• Non ci sono risultati.

Le ragioni della riforma, l’evoluzione della spesa pubblica e l’incidenza

2 GLI INTERVENTI DEGLI ANNI 011 – 013

2.1 Le ragioni della riforma, l’evoluzione della spesa pubblica e l’incidenza

Con la lettera riservata, a firma del governatore della BCE Jean – Claude Trichet e del Governatore della Banca D’Italia Mario Draghi in data 5 Agosto 201138, si richiedeva al Governo italiano di adottare una serie di iniziative volte ad “accrescere il potenziale di crescita”, ad “assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche” e infine a “migliorare l’amministrazione pubblica”. La politica italiana, si trovò costretta ad operare pesantemente sotto condizionamento delle autorità europee.

La lettera in questione divenne di conoscenza pubblica nel Settembre successivo, e solo allora fu chiaro come il Decreto Legge, approvato dal Consiglio dei ministri il 13 Agosto, (una manovra bis da 65 miliardi che si sommava a quella da 80 miliardi decisa appena un mese prima), era stato scritto sotto dettatura della BCE nella forma, un decreto appunto, come chiedevano esplicitamente Trichet e Draghi, e nei contenuti: l’anticipo del pareggio di bilancio al 2013, anziché il 2014. Le misure contenute nelle due manovre dell’estate 2011 non esaurivano, tuttavia, le richieste della Banca Centrale. I provvedimenti del Dicembre dello stesso anno, legge di Stabilità e il Decreto Legge n. 201, che il nuovo Presidente del Consiglio Mario Monti ribattezzò “Salva-Italia”, dettero quindi attuazione ad altre parti di quel dettagliato elenco di richieste contenuto nella lettera.

Il D.L. 6 Dicembre 2011 n. 201, convertito in legge, L. 22 Dicembre 2011, n. 214 "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il

38 Cfr. Corriere della Sera 29 Settembre 2011 – Mario Sensini – “Dear Prime Minister,The Governing

Council of the European Central Bank discussed on 4 August the situation in Italy's government bond markets.[…] At the current juncture, we consider the following measures as essential:[ …]3. We also encourage the government to immediately take measures to ensure a major overhaul of the public administration in order to improve administrative efficiency and business friendliness. In public entities the use of performance indicators should be systematic (especially in the health, education and judiciary systems). There is a need for a strong commitment to abolish or consolidate some intermediary administrative layers (such as the provinces). Actions aimed at exploiting economies of scale in local public services should be strengthened. We trust that the Government will take all the appropriate actions”. Mario Draghi, Jean-Claude Trichet.

64

consolidamento dei conti pubblici.", fra i tanti temi affrontati, fissa la ragione fondamentale della riforma delle Province nella "riduzione dei costi di funzionamento". La necessità di un intervento sulle province era espresso direttamente nella lettera di cui sopra, che riportava la frase: “Misure per abolire o fondere organi amministrativi intermedi (come le Province)”.

Si inserisce in questo quadro il fatto che in Italia era in atto da alcuni anni una campagna stampa39, che indicava le Province come fulgido esempio di spreco dell’amministrazione pubblica e millantava i grandi risparmi derivanti dal taglio delle “poltrone” della casta a livello provinciale. Tale campagna, anche se non sorretta da una riflessione particolarmente approfondita dal punto di vista giuridico, economico e della governance istituzionale, aveva evidentemente fatto breccia, oltre che nel “sentire comune” del paese, anche in istituzioni estere come la BCE.

La rubrica dell'art. 23 del D.L. n. 201, chiarisce infatti, l’obiettivo dell’intervento: “Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province”.

Le esigenze e le ragioni che determinarono la riforma istituzionale avviata dal Governo Monti, erano quindi innanzitutto ragioni di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica. Le province risultarono - a torto o ragione - non più difendibili e pronte ad essere “sacrificate” sull’altare della spending review.

Poiché la ragione giustificatrice dell’intervento sulle province è stata determinata dalla necessità di una riduzione della spesa pubblica, è quindi più che opportuno analizzare la portata dei valori economici, alla data dei provvedimenti in esame.

Osservando l’andamento della spesa pubblica dal 1951 ad oggi40, si assiste a due fenomeni: da un lato la spesa è vertiginosamente aumentata,

39 Iniziata con il libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella “La Casta”, 2007, che ha venduto un milione

e 300 mila copie, e proseguita con diversi articoli pubblicati dagli stessi autori a varie riprese sul Corriere della Sera.

40 I dati citati nelle pagine successive sono tratti dalle seguenti fonti: studio del CERTeT dell’Università

Bocconi commissionato dall’UPI e curato da SENN L. e ZUCCHETTI R., Una proposta per il riassetto

65

dall’altro si è spostata dal livello centrale a quello locale, in conseguenza del lento processo di decentralizzazione amministrativa, in primo luogo dovuto alla nascita e al funzionamento delle Regioni.

In sintesi le tappe del processo:

­ negli anni dal 1946 al 1970 è stato definito l’assetto finanziario delle Regioni a statuto speciale;

­ nel 1970-72 sono state avviate le regioni a statuto ordinario; ­ nel periodo dal 1953 al 1978 muta radicalmente il sistema di

finanziamento agli Enti Locali, che si sposta quasi per intero a carico dello Stato.

A partire dalla fine degli anni Settanta, vi è stato quindi un succedersi continuo di interventi diretti a trasferire compiti e funzioni dallo Stato alle Regioni. I compiti concretamente svolti dai Comuni e dalle Province si sono, poi, progressivamente ampliati; da ultimo, la riforma costituzionale del 2001 ha definito un nuovo assetto con più ampi poteri di spesa alle Regioni.

Considerando l'evoluzione della spesa pubblica (spesa corrente) tra i diversi livelli di Governo, le amministrazioni locali gestivano nel 1951 il 18% della spesa totale, nel 1980 il 26,8%, e nel 2008 il 31,6% del totale. Parallelamente anche il peso delle amministrazioni locali nella spesa in conto capitale è aumentato considerevolmente: nel 1951 il 19,7%, e tale quota sale al 59,1% nel 1980, e al 62,2% nel 2008.

Al processo di federalismo amministrativo introdotto con la riforma costituzionale del 2001, non si era ancora riusciti a far partire il cosiddetto federalismo fiscale, la finanza locale era una finanza interamente derivata da quella centrale.

Nel 2011, la spesa pubblica complessiva del Paese ammontava a 813 miliardi di euro. In questo quadro, le Province rappresentano 1,35% della spesa: quantificabile in 11 miliardi di euro.

Governo della spesa pubblica: un rapporto preliminare, 2011, www.Governo.it/rapportiparlamento; P.

GIARDA, Elementi per una revisione della spesa pubblica, v. 4 Maggio 2012, www.Governo.it/rapportiparlamento.

66

Questo valore è, il risparmio originariamente ipotizzato in modo propagandistico derivante dall'abolizione delle Province, una cifra, che si rivelerà lontana dalla realtà, in quanto per conseguirlo si sarebbe dovuto oltre che eliminare i costi della “struttura Provincia” anche i costi derivanti dall’erogazione dei servizi e quindi i servizi stessi.

La tabella seguente riporta le principali voci che compongono la spesa pubblica nell'anno 2011, il costo delle Province ha una incidenza bassissima rispetto alle altre voci di spesa.

Tabella 1 - Ripartizione della spesa pubblica tra i diversi livelli di Governo (anno 2011)

Settore Spesa

Amministrazione Centrale 182 miliardi di euro

Previdenza 305 miliardi di euro

Interessi sul debito 75 miliardi di euro

Regioni 168 miliardi di euro (di cui 116 Sanità)

Comuni 72 miliardi di euro

Province 11 miliardi di euro

Il processo di spending review avviato dal Governo Monti, ha posto in essere una revisione della spesa, andando ad individuare quanta parte di questa fosse davvero "aggredibile" nel breve periodo; di 295 miliardi di euro, di cui 80 nel breve periodo (25-35%) fu considerata la spesa "aggredibile" ai fini della spending review. Di questa, una voce particolarmente ritenuta rivedibile è quella per l'acquisto di beni e servizi, individuata come spesa per i consumi intermedi. Anche andando ad analizzare questa voce, si vede come l'incidenza del costo di livello provinciale sul totale, era di gran lunga la minore pari infatti al 2.5% del totale.

Tabella 2- Struttura della spesa pubblica aggredibile 2011 (miliardi di euro)

Stato Altri Enti A.C.

E.P. Regioni Province Comuni Sanità

Univ. e altri Enti Tot. A.P. Consumi intermedi 21,3 3,9 2,9 5,5 3,1 25,3 69,0 4,7 135,6

67

Tot. Spesa

aggredibile 95,5 7,2 7,4 20,2 7,3 44,2 97,6 15,4 295

% spesa

aggredibile 32,5% 2,4% 2,5% 6,8% 2,5% 15,0% 33,1% 5,2 100%

Figura 1 - Ripartizione della spesa delle province tra spesa corrente e spesa in conto capitale

Come visto in precedenza, 11 miliardi di euro, tuttavia, costituiscono l'insieme delle risorse economiche utilizzate dalle Province, assolvere alle loro competenze.

Che il dato sia stato oggetto di un’interpretazione fuorviante è a nostro avviso evidente perché, anche qualora si ipotizzasse l’abolizione delle Province, ciò non comporterebbe automaticamente per le casse dello Stato un risparmio di 11 miliardi di euro, in quanto, le funzioni svolte dalle Province (che certo non possono essere eliminate) dovrebbero essere affidate ad altri Enti, e quindi, rimarrebbe perlomeno fissa la spesa per la gestione di tali servizi.

In realtà già dai primi commenti della norma Salva-Italia, si era fatto notare che solamente andando ad analizzare il costo del personale, l’assorbimento del personale delle Province da parte dalle Regioni comporterebbe un aumento della spesa, in quanto il CCNL delle Regioni prevede retribuzioni mediamente più alte rispetto a quello degli Enti Locali. Analizzando l'incidenza della spesa delle Province sul complesso della spesa della PA territoriale, si nota che le Province effettuano il 4,5% della spesa corrente, le Regioni il 72,7%, i Comuni il 22,8 %.

68

Figura 2 - Incidenza percentuale della spesa corrente delle Province sul totale della spesa della PA territoriale

Gli investimenti fatti dalle Province, invece, sono il 9,2% della spesa in conto capitale fatta dalla PA Locale.

Tabella 3 - Incidenza percentuale della spesa in conto capitale delle Province sul totale della spesa della PA territoriale

Tipologia di Ente %

Regioni 43,7%

Province 9,2%

Comuni 47,1%

Totale 100,0%

Si può, inoltre, notare che, le entrate per le province sono andate diminuendo nel corso degli anni e che le province hanno un grado di autonomia finanziaria abbastanza elevato: sommando le entrate correnti proprie alle alienazioni di beni, nel 2011 si è raggiunto il 50% di entrate proprie.

Tabella 4 - Ripartizione delle entrate provinciali (milioni di euro)

Entrate correnti proprie 5.369,1

Entrate correnti da Stato Regioni e altri Enti 4.122,9

Alienazione di beni 111,5

Entrate c/cap. da Stato, Regione e altri enti 1.411,2

69

Le entrate tributarie provinciali sono costituite da:  addizionale sul consumo di energia elettrica;  imposta provinciale di trascrizione;

 imposta sulle assicurazioni RC auto;  tributo provinciale per i servizi di tutela  protezione e igiene dell'ambiente,  compartecipazione IRPEF.

Figura 3 - Percentuale delle voci di entrate tributarie provinciali

Come detto sopra, prendendo a riferimento, quindi, gli 11 miliardi di Euro (costo complessivo delle Province nel 2011), sarebbe comunque difficile abbattere i costi di esercizio delle funzioni più rilevanti:

 sopra 2 miliardi di Euro: gestione del territorio e istruzione pubblica;  tra 1 e 1,5 miliardi di Euro: trasporti e sostegno allo sviluppo

economico;

 800 milioni di Euro: tutela ambientale.

Altre tre funzioni, settore sociale, cultura e beni culturali, turismo e sport, assorbono nel loro insieme altri 850 milioni di Euro.

Il legislatore aveva individuato Il concreto vantaggio economico derivante dall'abolizione delle Province nell'abbattimento di parte delle spese per le funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo.

Le componenti di questa voce sono:

 Organi istituzionali, partecipazione e decentramento;  Segreteria generale, personale e organizzazione;

70

 Gestione economica, finanziaria, programmazione, provveditorato e controllo di gestione;

 Gestione delle entrate tributarie e servizi fiscali;  Gestione dei beni demaniali e patrimoniali;  Ufficio tecnico;

 Servizio statistico;

 Servizio di assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali della provincia;

 Altri servizi generali.

La funzione di amministrazione, gestione e controllo, comporta una spesa di oltre 3 miliardi di Euro, il 26% del totale. Tale voce di spesa dà il senso della misura dell’efficienza di qualunque organizzazione: l’incidenza dei costi di struttura sul totale dei costi. Le Province si collocano nel panorama degli Enti Locali come una tipologia di Ente mediamente efficiente nella gestione.

Ma osservando più nel dettaglio la spesa per AGC, si è evidenziato come vi siano alcune province virtuose la cui spesa per questa funzione si attesta su valori inferiori al 20% fino al gruppo di province meno virtuose la cui spesa supera il 40%. Questo dato è a mio parere rilevante perché indicava in modo chiaro e preciso ad un soggetto attento e che non si accontentasse di analisi basate su dati medi, come fossero possibili misure correttive e di miglioramento dell’efficienza economica dell’ente provincia senza giungere ad un suo annullamento con un percorso a dir poco avventuroso e se visto con la prudenza del “buon padre di famiglia” fors’anche spericolato. Nello specifico sarebbe stato opportuno operare al fine di allineare tutte le province al costo AGC del gruppo delle virtuose (-20%) e ottenuto questo ulteriori margini di risparmio sarebbero stati possibili da processi di accentramento per ipotesi su base Regionale di alcuni servizi AGC che per la loro natura non avrebbero comportato nessun arretramento dei servizi per il cittadino; questo processo è normalmente applicato nell’ambito di organizzazioni di impresa con risultati estremamente positivi in termini di riduzione costi della struttura senza che questo comporti alcuna diminuzione nei servizi erogati ai propri clienti. Nello specifico si sarebbe quindi potuto procedere ad esempio a centralizzare i

71

servizi della struttura provincia connotati dall’essere non strettamente “operativi nell’erogazione dei servizi” come ad esempio quelli relativi al personale, ai servizi finanziari, statistica, ecc. la cui centralizzazione avrebbe comportato un taglio rilevante del costo complessivo del AGC per le maggiori economie di scala derivanti dalla centralizzazione e probabilmente anche una migliore produttività.

Ma all'interno ei costi AGC si collocano i cosiddetti "costi della rappresentanza democratica": 122 milioni di euro all'anno, l'1,4% della spesa corrente.

Figura 4 - I costi della rappresentanza democratica sul totale della spesa corrente (anno 2011)

All'interno della voce di costo "costi della rappresentanza democratica" quelli che sono definiti come "i costi della politica" assommano a 113,63 milioni di euro l'anno (indennità, rimborsi a consiglieri e assessori). Sono lo 0,9 % della spesa totale.

Tabella 5 - Ripartizione dei "costi della rappresentanza democratica" e "costi della politica" (milioni di euro)

Acquisto di beni di consumo per consultazioni elettorali 31.512 Acquisto di servizi per consultazioni elettorali 3.330.833 Straordinario al personale per consultazioni elettorali 41.523 Spese per gli organi istituzionali dell'ente - Indennità 96.544.146 Spese per gli organi istituzionali dell'ente - Rimborsi 17.091.454 Acquisto di servizi per spese di rappresentanza 5.339.906 Totale spese per la rappresentanza democratica 122.379.374

72

Su spese correnti 1,4%

Nel 2010 il personale politico delle Province ammontava a circa 4.000 unità e a seguito dell’approvazione del Decreto Legge n. 2 del 2010 il numero dei Consiglieri e degli Assessori è stato ridotto del 20%. Con il decreto legge n. 138 del 2011 (convertito da L.148/11), era già stata operata un’ulteriore riduzione del 50% sul numero dei consiglieri e degli assessori provinciali.

Il numero totale degli amministratori risultava, a regime il seguente, con una riduzione del 55%:

 Presidenti: 107

 Assessori (Giunta): 395  Consiglieri: 1272

 Totale: 1774

Nel 2011 il costo degli amministratori provinciali è stato di 113 milioni di euro. Dopo la manovra 2011, a regime, sulla base di quanto previsto dal decreto 78 del 2010 in materia di riduzione delle indennità degli amministratori provinciali, il costo complessivo dei 1.774 amministratori provinciali si sarebbe ridotto a circa 34 milioni di euro41.

Il D. L. 6 Dicembre 2011 n. 201, convertito in legge, L. 22 Dicembre 2011, n. 214, di fatto ha eliminato i consigli provinciali, riducendo ulteriormente tale voce di spesa del relativo importo. Anche in questo caso, se si confrontano il costo della politica a livello provinciale, con quello degli altri livelli di Governo, si vede chiaramente che si è andati ad incidere sulla voce di costo minore.

Tabella 6 - I compensi degli eletti degli altri livelli istituzionali (milioni di euro)

PARLAMENTO 459.265.000 di cui Senato 153.215.000 di cui Camera Deputati 306.050.000 Regioni 844.724.998

73 Comuni 591.232.767

Di cui 36 milioni per rimborsi

Quanto osservato mi fa ritenere che la scelta di andare ad abolire le Province non inserita in un piano di riforma complessivo dell’amministrazione risulta adottata al solo fine del risparmio di spesa, ma sulla bontà di questa scelta e sulle modalità con cui si è realizzata possono aversi vari dubbi.

In primis, a mio parere il dibattito, viziato da una campagna di stampa e dalla contrapposizione fra le forze politiche dove a prevalere è stato il sentimento di pancia dell’ “anticasta” piuttosto che una seria riflessione, non si è posto la domanda fondamentale: se fosse più utile procedere all’abolizione delle province piuttosto che ad una loro radicale trasformazione diretta a dare un nuovo ruolo e utilità a questo ente.

Ma non solo, visto che la scelta di eliminare un livello di governo locale quale quello provinciale rappresenta un cambiamento rilevante, sarebbe stato opportuno sempre a mio parere, procedere ad una ricognizione della domanda reale di servizi e da una analisi di fattibilità o meglio sostenibilità economica, coinvolgendo in questo processo soggetti che hanno guidato con successo processi di cambiamento e innovazione provenienti sia da ambito privato che pubblico.

La rilevanza della materia avrebbe richiesto un approccio progettuale di vasto respiro, il definire un nuovo ruolo delle province avrebbe dovuto cercare ispirazione non solo nei modelli all’interno delle sole competenze giuridiche ma anche nel sistema imprenditoriale, facendo della riforma delle province un ‘occasione per sperimentare un nuovo modello di contaminazione fra le culture gestionali pubbliche e delle imprese che operano nel settore dell’erogazione dei servizi di pubblica utilità; un’occasione di innovazione prendendo in considerazione la domanda diffusa di “nuovi servizi” ancora oggi priva di offerta per definire i servizi a cui il nuovo ente deve dare adeguata risposta. tutte queste attività potrebbero riassumersi in un documento che in ambito privato viene definito “business plan”, che si compone di un’analisi tecnico normativa ( si definisce il quadro normativo in cui il soggetto opererà); analisi

74

economico finanziaria, per valutare i costi e la sostenibilità finanziaria per raggiungere l’obbiettivo assegnato.

Ulteriore elemento di valutazione di quanto si sia intervenuti con “leggerezza” è dato dal fatto che pur essendo evidente che il costo (e quindi il risparmio per il bilancio pubblico) delle province è ridicolo rispetto a quello degli altri livelli di governo; si è intrapresa questa strada senza avere ben quantificato i costi per l'adeguamento alla riforma, che avviene in un contesto in cui non si tiene conto delle priorità, ma si è scelto semplicemente di agire sull'anello più debole della catena per dimostrare come si tagliavano poltrone alla “Casta. Inoltre nessuno si è chiesto come impedire in futuro che il ceto politico sempre pronto a colonizzare nuovi o vecchi territori istituzionali o para- istituzionali privato delle province non si riversi su altri “pascoli” dove ancora l’erba è verde, in altri termini come un cattivo medico si è preferito curare il sintomo ricevendo subito il plauso del paziente che con poco dolore pensa di aver superato la malattia, invece di affrontare la causa del male con una cura lunga magari dolorosa che porta ad una guarigione vera e duratura e magari avrebbe portato ad un vaccino che salvaguardasse nel futuro le nostre istituzioni da questo male.