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L’emergere del problema: la sicurezza come bene politico

L’esperienza livornese di traduzione locale-plurale

2. L’emergere del problema: la sicurezza come bene politico

Come per la gran parte dei governi locali a livello nazionale, è a partire dalla fine degli anni ’90 che l’amministrazione del Comune di Livorno inizia a confrontarsi con il pro- blema della sicurezza cittadina.

Nell’elezione del 1999 la sicurezza entra nella comunicazione pubblica come tema della campagna elettorale dei candidati sindaci per la città. Gianfranco Lamberti, il sindaco dei Ds in carica e destinato alla riconferma, pone la sicurezza tra le priorità del governo cittadino, non “volendo lasciare il tema in mano alla destra”. A ottobre dello stesso anno Forza Italia organizza in Fortezza Nuova il Security day: Berlusconi illustra via video il “Progetto azzurro” per la sicurezza. Nel decennio successivo – come dimostra l’esame

degli atti – all’interno del Consiglio cittadino il tema si ripresenta con una frequenza non particolarmente ravvicinata, generalmente in corrispondenza di crisi di “panico mo- rale” (Cohen 1972; Maneri 2001), di situazioni di particolare allarme in genere enfatiz- zate dai mass media.

Nel giugno 2000 il gruppo di An presenta un ordine del giorno con il quale si intendono sollecitare misure governative più efficaci nel contrasto del crimine. Si apre così una di- scussione che, dal contesto nazionale, si sposta su tematiche locali di sicurezza. La mo- zione assomma in modo abbastanza confuso gli argomenti tipici delle campagne di “legge e ordine”1: insiste sulla rappresentazione del fallimento dello stato nel garantire la sicurezza interna e il controllo delle frontiere, e invoca una maggiore certezza nel funzionamento del sistema penale.

“Negli ultimi anni lo Stato ha abdicato di fronte a una serie in- credibili di situazioni: dal controllo delle frontiere e del territorio al crimine organizzato, al dilagare dell’immigrazione clandesti- na e del contrabbando che hanno tolto credibilità alle istituzioni [...]. Si chiede con tutte le forme possibili di promuovere una le- gislazione che dia certezza della pena, rapidità e serenità di giu- dizio, garanzia che le pene siano effettivamente scontate, soprat- tutto nel caso di reiterazione dei reati” (Giunta del Comune di Livorno 2000).

Al Comune si richiede principalmente di rappresentare alle autorità statali la domanda proveniente dalla città e di assumere un proprio ruolo diretto attorno a tre impegni prin- cipali: l’organizzazione di una giornata dedicata a “ordine pubblico e sicurezza”, l’istituzione del vigile di quartiere e il potenziamento dell’illuminazione in alcune “zone a rischio” non altrimenti specificate.

Nella seduta consigliare, che si protrae per un’intera giornata, trovano espressione al- cune tematiche che ricorreranno nel dibattito pubblico degli anni successivi a Livorno, ovvero la centralità di due “figure della pericolosità sociale”: gli immigrati e i tossico- dipendenti.

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Per una ricostruzione del ruolo della sicurezza nelle campagne elettorali degli anni ’90 si rimanda a Cornelli (2008). I programmi elettorali delle forze politiche nelle elezioni politiche del 1996 sono trovano invece in Documenti giustizia (Aa.Vv. 1996, 897-922).

Tutti gli schieramenti, pur nella diversità delle rispettive posizioni, condividono il giu- dizio che il problema sicurezza a Livorno “non è di eclatanza”. A differenziarsi sono soprattutto le prefigurazioni degli scenari futuri, su cui il dibattito mostra alcune pola- rizzazioni. Gli interventi dei consiglieri di centro-destra ripropongono il repertorio reto- rico dell’allarmismo (Battistelli, a cura di, 2008): una rappresentazione esasperata del “rischio criminalità”, argomentata in modo generale e astratto, priva del supporto di dati conoscitivi, ma anche di correlazioni con il contesto locale. A ricorrere è l’associazione delinquenza-extracomunitari, attorno al quale si strutturano molti interventi tra le fila dell’opposizione. Ricorrono sovente le metafore naturalistiche, come il flusso o l’ondata (Dal Lago 1999) e appare frequente il riferimento “a ciò che dice la televisione” come fonte di legittimazione delle opinioni esposte, a conferma dell’assunto che la conoscen- za intorno alla sicurezza si basa su un’esperienza della criminalità culturalmente conno- tata (Garland 2001 [2004, 122]):

“se si apre la televisione si vede che gli extracomunitari si rivol- tano [...], dice che ne succedono di tutti i colori, almeno questo ci dicono i telegiornali di tutte le reti, non si vede perché la no- stra città dovrebbe rimanerne indenne. Vuol dire che l’ondata, anche se in misura minore, arriverà anche da noi” (Giunta del Comune di Livorno 2000).

I pericoli di un’“invasione” risulterebbero particolarmente elevati per Livorno perché la “città è estremamente tollerante e liberale e quindi più indifesa delle altre” (Giunta del Comune di Livorno 2000).

All’opposizione che enfatizza la pericolosità sociale dell’immigrazione, i consiglieri di maggioranza e di Rifondazione comunista rispondono inizialmente abbozzando un’analisi delle cause sociali ed economiche dei fenomeni migratori, dalla consapevo- lezza della quale dovrebbe scaturire il rispetto del valore dell’accoglienza. Nel dibattito gioca un ruolo chiave un consigliere di maggioranza, Presidente dell’Arci, l’Associazione che risulta tra i principali gestori di servizi sociali per il Comune. Dall’insicurezza astratta di cui gli immigrati sarebbero portatori, il discorso si sposta sui tossicodipendenti sui quali la stampa ha richiamato l’attenzione ancora pochi giorni prima.

Il problema della tossicodipendenza presenta a Livorno un’incidenza statistica superiore alla media regionale. Il modo più efficace per perseguire il controllo del fenomeno e quindi, in qualche forma non meglio specificata, anche la rassicurazione degli abitanti, appaiono tuttavia le politiche di riduzione del danno. Intervenire diversamente, in modo repressivo e poliziesco, produrrebbe come unico effetto lo spostamento dei soggetti in

altre aree del territorio. I tossicodipendenti non sono causa, ma a loro volta “le vittime del degrado”. Alla rappresentazione del cittadino livornese vittima di una situazione ge- neralizzata di pericolo di cui sfuggono i contorni, si affiancano negli interventi del gruppo progressista le immagini di quelle che appaiono le “vittime” delle disuguaglian- ze sociali: “emarginati”, tossicodipendenti, immigrati, disoccupati. Gli interventi del gruppo di maggioranza riaffermano un’accezione della sicurezza a livello locale che in- terroga la capacità di “una città di costruire percorsi di sostegno solidale [...], percorsi

di inclusione per coloro che non ce la fanno” (Giunta del Comune di Livorno 2000). Le

politiche di sicurezza pubblica sembrerebbero coincidere con le politiche di sicurezza sociale tout court, come interventi finalizzati allo sviluppo di politiche attive del lavoro, di pratiche di solidarietà, di erogazione di servizi alla persona, di creazione di condizio- ni stabili di sostegno alla cittadinanza, di inclusione e di coesione sociale.

Il dibattito in Consiglio mette dunque in luce il permanere di significative differenze ideologiche fra gruppi di maggioranza e di opposizione, che sembrano rendere la defini- zione della sicurezza oggetto di negoziazione politica2.

Come può forse apparire scontato da quanto detto fin qui, il gruppo Ds respinge l’ordine del giorno presentato da An e “giustifica” il proprio atto con l’impossibilità di condividere il giudizio che è stato espresso sull’immigrazione. È significativo tuttavia che il gruppo cerchi di evitare – anche abbandonando l’aula – che il Consiglio comu- nale “esca” con una posizione non unitaria sul tema. Tale insistenza appare senza dubbio rivelatrice del valore che gli eletti associano alla capacità di farsi carico della preoccupazione dei cittadini in materia di sicurezza, quale prova di una particolare vi- cinanza alla popolazione3. Il Presidente dell’Arci rilancia un nuovo accordo insistendo sull’importanza di istituire il vigile di quartiere. L’istituzione del vigile – si sottolinea

2

Edward e Hughes utilizzano il concetto di “power dependance” per dar ragione degli esiti instabili delle lotte sulla sicurezza. Si tratta di un concetto sviluppato dai politologi per costruire una teoria sui cambiamenti e della continuità nella governance (Rhodes 1997). Il concetto di power dependance identifica un paradosso fondamentale del potere politico: coloro che possiedono il potenziale per governare non hanno il potere quando non governano, ma nemmeno mentre cercano di governare, perché sono dipendenti da altri per portare avanti i propri impegni (Edward e Hughes, 2009, 76).

3

Secondo Le Goff (2005), l’ingresso dei sindaci sul terreno della lotta contro l’insicurezza coinciderebbe con la riaffermazione del modello di politico come “buon padre di famiglia”. Un simile cambiamento corrisponde all’indebolimento della “città civica”, a favore della “città domestica”, così come descritto da Boltanski e Thévenot (1991). La dignità dei cittadini appare sempre più legata non alla loro aspirazione ai diritti civici, ma all’attenzione e alla cura di cui sono fatti oggetto. I “grandi” trovano una giustificazione della loro esistenza nel privilegiare la prossimità attraverso legami di familiarità.

in polemica con il gruppo di Rifondazione comunista – non rappresenta un tentativo di “militarizzare il territorio”, ma ricopre piuttosto una funzione di lavoro sociale: il vigi- le è un “punto di riferimento civile per i cittadini”, un presidio territoriale paragonabi- le a quello che i servizi a bassa soglia gestiti dalle associazioni svolgono in alcune “zone a rischio”. Il Sindaco stesso sottolinea ripetutamente che “buona parte dei con-

tenuti” emersi nella discussione trovano il suo pieno appoggio: “la questione della si- curezza è tale da meritare l’apprezzamento di tutto il Consiglio comunale”. Il tema ha

ormai piena legittimità nell’agenda politica cittadina. Il bisogno di sicurezza è un’“evidenza condivisa” cui nessuno può sottrarsi e che si manifesta come universale (Bonelli 2010, 289), anche se non è altrettanto chiaro in cosa essa consista o quali sia- no le sue componenti.