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PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA (1963-1976)

RAPPORTO CON IL MOVIMENTO MODERNO

Sin dai suoi primissimi scritti e interventi pubblici, Rossi rivendica un sostanziale revisionismo dell’architettura moderna, in particolare dei suoi elementi stilistici ed espressivi che si sono fatti nel tempo portatori di una «crisi che, maturata […] tra lo sfacelo della società borghese, è stata denunciata dal movimento moderno in modo più o meno preciso, e che pure si è insinuata in questo movimento fino a travisarlo e tradurlo nel vuoto formalismo che tutti conosciamo, in una ripetizione banale e peggio che accademica di motivi ripetuti ad orecchio, di soluzioni appiccicate, di falsi ripetuti»280. Rossi nega «ogni validità a questo formalismo retorico ed evasivo,

mentre d’altra parte neg[a] pure ogni possibile riallacciamento stilistico a un lin- guaggio formale ormai sepolto con la civiltà che l’aveva creato».

Nel pensiero rossiano tuttavia si riconosce un carattere progressivo all’architettura moderna: ciò che maggiormente lo interessa è il rapporto tra il disegno dell’archi- tettura e la città. Rossi si è liberato dei maestri – in senso generazionale e di distanza storica - e ciò gli permette di non apporre alcuna esaltazione al Movimento Moder- no in architettura: a differenza della generazione di Ernesto Rogers, quella di Rossi riconosce chiaramente «i limiti ideologici che esso si poneva. Ma resta il fatto che esso ha impostato concretamente una possibilità per l’architettura di inserirsi nel mondo moderno»281.

Tuttavia l’architettura moderna non è intesa come campo individuato e come ter- reno di battaglia, ma come esperienza lata entro cui è possibile discriminare e co- struire predilezioni: la «critica al tardo modernismo [viene] praticata non come rifiuto, bensì esaltando gli episodi più estremi e ambigui dell’architettura moderna (si pensi alle riletture rossiane di Loos e Boullée282), nonché riscrivendo la teoria di una possibile architettura moderna all’interno della dimensione “esaltata” della modernità, vale a dire dentro il suo nucleo poetico, visionario e politico radicale,

279 Aldo Rossi, Introduzione, in Architettura razionale, cit., p.18 280 Aldo Rossi, Architettura moderna e tradizione nazionale, cit. 281 Ibidem, p.16

282 Aldo Rossi, Adolf Loos, 1870-1933, in «Casabella-Continuità», n.233, pp.5-23, pubblicato in Id., Scritti Scelti sull’architettura e la città 1956-1972, cit., pp.78-106; Aldo Rossi, Introduzione a

anziché nel solco del riformismo»283. È proprio «contro il salvataggio in extremis dell’architettura moderna (e il suo opaco progressismo ideologico)» che Rossi, anzi- ché procrastinare, «acceler[a] in modo repentino la crisi dell’architettura moderna». Il movimento moderno viene dunque considerato nel suo essere un fatto storico che non è possibile ignorare ma che non va certo considerato come un dogma al quale attenersi.

283 Pier Vittorio Aureli, The Project of Autonomy: Politics and Architecture Within and Against Ca-

pitalism, Princeton Architectural Press, New York 2008, p.55. Traduzione dell’autore per edizione

2.2.4 ARCHITETTURA-POLITICA

Influenzato dagli scritti di Antonio Gramsci, soprattutto da quelli nei quali l’in- tellettuale e leader comunista aveva impostato un rapporto non deterministico tra politica e cultura284, Rossi rifiuta di interpretare l’idea di un’architettura per la città

socialista attraverso emblemi formali, modelli spaziali e contenuti teorici esplicita- mente ideologici. La relazione tra architettura e politica si consolida all’interno del pensiero di Aldo Rossi escludendo la possibilità di un’architettura di per sé politica, di un modello spaziale radicalmente alternativo alla città capitalista, dal momento che in ogni caso l’architettura non può che essere portatrice del pensiero della classe al potere. La città moderna è infatti per lui «una delle forme di instabilità più pro- fonde e più generali del sistema capitalistico285; ma essa è ed è stata l’unica realtà a

cui ci si trova di fronte»286.

Proprio per queste ragioni l’obiettivo della sua ricerca è evidentemente politico: esso consiste nel ristabilire il primato di quella “scelta politica” che Rossi definisce nelle conclusioni de L’architettura della città. «Nei termini rossiani “scelta politica” voleva dire la possibilità di far coincidere decisione politica e forma urbana all’inter- no di una città che avrebbe messo in evidenza il carattere discretizzante della scelta, cioè del “prendere posizione”: l’architettura come parte contro il tutto organico della città. La città teorizzata da Rossi era dunque una città fatta di luoghi, di fatti sin- golarmente individuati dentro il piano continuo dell’urbanizzazione»287. In questo senso, in opposizione alle definizioni di città-territorio o piano aperto, il concetto di luogo diventa significativamente politico nella misura in cui reintroduce all’in- terno del pensiero sulla città, la possibilità della differenza come fatto strutturale della città e del suo sviluppo.

L’ideologia è dunque per Rossi utile se presente come coscienza e intelligenza del reale:

284 In particolare il primo volume di Quaderni dal carcere, Antonio Gramsci, Gli intellettuali e

l’organizzazione della cultura, Editori Riuniti, Roma 1971

285 In un passaggio del testo citato Rossi sostiene che è necessario comprendere che l’instabilità (del capitalismo) è un elemento necessario di ogni capitalismo e di ogni economia mercantile in generale, per non giungere, come Proudhon e Sismondi, all’utopia.

286 Aldo Rossi, L’idea di città socialista in architettura, in L’analisi urbana e la progettazione architet-

tonica, cit., p.59

«il superamento rispetto a ogni utopia sta nella differenza, fondata, tra città e fatti urbani da un lato e progettazione dall’altro. Tra i due momenti viene assunta la dialettica del reale e il riconoscimento del manufatto, come opera storica dell’umanità associata»288.

Proprio la negazione del discorso sull’utopia in architettura risulta per Rossi deter- minante: ciò, a suo avviso, produce solo «prefigurazioni arbitrarie che ignorano i dati della realtà e ignorano anche la possibilità di modificare la realtà stessa»289. Non è l’utopia ma il pensiero concreto sulla forma - chiusa e stabilita - nella città, che determina la possibilità di produrre azioni successive, dichiarando dunque la sua reale azione politica. La scelta di approfondire il progetto dell’Antolini per il Foro Bonaparte chiarisce questo concetto: esso infatti rappresenta un’architettura nella quale forma e scelta politica si sovrappongono per rappresentare la borghesia quale nuovo soggetto politico sovrano. Tale concetto viene approfondito da Rossi sin dal suo primo scritto importante, Il concetto di tradizione nell’architettura neoclassica

milanese, nel quale mette in evidenza l’intreccio tra la scelta politica del nuovo

governo filo-napoleonico e l’assunzione di un determinato stile architettonico, rap- presentato da una forma urbana riconoscibile.