ALDO ROSSI E GIORGIO GRASSI (1950-65)
1.2 L’INFLUENZA DI ROGERS E L’ESPERIENZA IN “CASABELLA-CONTINUITÀ” (1955-64)
Al Politecnico di Milano solo la presenza di Ernesto Nathan Rogers, incaricato dal 1952 del corso di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti alla Facoltà di Architettura, si offre come un punto di riferimento essenziale di fronte alla nuova e crescente domanda di dibattito e di conoscenza, formatasi soprattutto tra i giovani e alimentata dal “vuoto” che permane nella scuola.
Sin dalla sua lezione inaugurale, nel novembre del 1952, Rogers chiarisce l’oggetto di studio del suo corso, il monumento, da lui inteso quale «ricordo» e «ammoni- mento», nonché «archetipo di una serie di fatti da esso derivanti»177 grazie al suo
carattere di eccezionalità. Il monumento, dunque, ma inteso come la “casa dell’uo- mo”, riferita allora a qualsiasi fenomeno architettonico capace di conciliare l’“utile” con il “bello” e l’“estetica” con l’“etica”.
Rogers si dimostra determinante nella formazione di Rossi, in particolare per quan- to riguarda il rapporto che il giovane studente instaurerà con la storia sin dalla metà degli anni Cinquanta. Rossi lo considera il suo maestro, anche negli anni successivi, e riconosce l’apporto dell’idea rogersiana al suo pensiero sull’architettura secondo cui la storia si offre come uno strumento fondamentale per conoscere il passato e, attraverso di esso, comprendere il presente. La storia viene dunque intesa come pro- cesso in cui il vecchio e il nuovo si conciliano in una “dialettica continuità”. Proprio il termine “continuità” sarà di particolare importanza per Rogers che, diventato di- rettore di «Casabella» nel 1953 (il primo numero diretto da Rogers sarà del gennaio 1954), ne modifica il titolo aggiungendovi proprio questo termine, per sottolineare la necessaria continuità dell’architettura moderna con la tradizione:
«Continuità, assai più del fatto pratico di utilizzare una testata col nome di “Casabella”, significa coscienza storica – spiega Rogers -: cioè la vera essenza della tradizione nella precisa accettazione di una tendenza che, per Pagano e Persico, come per noi, è nell’eterna varietà dello spirito avversa ad ogni formalismo passato e presente. […] Non è opera moderna quella che non abbia autentiche fondamenta nella tradizione, epperò le opere antiche hanno 177 Ernesto Nathan Rogers, Carattere e stile, 14 novembre 1952, in Id., Esperienza dell’architettura, Einaudi, Torino 1958, pp.215-218
significato odierno finché siano capaci di risuonare per la nostra voce»178.
Per il corso di Ernesto Nathan Rogers, Rossi redige un breve saggio dedicato al
Modulor179 in cui cerca di ricostruire la genesi di questo strumento: Rossi contesta
il Modulor per il suo impianto metafisico e matematico, ma allo stesso tempo esso rappresenta per lui uno strumento utile a generare una nuova forma di architettura fondata sulla prefabbricazione, sulla scorta della sua applicazione nell’Unité d’Ha- bitation di Marsiglia.
Rossi viene chiamato da Rogers nel 1955 per intraprendere la collaborazione con «Casabella-Continuità»: dal 1955 al 1960 è infatti fra i membri del “Centro Studi” della rivista, insieme a Luciano Semerani, Francesco Tentori e Silvano Tintori; fino al 1958 sarà collaboratore saltuario e nel 1961 diventerà redattore, fino all’allonta- namento di Rogers dalla direzione nel gennaio del 1965.
Ernesto Rogers assume nella memoria di Grassi il ruolo del docente diverso, colui che porta un’aria nuova all’interno della Facoltà, contro gli accademismi e dalla par- te degli studenti. Ricorda Grassi che il suo era l’unico corso che seguiva volentieri:
«il Corso di caratteri stilistici di Rogers era bellissimo, il sabato mattina faceva lezione nell’aula a gradoni che adesso non esiste più, dove andavamo anche al cinema. Rogers arrivava con l’autista e faceva le lezioni più belle a partire dai suoi editoriali di Casabella»180.
Amava stimolare il dialogo e il dibattito e discutere alla fine delle sue lezioni, anche se Grassi ricorda che Rogers si arrabbiava molto quando qualcuno lo contestava; e questo succedeva spesso con alcuni studenti in particolare, per esempio con Rober- to Orefice, che Grassi definisce “un provocatore di mestiere”: «Orefice non faceva più o meno niente, veniva a lezione e diceva cose assurde, si divertiva a far andare Rogers su tutte le furie»181. Ai dibattiti di fine lezione Grassi non partecipa «per ti-
178 Ernesto Nathan Rogers, Continuità, in «Casabella-Continuità», dicembre 1953 - gennaio 1954, n.199, pp.2-3
179 Aldo Rossi, Relazione tenuta al Politecnico di Milano per l’arch. Rogers, maggio 1953, pp.n.n. - Aldo Rossi Papers, box 7/91, Getty Research Institute, Los Angeles
180 Conversazione con Giorgio Grassi, cit. 181 Ibidem.
midezza ma soprattutto perché convinto di non avere nulla di intelligente da dire», tuttavia era anche piuttosto attivo, allora per esempio «andava[n]o alla Casa della Cultura a chiedere a Enzo Paci cosa ne pensasse dell’architettura contemporanea e lui, che era una persona importante, dedicava il suo prezioso tempo a quattro o cinque studenti».
Sarà grazie all’incontro con Rogers che Grassi svilupperà, fin dagli anni della sua formazione e delle sue prime esperienze didattiche, un forte interesse legato al rap- porto tra architettura e archeologia, di cui sono testimoni anche numerosi viaggi, compiuti negli stessi anni e in quelli successivi: Paestum nel 1961, le città romane d’Algeria (Timgad e Djemila) nel 1969 – che diventeranno il punto di partenza di uno dei testi teorici più importanti di Grassi, Questioni di Progettazione182 del 1983
– Creta e la Grecia nel 1972 (Antalia, Efesto, Micene, Epidauro, Olimpia e Delfi), ancora Grecia e Turchia nel 1977 e poi in anni più recenti, 2001, Libia e Siria183.
182 Giorgio Grassi, Questioni di progettazione, in Id., Scritti scelti 1965-1999, cit., pp.22-23. 183 Silvia Malcovati, Architettura e archeologia: a proposito di alcuni progetti di Giorgio Grassi, in Ernesto Nathan Rogers, Continuità, in «Casabella-Continuità», dic. 1953 - gen. 1954, n.199
Teatro greco di Epidauro, foto Giorgio Grassi, 1972
Proprio Rogers considerava i viaggi come «materiale da costruzione»184, e Grassi
assume questo insegnamento alla lettera: a partire dalle mete classiche dell’arche- ologia - che appartengono al percorso tradizionale di formazione - va man mano costruendo un “itinerario” ideale che corrisponde alla sua stessa esperienza di ar- chitetto: dall’antichità greca a quella romana, con al centro sempre il teatro come sintesi di architettura e civiltà.
È inoltre certamente all’insegnamento di Rogers che si può riferire l’idea di «un og- getto architettonico» come di un «organismo vivo»185, che si trasforma nel tempo,
così come l’atteggiamento “tecnico” che l’architetto deve assumere di fronte alle rovine:
«Se l’edificio è inutilizzato ma rimane, almeno parzialmente valida, l’intrin- seca economia dei suoi rapporti strutturali, la commozione che proviamo è «Engramma», n.103, gennaio-febbraio 2013, pp.7-25
184 Ernesto Nathan Rogers, Esperienza dell’architettura, Skira, 1997, p.8 185 Ibidem, p.31
di natura architettonica; ma se anche l’economia intrinseca non è più rappre- sentata e ci troviamo di fronte ai ruderi, la commozione è di tutt’altra natura (plastica, letteraria, sentimentale)»186.
Insieme all’affiancamento in università, Grassi viene coinvolto nel “Centro studi” della redazione di «Casabella-Continuità» dove conosce, tra gli altri, Aldo Rossi. Una collaborazione gratificante e impegnativa quella all’interno della rivista, ben- ché dentro la redazione ci fosse una certa tensione a causa di uno spirito generale di competizione. Quando Grassi viene inserito, nel 1961, la redazione è composta da Aurelio Cortesi, Vittorio Gregotti, Aldo Rossi, Luciano Semerani, Francesco Tentori e Silvano Tintori. «Casabella» è per Grassi un ambiente molto stimolante, anche se percepisce dentro di sé un certo disagio ed è «sempre all’erta», dacché con- vinto «di essere sempre l’ultimo della classe»187. Tuttavia, dopo un paio d’anni, la ri-
vista viene chiusa dall’editore, la redazione cambia, il clima cambia, e per Grassi allo stesso tempo diminuisce molto il piacere di farne parte, e dunque se ne allontana.
186 Ibidem, p.180