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L’ESPERIENZA FORMATIVA AL POLITECNICO DI MILANO (1950-1964)

ALDO ROSSI E GIORGIO GRASSI (1950-65)

1.1 L’ESPERIENZA FORMATIVA AL POLITECNICO DI MILANO (1950-1964)

«È certo […] che una bella discussione con il mio amico Heinrich Helfenstein sulla traduzione di Hölderin ha giovato alla mia architettura più dei brutti libri e delle brutte lezioni dei miei professori del Politecnico milanese».

Aldo Rossi, Autobiografia scientifica156

Aldo Rossi nasce a Milano il 3 maggio 1931 e si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nell’Anno Accademico 1950/51. Il clima all’interno della Facoltà non è vissuto da Rossi come un ambiente favorevole alla propria formazio- ne: come già osservato precedentemente157, l’università milanese è ancora impostata

secondo un’eredità prebellica estremamente conservatrice, incapace di recepire le istanze di rinnovamento da più parti invocate:

«della scuola d’arch[itettura] di Milano ho poco da ricordare se non la medio- crità che vi regnava; eppure in questa scuola ho avuto la fortuna di incontrare Ernesto N. Rogers e altri miei compagni. Al Politecnico era mio assistente al III anno Vittorio Gregotti e ho avuto come compagni di corso Guido Canel- la, M.A. e altri»158.

La sua carriera oltre a essere piuttosto lenta non sortisce un notevole rendimento: Rossi sostiene i primi esami tra il 1951 e il ’52 ma tra le poche materie in cui rag- giunge valutazioni superiori al 20/30 emergono solo i corsi di Storia dell’arte e Sto- ria e stili dell’architettura I e II, tenuti da Luigi Crema e Piero Gazzola. L’esame per il corso di Luigi Crema prevede la consegna di due testi da svolgere su argomenti a scelta, e per il corso di Piero Gazzola è invece necessario preparare una presentazio- ne orale incentrata su un tema scelto dallo studente, accompagnata da esercitazioni grafiche e fotografiche. Sarà proprio in questi corsi che verrà sottolineato il ruolo fondamentale nella formazione dell’architetto dello studio dei “caratteri”, del “va-

156 Aldo Rossi, Autobiografia scientifica, Il Saggiatore, Milano 2009, p.72 (qui citato da Pratiche Editrice, Milano 1999)

157 Si veda Premessa. La didattica dell’architettura nelle facoltà italiane (1945-74), p.7

158 Aldo Rossi, Note autobiografiche sulla formazione ecc. dicembre 1971, in Aldo Rossi. Tutte le opere, a cura di Alberto Ferlenga, Electa, Milano 1999, p.24

lore ambientale” e del “gusto” del passato attraverso i suoi monumenti più rappre- sentativi159, insegnamenti di cui Rossi farà tesoro.

Per il corso di Storia I Rossi redige una relazione sulla basilica di San Lorenzo a Mi- lano, intitolata Origine e sviluppo dello schema di San Lorenzo160, completa di una se-

rie di disegni; in questo lavoro Rossi considera affinità e differenze tra San Lorenzo e la basilica di San Vitale a Ravenna, analoghe nella scelta dell’impianto e nelle scelte costruttive, ma distanti nella loro natura: San Vitale si distingue da San Lorenzo per la sua origine bizantina, in contrasto con la romanità della basilica milanese. Non solo San Vitale viene messa a confronto con San Lorenzo, ma tale ricerca in realtà si configura come un’ampia analisi della genesi e dell’evoluzione del tipo edilizio a pianta centrale. È già qui che Rossi comincia a delineare una concezione della sto- ria intesa quale sequenza regolare di correnti artistiche o soluzioni formali che non negano le esperienze del passato, ma lavorano piuttosto sulla loro reinterpretazione. Gli esami scientifici saranno sostenuti tra il 1953 e il ’54, comportando un primo significativo ritardo nella sua carriera universitaria. I risultati ottenuti invece nelle prove di impostazione artistica saranno appena sufficienti, tanto che Rossi nella sua

Autobiografia scientifica ne riporta un ricordo significativo:

«il professor Sabbioni, che io stimavo particolarmente, mi dissuadeva dal fare architettura dicendomi che i miei disegni sembravano quelli dei muratori o capomastri di campagna che tiravano un sasso per indicare all’incirca dove si doveva aprire una finestra»161.

Per la prima esercitazione del corso di Piero Portaluppi, Rossi sviluppa il tema della “casa per salariati agricoli nel basso milanese”162, dentro al più ampio tema della

casa unifamiliare: ciò a cui si riferisce è la classe dei “proletari rurali”. È evidente il tentativo di Rossi di ricondursi alla politica culturale comunista, nonché alla cul-

159 Si veda Piero Gazzola, Presentazione del corso, testo dattiloscritto, s.d. - Archivio Piero Gazzola, scaffale G, ripiano 3, cartella “Politecnico di Milano”.

160 Si veda Aldo Rossi, Origine e sviluppo dello schema di San Lorenzo, s.d. - Aldo Rossi Papers, box 8/99, box 9/136, Getty Research Institute, Los Angeles.

161 Aldo Rossi, Autobiografia scientifica, cit., pp.51-52

162 Aldo Rossi, La casa unifamiliare. Case per salariati agricoli nel basso milanese, relazione allegata al

progetto N.1 - Aldo Rossi Papers, box 7/92, Getty Research Institute, Los Angeles. Nessun materiale

tura italiana legata ai centri rurali: in tal senso la casa del salariato agricolo viene concepita come “cellula base di un aggregato urbanistico”. Vi è già in questa fase un primo recupero delle soluzioni legate alla tradizione rurale, come ad esempio l’utilizzo del portico.

I corsi di Urbanistica I e II, entrambi tenuti da Luigi Dodi, sono per Rossi le prime occasioni per confrontarsi con il tema urbano. Lo farà costruendosi una cultura ba- sata sui testi consigliati dal docente163 e ciò lo porterà a interessarsi alle diverse teorie

e interpretazioni relative ai fenomeni urbani: proprio da questi testi Rossi comincia a desumere una sua lettura della città e dei fatti urbani. Per il corso di Urbanistica I, per esempio, Rossi approfondisce lo sviluppo di Sant’Angelo Lodigiano in rela- zione alle sue vicende politiche e sociali164, rielaborando gli studi condotti da Carlo

Cattaneo sulla Lombardia e cominciando a concepire la città come opera collettiva, risultato del tempo in cui si sono «raffreddate e solidificate le vite degli uomini»165.

Rossi si laurea l’11 marzo del 1959 con una tesi seguita da Piero Portaluppi pre- sentando una un lavoro progettuale di un teatro e di un centro culturale a Milano. Questo progetto, così come quello elaborato per il corso di Composizione I gui- dato da Renato Camus166, rappresenta in modo eloquente le riflessioni di Rossi

sulla possibilità di fondare un’architettura capace di comprendere il passato, senza la necessità di ripetere pedissequamente le scelte stilistiche degli elementi storici, bensì combinando il vecchio con il nuovo, in linea con il pensiero rogersiano sulle preesistenze ambientali.

Giorgio Grassi nasce a Milano nel 1935 e si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1955: suo padre è costruttore e la decisione di frequentare la Facoltà di Architettura si pone come una scelta di continuità con il suo mestiere,

163 Tra questi Camillo Sitte, Arte di costruire la città; Ludovico Quaroni, L’architettura delle città; Lewis Mumford, La cultura delle città; ma anche i testi di Pierre Lavedan e Marcel Poête sulla storia dell’urbanistica e delle città.

164 Aldo Rossi, Gli ambienti urbani di Lodi, autunno 1956, pp.1-3; e Id., Inchiesta urbanistica su S.

Angelo Lodigiano. Forme e sviluppo della città in funzione delle vicende politiche ed economiche, s.d. -

Aldo Rossi Papers, 7/80, Getty Research Institute, Los Angeles.

165 Aldo Rossi, Il passato e il presente nella nuova architettura, in «Casabella Continuità», n.219, 1958, p.16

Aldo Rossi, Due studi per il progetto di laurea, in Aldo Rossi, a cura di Gianni Braghieri, Zanichelli, Bologna 1981

benché poi non prosegua professionalmente in quell’ambito167. All’interno della

Facoltà, quando Grassi si iscrive, la didattica ancora non ha subito modifiche ri- spetto all’impostazione prebellica ma il clima si presenta già piuttosto agitato tra gli studenti. Il corpo docenti consta ancora di quei professori ordinari già incontrati nel capitolo precedente – Piero Portaluppi, Antonio Cassi Ramelli, Luigi Crema, Luigi Dodi, ecc. – e mancano quasi dieci anni prima che Ernesto Rogers venga strutturato in maniera significativa.

Grassi rivela in una recente intervista di non essere mai stato uno studente modello sin dai tempi del liceo milanese, tanto da essere stato bocciato alla maturità, insieme a un suo compagno con il quale rubavano i libri: «l’ultimo anno abbiamo rubato un sacco di libri. I classici io li ho letti proprio quell’anno, all’ultimo banco di scuola»168, dice. I suoi interessi però, come racconta, erano già dedicati alla cultura

classica, alla lettura dei testi fondamentali, seppur in maniera poco organizzata e direzionata:

«allora leggevo molto e in modo disordinato, il che non mi dispiaceva perché corrispondeva al mio stato; praticamente non facevo altro, e quindi, confi- dando nelle parole di Bertrand Russel, mi sono messo sotto la protezione dei libri, letteralmente. […] Allora pensavo che a partire da un buon libro si potesse arrivare ovunque, che certi libri sarebbero stati un aiuto prezioso qualsiasi cosa ci si fosse proposti di fare»169.

Sin da giovane Grassi ha una forte propensione verso la conoscenza e la compren- sione, ma allo stesso un forte senso critico e di disapprovazione nei confronti del tipo di insegnamento che gli veniva imposto prima al liceo e poi all’università. La scuola in generale e gli insegnanti sono visti da Grassi e da altri studenti come un inutile intralcio, e questo atteggiamento li renderà - come lui stesso si autodefini- sce - particolarmente «insofferenti», «fazioni» e «schematici», «senza mezze misure», «intolleranti», «settari», «intransigenti», e soprattutto gelosi della propria integrità di cui non sentono il bisogno di dar conto a nessuno.

Ricorda infatti il Politecnico di Milano come «il luogo più sordo e opaco che si

167 Giorgio Grassi, Una vita da architetto, Franco Angeli, Milano 2008, p.13

168 Conversazione con Giorgio Grassi, di Florencia Andreola, 29 marzo 2013, Studio professionale Giorgio Grassi Architetto, via Leopardi, 19 - Milano, in Apparati, p.389

potesse immaginare (sopportabile solo in quanto appena uscito da un liceo ancora più micidiale)»170, con pochi corsi validi e molti docenti «inadeguati», svogliati, ma

soprattutto assenti; in maggioranza si trattava di professionisti molto occupati:

«i professori bravi erano pochissimi, a parte Rogers, ricordo solo Luigi Dodi, che era cattivissimo ma se non altro sapeva la storia dell’urbanistica; e poi c’era Luigi Crema di storia dell’architettura che era bravo, era uno dei pochi che facesse lezione, anche se i suoi interventi erano talmente universitari e specifici che poi a noi studenti toccava studiarci da soli la storia generale; Angelo Villa, docente del corso di Elementi costruttivi, invece ci faceva dise- gnare tutti i particolari costruttivi, e quello è stato un corso fondamentale»171.

Per quanto riguarda Gio Ponti invece, Grassi lo ricorda come una sorta di star

ante-litteram, che teneva il Corso di Arredamento e che «ogni volta che entrava in

aula, gesso alla mano, [...] faceva vedere come un grande architetto “compone” ad esempio una parete: un vaso su una mensola in basso a sinistra, un buco nel muro per metterci i libri in alto a destra, in mezzo ma non proprio al centro un comò con una piccola statua, e così via»172. Questa esperienza contribuirà notevolmente a far

sviluppare in Grassi un’avversione per la progettazione degli interni, a cui infatti non si dedicherà mai.

All’epoca sono in particolare i corsi di Composizione a essere profondamente con- testati, da Grassi stesso: «i temi che venivano imposti erano assurdi (ad esempio ci veniva richiesto di progettare un mercato in stile dorico)»173. Peraltro, come rac-

conta nella sua recente autobiografia, «h[a] avuto la sfortuna di avere per i due anni di progettazione sempre lo stesso professore, Antonio Cassi Ramelli»174. Grassi

non ricorda una sola sua lezione di progettazione, non una sola sua revisione di un suo progetto, «nemmeno del [suo] progetto di laurea, di cui avrebbe dovuto essere relatore»175. In merito a esso, purtroppo, non è stato possibile recuperare alcun ma-

teriale, anche a causa della poca disponibilità dell’architetto.

170 Ibidem, p.54

171 Conversazione con Giorgio Grassi, cit.

172 Giorgio Grassi, Una vita da architetto, cit., p.60 173 Conversazione con Giorgio Grassi, cit.

174 Giorgio Grassi, Una vita da architetto, cit., p.61 175 Ibidem.

Hermann Ende, Eduard Schmitt und Heinrich Wagner, Handbuch der Architektur. Unter Mitwir-

kung von Fachgenossen herausgegeben von Josef Durm, J. Ph. Diehl, Darmstadt, 1892; Werner Hege-

mann, Das steinerne Berlin. Geschichte der Grossten mietkasernenstadt der welt, Gustav Kiepenheuer, Berlin 1930; Rudolf Eberstadt, Handbuch des Wohnungswesens Und Der Wohnungsfrage, Gustav Fi- scher, Jena 1909

Durante la fase di formazione, Grassi si dedica a diversi studi, anche al di là dell’e- sperienza didattica, e in particolare comincia ad approfondire l’osservazione della città gotico/mercantile. Tale interesse si può riferire alle passioni letterarie di quel periodo, che certamente si rifanno in maniera puntuale alla cultura tedesca: Berlin

und seine Bauten, Hamburg u.s.B., Leipzig u.s.B., o anche lo Handbuch des Woh- nungswesens Und Der Wohnungsfrage di Eberstadt, e il Das steinerne Berlin di Hege-

mann, che Grassi considera per un periodo le sue “bibbie” sull’argomento, oltre al monumentale Handbuch der Architektur. Tali studi risulteranno per Grassi estrema- mente utili per affrontare una serie di progetti in area tedesca, dove non mancherà di instaurare una relazione con la struttura della città antica per la definizione dei nuovi edifici, per le scelte tipologiche da effettuare, per il rapporto con l’uso del suolo urbano, per la scelta dei materiali.

Un altro argomento a cui da subito Grassi si appassiona è l’architettura romana, a cui si confronterà direttamente per tutta l’esperienza da architetto. Ciò che mag- giormente colpisce e conquista il pensiero di Grassi è l’affermazione di Leon Bat- tista Alberti, a cui sempre farà riferimento, secondo cui l’architettura romana non si fondava su una questione relativa agli ordini o agli apparati decorativi – non si trattava cioè di una questione di gusto – bensì essa «riguardava la costruzione di un sistema generale e complesso in cui erano impegnate tutte le forze di una cultura e di una civiltà in espansione, […] ogni scelta doveva fare i conti con questo vasto programma che era in atto»176. Inoltre, l’architettura romana affascina Grassi per la semplicità che si ripercuote nelle poche e ben definite tipologie edilizie, nei siste-

mi costruttivi semplici, nell’utilizzo di materiali da costruzione reperibili ovunque come il mattone o il conglomerato cementizio, negli elementi architettonici ripe- tibili. Tutti temi di cui Grassi si approprierà e che metterà costantemente a tema nella sua opera di architetto. È proprio questo carattere di generalità che si esprime nell’architettura, la generalità della sua proposta, che Grassi abbraccia perché con- vinto che tali caratteristiche potessero vincere il tempo, che fossero costantemente attuali.

Grassi si laurea nel 1960 e dall’anno successivo affiancherà Rogers per il Corso di Caratteri stilistici degli edifici.

1.2 L’INFLUENZA DI ROGERS E L’ESPERIENZA IN