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LA FIGURA DEL VESCOVO CARTAGINESE QUODVULTDEUS NELL’HISTORIA PERSECUTIONIS AFRICANAE PROVINCIAE D

2.3 L’esilio di Quodvultdeus nel racconto di Vittore

II V capitolo del I libro dell’Historia, al paragrafo 15, ricostruisce ciò che accadde a Quodvultdeus, al clero cartaginese e a numerosi ricchi cittadini dopo la presa di Cartagine da parte dei Vandali. Nell’esaminare il passo è utile ricordare che quando i Vandali sbarcarono in Africa Vittore non era ancora nato o era solo un bambino. Ad avvalorare questa ipotesi è soprattutto il fatto che nell’Historia gli eventi accaduti durante il regno di Genserico sono riferiti in modo assai generico e rapido: in un solo libro è riassunto un periodo di circa trent’anni. Al contrario, gli anni che vanno dal 477 al 484 e che riguardano la persecuzione di Unerico sono trattati con dovizia di particolari, tanto che il racconto occupa lo spazio di ben due libri241. Inoltre, mentre per il primo libro Vittore utilizza per lo più testi di autori precedenti, per comporre la parte rimanente dell’opera, nella quale fa spesso riferimento Anche a fonti orali242 e cita alcuni documenti ufficiali243, fornendone anche copia, sembra essersi basato soprattutto sulla sua personale esperienza244.

Secondo il suo racconto, nel 439 il vescovo di Cartagine Quodvultdeus sarebbe stato caricato insieme ad altri membri del clero cattolico su navi

240

S. Costanza, Vittore di Vita cit. pp. 257-260.

241 Vittore di Vita, Storia della persecuzione cit., pp. 11-12; M. Simonetti, Romani e

Barbari cit., p. 54.

242 Sulla dimensione orale delle fonti storiche cfr. B. Guenée. Storia e cultura storica

dell’Occidente medievale, Bologna 1991, pp. 93-105.

243 Si tratta di tre editti di Unerico (quello del 18 giugno 480 o 481, per autorizzare

l’elezione di un vescovo cattolico, II, 3-4; quello del 20 maggio 483, per convocare la conferenza tra vescovi ariani e cattolici, II, 39; quello del 25 febbraio 484, per ordinare la prosecuzione della persecuzione contro i cattolici, II, 3-14); di una lettera di Eugenio al re, dopo l’editto del 20 maggio 483 (II, 41-42); e del Liber fidei catholicae, presentato dai cattolici al concilio del 1° Febbraio 484 (II, 56-101).

244 Vittore di Vita, Storia della persecuzione cit., pp. 11-12; M. Simonetti, Romani e

88 malmesse, poi abbandonate alla corrente. Secondo l’ipotesi di Salvatore

Costanza, lo scrittore africano, adulto al tempo di Unerico, potrebbe anche essere stato testimone diretto di quei fatti ma li ricostruì utilizzando prevalentemente altre fonti245.

Di seguito viene trascritto il passo I, V, 15 dell’Historia, che verrà poi esaminato:

Historia persecutionis africanae provinciae I, V, 15246:

Tunc vero memoratae urbis episcopum id

est Carthaginis, deo et hominibus

manifestum, nomine Quodvultdeus, et maximam turbam clericorum navibus fractis inpositam nudos atque expoliatos

expelli praecepit. Quos dominus

miseratione bonitatis suae prospera

navigatione Neapolim Campaniae

perducere dignatus est civitatem.

Senatorum atque honoratorum

multitudinem primo exilio crudeli contrivit, postea transmarina in parte proiecit».

Allora (Genserico) ordinò persino che il vescovo della summenzionata città, cioè di Cartagine, noto a Dio e agli uomini, che aveva il nome di Quodvultdeus, e una grandissima turba di ecclesiastici, imbarcati su navi sfasciate, nudi e spogliati, fossero cacciati via. Ma il Signore, nella misericordia della sua bontà, si degnò di farli pervenire con prospera navigazione a Napoli, città della Campania. Una gran moltitudine di senatori e di onorevoli logorò prima con un crudele esilio, poi li relegò nel territorio transmarino.

Nel racconto di Vittore Genserico dà l’ordine di imbarcare su navi fatiscenti Quodvultdeus e il suo clero. Il riferimento alle pessime condizioni delle imbarcazioni e l’allusione al gran numero di persone che nudos atque expoliatos i Vandali vi fanno salire lasciano intuire che, nell’opinione

245 S. Costanza (a cura di) Vittore di Vita, Storia della persecuzione cit., p. 12; S. Costanza,

Vittore di Vita cit., pp. 238-239.

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89 dell’autore, l’obiettivo del sovrano barbaro non fosse semplicemente quello

di allontanare gli avversari bensì di eliminarli: nei piani di Genserico il presule cartaginese e i suoi compagni sono destinati a morire in mare quando le barche, caricate oltre ogni misura e già in partenza sul punto di rovinare, affonderanno. Ciò tuttavia non accade grazie alla misericordia divina che concede ai profughi di aver salva la vita e di giungere, con una navigazione definita prospera ma che potrebbe facilmente dirsi miracolosa, a Napoli. In un secondo tempo, si legge nel testo, Genserico allontana da Cartagine anche numerosi senatori e ricchi cittadini che gli oppongono resistenza.

Il racconto è in linea di massima credibile in quanto, come si vedrà nel capitolo terzo, l’arrivo degli esuli cartaginesi a Napoli è attestato da altre fonti letterarie oltre che da ritrovamenti archeologici ed epigrafici. Anche la descrizione che in questo passo e in generale nella sua opera Vittore fa delle pratiche persecutorie messe in atto dai Vandali ai danni del clero cattolico e della popolazione africana sembrerebbe corrispondere al vero.

La storia del dominio vandalico è stata tramandata quasi esclusivamente da fonti cattoliche, la cui parzialità rimanda naturalmente una versione dei fatti distorta, rispetto alla quale si può cercare, incrociando i dati, di individuare qualche costante247.

Le fonti concordano nell’attribuire a Genserico un atteggiamento feroce e intransigente nei confronti dei cattolici: con l’intento di rendere l’arianesimo religione di stato, egli li perseguitò sistematicamente, depredando le loro ricche chiese e i monasteri, che fungevano da roccaforti del dominio romano, e aggredendo brutalmente quanti rifiutavano di convertirsi alla fede da lui propugnata248. Durante il suo regno furono confiscati i beni del clero, al quale fu lasciata solo la possibilità di scegliere tra la schiavitù e l’esilio, un esilio che il più delle volte non si configurò come un semplice allontanamento: moltissimi cattolici subirono, infatti, vere e proprie

247 W. Pohl, The Vandals: Fragment of a Narrative, in Vandals, Romans and Berbers cit.,

pp. 31-48.

248 A. Schwarcz, The Settlement of the Vandals in North Africa, in Vandals, Romans and

90 proscrizioni e deportazioni di massa249. Serge Lancel identifica proprio in

Quodvultdeus la prima vittima di proscrizione250. Dopo di lui, la stessa sorte toccò ad altri vescovi, tra cui Possidio di Calama, che era stato il biografo di Agostino, Pampiniano di Vita e Mansueto di Urusita251. Anche molti laici, aristocratici e notabili cartaginesi che non accettarono le condizioni imposte da Genserico, furono esiliati e privati dei loro beni, mentre i dignitari di corte romani che rifiutarono di convertirsi andarono incontro, a seconda dei casi, alla confisca del patrimonio, all’allontanamento forzato, alla tortura o all’esecuzione capitale252

.

Con l’avvento al potere di Unerico la situazione non migliorò. Adottando un modus operandi simile a quello del suo predecessore, il nuovo sovrano, dopo una prima fase di tolleranza, sottopose i cattolici a violenze di vario genere e proseguì con le confische ai danni delle chiese, punendo anche con l’esilio chi si mostrava deciso a difendere la propria fede contro l’arianesimo253

. Vittore (II, 8, 26) riferisce che, per volontà del re vandalo, nel 483 ben 4966 fra vescovi, preti e diaconi vennero deportati tra i Mauritani, dove morirono in miseria254; inoltre, nel Liber Fidei Catholicae (cap. 15 e seg.) si legge che, dopo il fallimento del drammatico colloquio tra ariani e cattolici avvenuto nel febbraio del 484, dei 466 vescovi cattolici presenti 46 furono relegati in Corsica, 302 nella stessa Africa255.

Tali considerazioni lasciano pochi dubbi circa il destino cui Quodvultdeus e i suoi fedeli andarono incontro: il clero di Cartagine dovette lasciare la città a causa dei Vandali. Si trattò di un allontanamento forzato o di una fuga volontaria? È difficile stabilirlo con certezza. La tesi di Vittore, non si sa quanto viziata dalle convinzioni dell’autore e dalla valenza politica

249 Ibidem, pp. 54-55. Sul ricorso all’exilium, alla relegatio e alla deportatio nel mondo

romano cfr. W. Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, London 1870, pp. 515- 516; per la proscriptio si vedano invece le pp. 963-964.

250 S. Lancel (ed. a cura di), Victor de Vita, Histoire cit., p. 42 e M. Ptschening (ed. a cura

di), Victor Vitensis, Historia cit., I, 51, p. 22.

251

. Lancel (ed. a cura di), Victor de Vita, Histoire cit., p. 42.

252 A. Schwarcz, The Settlement cit., pp. 55-56. 253 Ibidem, p. 290.

254 Ibidem. 255

M. Ptschening (ed. a cura di), Victor Vitensis, Historia cit., III, 20, p. 32 e p. 81. Con l’editto del 20 maggio 483 Unerico stabilì che il giorno 1 febbraio dell’anno successivo si tenesse nella capitale un confronto tra vescovi cattolici e ariani. L’incontro ci fu ma gli ariani mandarono all’aria il dibattito, attribuendone il fallimento all’ostinazione con cui i cattolici avevano difeso le proprie tesi.

91 antivandalica dell’opera, si fonda sull’attribuzione a Genserico dell’intera

responsabilità dei fatti. Tuttavia, non si può escludere che le cose siano andate diversamente e che, dinanzi alle minacce sempre più incalzanti dei barbari, Quodvultdeus e con lui altri cattolici cartaginesi, abbiano preferito cercare riparo in luoghi più sicuri, dirigendosi deliberatamente a Napoli, anche in virtù dei buoni rapporti che esistevano tra la Chiesa africana e quella campana.

2.4 Alcune osservazioni sul paragrafo I, V, 15 dell’Historia: elementi di