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CAPITOLO III I CRITERI DELLA SCELTA GIUDIZIALE

4. La detenzione in carcere

4.1. Le situazioni incompatibili con la misura intramuraria

Un dettagliato quadro di situazioni impeditive della restrizione intramoenia è stato previsto per la tutela del diritto alla salute370.

Orbene, il legislatore ha sancito alcune presunzioni che operano in bonam partem: al ricorrere di determinate condizioni soggettive, tali presunzioni escludono che il giudice possa applicare la custodia carceraria nei confronti di alcuni imputati o indagati, a favore di misure cautelari alternative, in primis gli arresti domiciliari. A meno che non vi siano esigenze di «eccezionale rilevanza», come potrebbe accadere quando il soggetto in questione sia particolarmente pericoloso a causa o dei suoi precedenti penali o del reato commesso, viene esclusa la possibilità di disporre la cautela carceraria nei confronti di una «donna incinta» o «madre di prole di età non superiore a sei anni»371 con lei convivente; il particolare regime si applica anche al

«padre» del bambino, nel caso in cui la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole372, ovvero se

la persona sottoposta per cui si procede abbia superato i settanta anni (art. 275, comma 4, c.p.p.)373. Questa formulazione è frutto

370 Per un quadro generale della problematica, cfr. FIORIO C., Libertà personale e

diritto alla salute, Cedam, Padova, 2002, pp. 210 ss.

371 Questa presunzione in bonam partem di inadeguatezza della custodia carceraria prevale su quella in malam partem prevista dall'art. 275, comma 3, c.p.p. Tuttavia, al raggiungimento del sesto anno di età, qualora si proceda per uno dei delitti per i quali vige una presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere (artt. 270, 270-bis e 416-bis c.p.p.), dovrà disporsi la sostituzione degli arresti domiciliari con la misura carceraria (Corte cost., sent. 24/01/2017, n. 17).

372 È stato precisato che il divieto di custodia cautelare in carcere di cui all'art. 275, comma 4, c.p.p. previsto nei confronti dell'imputato o dell'indagato, padre di prole, nel caso in cui sussista l'assoluta impossibilità della madre di prestarvi assistenza, non è automaticamente operativo qualora detta impossibilità sia costituita dall'attività lavorativa della madre (Cass., Sez. III, 10 gennaio 2013, n. 9575, in Fam. e dir., n. 4, 2013).

373 L'elencazione delle categorie soggettive destinatarie del regime de quo,

trattandosi di un precetto speciale, è tassativa; quindi risulta insuscettibile di una interpretazione estensiva (Cass., Sez. IV, 5 novembre 2009, S.S.J.G., in C.e.d. 245779).

dell'intervento novellistico del 2011374, che ha sostituito integralmente

il quarto comma dell'art. 275 c.p.p. La lettura dei due precetti evidenzia, però, come al di là di una diversa strutturazione lessicale, il contenuto sia pressoché identico, eccezion fatta per il riferimento alla prole che ora è fino a «sei anni» di età, in luogo della dizione precedente che, invece, indicava i «tre anni». In quest'ottica, la scelta del legislatore di elevare la fascia di età dei minori costituisce un apprezzabile strumento per evitare che la massima restrizione della libertà personale produca effetti pregiudizievoli, diretti o indiretti, nei confronti dei minori375.

La disposizione, nella prima parte, si basa sulla necessità di salvaguardare l'integrità psicofisica di soggetti “fragili”, diversi dalla persona nei cui confronti dev'essere applicata la carcerazione, nella consapevolezza dei gravi effetti che le mutazioni di un rapporto affettivo possono provocare su soggetti di tenera età376. Le esigenze di

tutela dell'infanzia, della genitorialità e della cura familiare saranno qui le fondamenta dell'inadeguatezza della custodia cautelare in carcere. La norma, infatti, vuole garantire l'assistenza familiare dei minori in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione psichica377. Nell'ipotesi poi in cui sussistono esigenze di

eccezionale rilevanza, per la detenzione di madri o padri nei casi prima menzionati, ai sensi dell'art. 285-bis, è prevista la custodia cautelare in istituti di “custodia attenuata”, denominati nella prassi I.C.A.M.378

DIDDI A., Tipologie di misure, cit., p. 129.

374 Art. 1, comma 1, legge 21 aprile 2011, n. 62, recante “modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”.

375 In tal senso, CORTESI M. F., Interventi sulle misure custodiali, cit., p. 33. 376 BRESCIANI L., Art. 5, legge n. 332 del 1995, in Leg. pen., n. 1, 1995, pp. 630 s. 377 Cass., Sez. V, 9 novembre 2007, Verde, in Mass. uff. 238209.

378 Questi istituti a custodia attenuata sono stati creati allo scopo di limitare, per quanto possibile, gli effetti pregiudizievoli causati ai bambini dalla permanenza negli ambienti di detenzione dei genitori. Si tende, pertanto, a riprodurre un contesto familiare, in cui i sistemi di controllo e di sicurezza non siano

riconoscibili a impatto ai minori e ove gli agenti di polizia penitenziaria svolgono le proprie mansioni indossando abiti civili.

Si osserva come neppure nel testo riformato dal novum legislativo del 2001 si prenda in considerazione, nel corpo dell'art. 275, comma 4, c.p.p., l'ipotesi in cui il figlio, minore o meno, sia totalmente disabile, generando una palese irragionevolezza del sistema. La prassi giurisprudenziale tende a escludere un'interpretazione estensiva della norma: non pare consentito ampliare il divieto di cui al comma 4 dell'art. 275 c.p.p. ai genitori dei figli che, pur avendo superato il sesto anno di età, siano portatori di handicap379. La conclusione, purtroppo,

è imposta, ma la scelta è tutt'altro razionale soprattutto laddove determinate disabilità, in particolar modo quelle di impatto sulla crescita psichica, necessitino di un supporto genitoriale. Pertanto, la dottrina auspica, de iure condendo, un nuovo intervento normativo teso a bilanciare in modo adeguato i contrapposti interessi e che eviti l'utilizzo della misura carceraria tutte le volte in cui ciò, determini un pregiudizio anche per il figlio portatore di handicap, equiparando la sua condizione a quella del minore380.

Per il divieto che coinvolge gli anziani ultrasettantenni, a differenza dell'ipotesi precedente, la ratio risiede nella ritenuta minor pericolosità sociale dovuta all'inevitabile decadimento delle loro facoltà fisiche e psichiche381. In altre parole, l'ormai avanzato stato di età del soggetto

per cui si procede, è considerato l'indice di una scemata pericolosità sociale dello stesso (insomma, senectus ipsa morbus). Anche in quest'ultimo caso, quindi, vige una presunzione di inadeguatezza della

Per un approfondimento, DI ROSA G., La detenzione delle donne con i figli

minori e l'istituto a custodia attenuata per madri (I.C.A.M.) di Milano, in Cass.

pen., n. 12, 2009, p. 4899 ss.

379 Cass., Sez. V, 13 marzo 2013, n. 31226, in C.e.d. 256589; Cass., Sez. IV, 29 aprile 2003, Spanò, in Mass. uff., 227292; Cass., Sez. II, 14 febbraio 1996, Cirillo, in Guida al diritto, 1996.

380 Di questo avviso, FÙRFARO S., Le limitazioni alla libertà personale consentite, cit., p. 85; CORTESI M. F., Interventi sulle misure custodiali, cit., p. 34.

381 La misura cautelare della custodia in carcere potrà essere eccezionalmente disposta nei confronti di soggetti ultrasettantenni a condizione che, con specifica motivazione, si dia conto dell'esistenza di esigenze cautelari di intensità così elevata e straordinaria da rendere in concreto inadeguata ogni altra misura (Cass., Sez. I, 4 maggio 2009, Frigato, in Cass. pen., 2010).

misura custodiale, in ragione della situazione di salute precaria di questi soggetti, che rende particolarmente gravosa la vita all'interno di una struttura carceraria.

In sintesi, si è voluto evitare la massima afflizione possibile a quelle persone che si trovano in condizioni particolari per età o status personale, scongiurando al tempo stesso che la detenzione in carcere, dai contenuti particolarmente lesivi, possa ritorcersi nei confronti di persone tendenzialmente più fragili, perché in stato di gravidanza o anziani o, più marcatamente, di bambini, tra l'altro completamente estranei alla vicenda. In questi casi, la presunzione di minore pericolosità, ovvero l'attenzione rivolta a situazioni personali particolari, cede di fronte a esigenze di eccezionale rilevanza382. In

giurisprudenza è stato chiarito come le esigenze in questione devono far riferimento a un periculum in libertate tra quelli di cui all'art. 274 c.p.p., e che il giudice deve dimostrare, in maniera rigorosa, che nessun'altra misura diversa dalla custodia in carcere sia specificamente idonea a evitare la possibilità che siano eluse le finalità cautelari383.

Tali esigenze devono consistere in puntuali e specifici elementi dai quali emerga un non comune, spiccato, allarmante rilievo di taluno dei pericoli di cui all'art. 274 c.p.p.384 Se dunque la diagnosi concreta di

esigenze di cautela di eccezionale rilevanza neutralizza la presunzione

382 DE CARO A., Presupposti e criteri applicativi, cit., pp. 87 s.

383 I giudici di legittimità hanno affermato che la “eccezionale rilevanza” delle esigenze cautelari richiesta dall'art. 275, comma 4, c.p.p. per disporre o mantenere, nei confronti di una madre di bambino di tenera età con lei convivente, la misura della custodia cautelare in carcere, nell'ipotesi in cui la misura cautelare sia stata applicata ai sensi della lett. c dell'art. 274, comma 1, c.p.p., sussiste se il concreto pericolo di commissione di gravi delitti o di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede sia elevatissimo, così da permettere una prognosi di sostanziale certezza in ordine al fatto che l'indagata, se sottoposta a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continuerebbe a commettere i predetti delitti (Cass., Sez. I, 3 ottobre 2012, n. 47861, in Cass. pen., 2013). Cfr. GASPARINI A., voce Misure cautelari personali, cit., p. 474; CURTOTTI M., voce Custodia cautelare (presupposti, vicende, estinzione), in Digesto disc. pen., agg., Utet, Torino, 2005, p. 293.

legale di “pericolosità attenuata” a favore dei soggetti che si trovano nelle suddette condizioni, e dà il via libera all'applicazione del regime carcerario, giusto contrappeso sarà una maggior responsabilizzazione del giudice nell'adempimento dell'onere motivazionale, che dovrà provare l'eccezionalità e la particolare gravità delle esigenze cautelari, al fine di scavalcare la presunzione di incompatibilità con la detenzione carceraria.

Alla fine degli anni novanta385, il legislatore introdusse una ulteriore

ipotesi di inadeguatezza della custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti affetti da particolari patologie che ne determinano una immunodepressione e che hanno un rischio epidemico. Al comma 4-bis dell'art. 275 c.p.p. si prevede che non possa essere disposta né mantenuta la misura carceraria quando la persona sottoposta alle indagini o l'imputato sia affetto da «AIDS conclamata» o da gravi deficienze immunitarie accertate (accertate in base alle modalità previste dal Ministero della Sanità), ovvero da altre malattie particolarmente gravi, per effetto delle quali le sue condizioni di salute «risultino incompatibili con lo stato di detenzione» e comunque tali da non permettere «adeguate cure» in carcere. La malattia, pertanto, non deve produrre solo uno stato di soggettiva incompatibilità con il carcere, ad esempio dovuto da uno stress psico-fisico tipico di ogni detenzione, ma deve anche rappresentare l'impossibilità di poter ricevere un'assistenza sanitaria adeguata all'interno della struttura carceraria386. Le situazioni descritte comportano l'incompatibilità tra

tali soggetti e il carcere, determinando il divieto di applicare a questi la custodia intramuraria. In questi casi prevale il diritto alla salute dell'indiziato, che non può essere sacrificato oltre determinati limiti.

385 Legge 12 luglio 1999, n. 231, recante “disposizioni in materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza e di misure cautelari nei confronti di soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave”.

Difatti, la disposizione in esame costituisce il “metro” per verificare l'effettività di un diritto, espressamente definito dall'art. 32 Cost. come fondamentale, nei confronti di un individuo tutelato dalla presunzione di non colpevolezza. Il divieto sancito al comma 4-bis, a differenza della precedente previsione di cui al comma 4, non sarà superabile tout court in presenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza; nel caso in cui quest'ultime siano ravvisabili in concreto, il giudice, ai sensi del comma 4-ter dell'art. 275 c.p.p. dovrà disporre gli arresti domiciliari presso un luogo di cura, assistenza o accoglienza, in modo tale che alla persona sottoposta a indagini o imputata siano garantite cure sanitarie adeguate. Questa previsione è stata operata al fine di non recare pregiudizio alla salute dell'imputato (o degli altri detenuti), seppur in presenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza, che richiederebbero la necessità della misura carceraria. In aggiunta vien precisato che, se l'indagato o l'imputato è affetto «da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria», l'arresto può essere effettuato presso le unità operative ospedaliere specializzate, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio. Ebbene risulta evidente che, venuta meno la situazione sanitaria che aveva giustificato l'adozione della misura meno gravosa, l'applicazione della custodia in carcere non sarà automatica, stante la necessità di riconsiderare il quadro cautelare per verificare quale misura sia più adeguata al caso di specie387. Detto

ciò, l'art. 275, comma 4-quater, c.p.p. prevede una “deroga alla deroga”: il giudice potrà comunque disporre la custodia in carcere nell'ipotesi in cui il soggetto risulti imputato o sottoposto a qualunque altra misura cautelare, per uno dei delitti per i quali l'arresto in flagranza è obbligatorio - art. 380 c.p.p. - in relazione a un fatto commesso dopo l'applicazione delle misure indicate nei commi 4-bis e 4-ter. In questo caso l'imputato dev'essere condotto in un istituto penitenziario dotato di reparti attrezzati per le cure e le assistenze

necessarie. In coda all'art. 275 c.p.p., inoltre, si stabilisce un'ulteriore clausola derogatoria all'applicabilità della custodia cautelare in carcere, prevedendo che essa dev'essere esclusa nei casi in cui l'imputato sia affetto da una patologia che si trovi in uno stadio così avanzato da non rispondere più «ai trattamenti disponibili e alle terapie curative» (art. 275, comma 4-quinquies, c.p.p.)388. Questa situazione dovrà risultare

formalmente da certificazioni mediche del servizio sanitario penitenziario o esterno.

Per quanto concerne, invece, la situazione dei soggetti sottoposti a indagini o imputati che siano tossicodipendenti o alcooldipendenti (la tutela dei quali era originariamente prevista dall'art. 275, comma 5, c.p.p.), l'art. 89 del T.U. sugli stupefacenti389, prevede che, salvo

sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non possa essere disposta la custodia cautelare in carcere - e che ove disposta sia revocata - qualora costoro abbiano in corso o intendano intraprendere un «programma terapeutico di recupero»390.

388 DIDDI A., Tipologie di misure, cit., p. 130.

389 Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,

prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). 390 Sul tema, FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., pp. 235 s.

4.2. Le linee della giurisprudenza costituzionale sulle presunzioni