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CAPITOLO III I CRITERI DELLA SCELTA GIUDIZIALE

2. Il principio di proporzionalità

Improntato sull'idea che la libertà personale non debba essere ristretta se non quando risulti strettamente necessario, il nostro codice di procedura penale è stato impostato in modo da scongiurare il pericolo di un uso indiscriminato delle misure cautelari personali. Le diverse cautele prescritte dal legislatore non si devono considerare come delle “creature stravaganti”241 dal momento che, in realtà, esse rispondono

all'idea basilare di civiltà per cui la libertà della persona non può essere limitata in maniera sproporzionata. Detto questo, in materia cautelare opererà il “principio di proporzionalità” che, assieme al principio di adeguatezza, costituirà la regola di giudizio, dal quale l'organo decidente non può prescindere nella applicazione della misura restrittiva: il legislatore, attraverso tali principi, ha così voluto guidare il potere cautelare del giudice.

L'enunciazione del principio di proporzionalità riflette un modello che trova da tempo una sua espressione nel codice di procedura penale tedesco (§ 112.1 della Strafprozessordnung) e che ha esercitato un'influenza trainante nella formulazione originaria dell'art. 275, comma 2, c.p.p.242 In base al criterio di proporzionalità viene sancito

che ogni misura, indipendentemente dall'intensità del periculum concreto, dev'essere proporzionata «all'entità del fatto» e «alla sanzione» che sia stata o si ritiene possa essere irrogata243. Se per un

verso, quindi, il principio di adeguatezza è caratterizzato dalla correlazione tra la misura e l'intensità del pericolo collegato allo status libertatis, dall'altro verso, il criterio di proporzionalità si basa sulla

241 L'espressione è di TONINI P., Manuale di procedura penale, cit., p. 438. 242 CHIAVARIO M., Diritto processuale penale, cit., p. 760.

243 In passato, quanto alla sanzione, si considerava solamente la prospettiva

prognostica di quella presumibilmente irrogabile, mentre con la legge 128/2001 si è provveduto a un'integrazione, imponendo di guardare anche alla sanzione già irrogata.

relazione tra la gravità del fatto e il provvedimento cautelare. L'esigenza di una proporzione si fonderà, dunque, sul naturale rapporto tra la restrizione ante iudicium e la dimensione del fatto-sanzione. Il giudizio di proporzionalità evocherà una correlazione tra alcuni parametri ben definiti e la scelta cautelare concreta. L'entità del fatto è, ad esempio, una variabile significativa in quanto dal suo perimetro emerge una prospettiva dalla quale tener conto nella successiva valutazione cautelare. Ugualmente, la pena irrogata o che si ritiene possa essere irrogata costituisce un'ulteriore variabile capace di condizionare la scelta, poiché, se è prevedibile una pena mite, diventa illogica un'imposizione cautelare gravosa che, per contro, si giustifica nella prospettiva di una pena elevata244.

In sostanza, dire che la misura dev'essere proporzionata significa che, nello scegliere il provvedimento cautelare da applicare, il giudice deve considerare - nell'ambito del tipo di reato - quanto sia grave il fatto specifico per il quale si procede. L'autorità giudiziaria, dunque, nel determinare la misura più idonea da adottare alla fattispecie specifica, dovrà tener conto non solo dell'attitudine della misura a soddisfare le esigenze cautelari verificate nei singoli casi, ma anche della sua congruità, sotto il profilo della deminutio libertatis che ne deriva all'imputato, sia rispetto alla gravità del fatto addebitatogli, sia rispetto al quantum di pena che, alla luce della complessiva situazione processuale, possa essergli irrogata ovvero che già gli sia stata irrogata attraverso una sentenza di condanna non definitiva245. Il riferimento

qui alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata è funzionale alla determinazione della gravità del fatto. Peraltro, la stessa sanzione dovrà considerarsi “per intero”, aldilà di quella effettivamente da scontare: in altri termini, per rispettare la proporzionalità non si dovrà considerare la pena residua, ad esempio dopo l'applicazione di

244 In tal senso, DE CARO A., Presupposti e criteri applicativi, cit., pp. 84 s. 245 GREVI V., Misure Cautelari, cit., p. 370.

un indulto, ma la pena globalmente intesa. La previsione normativa opera quindi in modo favorevole per l'imputato, dal momento dispone che, anche in presenza di un concreto pericolo ex art. 274 c.p.p., nel caso in cui il reato sia di lieve rilevanza, la misura cautelare non dovrà essere eccessivamente afflittiva; confermando così come l'obiettivo dell'accertamento della responsabilità penale non debba essere perseguito con costi personali eccessivi ove la fattispecie concreta non lo meriti. Gravità del fatto e pena irrogata o presumibilmente da irrogare costituiscono, dunque, i referenti della valutazione di proporzionalità che riempie di ulteriore significato la scelta della misura concreta. Nel caso in cui il fatto non risulti particolarmente grave, la valutazione cautelare dovrà essere necessariamente negativa, stessa sorte avrà tale valutazione se la sanzione irrogata o presunta non sarà particolarmente elevata246.

È pacifico in giurisprudenza che il criterio di proporzionalità operi in relazione a tutte le misure cautelari personali, tuttavia qualora debbano essere applicate l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 c.p.p. e il divieto o obbligo di dimora ex art. 283 c.p.p., la valutazione sulla proporzionalità dovrà riguardare soltanto l'entità del fatto e non anche la sanzione irrogabile o irrogata in via non definitiva, in quanto si tratta di cautele meno afflittive per le quali non opera la preclusione derivante dalla ingiustizia della detenzione oltre la durata della pena astrattamente da infliggere247. Un'altra indicazione

giurisprudenziale viene peraltro data a proposito dell'ipotesi in cui una misura intervenga dopo una decisione di condanna non definitiva: in questo caso la verifica della sussistenza della proporzionalità della misura cautelare richiesta dall'art. 275, comma 2, c.p.p. dovrà essere

246 DE CARO A., Strumenti cautelari e precautelari, in AA.VV., Manuale di diritto processuale penale, Giappichelli, Torino, 2015, p. 341.

247 Questo principio è affermato con riferimento all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ma applicabile a tutte le misure alternative alla detenzione Cass., Sez. III, 11 luglio 2003, n. 38748, Nako, in Cass. pen., 2004.

effettuata con esclusivo riferimento alla sanzione irrogata e non ai possibili esiti successivi in ipotesi di impugnazione del pubblico ministero248.

In una logica riconducibile a quella del principio di proporzionalità si riferisce il comma 2-bis, dell'art. 275 c.p.p., con il quale viene sancito, nella prima parte della norma, un esplicito divieto di disporre sia la custodia cautelare in carcere o in luogo di cura, sia gli arresti domiciliari «se il giudice ritiene che, con la sentenza di condanna, possa essere concessa la sospensione condizionale della pena»249. La

norma è stata introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 332 per dare risposta a una questione destinata a incidere in termini particolarmente significativi sulle sorti della libertà personale dell'imputato, rispetto alla quale esisteva una lacuna che la giurisprudenza non era riuscita a colmare250. Trattasi di una previsione che disegna una valutazione

cautelare quale delibazione parallela e anticipata rispetto a quella di merito che impone al giudice di valutare non solo la situazione esistente al momento della richiesta cautelare, ma anche la pena che verosimilmente sarà irrogata al termine del processo, si esclude in maniera assoluta che la futura prognosi di concessione del beneficio di cui all'art. 163 c.p. sia compatibile con la custodia cautelare estensivamente intesa251. Questa operazione non sarà sicuramente

nuova per l'organo cautelare. A ben vedere, la clausola dei «gravi indizi di colpevolezza» (art. 273, comma 1, c.p.p.) fornisce una “sintesi anticipata” di tutti quei requisiti necessari per la condanna:

248 Cass., Sez. VI, 20 gennaio 2006, n. 10656, Kermadi, in Cass. pen., 2006. 249 Comma 2-bis aggiunto dall'art. 4, legge 8 agosto 1995, n. 332; successivamente

l'art. 8 decreto legge 26 giugno 2014, n. 92 convertito con legge 11 agosto 2014, n. 117, riformula il comma 2-bis, prima riferito esclusivamente al divieto di applicare la misura custodiale in previsione della possibile concessione della sospensione condizionale.

250 In tal senso, FÙRFARO S., Le limitazioni alla libertà personale consentite, cit., pp. 75 s.

251 DELL'ANNO P., voce Custodia cautelare (in generale), in Digesto disc. pen., agg., Utet, Torino, 2005, p. 268.

l'accertamento positivo del fatto materiale tipico e dell'antigiuridicità, nonché la possibilità di attribuire psicologicamente il fatto all'imputato e di rimproverargli il comportamento tenuto a titolo di dolo, colpa o preterintenzione, per cui anche il giudice per le indagini preliminari, nella valutazione di tale presupposto legale, deve innanzitutto qualificare giuridicamente il fatto e determinare la pena in astratto irrogabile, anche al fine di verificare la sussistenza del requisito oggettivo di cui all'art. 280 c.p.p., il quale stabilisce le soglie edittali al di sotto delle quali non è possibile attivare misure coercitive252. La

finalità del legislatore sarà quella di evitare una eccessiva incidenza sulla libertà personale, per fini cautelari, nei confronti di chi non patirebbe alcuna esecuzione della pena nel caso di eventuale condanna in virtù del meccanismo di cui all'art. 163 c.p. Ebbene la ratio dell'intervento denota qui la seria volontà di superare la concezione “carcere-centrica” delle cautele processuali, evitando il sacrificio della libertà personale dell'indiziato tutte le volte in cui questi, quand'anche venisse irrevocabilmente condannato, con ogni probabilità non entrerà in una struttura carceraria, poiché l'entità contenuta della pena aprirà la strada a una misura alternativa alla detenzione253. Nell'ipotesi regolata

dall'art. 275, comma 2-bis, c.p.p. la decisione di non disporre la custodia cautelare della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato potrà aversi solo se l'evoluzione procedimentale ha permesso l'individuazione di elementi probatori tali da far ritenere allo stato degli atti non solo che la pena irrogabile rientri nei limiti stabiliti dall'art. 163 c.p., ma anche che sussistano le condizioni descritte nell'art. 164 c.p.254, tra le quali assume connotati di maggiore problematicità la

252 Cfr. NEGRI D., Fumus commissi delicti. La prova per le fattispecie cautelari, cit., p. 116.

253 In tal senso, CERESA GASTALDO M., Tempi duri per i legislatori liberali, in www.penalecontemporaneo.it, 10.07.2014, p. 2.

254 L'art. 164 c.p. recita: «La sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati».

prognosi di non recidiva dell'eventuale colpevole255. In questi termini

si è espressa, peraltro, la Cassazione affermando che, non essendo previsto dall'art. 275, comma 2-bis, c.p.p. alcun parametro oggettivo al quale ancorare il giudizio prognostico in ordine all'applicabilità del beneficio, è necessario fare riferimento ai limiti fissati dagli artt. 163 e 164 c.p. e alla pericolosità dell'indagato o dell'imputato, desumibile dagli indici previsti dall'art. 133 c.p.p., inerenti al delitto contestato, alle modalità di esecuzione e alla personalità dell'indagato medesimo, perché possa in definitiva argomentarsi che l'autore del fatto si asterrà dal commettere ulteriori reati256. La verifica circa la possibilità di

concedere la sospensione condizionale della pena dev'essere effettuata coinvolgendo tutti gli elementi a disposizione, ma non può essere utilizzata la scelta, spesso legata a una prospettiva futura, di un rito deflattivo premiale257 per computare anche lo sconto di pena previsto

dalla legge processuale258.

Oltre a questo primo disposto, il legislatore nel periodo più recente ha aggiunto un secondo disposto stabilendo che il divieto fin'ora esaminato, riferendosi unicamente alla misura della custodia cautelare in carcere, opererà anche quando il giudice ritenga che «all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore ai tre anni», fatto «salvo quanto previsto dal comma 3» dell'art. 275 c.p.p., facendo riferimento a tutta una serie di delitti ivi previsti, e «ferma restando l'applicabilità degli artt. 276, comma 1-ter, e 280, comma 3» ovverosia l'applicabilità della misura carceraria in sostituzione di un'altra misura qualora siano state violate le prescrizioni connesse.

Il divieto del comma 2-bis259, così complessivamente impostato, è

255 MARZADURI E., Art. 275, in AA.VV., Commentario al nuovo codice di procedura penale, M. Chiavario (a cura di), III agg., Utet, Torino, 1998, p. 174. 256 Cass., Sez. V, 28 gennaio 1998, n. 5475, Tudor, in Riv. pen., 1998.

257 In questa direzione interpretativa cfr. Cass., Sez. II, 19 novembre 1996, Marino, in C.e.d. 206433.

258 DE CARO A., Presupposti e criteri applicativi, cit., p. 84.

frutto dell'intervento emergenziale diretto a soddisfare le prescrizioni della Corte europea dei diritti dell'uomo: come noto la sentenza “pilota” Torreggiani260 ha imposto all'Italia di predisporre un insieme

di rimedi preventivi e compensativi finalizzati a ridurre la popolazione detenuta e a riparare adeguatamente il pregiudizio arrecato dalle detenzioni inumane e degradanti dovute alla situazione di sovraffollamento sistemico causato anche, come rileva la stessa Corte, da un eccessivo ricorso alla custodia cautelare261.

Nella sua dizione originaria, introdotta dalla legge 332/1995, il precetto in questione prevedeva solo che il giudice non potesse disporre la custodia in carcere, se con la sentenza di condanna poteva essere concessa la sospensione condizionale della pena262.

Successivamente il testo del comma 2-bis fu ampliato dal decreto legge 92/2014263. Questa operazione, tuttavia, allarmò parte della

sostituito dall'art. 8, comma 1, del decreto legge 26 giugno 2014, n. 92, recante “disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'art. 3 della

Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile”, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117 .

260 Corte e.d.u., sent. 08/01/2013, Torreggiani e altri c. Italia.

261 COPPETTA M. G., Le modifiche al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p. e il d.l. 26

giugno 2014 n. 92, in AA.VV., La riforma delle misure cautelari personali, L.

Giuliani (a cura di), Giappichelli, Torino, 2015, p. 35.

262 Corte cost., sent. 22/07/1996, n. 278, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 2-bis, c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 25, comma 1, 27, comma 2 e 101, comma 2, Cost. In particolare, viene sottolineato come la previsione in esame costituisca il naturale sviluppo del principio di proporzionalità sancito dall'art. 275, comma 2, c.p.p., giacché alla indefettibile correlazione che deve stabilirsi tra il differenziato livello di compressione della libertà personale, tipico di ciascuna misura, e l'entità della sanzione che si ritiene possa essere irrogata, coerentemente si sovrappone l'inapplicabilità delle più gravi misure custodiali nell'ipotesi in cui il giudice ritenga che l'irroganda pena possa essere eseguita per la sussistenza dei presupposti che legittimano la concessione del beneficio della sospensione condizionale.

263 L'art. 8 del decreto 92/2014 modifica così il comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p.: «Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la

dottrina e la magistratura associata, timorose che la nuova disciplina impoverisse troppo e irragionevolmente il potere cautelare di coercizione264. Il novum legislativo difatti pone un rigoroso divieto di

applicare la custodia cautelare in carcere anche in presenza di situazioni concrete di elevata pericolosità265. Ben presto queste

preoccupazioni verranno meno in seguito alle variazioni apportate dalla legge di conversione 117/2014 la quale chiarì i dubbi interpretativi, depotenziando anche il divieto di applicazione della custodia carceraria attraverso l'inserimento di una consistente serie di limitazioni alla sua operatività. In particolare, sotto il primo profilo, il legislatore risponde all'incertezza interpretativa specificando che l'oggetto della prognosi del giudice dovrà essere la pena «irrogata» all'esito del giudizio e non quella «da eseguire». La modifica è stata senz'altro opportuna: ha evitato una molteplicità di calcoli, dal carattere troppo aleatorio, che si sarebbero dovuti eseguire per computare la pena residua. Invece, per il secondo profilo, la legge di conversione ha ridimensionato considerevolmente la portata dirompente della disciplina voluta dal decreto, con la previsione di numerose ipotesi di pene irrogate inferiori ai tre anni in cui le esigenze cautelari potranno continuare a essere soddisfatte con la custodia intramuraria266.

La disposizione di cui al comma 2-bis non può che non essere apprezzata dal momento che viene ribadito come il ricorso alle misure

pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni».

264 Per contro non sono mancate voci di sostegno alla nuova impostazione introdotta dall'art. 8 del d.l. 92/2014, vista come un presidio di reale garanzia, che attraverso l'ideale collegamento tra il piano cautelare e quello dell'esecuzione della pena, traduce e rende effettivo il principio di proporzionalità, riducendo

significativamente il rischio di infliggere all'imputato o all'indagato un sacrificio ingiusto. In questi termini, CERESA GASTALDO M., Tempi duri per i

legislatori liberali, cit., pp. 1 s.

265 LARONGA A., L'art. 275, comma 2-bis, c.p.p.: una nuova preclusione

all'impiego della custodia cautelare in carcere, in www.questionegiustizia.it,

06.10.2014.

266 COPPETTA M. G., Le modifiche al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p. e il d.l. 26

più incisive sulla libertà personale dev'essere residuale, e devono essere escluse, pur in presenza di situazioni di periculum libertatis, nelle ipotesi in cui sia prevedibile fin dall'inizio che l'eventuale condanna alla pena detentiva potrà non essere scontata in carcere. La previsione, infatti, ha la sua ragion d'essere nel fatto che per le condanne fino a tre anni di pena da espiare in concreto è previsto il meccanismo della sospensione dell'esecuzione della pena fino all'esito dell'eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione. Le questioni che la norma sollecita sono tutte racchiuse nel giudizio prognostico richiesto e, in relazione a ciò, alcune opinioni espresse in dottrina paiono considerare la valutazione al di fuori dei contesti normativi, non ultimo quello sulla motivazione. Sostenere, infatti, che l'affermazione secondo cui è vietato applicare la misura «se il giudice ritiene», significa immaginare un divieto che nasce da una valutazione personale e intima del giudice267. In realtà, la locuzione che tanto ha

preoccupato - «se il giudice ritiene» - altro non sta a significare che la valutazione segue dei criteri prognostici, gli stessi peraltro che presiedono anche il giudizio di concedibilità della sospensione condizionale, per cui il giudice non potrà mai ritenere che la pena potrà essere sospesa senza aver prima svolto un'indagine adeguata sui vari profili di fatto e di diritto che incidono sulla concessione del beneficio268. La norma continua prevedendo che quanto previsto fin

qui non opera per i delitti di cui agli artt. 423-bis (Incendio boschivo), 572 (Maltrattamenti contro familiari e conviventi), 612-bis (Atti persecutori) e 624-bis (Furto in abitazione e furto con strappo) c.p. e quelli elencati all'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà). Il mero riferimento al titolo di reato per cui si procede introduce una prognosi di pericolosità del soggetto,

267 In tal senso, MARZADURI E., Art. 275, cit., p. 173.

non sconosciuta nel codice di rito, che prescinde dalla condotta effettivamente posta in essere nel caso concreto, ma che poggia le basi su una valutazione compiuta ab origine dallo stesso legislatore secondo specifiche scelte di politica criminale, in modo non dissimile, invero, dal meccanismo di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. L'esclusione risponde, quindi, a una discutibile logica emergenziale che tiene fuori non solo reati gravi ma anche fattispecie di non particolare rilievo ma particolarmente sentite dalla collettività.

L'ultima parte del comma 2-bis chiude, infine, il catalogo delle eccezioni affermando che il divieto di custodia cautelare, non si applica quando, rilevata l'inadeguatezza di altre misure, gli arresti domiciliari non potranno essere disposti per mancanza di uno dei luoghi ove gli stessi possano essere eseguiti. La mancanza di uno dei loci custodiae ove possano essere disposti gli arresti domiciliari costituisce un requisito negativo di natura oggettiva che trascende sia dalle caratteristiche dell'imputato o dell'indagato, sia dalle ipotesi di reato allo stesso contestate, fotografando una situazione di concreta impossibilità269.

269 CORTESI M. F., Interventi sulle misure custodiali, in AA.VV., Misure cautelari ad personam in un triennio di riforme, A. Diddi e R. M. Geraci (a cura di), Giappichelli, Torino, 2015, pp. 28 s.