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L’art 23 del D.L n 201/11 convertito in L n 214/11

2 GLI INTERVENTI DEGLI ANNI 011 – 013

2.2 L’art 23 del D.L n 201/11 convertito in L n 214/11

L’art. 23 del D.L. 6 Dicembre 2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito in L. n. 214/2011 (cd. Salva-Italia), detta una nuova disciplina della organizzazione e delle funzioni delle province, aprendo una nuova e specifica fase del processo di riforma che si svilupperà negli anni successivi e che può dirsi ad oggi ancora aperta.

Il decreto si inserisce al termine di una serie di interventi sull’ordinamento degli enti locali, disposti negli ultimi anni, nei quali le esigenze di riduzione della spesa pubblica risultano predominare su quelle della coerenza con i tratti fondamentali del sistema autonomista, disegnato dalle riforme legislative e costituzionali della fine del secolo scorso.

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Il Dicembre 2011 segna comunque il punto di soluzione di continuità tra un prima ed un dopo per la storia delle Province italiane. La conseguenza di fatto è che le Province come si conoscevano prima non esistono più (ragione per cui si parla di “vecchie” e “nuove” province). Dopo sei anni, quello che sono oggi è un ibrido, un vorrei ma non posso, sotto la paventata spada di Damocle

della cancellazione definitiva sul piano costituzionale, e quindi

dall’ordinamento (nelle intenzioni del Governo di allora e di quelli successivi), alla prova dei fatti una cosa più facile a dirsi in modo propagandistico, che a realizzarsi sul piano giuridico, come descritto nei prossimi paragrafi.

Prima di accingerci ad un’analisi di quanto previsto nella norma poc’anzi indicata alcune osservazioni di carattere generale: il Governo Monti tenendo fede all’impegno assunto nel suo discorso di insediamento al Senato42 ha

abbandonato la via della riforma attraverso una ridefinizione dei confini delle circoscrizioni provinciali per la soppressione di alcune di queste, e conseguente diminuzione del loro numero, rimandando ad una specifica norma costituzionale, come dallo stesso Monti affermato, “la soppressione tout court” per la quale è necessaria una modifica costituzionale con la relativa procedura aggravata.

Un secondo aspetto che caratterizza questo intervento è lo “svuotamento” delle province, da un lato riducendo in modo drastico le funzioni loro attribuite, dall’altro privandole del requisito della rappresentanza diretta; risultati questi che potevano conseguirsi con legge ordinaria, come lo stesso Monti affermò nel Suo discorso di insediamento43. In

generale, per le considerazioni svolte fino a questo punto, si può ritenere che il legislatore abbia inteso in maniera inappropriata sovrapporre a quello

42 Senato della Repubblica – XV I LEGISLATURA 637ª Seduta - Resoconto sommario p. VII - 17 Novembre

2011 - Comunica zioni del Presidente del Consiglio dei ministri e conseguente discussio ne - La lettera della BCE non costituisce un’imposizione: l’Italia […]Tra le misure da adottare a completamento delle manovre estive (che, se necessario, verranno integrate da provvedimenti successivi) e in linea con la lettera d’intenti inviata alle autorità europee, vi sono l’introduzio ne del vincolo costituzionale al pareggio di bilancio, l’armonizzazio ne dei Senato della Repubblica, la definizione della riforma dei sistemi fiscale e assistenziale, il contenimento dei costi delle cariche elettive, l’avvio e il rafforzamento della spendi ng review per contenere la spesa dell’amministrazione centrale, la gestione integrata dei servizi degli enti locali minori, il riordino delle competenze delle Province in vista della loro abolizione.

43 Senato della Repubblica – XVI LEGISLATURA 637ª Seduta 17 Novembre 2011 – Resoconto

Stenografico p. 11 - Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri e conseguente discussione –[…[Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria.

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costituzionale un proprio diverso modello di provincia, peraltro appena abbozzato: il nome è lo stesso utilizzato dalla Costituzione, ma la sostanza sensibilmente diversa. La provincia delineata nella legge del dicembre 2011 costituisce meno un ente esponenziale di collettività stanziate sul territorio, ma più un organismo di diretta emanazione dei comuni, con attribuzioni tassativamente determinate, un ridotto apparato di governo e alcuni tratti di somiglianza con alcune importanti forme associative tra comuni.

La soluzione al “problema delle province” è quindi stata individuata nello stabilire una nuova definizione delle funzioni delle province stesse; preso atto della difficoltà di cancellare l’esistenza dell’ente provincia attraverso un processo di modifica costituzionale, che nel recente passato era stato in più occasioni avviato senza mai giungere ad esito positivo44, si decide di

44Tra i progetti di legge di revisione della Costituzione aventi ad oggetto la soppressione delle Province

si ricordano, il primo, nella VII Legislatura, A.C. n. 1597 del 4 Luglio 1977, “Soppressione dell’ente autonomo territoriale provincia: modifica agli articoli 114, 118, 19, 128, 132, 133 e della VIII disposizione di attuazione della Costituzione; abrogazione dell’art. 129 della Costituzione” e quelli presentati nella XV e XVI Legislatura sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica: A.C. n. 1941 del 14 Novembre 2006, “ Modifiche agli articoli 56, 57, 63, 72, 82, 92, 99, 114, 117, 118, 119, 120, 121, 123, 132 e 133 della Costituzione, per la semplificazione istituzionale e la riduzione dei costi della politica e degli apparati pubblici”; A.C. n. 2818 del 21 Giugno 2007, “Modifiche alla Costituzione per la semplificazione del Governo locale e l’abolizione delle province”; A.C. n. 3151 del 15 Ottobre 2007, “Modifiche alla parte seconda della Costituzione. Istituzione dell’Assemblea nazionale e soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro nonché delle province”; A.C. n. 1836 del 28 Ottobre 2008, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, per la razionalizzazione dell’organizzazione territoriale della Repubblica mediante la soppressione delle province”; A.C. n. 1989 del 5 Dicembre 2008, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province e di conseguente razionalizzazione dell’organizzazione territoriale della Repubblica”; A.C. n. 1990 del 5 Dicembre 2008, “Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province”; A.C. n. 2010 del 12 Dicembre 2008, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, nonché agli Statuti speciali della Regione siciliana e delle regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia, in materia di soppressione delle province”; A.C. n. 2264 del 9 Marzo 2009, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, nonché agli Statuti speciali della Regione siciliana e delle regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia, in materia di soppressione delle province, e disposizioni per la destinazione delle risorse rese disponibili al finanziamento di iniziative per promuovere l’occupazione giovanile”; A.S. n. 1852 del 12 Ottobre 2007, “Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, riguardanti la soppressione delle Province”; A.S. n. 194 del 29 Aprile 2008, “Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132, e 133 della Costituzione, riguardanti la soppressione delle Province”; A.S. n. 1098 del 9 Ottobre 2008, “Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132, 133 e all’VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, per la soppressione delle Province”; A.S. n. 1259 del 3 Dicembre 2008, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle Province e conseguente razionalizzazione dell’organizzazione territoriale della Repubblica”; A.S. n. 1263 del 4 Dicembre 2008, “Modifiche alla Costituzione per l’abolizione delle province e l’istituzione dei controlli di legittimità sugli atti delle regioni e degli enti locali”; A.S. n. 1284 del 16 Dicembre 2008, “Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province”; A.S. n. 1587 del 26 Maggio 2009, “Modifiche agli articoli 56, 57, 114, 117, 118, 119, 120, 121, 132 e 133 della Costituzione. Diminuzione del numero dei parlamentari, dei componenti dei consigli e delle giunte regionali, nonché soppressione delle province, per la riduzione

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arrivare alla loro “soppressione” sostanziale anziché formale attraverso la riduzione delle funzioni ad esse spettanti. Nelle intenzioni del Governo dovrà seguire una modifica costituzionale, che adegui la forma alla sostanza45.

Osservando le previsioni di legge il c. 14 dell’art. 23 dispone che: “spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Con questo semplice comma – lapidario - di tutte le numerose funzioni che, sebbene disorganicamente, sono state nel corso degli anni attribuite alle Province (a partire dalla legge n. 142/90, passando per le riforme Bassanini ed il D.Lgs. n. 112/98, fino ad arrivare alla legge n. 42/2009) rimangono in capo all’ente di area vasta solamente le “funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni”.

La portata di questo nuovo disposto era tutta da definire; in primo luogo il riferire le funzioni di indirizzo e coordinamento alle sole “attività dei comuni” collocava in un limbo la sorte delle funzioni di “area vasta” inconciliabili con le funzioni comunali; in secondo luogo che cosa si dovesse poi intendere per “indirizzo politico”, (difficilmente è qualificabile come una funzione amministrativa strictu senso ) e per “coordinamento” (possono, ad esempio, considerarsi attività di coordinamento anche quelle funzioni di amministrazione attiva, quali l’approvazione dei piani territoriali di coordinamento ovvero l’approvazione del Piano Regolatore Generale?). Certo è che l’aver limitato a questi due soli ambiti di operatività le funzioni provinciali significava chiudere in modo drastico e gettare al vento anni di riflessioni sulle funzioni proprie dell’ente di area vasta e sulla loro differente vocazione funzionale rispetto ai Comuni.

La riduzione delle funzioni attribuite alle province, conseguentemente comporta l’abolizione degli strumenti di intervento di queste amministrazioni

dei costi della politica”.

45 Senato della Repubblica – XVI Legislatura 637ª Seduta 17 Novembre 2011 – Resoconto Stenografico

p. 11 - Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri e conseguente discussione […[La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, cosı` come prevedono gli impegni presi con l’Europa.

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attraverso i quali esercitavano le competenze loro spettanti; (ad es piani urbanistici di coordinamento, strumenti di programmazione di servizi pubblici di rilevanza provinciale, o, ancora, gli strumenti di tutela di aree protette, di controllo delle attività formative, di sostegno all’imprenditoria locale). La naturale conseguenza di questo sarebbe ad esempio che il piano urbanistico di coordinamento provinciale non si avrebbe più; lo sviluppo del territorio sarebbe quindi affidato ai soli piani comunali con un probabile difetto nel coordinamento fra le scelte operate dalle singole amministrazioni o in alternativa indirizzi di carattere regionale, per loro natura meno capaci di interpretare le necessità più specifiche e particolari di un’area; questo che è solo un esempio indica come il risultato della riduzione di funzioni rappresenti un rischio per la tutela di diritti e interessi fondamentali per la collettività stessa.

Sarebbe stato a mio parere più corretto in relazione alle funzioni di procedere ad una ridefinizione e riorganizzazione delle stesse, distinguendo due aree, programmazione e coordinamento delle attività dei comuni, e dall’altro le funzioni che storicamente contraddistinguono la provincia e che questa esercita direttamente quali ad es. l’edilizia scolastica, la viabilità, mercato del lavoro; questa suddivisione troverebbe fondamento non tanto in una sorta di rispetto per la storia dell’ente quanto piuttosto per le caratteristiche intrinseche di alcune funzioni, il cui espletamento ritengo necessariamente richieda un ambito territoriale che supera la dimensione comunale ma al tempo stesso sia più ristretta dell’ambito regionale. Infine questo intervento perché fosse produttivo di maggiori effetti, sarebbe stato preferibile inserirlo all’interno di un quadro organico di ridefinizione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, per raggiungere una migliore e più efficace attività di amministrazione a tutti i livelli.

Ma la scelta operata dal legislatore sopra riportata merita di essere valutata ponendosi una semplice domanda: l’ente intermedio di governo è indispensabile oppure è un residuo storico da abbandonare in quanto privo di utilità?

Le considerazioni sopra esposte in merito alle funzioni, evidenziano come per alcune di queste la naturale necessità di espletamento su “aree

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vaste” già potrebbero fornire una base per dare una risposta alla domanda in questione, ma cercando di svolgere per quanto più è possibile una valutazione oggettiva, ritengo utile osservare sia pure in modo sintetico come altri ordinamenti hanno affrontato il problema dell’ente intermedio di governo.

Il dato di riferimento a questo fine è che solo 8 paesi UE hanno un’organizzazione di governo locale monolivello; si tratta di paesi di piccole dimensioni e con popolazione ridotta; 13 sono invece i paesi UE che hanno 2 livelli e ben 8 i paesi che hanno 3 livelli46. Una prima considerazione che

possiamo fare è quindi che il nostro ordinamento non era il solo a presentare 3 livelli di governo, e quindi che questo non è un’anomalia del sistema Italia, ma che anche altri hanno ritenuto necessario dotarsi di questa organizzazione. La seconda osservazione è che la necessità di ridefinire la governance multilivello è stata avvertita da molti ordinamenti a partire dalla fine degli anni 90, questo per rendere l’azione di governo più efficace ma anche per rendere meno onerosa la macchina amministrativa per ridurre la spesa pubblica in un momento di crisi fiscale di numerosi Stati. La ristrutturazione ha preso la direzione di un accorpamento o di una riduzione del peso dei governi substatali a vantaggio dello Stato centrale. Una forma di ricentralizzazione dettata da ragioni che sono di carattere economico e finanziario più che di carattere strettamente amministrativo e funzionale, come d’altra parte abbiamo visto per i provvedimenti del Governo Monti; e in questo ambito si colloca, la discussione che ha per obiettivo la riduzione dei governi locali intermedi, variamente denominati in Europa, dalle Province alle contee, dai départements francesi ai Landkreise tedeschi, ai Powiaty polacchi ecc.

I governi locali intermedi non sono definiti in modo chiaro né univoco nei diversi paesi europei ma in tutta Europa essi sono livelli di governo che godono di attribuzioni amministrative significative e svolgono un ruolo di intermediazione tra i governi comunali e un livello sovraordinato e situato subito sotto il livello statale, di norma appunto il livello della regione.

46 Cfr. X. Bertrana e H. Heinelt (a cura di), The Second Tier of Local Government in Europe, Londra,

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In nessuno dei paesi europei ad esclusione dell’Italia (in questo senso si può parlare a ragione di anomalia Italiana) la riforma del governo locale intermedio “ha viaggiato da sola”, ovvero essa si è sempre inserita in più complessivi processi di riassetto delle relazioni tra centro e periferia e di redistribuzione dei poteri tra i livelli di governo territoriale – anche per la spinta delle diffuse tendenze politiche neo-regionaliste. I processi di riforma che coinvolgono il governo intermedio scaturiscono da discussioni e processi decisionali che hanno in comune, ad esempio, nodi come la dimensione ottimale di tutti i governi territoriali (regioni, province e comuni), la questione del governo delle aree metropolitane, la necessità di ottenere

una maggiore efficienza nell’attività dell’amministrazione e una

razionalizzazione delle politiche e dei servizi affidati ai governi territoriali. Osservando poi alcuni caratteri istituzionali rilevanti dei governi locali intermedi nei sette paesi che abbiamo preso in considerazione. Dalla comparazione emerge chiaramente che esiste un nucleo di funzioni svolte da questi enti in tutta Europa, legate soprattutto al governo dell’area vasta, quali la pianificazione territoriale e l’assetto del territorio, la viabilità e i trasporti pubblici, il sostegno allo sviluppo economico e all’occupazione, ambiente e smaltimento rifiuti, edilizia scolastica e formazione professionale, In taluni casi l’ente di governo intermedio detiene anche i servizi sociali e la sanità.

Tornando alla domanda iniziale, sulla base di quanto esposta la risposta che mi sento di dare è si, l’ente intermedio di governo è indispensabile, perché necessario per garantire un livello di governo corrispondente ad un ambito territoriale (Medio) che altrimenti risulterebbe abbandonato; perché consente di accogliere e coordinare e contemperare istanze di comunità locali altrimenti inascoltate e potenzialmente confliggenti.

A sostegno di questo è sufficiente considerare l’ampia diffusione del modello intermedio di governo nell’intera Europa, inoltre il riconoscere un comune nucleo di funzioni che potremmo definire di “area vasta” svolte da questi enti in buona parte degli stati UE legittima a ritenere che questo livello di governo sia da considerare come una “best practice” per l’esercizio di

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queste funzioni, in uso nei più avanzati paesi Germania – Francia – Inghilterra – Spagna).

I commi successivi, 15, 16, 17 e 20 regolamentano la forma di Governo dell’ente Provincia; anche in questo caso le innovazioni non sono di poco conto.

In particolare, il comma 15 prevede che sono organi del Governo della Provincia solamente il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia, che durano in carica cinque anni; non è dunque più prevista la Giunta provinciale. In base al comma 16, il Consiglio provinciale sarà composto da un massimo di dieci componenti eletti non più dalla popolazione residente nella Provincia ma dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della stessa con modalità che verranno stabilite con legge dello Stato entro il 30 Aprile 2012. Il Consiglio provinciale di secondo grado così formato provvederà ad eleggere al suo interno il Presidente della Provincia (comma 17); anche la carica monocratica perde dunque la natura di elezione diretta che aveva acquisito con la legge n. 81/1993 e che così a fondo aveva inciso sulla percezione degli enti locali, e dei suoi governanti. Infine, il comma 20 stabiliva che sarà una legge dello Stato a stabilire il termine decorso il quale gli organi in carica delle Province decadranno; quest’ultimo passaggio si è rivelato assai critico tanto che, non a caso, è stato oggetto di modifica quasi immediata. Nella prima stesura del testo del decreto legge che è circolata, infatti, era previsto che gli organi in carica decadessero il 30 Aprile 2012, quindi in corso di mandato; la previsione, che presentava evidenti profili di illegittimità, fu modificata nel senso che si rimandò ad una legge apposita per fissare tale data, e anche in questo caso non si può non constatare come si sia operato sulla materia con una certa approssimazione e al di fuori di un progetto complessivo e ragionato.

La nuova forma di governo della nuova Provincia, si basa quindi come abbiamo visto su un elezione “mediata” sia per il Presidente della Provincia che per i Consiglieri Provinciali. Il legislatore, come si è già detto, “scardina” la conquista dell’elezione diretta dell’organo monocratico,

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introdotta nell’ordinamento degli enti locali con la legge n. 81/93. Il risultato di questa scelta è che il sistema di governance viene, “degradato” tra quelli di 2° livello, atteso che la nuova Provincia è espressione dei comuni che, invece, essendo enti di governo locale continuano a godere di un rapporto di fiducia diretta ed esponenziale con le comunità amministrate; se però, un siffatto sistema di governance non presenta alcun vizio di costituzionalità, essendo riconosciuta allo Stato tale competenza (art. 117, comma 2, Cost.), sul piano funzionale e della coerenza istituzionale i rilievi sono numerosi; la privazione della rappresentanza esponenziale della comunità relega la provincia ad ruolo secondario rispetto agli altri livelli di governo divenendo essa stessa una loro “proiezione subordinata”; infine non si può non tacere che l’abolizione degli organi di governo direttamente eletti non è peraltro giustificata dai risparmi di spesa che sono di poco rilievo come unanimemente riconosciuto.

Elemento a mio parere molto discutibile in questa riforma è rappresentato dal rischio che si possa perdere la terzietà della provincia rispetto ai comuni; in questo senso credo che la posizione dell’Upi “La limitazione dell’elettorato passivo ai soli amministratori comunali non garantisce infine l’autonomia e la terzietà degli organi di governo della provincia. Il Presidente della provincia, a nostro avviso, deve essere eletto comunque direttamente dal popolo con voto libero e segreto, senza limitazioni di elettorato passivo.”, sia più che condivisibile anche in relazione alle caratteristiche della classe politica del nostro paese.

Il c. 18, poi, regolava la sorte delle funzioni di pertinenza delle province, prevedendo che, entro il 31 Dicembre 2012, con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze, queste fossero trasferite ai comuni, a meno che per assicurarne l’esercizio unitario non dovessero essere attribuite alle regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Segue, infine, una norma sul trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio di tali funzioni e una altra che prevede,

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in caso di inerzia del legislatore regionale, la sua sostituzione con legge dello Stato.

Ne consegue l’abrogazione tacita di tutte le norme che attribuiscono funzioni (diverse da quelle indicate espressamente nella nuova disciplina) alle province: sia di quelle generali, sopra richiamate, del D.Lgs. n. 267/2000 e del D.Lgs. n. 216/2010, che di quelle settoriali regolate da numerose leggi statali e regionali.

La disciplina sopra descritta ha modificato in profondità l’assetto delle province definendo le nuove funzioni e nuova organizzazione; trasformandole quindi in organismi di secondo grado di diretta emanazione dei comuni e con funzioni limitate; su questi aspetti molte sono state le osservazioni fatte, sia