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L’approccio di mercato attraverso gli strumenti privat

OTE Principale

4.5 L’approccio di mercato attraverso gli strumenti privat

Gli strumenti privati di valorizzazione delle prestazioni ambientali hanno proliferato nel comparto industriale, con la conseguenza che le certificazioni riguardanti la corretta gestione ambientale sono regolate da un complesso quadro normativo.

Le differenze fra l’entità (organizzazione, processo, prodotto) e la virtuosa condotta ambientale (corretta gestione del sistema, contabilizzazione degli impatti, adozione di azioni di salvaguardia) oggetto della certificazione non sono sempre individuabili con facilità. Ciò determina un’oggettiva difficoltà, sia per le imprese che intendono intraprendere la strada della certificazione ambientale, sia per gli stakeholder che sono interessati a capire le effettive ricadute di tali certificazioni.

Al fine di chiarire questa articolata materia, si è fatto riferimento a una rassegna dei diversi schemi di certificazione, sistematizzati in base all’oggetto della certificazione stessa e alle norme di riferimento che ne definiscono i principi (Passeri et al., 2013a), per poi definirne i caratteri che meglio sposano le caratteristiche di un sistema di certificazione ambientale per una realtà imprenditoriale agricola.

La maggior parte delle norme che definiscono le certificazioni ambientali appartengono alla famiglia ISO 14000 ed è possibile una loro distinzione rispetto all’entità oggetto della certificazione. Tale approccio delinea tre distinte tipologie (figura 4.1):

1. certificazione ambientale di sistema delle organizzazioni; 2. certificazione di contabilità ambientale delle organizzazioni; 3. certificazione di contabilità ambientale di prodotti.

Nella prima categoria rientrano le norme ISO 14000-14001 e il regolamento EMAS, ovvero i principali standard che riguardano i Sistemi di Gestione Ambientale delle organizzazioni. Da notare come la certificazione EMAS, la cui definizione discende dalle stesse norme tecniche ISO 14000-14001, richieda non solo la conformità al quadro tecnico di riferimento, ma anche una verifica del rispetto di quanto imposto dal regolamento.

Delle altre due categorie, invece, fanno parte tutte quelle norme tecniche che si riferiscono alle contabilizzazioni ambientali che, nel primo caso, riguardano le organizzazioni e, nel secondo, i singoli prodotti.

Nello specifico, rientra nella categoria delle “certificazioni di contabilità ambientale delle organizzazioni” la norma ISO 14064, che utilizza il Bilan Carbone come metodo di

contabilizzazione delle emissioni di gas a effetto serra.

Alla classe delle “certificazioni di contabilità ambientale dei prodotti” appartengono invece gli standard definiti dalle norme di Ecolabelling Scheme (ISO 14021-24-25),

Carbon Footprint of Product (ISO 14067) e Life Cycle Assessment (ISO 14040-44). Le

certificazioni di prodotto ottenibili da questi gruppi di norme tecniche sono essenzialmente tre: Ecolabel, Environmental Product Declaration e Protocol Initiative GHG accounting. Come evidenzia lo schema, la prima si ottiene in caso di conformità alle ISO 14021-24-25 o ISO 14067, la seconda si può acquisire attraverso la conformità a tutte e tre le norme ISO menzionate, mentre l’ultima è il risultato di conformità alla ISO 14067.

Figura 4.1 – Quadro d’insieme delle certificazioni ambientali

Fonte: Passeri et al., 2013a

Un caso emblematico è quello della certificazione PAS 2050 che, per sua definizione, utilizza due standard diversi a seconda dell’obiettivo rispetto al quale viene inquadrata: contabilizzazione delle emissioni di prodotto oppure contabilizzazione delle emissioni di organizzazione. In questo secondo caso, infatti, la certificazione è basata sulla creazione di un database delle emissioni dei singoli prodotti, come specificato nella ISO 14064, sulla base del quale eseguire il conteggio riferito all’intera organizzazione.

Per valorizzare le iniziative di risparmio di risorse naturali e di rispetto dei criteri di natura ambientale, attuate secondo le diverse norme cui si è fatto cenno, sono proliferate iniziative private di valorizzazione che hanno portato alla diffusione di marchi, dichiarazioni e certificazioni.

Il crescente interesse per il problema dei cambiamenti climatici ha incoraggiato i produttori ad adottare soluzioni ambientamene sostenibili e comunicabili agli stakeholder (Min e Galle, 1997; Imkamp, 2000; Chow et al., 2003). Questo percorso ha rafforzato gli effetti di “responsabilizzazione” degli imprenditori per un progressivo inserimento della variabile “ambiente” nelle strategie competitive (Iraldo, 2007).

Allo stesso tempo, i consumatori, anche attraverso le loro associazioni e i movimenti ambientalisti, hanno esercitato pressioni sul legislatore per ottenere una maggiore regolamentazione delle attività produttive. Si è così assistito a un proliferare di provvedimenti normativi basati sostanzialmente su strategie di command and control, che hanno portato le imprese a dover fornire informazioni ambientali sui propri prodotti (Michelsen, 2006). Tali provvedimenti però si sono rivelati poco efficaci per un’effettiva tutela dell’ambiente e, allo stesso tempo, hanno reso più complessi i rapporti tra le imprese e i loro interlocutori (Buratti, 2001).

Intorno al complesso quadro legislativo e normativo, che si è cercato di schematizzare, hanno proliferato iniziative a carattere ambientale che cercassero di valorizzare gli sforzi compiuti dalle imprese attraverso l’ottenimento, il riconoscimento di un marchio o di una dichiarazione ambientale. Il risultato è stata una vastissima scelta tra differenti iniziative private che permettessero alle aziende di comunicare in modo efficace il proprio impegno a carattere ambientale.

Il settore agricolo e, in parte, il settore agroalimentare sono rimasti al margine di questo processo che, come si è ricordato, è nato e si è principalmente sviluppato in ambito industriale. Pochi sono gli esempi di valutazioni ambientali condotte nel settore primario attraverso norme standardizzate e, fra questi, il riferimento pressoché esclusivo è stato all’analisi LCA (alcuni esempi della quale sono stati evidenziati nel capitolo 2) e quindi a logiche di certificazione di prodotto.

Pochi, in ambito agricolo, sono i casi di certificazione delle organizzazioni, in questo caso identificabili con le aziende, sia per tutta una serie di caratteristiche strutturali del settore, sia per la difficoltà di applicare le norme ISO, in particolare quelle della serie 14000, alle imprese agricole che, per la loro natura di interfaccia con i cicli biologici di piante e animali, non possono essere facilmente ricondotte a comportamenti ambientali strettamente codificati.

In una logica di mercato, quindi, si evidenzia la chiara necessità di adattare il quadro delle valutazioni e delle conseguenti certificazioni ambientali, in particolare per quanto

riguarda le organizzazioni, alla specifica e complessa natura delle aziende agricole che per la loro stessa struttura non possono adottare comportamenti guidati dalle sole logiche industriali.

Facendo riferimento a quanto evidenziato nel capitolo 3, andrebbero considerate esplicitamente le caratteristiche del settore nei confronti della gestione delle risorse naturali in termini di produzione netta di esternalità positive (ambiente, paesaggio, presidio) e, in particolare, di capacità di mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso i processi di assorbimento e stoccaggio di gas a effetto serra.

Per un’impresa agricola, una dichiarazione ambientale prodotta come risultato di analisi condotte internamente che, ad esempio, andassero a quantificarne l’assorbimento di anidride carbonica, ricadrebbe nelle certificazioni “di parte prima” e, pertanto, tenderebbe a perdersi all’interno della già vasta gamma di tali iniziative rendendo vano ogni sforzo di differenziazione e di comunicazione verso il mercato.

Migliori risultati potrebbe ottenere una dichiarazione “di parte seconda”, in cui un’istituzione o un ente di ricerca garantiscono la correttezza della metodologia di calcolo e la veridicità dei risultati che vengono comunicati.

Ovviamente la soluzione migliore sarebbe quella di riuscire ad arrivare ad una certificazione “di parte terza”, la quale prevede la verifica del rispetto di procedure standardizzate a livello internazionale da parte di tecnici che fanno riferimento ad organismi di controllo accreditati. Questa possibilità, seppure al momento di non facile realizzazione, appare la più interessante per il settore, in quanto permetterebbe al mercato di riconoscere le aziende agricole che con le loro attività contribuiscono a migliorare la qualità ambientale, ad esempio attraverso un assorbimento netto di GHG e, quindi, un contributo effettivo alla mitigazione dei cambiamenti climatici.