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I ricorsi alla Corte Costituzionale da parte delle Regioni e la Sentenza n.

2 GLI INTERVENTI DEGLI ANNI 011 – 013

2.4 I ricorsi alla Corte Costituzionale da parte delle Regioni e la Sentenza n.

La disciplina del 2011 e del 2012, che nei paragrafi precedenti è stata descritta nelle sue linee essenziali, fu soggetta immediatamente da parte di numerosi commentatori a critiche in merito al profilo di costituzionalità delle norme ed al fatto che non era stata tenuta nella dovuta considerazione l’ampia riflessione dottrinale sul tema.

Per quanto attiene ai dubbi attinenti al profilo di costituzionalità, a posteriori un dato è già di per sé significativo: ben diciotto furono i ricorsi65

presentati da nove regioni alla Corte costituzionale, con cui si contestava l’illegittimità costituzionale di tali provvedimenti: in particolare sono stati oggetto di impugnazione l’art. 23, commi 4, 14–20, 20–bis, 21 e 22 del D.L. n. 201 del 201166 e gli articoli 17 e 18 del D. L. n. 95 del 201267.

La Corte, inizialmente convocata a decidere sulla questione in data 6 Novembre 2012, vista ormai vicina l’adozione di quello che poi sarebbe stato denominato D.L. 188 del 2012 (successivamente decaduto per la mancata conversione del Parlamento per la crisi del Governo Monti), decise di rinviare la decisione sui ricorsi presentati, e solamente il 3 Luglio 2013,68 si pronunciò

65 I ricorsi sono stati promossi dalle Regioni Molise, Lazio, Veneto, Campania, Lombardia, Friuli-Venezia

Giulia, Sardegna, Piemonte e Calabria e iscritti ai nn. 18, 24, 29, 32, 38, 44, 46, 47, 50, 133, 145, 151, 153, 154, 159, 160, 161 e 169 del registro ricorsi 2012.

66 Più in particolare, la Regione Piemonte ha impugnato i commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis e 21;

la Lombardia i commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20; il Veneto i commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20; il Molise i commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis e 21; il Lazio i commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20; la Campania i commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20. Tra le Regioni a Statuto speciale la Regione Valle d’Aosta ha impugnato il comma 22; la Sardegna i commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis, 21 e 22; il Friuli Venezia Giulia i commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis e 22.

67 Più in particolare, la Regione Molise ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17; il

Lazio ed il Veneto degli artt. 17 e 18; la Campania dell’art. 17, c. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 6, 11 e 12, e dell’art. 18, c. 1, 2, 2 bis, 7-bis, 9, lett. c) e d); la Lombardia dell’art. 17, c. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 6, 11 e 12; il Piemonte dell’art. 17, c. 6 e 12; la Calabria dell’art. 17, c. 1, 2, 3, 4 e 4 bis. Tra le Regioni a Statuto speciale il Friuli- Venezia Giulia ha impugnato l’art. 17; la Sardegna gli artt. 17 e 18.

68 Molteplici sono stati i commenti sulla sentenza in esame, cfr. M. BETZU, Crucifige Provinciam! L’ente

intermedio di area vasta al tempo della crisi, in www.federalismi.it, 23 Ottobre 2013; R. DICKMANN, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo d’uso del decreto-legge, in www.giurcost.org, 3 Settembre

2013; P.GIANGASPERO, La riforma dell’amministrazione di area vasta fuori dalla logica dell’emergenza, in Le Regioni, n.2/2013, p. 273 ss.; M. MASSA, Come non si devono riformare le province, in Forum di

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definitivamente, dichiarando l’illegittimità costituzionale di tutte le norme precedentemente richiamate, ad eccezione dei soli commi 4, 21 e 22 dell’art. 23 del D.L. n. 201 del 2011.

Nel proseguire l’analisi della decisione della Corte appare opportuno muovere anzitutto dal percorso che questa elaborò per giungere alla declaratoria finale.

In primo luogo la Corte riunì i ricorsi proposti per una trattazione comune; in secondo luogo la Corte incentrò la sua attenzione sulla questione di legittimità costituzionale promossa per violazione dell’art. 77 Cost.; in quanto ritenuta precedere logicamente e giuridicamente tutte le altre69 e ciò in

ragione della natura strutturale dell’intervento, e questo malgrado i numerosi parametri individuati sia con riferimento alla prima70

, che alla

seconda tornata di impugnazioni71.

Quaderni costituzionali,2013; C. NAPOLI, Province: tutto (o niente?) da rifare, in www.federalismi.it, 22 Ottobre 2013; C. PADULA, Quale futuro per le Province? Riflessioni sui vincoli costituzionali in

materia di Province, in Le Regioni, n.2/2013, p. 361 ss.; A. SAITTA, Basta legalità! Interpretiamo lo spirito del tempo e liberiamo lo sviluppo, in www.forumcostituzionale.it, 23 Settembre 2013; F.

SANCHINI, L’uso della decretazione d’urgenza per la riforma delle autonomie locali: il caso della

Provincia. Considerazioni a margine della sentenza n. 220 del 2013 della Corte costituzionale, in

osservatoriosullefonti.it, n. 3/2013; A. SEVERINI, La riforma delle Province, con decreto legge, “non s’ha

da fare”, in Rivista AIC, 20 Luglio 2013; C. PADULA, Quale futuro per le Province? Riflessioni sui vincoli costituzionali in materia di Province, in Le Regioni, n. 2/2013, p. 361 ss. Prima della sentenza sono stati

resi alcuni interessanti pareri sul D.L. n. 95 del 2012 da parte di numerosi costituzionalisti, ad alcuni dei quali si farà in seguito riferimento raccolti in AA.VV., Riordino delle province (con contributi e pareri dei Proffessori Capotosti, Cerulli Irelli, Ciarlo, Onida e Volpi), in www.federalismi.it, 25 Settembre 2012.

69 Per una critica all’utilizzo della decretazione d’urgenza nella riforma de qua, Cfr. P.A. CAPOTOSTI,

Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile al procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 6 Luglio 2012, come convertito con l. 7 Agosto 2012, n. 135, in www.federalismi.it, n. 17/2012, p. 4 ss.; C. NAPOLI, Il livello provinciale di Governo nella legislazione “anticrisi” del Governo Monti, in www.federalismi.it, n. 21/2012, p. 11

ss. Diversamente V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale dell’art. 1 del D.L. n. 95 del

2012, convertito in legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle province e delle loro funzioni, in

www.federalismi.it, n. 17/2012, p. 4 ss.

70 Specificamente gli artt. 5, 114, 117, c. 2, lett. p), c. 4 e c. 6, 118, 119 e 120 Cost., il principio di leale collaborazio ne,

anche in relazione agli artt. 3, 77 e 97 Cost. per la Regione Piemonte; gli artt. 3, 5, 114, 117, 118, 119, 120, c. 2, e 138 Cost. per la Lombardia; gli artt. 1, 3, 5, 114, 118, 119, 120 e 138 Cost. per il Veneto; gli artt. 5, 114, 117, c. 2, lett. p), c. 4 e c. 6, 118, 119 e 120 Cost., il principio di leale collaborazione, anche in relazio ne agli artt. 3, 77 e 97 Cost. per il Molise; gli artt. 5, 72, c. 4, 77, 114, 117, c. 2, lett. p), 118, c. 2, 119, c. 4 e 120, c. 2, Cost., nonché dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazio ne per il Lazio; gli artt. 1, 2, 5, 114, 117, 118, 119, 120, c. 2, Cost. per la Campania. Tra le Regioni a Statuto speciale, gli artt. 2, c. 1, lett. b), 3, f), e 4 legge cost. n. 4 del 1948, nonché del combinato disposto degli artt. 117, c. 3, 119, c. 2, Cost. e dell’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001 per la Valle d’Aosta; l’art. 3, c. 1, lett. a) e b), legge cost. n. 3 del 1948 per la Sardegna; gli artt. 5, 77, 114, 117, c. 1, c. 2 e c. 6, 118, c. 1 e c. 2, e 119, nonché degli artt. 4, c. 1, n. 1 bis), 11, 51, 54 e 59, legge cost. n. 1 del 1963 e degli artt. 2 e 9 d.lgs. n. 9 del 1997 per il Friuli Venezia Giulia.

71 Specificamente gli artt. 3, 5, 77, 114, 117, c. 2, lett. p), c. 4 e c. 6, 118, 119, 126 e 133, c. 1 Cost. e il principio di

leale collaborazione per la Regione Molise; gli artt. 3, 72, c. 4, 77, 114, 117, c. 3, e 133 Cost. per il Lazio; gli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 Cost. e il principio di leale collaborazione per il Veneto; gli artt. 1, 2, 3, 5, 71, c. 1, 77, c. 2, 97, 114, 117, 118, 119, 120, 123, 133 e 138 Cost. per la Campania; gli artt. 1, 2, 3, 5, 71, c. 1, 77, c. 2, 97, 114, 117, 118, 119, 120, c. 2, 123, c. 4, 133 e 138 Cost. per la Lombardia; gli artt. 5, 77, 114, 117, c. 2, lett. p), c. 4 e c. 6, 118, 119 e 120 Cost. e il principio di leale collaborazio ne per il Piemonte; gli artt. 3, 5, 77, 114, 117, 118 e 133 Cost. per la Calabria. Tra le Regioni a Statuto speciale, gli artt. 77 e 133 Cost., dell’art. 4 legge cost. n. 1

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Peraltro è doveroso ricordare come la Corte in via preliminare rigettò l’eccezione di inammissibilità opposta ai ricorsi presentati ai sensi dell’art. 9 L. 5 Giugno 2003, n. 131, avanzata dall’avvocatura dello stato “in quanto le regioni non sarebbero legittimate ad agire a tutela delle attribuzioni degli enti locali” L’eccezione venne rapidamente superata facendo riferimento ad una nutrita sequenza di pronunce72; la Corte ha rigettato quindi la questione

affermando che “le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale”, dal momento che, come sostenuto in passato dalla Consulta, “la stretta connessione […] tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente

idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali”73.

Fu quindi la questione relativa alla compatibilità dello strumento della decretazione d’urgenza come strumento legislativo idoneo ad introdurre innovazioni in tema di “legislazione elettorale, organi di Governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, su cui si incentrarono in primis i lavori della Consulta, e a questo proposito, pur escludendo che sull’ordinamento degli enti locali si possa intervenire soltanto con legge costituzionale, ha circoscritto l’ammissibilità del decreto legge esclusivamente “per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di Governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento”.

Cosicché, prosegue la Corte a contrario si ricava che “la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale,

del 1963 e l’art. 8 d.lgs. n. 9 del 1997 per il Friuli-Venezia Giulia; gli artt. 116 e 133 Cost., il principio di leale collaborazione e gli artt. 3, 43 e 54 legge cost. n. 3 del 1948 per la Sardegna.

72 Sulla legittimazio ne delle Regioni a denunciare la legge statale per lesione delle attribuzioni degli enti locali anche

a prescindere dalla prospettazio ne della violazio ne della competenza legislativa regionale, v., ex plurimis, Corte costituzio nale, sentenze n. 196 del 2004, n. 417 del 2005, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 298 del 2009, n. 311 del 2012.

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trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema”. Proseguendo nell’articolazione della riflessione, la Corte ha osservato come non sia possibile costringere il dibattito parlamentale su norme ordinamentali “nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di “casi straordinari di necessità e d’urgenza”, il decreto legge non è utilizzabile “per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative”.

Con riferimento alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 77 Cost., la Corte ritiene che sarebbero con ogni evidenza contraddetti dall’ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali circa il ruolo della Provincia nell’articolazione territoriale della Repubblica, nonché dall’impossibilità di qualificare le disposizioni impugnate in termini di misure di immediata applicazione ex art. 15, c. 3, L. n. 400/198874.

In ordine all’effettività della normativa al raggiungimento degli obiettivi perseguiti indicati nei risparmi di spesa, non sarebbero in alcun modo “concretamente valutabili né quantificabili, seppur in via approssimativa”75

. E

“tale ambiguità” – conclude, sul punto, la Corte – “conferma la palese inadeguatezza dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive, che mal si conciliano con l’immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale”.

74 Sul punto la Corte argomenta rilevando che “[…]del resto, lo stesso legislatore ha implicitamente confermato la

contraddizione sopra rilevata quando, con l’art. 1, comma, della legge n. 228 del 2012, ha sospeso per un anno – fino al 31 Dicembre 2013 – l’efficacia delle norme del D.L. n. 201 del 2011, con la seguente formula: “Al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 Luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 Agosto 2012, n. 135, nonché quelli derivanti dal processo di riorganizzazione dell’Amministrazione periferica dello Stato, fino al 31 Dicembre 2013 è sospesa l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 18 e 19 dell’art. 23 del decreto-legge 6 Dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 Dicembre 2011, n. 214”“.

75 Con lo slittamento al 31 Dicembre 2013, peraltro, non risulta chiaro – sostiene la Corte – “se l’urgenza del

provvedere – anche e soprattutto in relazione alla finalità di risparmio, esplicitamente posta a base del decreto-legge, come pure del rinvio – sia meglio soddisfatta dall’immediata applicazione delle norme dello stesso decreto oppure, al contrario, dal differimento nel tempo della loro efficacia operativa”.

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Il Giudice delle leggi, pur non entrando nel merito delle scelte compiute dal legislatore, in diverse occasioni manifesta i propri dubbi nei confronti del modus operandi del Governo-Legislatore, mettendo in discussione sia la sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza che l’effettiva idoneità della normativa introdotta al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; di questi moniti vedremo si terrà poi conto in successivi interventi da parte dell’esecutivo.

Questa posizione del giudice supremo è la conferma sia pure indiretta che le ragioni economiche di riduzione della spesa pubblica che erano state poste come giustificatrici dei provvedimenti assunti nel biennio 2011 /2012 dall’esecutivo, risultano deboli e non in grado di sorreggere interventi che abbiamo visto caratterizzati dall’estemporaneità e approssimazione non solo sotto il profilo giuridico ma a maggior ragione sotto il profilo economico. Se poi si considera come questi interventi abbiano inciso su un livello di governo in modo tanto radicale e per certi versi quasi irreversibile, risultando questi interventi per di più privi di legittimità costituzionale, possiamo ritenere che nella storia istituzionale sarà considerata questa come una delle pagine nere.

La Corte si soffermò poi sulla compatibilità dello strumento del decreto legge per procedere alla modifica delle circoscrizioni provinciali, per cui l’art. 133, c. 1 Cost. richiede “l’iniziativa dei Comuni interessati – che deve necessariamente precedere l’iniziativa legislativa in senso stretto – ed il parere, non vincolante, della Regione”. A questo proposito, l’Avvocatura Generale di Stato aveva sostenuto che l’articolo 133 non trovi applicazione nel caso di riordino complessivo, e che al contrario questo trovi applicazione nei casi di singole modificazioni delle circoscrizioni provinciali, questo per l’estrema difficoltà di coordinare le iniziative di tutti i comuni italiani nel caso di un procedimento che riguardi le Province nel loro complesso.

La Consulta ha però ritenuto sussistere “una incompatibilità logica e giuridica […] tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni, che certamente non può identificarsi con le suddette situazioni di fatto, se non altro perché l’iniziativa non può che essere frutto di una maturazione e di una

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concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni e interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali”. A questo punto la Corte fa inoltre riferimento alla Sentenza n. 347 del 1994 nella quale riconosceva ammissibile l’istituzione di una nuova provincia attraverso lo strumento della delega legislativa purché gli adempimenti richiesti (iniziativa dei comuni e parere della regione) possano intervenire nella fase della formazione della legge di delegazione che nella successiva fase di formazione della legge delegata; nel caso di decreto legge per le caratteristiche di questo atto, il comune si troverebbero impossibilitato a partecipare alla formazione del procedimento con un atto qualificabile di “iniziativa”, al limite rimarrebbe la possibilità di intervenire nella fase di approvazione del disegno di legge in sede parlamentare con un atto che assumerebbe il valore di un parere, ma questo non sarebbe conforme al dettato della previsione costituzionale.

In definitiva prosegue la Corte ed a prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito, con riferimento alla legge ordinaria, “quanto sinora esposto con riguardo alla modifica delle singolecircoscrizioni provinciali, vale a fortiori dinanzi all’ipotesi di un riordino circoscrizionale globale, giacché all’incompatibilità̀ dell’atto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni si aggiunge la natura di riforma ordinamentale delle disposizioni censurate, che introducono una disciplina a carattere generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle Province”, con riferimento alla quale rilevano le argomentazioni emerse circa la compatibilità del decreto legge all’art. 117, c. 2, lett. p) Cost.

Il mancato rispetto dell’art. 133 Cost., dichiarato dalla Corte vede parte della dottrina76 esprimersi anche in senso opposto, ritenendo che tale

previsione sia da ritenere vincolante esclusivamente nel caso in cui singoli comuni intendano passare da una provincia ad un’altra o chiedere l’istituzione di una nuova provincia e non, invece, in caso di riordino complessivo delle

76 Si veda anzitutto V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale dell’art. 17 del D.L. n. 95 del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle province e delle loro funzioni, in

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circoscrizioni di tutte le province esistenti nelle regioni a statuto ordinario in cui, non solo sarebbe legittimo il mancato esercizio del diritto di iniziativa da parte dei comuni, ma andrebbe opportunamente escluso al fine di non consentire a singoli enti di interferire con un disegno di riordino di portata ben più generale.

La Sentenza in esame non è quindi entrata nel merito delle numerosissime censure mosse dalle Regioni ricorrenti nei confronti delle disposizioni impugnate, ritenendo, il vizio formale attinente allo strumento normativo utilizzato assorbente delle ulteriori questioni; nonostante questo è però possibile rinvenire rilevanti indicazioni su temi di preminente rilevanza.

In primo luogo, pare definitivamente tramontare la tesi per cui dall’art. 5 Cost. deriverebbe l’impossibilità di incidere sul Titolo V sino al punto di eliminare un ente territoriale originariamente previsto in Costituzione. La Consulta, difatti, nell’escludere che in materia di ordinamento degli enti locali si possa intervenire esclusivamente mediante revisione costituzionale, ha ritenuto quest’ultima in ogni caso “indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale”. Da tale affermazione si deriva a contrario con evidenza la non incompatibilità con il principio fondamentale di cui all’art. 5 Cost. di una riforma costituzionale avente ad oggetto la soppressione di un livello di autonomia locale anche al solo fine di eliminarne la garanzia costituzionale e, ancora, la percorribilità dell’ipotesi di

trasformare le Province attualmente esistenti in enti di secondo livello meramente con legge ordinaria e ciò nonostante la previsione di cui alla VIII disposizione transitoria e finale la quale, a ben guardare, disponendo che “le elezioni […] degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione”, sembrerebbe presupporre il carattere elettivo (di taluni) degli organi provinciali. Ancora, lo strumento della decretazione d’urgenza, pur inutilizzabile per trasformare “l’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione”, non è dalla Corte ritenuto inidoneo tout

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court all’introduzione di modifiche ai sensi all’art. 117, c. 2, lett. p) Cost.: il decreto legge in materia di legislazione elettorale, organi di Governo e funzioni fondamentali degli enti locali non è legittimo là dove non superi “i limiti di misure meramente organizzative” e si sostanzi in “misure di immediata applicazione”.

Di notevole rilevanza appare, peraltro, la definizione che il Giudice delle leggi fornisce delle materie di cui all’art. 117, c. 2, lett. p) quali norme ordinamentali “componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali per loro natura disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali di lungo periodo”, con questo passaggio sembra in qualche modo inviare un monito al legislatore a non (continuare ad)intervenire con ricorrenti puntuali modifiche nella materia ma ad agire con una disciplina di lungo periodo a garanzia della certezza del diritto e, in definitiva, dei soggetti passivi dell’amministrazione.

Ma la Consulta ha richiamato l’attenzione del legislatore anche sulle condizioni che hanno determinato l’adozione delle riforme varate: l’esigenza di una improcrastinabile riduzione della spesa pubblica; i cui valori devono essere determinati e quantificati a priori sia pur in via approssimativa a giustificazione di una riforma che “sacrifica” un livello territoriale costituzionalmente garantito.

Ulteriore punto meritevole di attenzione è dato dal riferimento fatto dalla Corte al dibattito svoltosi in Assemblea costituente circa le modalità attraverso cui procedere alla modifica delle circoscrizioni provinciali77

, la Corte

non ha preso posizione sulla legittimità di un riordino globale dei confini circoscrizionali ad opera di una legge ordinaria del Parlamento, al di fuori, cioè, di quanto disposto dall’art. 133, c. 1 Cost. ed a questo proposito, e dal modo in cui la questione è sorvolata sembrerebbe potersi ricavare una sostanziale posizione di chiusura su questo punto.

77 Con riguardo alla modifica delle circoscrizioni provinciali, infatti, la Corte ha significativamente

ricordato come “[s]in dal dibattito in Assemblea costituente è emersa l’esigenza che l’iniziativa di modificare le circoscrizioni provinciali – con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori – fosse il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’alto”

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La pronuncia della Corte segnò quindi un arresto nel processo di riordino iniziato con il D.L. 201 del 2011, ma rappresentò anche il punto di partenza per un nuovo intervento sulla materia, che si articolerà tanto con legge ordinaria, che con una proposta di riforma costituzionale.

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