla natura e al grado dell'esigenza cautelare. Si partirà dalle misure prescrittive, ossia quelle che impongono degli obblighi consistenti in un facere o in un non facere (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, divieto e obbligo di dimora); per poi passare agli arresti domiciliari, misura prescrittiva sì perché fissa un obbligo di non fare

302 Cfr. SPANGHER G., Le misure cautelari personali, in AA.VV., Omnia trattati giuridici. Procedura penale. Teoria e pratica del processo, A. Marandola (a cura di), vol. II, Misure cautelari. Indagini preliminari. Giudizio, Utet, Torino, 2015, pp. 50 ss.; DIDDI A., Tipologie di misure, cit., pp. 143 s.

ma che si configura come paracustodiale essendo equiparata, per espressa disposizione normativa, alla custodia cautelare in carcere; e finendo con le misure custodiali in senso stretto, ossia la custodia cautelare in carcere e negli altri luoghi indicati dal legislatore.

La prima cautela coercitiva, che occupa l'iniziale gradino nella scala di afflittività derivante dalla scelta pluralistica voluta dal legislatore in materia di misure cautelari, è il “divieto di espatrio” di cui all'art. 281 c.p.p. Essa rappresenta una cautela incidente sulla libertà personale lato sensu intesa e, più precisamente, sulla possibilità di lasciare il proprio Paese: si circoscrive la libertà di circolazione all'interno dello Stato, negando all'imputato la possibilità di poter uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice304. Per l'applicazione della

misura del divieto di espatrio devono ricorrere, ovviamente, le condizioni generali di cui agli artt. 273 e 274 oltre a quelle previste dall'art. 280 c.p.p. Con l'emissione del provvedimento vengono impartite anche le disposizioni necessarie per impedire l'uso del passaporto e degli altri documenti idonei allo scopo. In particolare, oltre la notifica all'imputato e il ritiro dei documenti validi per l'espatrio, sarà necessaria una comunicazione all'autorità amministrativa per impedire l'emissione di nuovi documenti. Nei dieci giorni successivi alla esecuzione della misura, nel solo caso in cui la cautela è stata disposta in un momento precedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, l'imputato o il soggetto sottoposto a indagini dev'essere sottoposto a interrogatorio ai sensi dell'art. 294, comma 1- bis, c.p.p. È pacifico che la violazione dell'obbligo di non allontanarsi dallo Stato senza l'autorizzazione del giudice, non dia luogo al reato di

304 Con la Corte cost., sent. 31/03/1994, n. 109 è stata dichiarata l'illegittimità, per contrasto con gli artt. 3, 13 e 16 Cost., dell'art. 281 comma 2-bis c.p.p., dov'era stabilito che «con l'ordinanza che applica una delle altre misure coercitive