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SANTI AFRICANI VENUTI DAL MARE: ALLE ORIGINI DI UN TOPOS

4.6 I santi venuti dal mare nell’agiografia campana altomedievale e i Saracen

Nella Campania medievale le azioni miracolose legate al mare descritte dalle fonti agiografiche non sono così abbondanti come ci si aspetterebbe in un contesto tanto caratterizzato dalla componente marina. Le storie di santi navigatori che circolarono nella regione tra IX e X secolo sono relativamente poche, soprattutto se confrontate con l’ampia diffusione che il tema ha conosciuto in altre aree. Questa limitata presenza del mare nell’immaginario di chi con quell’elemento naturale viveva costantemente a contatto è indubbiamente un dato che colpisce e su cui bisogna riflettere527. Ciononostante, non si può affermare che nell’agiografia campana altomedievale le figure di santi venuti dal mare siano completamente assenti528: si pensi agli stessi Prisco e Castrese, a s. Costanzo529, miracolosamente giunto a Capri, o ai santi Patrizia530 ed Erasmo531, approdati rispettivamente a Napoli e a Formia. Nei racconti relativi a tali personaggi il tema del viaggio fortunoso per mare conosce molte varianti, ma rimane costante l’idea che sia Dio ad accompagnare la nave dei santi nel suo peregrinare.

In alcuni testi agiografici a toccare la terraferma dopo un’avventurosa traversata sono i corpi senza vita dei protagonisti: è la Provvidenza a

Scollo, L’immagine del mare nel De beata vita di Agostino, in La preghiera del marinaio cit., pp. 358-360.

527 La questione è ampiamente trattata nel contributo di Amalia Galdi e di Eugenio Susi

Santi, navi e Saraceni. Immagini e pratiche del mare tra agiografia e storia dalle coste campane a quelle dell’Alto Tirreno (secoli VI-XI), in Dio, il mare e gli uomini, Quaderni di

storia religiosa, 2008, pp. 53-58.

528 Ibidem, pp. 60-62.

529 G. D. Gordini, Costanzo di Capri, in BS, IV, Roma 1964, coll. 265-266. 530 D. Ambrasi, Patrizia di Costantinopoli (?) in BS, X, Roma 1968, coll. 392-394. 531

156 consentire, ad esempio, che l’imbarcazione con le reliquie di S. Fortunata532

, proveniente da Cesarea, si diriga verso Patria, mentre quella che trasporta da Nicomedia il corpo di S. Giuliana533 giunga a Pozzuoli, o a permettere che l’arca contenente le spoglie di S. Trofimena534

navighi dalla Sicilia fino a Minori, mentre quella sulla quale a Cartagine S. Restituta, poi morta in mare, era stata costretta a salire535, approdi felicemente a Ischia.

Tra IX e XI secolo, dunque, in Campania si composero Vitae e Passiones di santi che, vivi o morti, attraversavano prodigiosamente il mare. Il più delle volte, secondo una tendenza rintracciabile in altre zone dell’Italia centro-meridionale, i protagonisti di queste storie erano martiri vissuti nei primi secoli del cristianesimo o stranieri venuti da lontano, dall’Oriente oppure dall’Africa536

. In particolare, il Lanzoni ebbe modo di costatare come quasi tutti i santi antichi, poco noti, del litorale tosco-romano- campano e delle isole del Tirreno fossero pervenuti in Italia dall’Africa, dopo essere stati in vario modo vittime della persecuzione vandalica, cosa che lo portò a definire la predilezione degli agiografi verso simili figure addirittura ossessiva537.

A chi si cimentava in questo genere di racconti dovette sembrare naturale e opportuno ispirarsi a una figura come quella di Quodvultdeus per creare i propri personaggi. Molto probabilmente, quindi, un’opera come l’Historia persecutionis Africanae provinciae, che, come si è visto, influì in maniera determinante sulla composizione delle agiografie di Prisco e Castrese, rappresentò un punto di riferimento importante anche per numerosi altri testi in cui il motivo del viaggio del mare, rivisitato proprio alla luce del racconto di Vittore, diede poi vita a un nuovo topos, quello della nave forata o semidistrutta che trasporta il santo o le sue reliquie e

532 J. M. Sauget, Fortunata, santa martire venerata a Patria, in BS, V, Roma 1965, coll.

975-976.

533 J. M. Sauget, Giuliana santa martire di Nicomedia, in BS, VI, Roma 1965, coll. 1176-

1177.

534 G. D. Gordini, Trofima, in BS, XII, Roma 1969, col. 665.

535 D. Ambrasi, Restituta di Teniza (?), in BS, XI, 1968, coll. 130-135

536 G. Otranto, Persecuzione e martirio cit., p. 115 e pp. 117-119. A tal proposito Giorgio

Otranto afferma la necessità di sottoporre ad un processo di “deafricanizzazione” e “debizantinizzazione” diversi culti sia campani che italici.

537 F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII, I, Faenza 1927,

p. 562 e pp. 559-561. Sulle figure di santi venuti dal mare nell’agiografia del Medio e dell’Alto Tirreno cfr. A. Galdi, E. Susi, Santi, navi e Saraceni cit., pp. 69-83.

157 che, anche se lasciata in balìa delle onde, raggiunge miracolosamente la

terraferma538.

Sulla falsariga di Quodvultdeus, in Campania come altrove, diversi martiri autoctoni acquisirono, insieme all’origine africana, una nuova identità e subirono un processo di trasfigurazione analogo a quello a cui, molto probabilmente, andarono incontro gli stessi Prisco e Castrese o gli altri personaggi che la Vita s. Castrensis annovera tra i compagni di viaggio di quest’ultimo: Canione539

, Elpidio540, Tammaro541 e Augusto542 sarebbero, infatti, martiri di origine campana, mentre gli altri membri del gruppo sono tutti riconducibili ad altri centri dell’Italia meridionale543

. Tuttavia, se è vero che, per un certo numero di testi agiografici altomedievali, la storia di Quodvultdeus ha rappresentato un’essenziale fonte d’ispirazione, viene da chiedersi come mai, considerato il modesto rilievo che la vicenda di quest’ultimo riveste nell’economia complessiva dell’Historia persecutionis Africanae provinciae, alcuni autori si siano soffermati proprio su tale personaggio, scegliendolo come prototipo per i protagonisti dei propri racconti, divenuti così viaggiatori e africani.

538 Ibidem, p. 59.

539 Per quanto riguarda Canione, il MG ne segna al 25 Maggio la sepoltura nella città di

Atella: Atellae in Campania Canionis. Con poche variazioni la notizia ritorna in

Martirologi successivi, come quelli del IX-X secolo di Richenau e di Vienna. Canione è

quindi santo di origine atellana, vissuto nei primi secoli del cristianesimo, cfr. A. Vuolo,

Tradizione letteraria e sviluppo cultuale. Il dossier agiografico di Canione di Atella (secc X-XV), Napoli 1995; E. Dolbeau, Le dossier de saint Cainon d’Atella. À propos d’un livre récent, in <<Analecta Bollandiana>> 114 (1996), pp.99-124; G. Cioffari, San Canio tra storia e leggenda in La cattedrale di Acerenza. Mille anni di storia, Venosa 1999, p. 330;

G. Otranto, Persecuzione e martirio cit., pp.104-106; cfr. P. Saviano, Episcopato e vescovi

di Atella cit., pp. 283-285.

540

Elpidio fu probabilmente vescovo di Atella tra la fine del IV e gli inizi del V secolo. Un documento, la Vita s. Elpidii, lo celebra al 24 maggio: cfr Elpidius in W. Smith and H. Wace, A Dictionary of Christian Biography, Literature, Sects and Doctrines, vol. II, London 1880. p. 101; P. Saviano, Episcopato e vescovi di Atella cit., pp. 286-287.

541

La figura di Tammaro ha contorni piuttosto confusi ma, secondo Vuolo, risulta sicura la diffusione del suo culto nell’onomastica e nella toponomastica campana tra l’XI e il XII secolo. cfr. A. Vuolo, San Tammaro un enigma tra leggenda e culto in San Tammaro,

vescovo di Benevento, patrono di Grumo Nevano, Villa Literno e dell’omonima località presso Capua. Il culto, l’iconografia. Catalogo della mostra fotografica, a cura di F.

Pezzella, Grumo Nevano 2002, pp. 3-10.

542 Augusto molto probabilmente è da identificare con Augustinus martire di Capua, morto

nel 250 d. C. durante la persecuzione di Decio. Il personaggio è ricordato nel Chronicon

Paschale del 395 e dal MG ed è raffigurato nei perduti mosaici della chiesa di S. Prisco

insieme alla madre Felicita: G. Guadagno, Caserta, Calatia e Sant'Augusto in <<Quaderni della Biblioteca del Seminario di Caserta>>, Caserta 1995, pp. 25-45.

543 D. Mallardo, San Castrese cit., pp. 26-28 e pp. 38-48; A. Vuolo, La nave dei santi cit., p.

158 Indubbiamente molte Vitae e Passiones di santi navigatori, prodotte in

età altomedievale non solo in Campania ma anche in altre regioni che si affacciano sul Tirreno, come per esempio la Sardegna, le coste e le isole del Lazio e della Toscana, sono in parte debitrici della tradizione popolare marinara, nella quale i casi di santi arrivati su una barca, o in un sarcofago di pietra, o in una botte o in una cassa di ferro sono davvero numerosi544: niente di più comune nell’agiografia popolare, notava, infatti, Delehaye, dell’arrivo miracoloso di un santo, della sua immagine o del suo corpo su una nave abbandonata545. Un tema, questo, nelle cui frequenti rielaborazioni, come suggeriscono sia Antonio Vuolo sia Eugenio Susi, hanno certamente avuto un ruolo moduli narrativi e descrittivi preesistenti, mutuati dalla tradizione classica, dal modello biblico e dalla letteratura patristica546, oltre che dalla precedente produzione agiografica.

Nei contesti culturali segnati in modo sostanziale dalla presenza del mare, come si è detto nei paragrafi precedenti, il fatto di porre il mare sotto la protezione di un santo mitigava in modo profondo il timore legato all’incapacità umana di controllare la potenza marina. Tale esigenza di difesa, piuttosto comune nelle località costiere, può aver determinato alcuni degli elementi che si ritrovano nell’agiografia campana medievale547

. Tuttavia, in Campania come in altre regioni del medio e alto Tirreno, al frequente ricorso al tema della santità venuta dal mare e alla consistente presenza di martiri di provenienza africana è stata attribuita anche un’altra, ben precisa, funzione apotropaica: quella di esorcizzare il timore derivato dalle incursioni saracene, che proprio nel periodo in cui maggiormente circolarono Vitae e Passiones di santi navigatori, cioè nel IX e nel X secolo, funestarono le coste tirreniche della penisola. Ciò spiegherebbe anche il fatto che, a partire dal secolo XI, in concomitanza con l’affermarsi di nuove strutture politico-istituzionali e con il venir meno del pericolo saraceno, la

544 G. Ranisio, Il santo venuto dal mare cit., pp. 85-90. 545 H. Delehaye, Le leggende cit, p. 44.

546

A. Vuolo, La nave dei santi, p. 63; A. Galdi, E. Susi, Santi, navi e Saraceni cit., pp. 74- 75.

547 L’argomento è trattato in modo approfondito in G. Ranisio, Il santo venuto dal mare, in

<<La ricerca folklorica: contributi allo studio della cultura delle classi popolari>>, n. 21 (1990), pp. 85-90.

159 produzione agiografica abbia registrato la progressiva scomparsa di tali

figure, sostituite da altre tipologie di personaggi548.

Si tratta di un’ipotesi suggestiva e potenzialmente valida, che dunque vale la pena di approfondire.

La questione non è oziosa e presenta molteplici sfaccettature, per comprendere le quali è opportuno innanzitutto delineare a grandi linee le modalità secondo le quali si affermò la presenza saracena lungo le coste italiane.

Agli inizi del IX secolo l’Italia centro-meridionale presentava una forte frammentazione politica: composta da territori privi di uniformità a livello amministrativo, estremamente variegata da un punto di vista etnico-sociale e perciò segnata da contasti interni, l’area era particolarmente vulnerabile alle aggressioni esterne549. Approfittando di tali circostanze, gruppi di predoni musulmani cominciarono a esercitare sulle zone costiere una crescente pressione. Non si trattava in realtà di un’aggressione pianificata a opera di un gruppo ben definito ma di bande disomogenee e con provenienza diversa, spesso in lotta tra loro per ragioni politiche e religiose: Berberi di Libia, Ismaeliti di Creta, Agareni di Spagna, Saraceni che si muovevano dalla Sicilia, etnie differenti ma tutte accomunate da un identico desiderio di espansione territoriale e arricchimento550.

Tra l’VIII e il IX secolo sulla costa nordafricana, su quella spagnola e nelle isole Baleari si erano andati costituendo vari emirati arabi551. A partire dall’827 furono gli emiri aghlabidi di Kairuan, nell’odierna Tunisia, a dare inizio alla conquista della Sicilia, poi ultimata nel 902, e alla conseguente espansione saracena nel Mediterraneo e nel Mezzogiorno peninsulare552.

548 A. Vuolo, La nave dei santi cit., pp. 63-66; A. Galdi, E. Susi, Santi, navi e Saraceni cit.,

pp. 59-61. A partire dal secolo XII, ricorda Antonio Vuolo, alla figura del santo che viene dal mare si sostituì quella del santo viator.

549 N. Cilento, Le condizioni della vita cit., pp. 442-444.

550 N. Cilento, Le condizioni della vita cit., pp. 442-444; Id., I Saraceni nell’Italia

meridionale nei secoli IX e X, in <<Archivio storico per le Province Napoletane>>, N.S. ,

XXXVIII (1958), pp. 110-111; Id., Capua e Montecassino cit. p. 348.

551 Per un inquadramento generale della costituzione dell’impero musulmano, in particolare

dal VII all’ XI secolo, cfr. A. Ducellier e F. Micheau, L’Islam nel Medioevo, Bologna 2004.

552 Sulla dominazione saracena in Sicilia cfr. M. A. Crociata, Sicilia nella Storia: la Sicilia

160 La parabola delle aggressioni arabe ai danni dell’Italia centro-meridionale fu

ascendente e progressiva e in alcuni casi fu favorita dagli stessi signori locali, i quali contribuirono a incentivare la presenza dei predoni musulmani nei propri territori e nelle regioni limitrofe assoldandoli come mercenari nelle lotte intestine che agitavano i loro domini553. Ciò accadde, ad esempio, in Campania, dove il primo a chiedere aiuto ai Saraceni fu il console di Napoli Andrea: subito dopo la sua elezione, avvenuta nell’832, egli si rifiutò di continuare a pagare i pesanti tributi imposti alla città dal principe di Bevenento Sicardo, il quale, di conseguenza, cinse d’assedio Napoli554. Nell’835 Andrea, dopo essersi rivolto inutilmente a Ludovico il Pio, chiamò in suo soccorso gli Arabi guidati da Ibrāhīm ibn ‘Abd Allāh, che quattro anni prima avevano occupato Palermo555. Il console, in realtà, non agiva solo in difesa di Napoli ma pure nell’interesse di Amalfi, Gaeta e Sorrento, anch’esse minacciate dal signore di Benevento556

. In seguito all’appello di Andrea, i Saraceni accorsero in Campania dalla Sicilia e, dopo aver devastato i territori del principato beneventano, costrinsero Sicardo a

I, Palermo 2011, pp. 23-39. Per un riferimento più generale alla storia della presenza musulmana in Sicilia cfr. A. Vanoli, La Sicilia musulmana, Bologna, Il Mulino, 2012. Sulla presenza dei Saraceni nell’Italia meridionale peninsulare esiste una vasta bibliografia, cfr. almeno M. Panetta, I Saraceni in Italia, Milano 1973, pp. 61-95; S. Palmieri, Mobilità

etnica e mobilità sociale nel Mezzogiorno longobardo, in <<Archivio storico per le

province napoletane>>, 99 (1981), pp. 31-104; N. Cilento, Il rischio islamico, in Una

grande abbazia altomedievale cit., pp. 5-14; P. Segl, I Saraceni nella politica meridionale degli imperatori germanici nei sec. X e XI, in Id., pp. 27-56. Per le incursioni saracene

nell’area tirrenica centro-settentrionale cfr. invece S. Del Lungo, Bahr ʻas Shâm: la presenza musulmana nel Tirreno centrale e settentrionale nell'alto medioevo, Oxford 2000.

Per l’area campana cfr. il volume Presenza araba e islamica in Campania. Atti del convegno (Napoli-Caserta, 22-25 novembre 1989), Napoli 1992, pp. 301-314.

553 N. Cilento, Le incursioni saraceniche nell’Italia meridionale, in Id., Italia meridionale

longobarda cit., pp.142-145.

554 G. Musca, L’emirato di Bari (847-871), Bari 1992, pp. 15-16. Nell’830, il console

Stefano III, predecessore di Andrea, per tenere a freno le mire espansionistiche che Sicone, padre di Sicardo, nutriva nei confronti di Napoli aveva dovuto accettare di versare al principe beneventano onerosi tributi. Nell’831 dovette addirittura cedergli il corpo del protettore della città, san Gennaro: cfr. in proposito M. Schipa, Il Mezzogiorno d’Italia

anteriormente alla monarchia, Bari 1923, p. 48; L. Salvatorelli, L’Italia medievale dalle invasioni barbariche agli inizi del secolo XI, Bari 1938, p. 468.

555 G. Musca, L’emirato cit., pp. 15-16: quando il console Andrea fece appello agli Arabi di

Sicilia, osserva Giosuè Musca, gruppi di mercanti e avventurieri saraceni risiedevano già da qualche anno sulle coste campane, dove si erano trasferiti in seguito alle lotte intestine sorte in Sicilia tra le varie fazioni musulmane presenti nell’isola. In Campania essi avevano instaurato relazioni cordiali con la popolazione locale e in qualche caso, per necessità o convenienza, si erano anche convertiti al cristianesimo. Gli Arabi guidati da Ibrāhīm ibn ‘Abd Allāh, dunque, probabilmente conoscevano bene Napoli, sia per i rapporti commerciali che intrattenevano con la città sia per i legami che forse avevano mantenuto con i saraceni emigrati in Campania, che in quell’occasione potrebbero aver fatto da intermediari tra Napoletani e futuri soccorritori.

556

161 ritirarsi, firmando successivamente con Napoli un trattato di amicizia e

commercio557. In cambio dell’aiuto ricevuto i napoletani in seguito soccorsero a loro volta i Saraceni durante l'assedio di Messina dell’843558. Nell'840 gruppi di Saraceni di varia provenienza intervennero ancora una volta in Campania come mercenari al soldo di Siconolfo, signore di Salerno, e di Radelchi, principe di Benevento559. In quella circostanza, la lotta intestina sorta tra i due signori per la divisione del principato di Benevento diede l’opportunità ai predoni arabi di saccheggiare e devastare diverse località campane, tra cui la stessa città di Capua Vetere, che in seguito a quell’evento, nell’841 fu abbandonata dai suoi abitanti560

.

Le azioni saracene in Campania furono importanti per la politica di espansione di lì a poco intrapresa dalle bande di avventurieri arabi: questi, proprio in virtù del servizio prestato ai signori campani, ebbero l’opportunità non solo di compiere facili razzie ma anche di estendere il proprio dominio in altre regioni dell’Italia centro-meridionale, come la Puglia e il Lazio561.

Nell’838, probabilmente su suggerimento degli stessi Napoletani, i quali forse volevano creare nuove difficoltà a Sicardo e spostare l’attenzione del principe beneventano verso altri territori del suo dominio562, una grande flotta saracena proveniente dalla Sicilia occupò Brindisi563. La conquista della città diede inizio all’espansione musulmana in Puglia: nell’840 fu presa Taranto, che per una quarantina d’anni (840-880) fu sede di un

557

Ibidem. Per quanto riguarda i trattati che Napoli, Gaeta e Amalfi, per non precludersi le vie del mare e continuare a commerciare, furono costrette a stipulare con i Saraceni e la conseguente reazione del papato, che tentò con scomuniche e interdetti di porre un freno alle “empie” alleanze delle città campane con i musulmani, cfr. N. Cilento, Le incursioni

saraceniche nell’Italia meridionale, in Id., Italia meridionale longobarda cit., pp.142-145.

558 G. Musca, L’emirato cit., p. 17.

559 Ibidem, pp. 23 ss.; G. Bertelli, G. Lepore, M. Trotta, A. Attolico, Sulle tracce dei

Longobardi in Puglia cit., p. 344. All’argomento si è già fatto cenno nel primo capitolo

della tesi, cfr. le pp.30-31.

560 Cfr. il primo capitolo della tesi, p. 31.

561 Le principali vicende dell’espansione saracena in Puglia, dal primo assalto a Brindisi

fino alla conquista di Bari, sono riassunte da G. Musca, L’emirato cit., pp. 23-32.

562

L’ipotesi è stata in passato sostenuta dallo Schipa e dall’Amari: cfr. M. Schipa, Il

Mezzogiorno d’Italia cit., p. 51; M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, II ed. a cura di

C. A. Nallino, vol. I, Catania 1933, p. 492

563G. Musca, L’emirato cit., pp. 18-22. Musca ricorda che neppure Venezia, che nell’841

162 emirato arabo564; più o meno contemporanea ai fatti di Taranto fu

l’occupazione di Bari che, attaccata una prima volta tra l’840 e l’841, divenne anch’essa un emirato e rimase sotto il controllo dei Saraceni fino all’871565

.

Oltre a questi avvenimenti, un altro episodio contribuì a dimostrare la pericolosità degli aggressori saraceni: il sacco di Roma dell’846. Nell’agosto di quell’anno una schiera di pirati musulmani guidati da Abu

Ma’sar, dopo aver attaccato e

saccheggiato Centumcellae, Civitavecchia, Porto e Ostia, assaltarono Roma e devastarono le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo. Tale profanazione, al pari di quelle in seguito compiute ai danni delle abbazie di S. Vincenzo al Volturno (881) di Montecassino (883) e di Farfa (897), lasciò un segno molto forte nelle cronache del tempo566.

In poco più di dieci anni, dunque, come scrive Giosuè Musca, i Musulmani provenienti dalla Sicilia, dall’Africa, dalla Spagna e da Creta, si trasformarono da corsari in veri e propri padroni del Mezzogiorno, da mercenari al servizio dell’uno e dell’altro dei contendenti in conquistatori coscienti della propria forza567.

La percezione che di quei popoli stranieri e portatori di un credo diverso ebbero gli agiografi e i cronisti del tempo fu abbastanza uniforme e universalmente negativa: nei luoghi interessati dalle incursioni si diffuse lo stereotipo del nefandissimus Saracenus, rappresentato come predone, seguace del paganesimo o ariano, sacrilego profanatore di uomini e cose, nemico infido e strumento dell’ira divina568

. Una tradizione che, come ha osserva Stefano Palmieri, ha pesato negativamente sulla moderna letteratura

564 Ibidem, p. 17.

565 Ibidem, pp. 22 ss. Sull’emirato di Bari cfr. particolarmente le pp. 33-61 del testo 566 N. Cilento, Le condizioni della vita cit., p. 442-444. Id., I Saraceni cit., pp. 111-112; Id.,

Capua e Montecassino cit., pp. 354-356.

567 G. Musca, L’emirato cit., p. 31.

568S. Palmieri, Un esempio di mobilità etnica altomedievale: i Saraceni in Campania,

in Montecassino dalla prima alla seconda distruzione cit., pp. 597-627, pp. 597-598; A. Galdi, E. Susi, Santi, navi e Saraceni cit., pp. 66-67.

163 storiografica, limitando fortemente gli studi sui Saraceni nel Mezzogiorno

peninsulare 569.

Tuttavia, la cattiva fama attribuita ai Saraceni, per quanto verosimile e giustificata, non può essere considerata il solo aspetto rilevante di una vicenda che, se guardata da un’ottica differente e più ampia, appare ben più variegata e complessa. I razziatori musulmani, come fa notare Stefano