• Non ci sono risultati.

Metodo equitativo per la determinazione del danno

CAPITOLO 3: Individuazione del danno risarcibile: illecita prosecuzione

3.4. Metodo equitativo per la determinazione del danno

Il criterio alternativo della differenza tra i valori patrimoniali è stato originariamente elaborato come criterio equitativo ex art. 1226 c.c. con riguardo alle ipotesi in cui, violando le prescrizioni dell’art. 2449102 c.c. ante riforma del diritto societario, siano state compiute nuove operazioni che hanno aggravato il dissesto già in essere della società103.

Nell’applicazione concreta del criterio la giurisprudenza ha individuato il danno nella differenza:

- tra il passivo esistente quando è stato dichiarato il fallimento e il passivo al momento del verificarsi della causa di scioglimento, detratto quando realizzato con la liquidazione dell’attivo;

- tra le passività e le attività derivanti dalle nuove operazioni realizzate; - tra il patrimonio netto della società al momento in cui gli amministratori

avrebbero dovuto accorgersi del verificarsi della causa di scioglimento e il patrimonio netto della società al momento della sentenza dichiarativa di fallimento.

È in particolare l’ultima modalità di calcolo, quella basata sulla differenza dei patrimoni netti contabili ad aver trovato numerosi consensi in dottrina.

Tra coloro che hanno sostenuto l’opportunità di calcolare un differenziale tra netti patrimoniali per la stima del danno vi sono Panzani (1989)104, Proto (1998)105 e Patti (2000). Quest’ultimo afferma che il criterio dei netti

patrimoniali risulta aderente alle finalità ricostruttive dell’effettiva incidenza

102 Prima della riforma del diritto societario il vecchio art. 2449, I comma c.c. stabiliva che gli amministratori, quando si verificava un fatto che determinava lo scioglimento della società, non potessero “intraprendere nuove operazioni”, pensa l’assunzione di una responsabilità illimitata e solidale per gli affari intrapresi.

103 Si veda Gabrielli E., “La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci della società fallita”, in Rivista di diritto privato, n. 1, 2004, p. 24.

104 Si veda Panzani L., “Responsabilità degli amministratori: rapporto di causalità tra atti di mala gestio e danno. Lo stato della giurisprudenza”, in Il fallimento, n. 10, 1989, p. 973.

105 Si veda Proto C., “Responsabilità e danno nell’azione del curatore contro amministratori e sindaci”, in Il fallimento, n. 7, 1998, p. 666 e ss.

pregiudizievole, sul patrimonio dell’impresa, dell’indebita prosecuzione dell’attività anziché della messa in liquidazione: la comparazione dei netti patrimoniali, previa la quasi sempre necessaria riclassificazione dei bilanci, alla data in cui gli amministratori e i sindaci avrebbero dovuto percepire la perdita del capitale sociale e alla data della dichiarazione del fallimento o, nel caso di minore durata in carica, di cessazione della stessa, è valutata dall’Autore come capace di cogliere la formazione del danno dipendente dalla progressione di un’attività economica imprenditoriale non consentita106.

Analogamente Rebecca e Fabrello (2005) sostengono che il danno deve essere ricondotto al risultato della gestione nel periodo seguente al momento in cui l’attività della società avrebbe dovuto arrestarsi e di conseguenza alla differenza tra il patrimonio netto contabile alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento e quello riferito alla data della sentenza di fallimento107.

Galletti (2010) approfondisce la peculiarità del criterio precisando che sia al patrimonio netto (pn1) nell’istante t1 in cui l’amministratore o il sindaco

acquisiscono consapevolezza del dissesto, sia al patrimonio netto (pn2) al

momento t2 in cui il soggetto viene sostituito oppure sopraggiunge il fallimento,

devono essere apportate delle modifiche con la finalità di renderli comprabili tra di loro. Secondo l’Autore le modifiche devono riguardare, da un lato, la sottrazione da pn1 di quei valori dell’attivo che possono giustificarsi solo in una

prospettiva di continuità aziendale e il cui valore sarebbe stato drasticamente ridotto qualora si fosse realizzata tempestivamente la liquidazione e, dall’altro, la sottrazione da pn2 sia delle plusvalenze realizzate tramite la dismissione di assets

strategici avvenuta dopo t1, sia delle risorse conferite a titolo di mezzi propri

sempre successivamente al momento in cui l’amministratore o il sindaco avrebbe dovuto accorgersi della presenza di una causa di scioglimento. Galletti sostiene espressamente la validità del criterio in parola per la stima del danno, affermando

106 Si veda Patti A., I criteri di determinazione del danno risarcibile, in Ferro M. (a cura di), Le responsabilità nel fallimento societario. Il convegno Nazionale di Studi sulle Procedure Concorsuali, 27- 28 ottobre 2000, Ipsoa, Milano, 2001, p. 114.

107 Si veda Rebecca G., Fabrello L., Fallimento, azione di responsabilità e quantificazione del danno, in Diritto e Pratica delle Società, n. 23, 19 dicembre 2005, p. 27.

che esso sia “l’unico dotato di validità scientifica; l’unico oggettivo, l’unico applicabile a qualsiasi tipologia di impresa e di insolvenza” e costituisca “il punto di partenza imprescindibile per la stima del danno provocato dagli organi sociali in tutte le azioni di responsabilità”108.

Infine anche Jorio (2011) esprime la propria preferenza per il criterio che quantifica il danno, in via equitativa, nella misura della differenza dei netti patrimoniali rettificando il patrimonio netto risultante dal bilancio nel momento in cui l’amministratore diviene consapevole del dissesto in modo da fare emergere la perdita in allora già maturata e tenendo conto della diminuzione che il patrimonio avrebbe ugualmente subito qualora fossero stati ottemperati gli obblighi di legge. Concordando con Galletti, Jorio evidenzia che il criterio dei netti patrimoniali rappresenti l’unico oggettivamente applicabile per la stima del danno nell’ambito delle azioni di responsabilità109.

A differenza del criterio del deficit fallimentare, la differenza tra i netti patrimoniali ai fini della misurazione del danno appare perciò una modalità attualmente largamente accettata. Oltre ai supporti dottrinali sopra riportati, si deve altresì rimarcare che anche la giurisprudenza si è espressa più volte a favore dell’utilizzo di tale criterio: ad esempio nella sentenza n. 501 del 18 gennaio 2011 del tribunale di Milano viene chiaramente affermato che “le rilevanti difficoltà di valutare il complesso dell’attività vietata svolta dalla società fallita […] e l'impossibilità di ricostruire i dati con l'analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli amministratori, e segnatamente alle operazioni non coerenti con il fine conservativo, costituiscono la premessa che legittima l'utilizzazione del criterio presuntivo e sintetico della differenza dei netti patrimoniali, che ben può sorreggere una valutazione equitativa del danno”110.

108 Si veda Galletti D., Brevi note sull’uso del criterio dei “netti patrimoniali di periodo” nelle azioni di responsabilità, Documento n. 215/2010, 18 ottobre 2010, p. 23 (disponibile sul sito www.ilcaso.it) 109 Si veda Jorio A., La determinazione del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità, op. cit., p. 158.

110 Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali si rimanda a Ciervo G., Perdita del capitale sociale, responsabilità degli amministratori e quantificazione del danno risarcibile, in Il nuovo diritto delle