CAPITOLO 3: Individuazione del danno risarcibile: illecita prosecuzione
3.3. Il criterio del deficit fallimentare
3.3.3. L’attivo fallimentare in caso di cessione d’azienda o di un ramo
3.3.3.1. Il metodo patrimoniale
3.3.3.1.3. L’espressione del capitale di bilancio a valori correnti
Dalla situazione patrimoniale contabile, per successive aggregazioni e assestamenti, si potrà pervenire al capitale espresso a valori correnti. Per poter esprimere il capitale a valori correnti bisogna, anzitutto, rettificare il valore delle attività e passività presenti in bilancio e, in seguito, reintegrare le componenti escluse dal bilancio per ragioni civilistiche o fiscali. Si parla di «rettifiche o integrazioni attive», quando l’effetto è incrementale del capitale netto, e di «rettifiche o integrazioni passive», nel caso opposto71.
Per poter effettuare queste rettifiche o integrazioni occorrono informazioni complete e sicure che possono essere ottenute internamente all’azienda. La stima del capitale corrente non è quindi praticabile dagli analisti esterni, a meno che il management non conceda loro accesso alla documentazione riservata.
70 Da www.commericialistatelematico.com, La valutazione d’azienda, Il metodo patrimoniale e il metodo reddituale, a cura di Umberto Fruttero: “Partendo dal patrimonio netto contabile, dato dalla differenza tra
l’attivo e il passivo patrimoniale quale risulta dal bilancio redatto secondo criteri ordinari, si applicano al suddetto valore contabile, le rettifiche, in aumento o diminuzione, operate in sede di revisione. Nell’operare le rettifiche in parola sarà necessario procedere utilizzando dei criteri ben precisi che, a titolo esemplificativo e non esaustivo, possono così, sinteticamente, essere rappresentati:
• il valore delle immobilizzazioni materiali, dovrà essere esposto al valore di mercato o di sostituzione; • circa le rimanenze, invece, è necessario fare delle distinzioni; i prodotti finiti devono essere valutati al minore tra il più recente costo di produzione e il costo medio di vendita al netto di quelli che si prevedano essere gli oneri di commercializzazione, oppure al prezzo di mercato; le materie prime al valore di mercato o sostituzione; i semilavorati, infine, sono valutati al costo più recente di produzione;
• i titoli quotati vengono valutati secondo i listini di mercato e vale quindi il prezzo attuale al momento della stima; i titoli non quotati si considera attendibile il valore nominale o il prezzo di acquisto;
• i crediti possono essere esposti al valore nominale, salvo il caso in cui si abbia notizia circa la loro parziale esigibilità, in tal caso la valorizzazione dovrà avvenire con il criterio del presunto realizzo; • i debiti generalmente vengono valutati al valore nominale (nel caso non siano previste spese aggiuntive di sorta);
• dei fondi accantonati (ad esempio TFR) se ne accerta la congruità.”
La stima a valori correnti comporta la scelta tra una varia gamma di criteri di valutazione.
I criteri di valutazione possono essere classificati in ragione della base temporale con cui si arriva al valore corrente: capitalizzando valori passati (criteri a «valori di carico» o entry values) o attualizzando valori futuri (criteri a «valori di realizzo» o exit values).
Entrambi cercano di fissare un’equivalenza con il valore alla data della valutazione: i primi richiamandosi ad eventi passati, i secondi guardando ad eventi in corso o futuri. I «criteri a valori di carico» sono dati dal costo storico aggiornato, dal costo di riproduzione e dal costo di sostituzione.
Il costo storico aggiornato si ottiene capitalizzando il costo di acquisto o di produzione sostenuto al momento iniziale, al netto di eventuali poste di rettifica come i fondi ammortamento.
Tralasciando i problemi relativi alla definizione del tasso, questo criterio non comporta difficoltà tecniche, ma ha anche il limite di supporre inalterata nel tempo l’utilità del bene, poiché assume che il bene sia in grado di esercitare lo stesso contributo previsto nel piano di ammortamento sin dal momento iniziale, ovvero che il piano di ammortamento abbia rappresentato fedelmente il consumo del bene.
Il costo di riproduzione e il costo di sostituzione sono molto simili: entrambi guardano all’utilità che il bene ha conservato dal momento in cui ha fatto il suo ingresso in azienda. Con il costo di riproduzione si richiede di valutare l’onere da sostenere per rimpiazzare il bene con un altro di natura identica, mentre con il costo di sostituzione si fa riferimento ad un bene di natura equivalente. Nel primo caso, la sostituzione è vincolata non solo nella sostanza (capacità produttiva) ma anche nella forma (copia identica), di conseguenza il costo di riproduzione non sempre può essere trovato e, quando è disponibile, assegna un valore superiore al costo di sostituzione72.
I «criteri a valori di realizzo» sono originati dall’applicazione del criterio del valore di mercato e del criterio del valore d’uso. Il valore di mercato fa riferimento al prezzo di beni identici o beni simili, ottenibile sul mercato alla data della valutazione. Il prezzo deriva dall’incontro della domanda e dell’offerta che danno una loro stima all’utilità estraibile dal bene in contesto operativo analogo a quella dell’azienda target. Si può applicare questo criterio anche in assenza di un mercato attivo e di un listino ufficiale dei prezzi, purchè si ritenga che, qualora il bene sia posto in vendita, si configuri un interesse certo da parte di uno o più potenziali acquirenti.
Il valore d’uso è proporzionale ai contributi forniti dal bene alla produzione di beni o servizi oggetto di vendita da parte dell’azienda target. Occorre quindi ipotizzare i benefici differenziali futuri estraibili dal bene, quantificarli in termini economici o finanziari e riportarli all’istante della valutazione. Il procedimento presenta varie difficoltà soprattutto quando il bene permane all’interno dell’azienda per un periodo mediolungo, per la stima dei benefici più lontani nel tempo e del tasso di attualizzazione. Comunque il valore d’uso è ritenuto un criterio obiettivo e significativo, tanto che viene proposto anche dai principi contabili internazionali per alcune valutazioni di bilancio e quindi può soccorrere efficacemente il valutatore in assenza di prezzi di mercato73.
I criteri a valori di carico e di realizzo si pongono lungo una linea di continuità, dal più conservativo, il costo storico aggiornato, al più dinamico, il valore d’uso. Il valutatore dovrà collocarsi nella posizione che ritiene più consona alla stima che sta effettuando e alla natura del bene oggetto di stima, cercando di ottenere il valore più realistico, senza effettuare sopra o sottovalutazioni.
Quando si interviene per rettificare il capitale di bilancio, si parte essenzialmente da valori espressi al costo storico per la maggior parte delle attività e al valore di estinzione per la maggior parte delle passività. I principi contabili invitano alla
73 “E questo criterio di comportamento valutativo è tecnicamente corretto, anche se talora presenta non poche difficoltà di attuazione. Certamente non può trattarsi di criterio manifestatamente arbitrario, né, tantomeno, di comportamento estimativo assolutamente irragionevole”. Si veda Ferrero, Valutazione, op. cit., p. 170.
cautela nella stima degli elementi patrimoniali, per salvaguardare l’integrità del capitale. In particolare, il capitale netto che funge da principale garanzia dei terzi creditori deve essere riportato ad un valore non superiore alla sua probabile consistenza. In altre parole, le valutazioni di bilancio sono effettuate con criteri che in nessun caso possono tollerare un «annacquamento» del capitale netto che originerebbe dalla rilevazione e distribuzione di un reddito che non è stato definitivamente realizzato. In un’ottica civilistica, quindi, si vogliono evitare possibili sopravalutazioni di attività e sottovalutazioni di passività, anche a rischio di evidenziare un capitale contabile di valore particolarmente modesto. Con l’introduzione dei principi contabili internazionali e della valutazione a valori equi (fair value) si è inteso limitare questo rischio, volendo indicare in bilancio anche il valore insito in alcune attività patrimoniali che potrebbe essere già realizzato o che lo sarà in futuro. Si tratta di un’applicazione puntuale del principio di competenza dal lato dei «ricavi», in analogia a quanto è sempre avvenuto dal lato dei «costi». Questa parte del valore troverà corrispettivo in un’apposita riserva del capitale netto e/o in una quota di reddito evidenziata in conto economico a titolo di reddito prodotto ma non distribuibile.
Con la valutazione a valori equi si sta uscendo dalla prospettiva contabile tradizionale, muovendosi nella direzione di un’espressione a valori correnti. Se non che, quando la finalità è la determinazione del capitale economico, l’intervento non può essere limitato alle componenti prescelte dai principi contabili, ma deve interessare tutti i beni che, in seguito all’applicazione del costo storico, risultano sottovalutati o latenti nel patrimonio contabile74.