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L'essenza aristocratica dell'ideale platonico

Capitolo 3 – Democrazia ed aristocrazia

3. Platone aristocratico

3.2. L'essenza aristocratica dell'ideale platonico

3.4. Conservatorismo agrario e disprezzo per la cultura democratica 3.5. L'Accademia come centro oligarchico

3.6. I viaggi in Sicilia: Platone aristocratico sconfitto

4. Conclusione

1. L'atteggiamento platonico nei confronti della democrazia e dell'aristocrazia nel dibattito degli anni '30 e '40 del XX secolo

Nel capitolo precedente sono stati messi a confronto, nonostante la distanza temporale che li separa, due autori, Platone e C.Schmitt, il cui modo di pensare presenta una notevole differenza di impostazione: quella di Platone è una filosofia razionale, mentre il pensiero di Schmitt può essere descritto come irrazionale se non addirittura nichilista.

Sebbene sia presente questa diversità fondamentale, si è però voluto anche sottolineare come questi due pensatori siano accomunati dalle critiche che entrambi rivolgono alle istituzioni democratiche in riferimento ai rispettivi contesti storico-culturali. Tali critiche riflettono in ciascuno le caratteristiche generali del loro pensiero. Più precisamente, le proposte per rimediare alle deficienze della democrazia sono caratterizzate da un impianto razionalistico in Platone, mentre in Schmitt rispecchiano l'impostazione irrazionalistica del suo pensiero.

Quindi, rientrando nel merito del dibattito sui rapporti tra filosofia platonica e totalitarismo negli anni '30 e '40 del XX secolo, appare opportuno approfondire il tema della critica platonica alla democrazia. E, più in generale, è bene analizzare l'atteggiamento di questo filosofo non solo nei confronti della democrazia, ma anche dell'aristocrazia.

Coloro che criticano Platone (Fite, Crossman, Farrington, Winspear e Russell), da un lato, ne mettono fortemente in rilievo le critiche nei confronti della forma democratica e, dall'altro, sostengono che le sue simpatie erano manifestamente aristocratiche. Al contrario, chi difende Platone (Acton e Field) tende a ridimensionare l'influenza dei suoi presunti pregiudizi aristocratici sulla sua utopia e soprattutto attribuisce un valore positivo all'analisi dissacrante prodotta da Platone in relazione ai regimi democratici (Acton), mettendo in rilievo come un critico della democrazia non debba essere considerato necessariamente un fascista (Field).

In questo capitolo si affronta, dapprima, il tema delle critiche platoniche alla democrazia e poi quello relativo al suo presunto atteggiamento aristocratico. Solo dopo aver costruito questa visione generale, sarà possibile trarre delle conclusioni riguardanti gli intenti effettivi dell'utopia platonica, che saranno comunque meglio chiariti nel capitolo successivo. In quest'ultimo sarà infatti esaminata la concezione platonica della giustizia, che possiamo considerare come l'alternativa che questo filosofo proponeva sia rispetto alla democrazia sia rispetto all'aristocrazia.

2. Platone critico della democrazia

In relazione all'atteggiamento di Platone nei confronti della democrazia, bisogna innanzi tutto dire che gli autori presi in considerazione affrontano la questione da punti di vista diversi.

Ci sono alcuni, come Crossman e Winspear, che riguardo a questo tema tendono a contestualizzare il pensiero platonico nel suo ambiente storico-culturale. Altri, invece, come Fite, Farrington, ma anche un autore favorevole come Acton, tendono piuttosto a mettere in rilievo aspetti più generali, che si prestano quindi anche a considerazioni astoriche. Inoltre, tra

gli accusatori c'è chi, come Crossman, tenta l'esperimento di ricostruire la visione platonica non solo nei confronti della democrazia diretta antica, ma anche di quella rappresentativa moderna.

Quanto ai contenuti concreti delle analisi di questi autori, anche qui dobbiamo rilevare la presenza sia di autori contrari a Platone, che di autori a lui favorevoli.

Tra gli accusatori di Platone c'è chi, come Crossman, mette in evidenza il profondo disprezzo di Platone verso la democrazia in riferimento al conflitto di classe in essa insito, alla sua incapacità di dar origine ad un regime stabile, alla cattiva educazione da essa prodotta ed alla sua degenerazione imperialistica. Winspear, invece, pone l'accento sul rifiuto platonico degli aspetti mercantilistici e culturali di un tale regime. Farrington, a sua volta, mettendo strettamente in connessione la diffusione della scienza nell'antichità con gli ideali democratici, presenta Platone come un oscurantista e quindi come un antidemocratico.

Gli autori favorevoli a Platone, al contrario, sostengono che la critica platonica nei confronti della democrazia non solo deve essere adeguatamente contestualizzata (Field), ma soprattutto fanno notare come abbia un valore notevole sia perché mette in luce certe debolezze dei regimi democratici che continuiamo a riscontrare ancora ai nostri giorni (Acton) sia perché si tratta di un'analisi razionale, che non deve essere connotata negativamente (Field).

2.1. Platone e la democrazia greca dei suoi tempi

Due autori, Crossman e Winspear, collocano la critica platonica della democrazia nel suo contesto storico-culturale e contemporaneamente ne mettono in luce alcuni aspetti specifici.

Crossman, dopo aver descritto l'atteggiamento critico di Socrate rispetto alla democrazia ateniese, mette in evidenza come anche Platone ne individuasse principalmente tre difetti fondamentali, vale a dire la lotta di classe, il malgoverno ed un pessimo sistema educativo. Winspear invece si concentra sull'atteggiamento negativo di Platone verso gli aspetti mercantilistici della democrazia ateniese (evidente nel disprezzo platonico per il culto di Hermes) e sul disimpegno di questo filosofo rispetto alla politica democratica di Atene.

Quanto all'analisi di Crossman, come abbiamo già avuto modo di vedere parlando dell'epistemologia platonica, nel suo libro del 1937, questo autore, per descrivere l'atteggiamento di Platone nei confronti della democrazia, considera innanzi tutto quello del suo maestro Socrate135.

Socrate, dice Crossman, visse nel periodo di maggiore sviluppo della democrazia ateniese e ne assaporò a pieno la vita libera che vi si poteva condurre a contatto con persone di ogni tipo. Accolse con entusiasmo la rivoluzione democratica, che aveva scosso la moralità e la religione tradizionale, ma iniziò anche ad interrogarsi sul suo significato reale. Da razionalista convinto aveva infatti accettato la rivolta della ragione ed il suo rifiuto del pregiudizio e della tradizione. Tuttavia, quando esaminò la società ateniese, iniziò a vedere che le vecchie superstizioni erano state rimpiazzate da una filosofia materialistica e che la vecchia educazione era stata sostituita da lezioni in "arte del vendere", vale a dire di propaganda. Si rese conto, cioè, che la democrazia significava non libertà per tutti, ma privilegio e potere politico per chi se lo poteva permettere. Il razionalismo non stava distruggendo tutti i pregiudizi, ma sostituendo un pregiudizio con un altro, e non stava costruendo niente di veramente alternativo alla cultura tradizionale. Produceva solo un individualismo irresponsabile, cioè una filosofia del laissez-faire e della licenza individuale, che aveva come corollari il conflitto di classe e l'imperialismo.

Secondo lui, quindi, era tempo di interrogarsi sulla situazione ateniese effettiva, su che cosa significasse realmente la rivoluzione democratica, su che cosa rappresentasse l'impero e su quale libertà di pensiero concretamente implicasse. Gli ultimi cento anni erano stati un periodo di cambiamenti così grandi, che nessuno aveva avuto il tempo di considerarne il significato. Ora, per Socrate, era tempo di porre quelle semplici domande per le quali tutti avevano una risposta pronta, ma sulle quali pochi avevano riflettuto seriamente. Questa doveva essere la sua vocazione: Socrate, l'uomo che proclamava di non sapere niente, era l'uomo più sapiente della Grecia, come detto dall'oracolo, perché solo lui aveva capito che le domande fondamentali non erano state poste dai sofisti, dai politici o dagli Ateniesi istruiti. La democrazia non vi aveva ancora risposto. Da qui, l'applicazione del metodo socratico delle definizioni e la ricerca di quei principi razionali di condotta su cui Atene avrebbe dovuto basare la propria vita sociale, se avesse voluto salvare se stessa e la rivoluzione democratica.

Tuttavia, dice Crossman, gli ultimi trenta anni della vita di Socrate furono un periodo di guerra quasi ininterrotta. Atene stava combattendo per la sua esistenza ed era chiaro che la sconfitta avrebbe comportato una controrivoluzione aristocratica. Per questa ragione, il conflitto partitico si inasprì e si interpretò qualsiasi critica alla democrazia come un appoggio all'opposizione aristocratica.

In un simile clima, si andavano affermando posizioni come quelle di chi non solo sosteneva che la politica estera ateniese era imperialistica e senza pietà, ma che era anche giusto che fosse così. Questa scuola di Realpolitik non fu mai un movimento popolare, ma influenzò profondamente i giovani intellettuali ed i suoi slogan venivano rapidamente ripresi dai demagoghi. Essa sosteneva, come la sua controparte moderna, che la politica è e deve essere una politica di potere: Stato contro Stato, classe contro classe, individuo contro individuo. La sopravvivenza del più adatto è la sola legge della società umana e, per i singoli, il solo scopo è l'interesse individuale. Non solo la legge e la morale internazionale, ma anche la morale sociale sono espedienti e meccanismi per sottomettere un gruppo a un altro136. Questo tipo di argomentazione era comune nell'Atene del V secolo e lo stesso Socrate doveva averla udita e, soprattutto, doveva aver concordato sul fatto che ogni cittadino rispettabile, nel profondo, fosse spinto solo dall'interesse egoistico. Per quanto fosse consapevole di ciò, tuttavia, Socrate evitava la compagnia dei sostenitori di questa Realpolitik, soprattutto quando arrivavano ad affermare non solo che gli uomini si comportavano così, ma anche che avrebbero dovuto comportarsi in questo modo.

Però, dice Crossman, agli occhi del cittadino comune l'insegnamento di Socrate appariva come una parte di questa intelligente propaganda degli intellettuali aristocratici, il cui scopo era la corruzione dei giovani e la distruzione di ogni rispetto per la tradizione democratica. Infatti, commenta Crossman, Socrate non riuscì a impartire ai suoi discepoli quell'autodisciplina razionale, che egli stesso praticava: questo fallimento fu dovuto alla sua incapacità di dare alla sua nozione di ragione un contenuto concreto, che fosse accettabile al pubblico ateniese.

Platone, discepolo di Socrate, fu portato a cambiare profondamente il pensiero del maestro137. Per Crossman, egli modificò l'ideale socratico della filosofia in un nuovo sistema dogmatico, anche perché apparteneva ad un ambiente aristocratico ed era nato in un clima di guerra, in un periodo in cui la democrazia ateniese era sull'orlo del collasso. Platone non aveva mai visto l'Atene periclea. Al contrario, aveva udito le critiche degli aristocratici all'inefficienza e alla volgarità dei democratici nazionalisti e sciovinisti ed aveva visto crescere il loro terrore per il proletariato privo di educazione.

Quindi, quando si verificò il colpo di Stato antidemocratico dei Trenta, Platone credette che fosse giunta la svolta: i suoi amici avrebbero introdotto un governo basato sulla legge e sull'ordine. Tuttavia, egli ne rimase profondamente deluso. Fino a quel momento, aveva creduto che si sarebbe potuto risolvere tutto se solo gli aristocratici avessero ottenuto il controllo. Ora, invece, capì che essi potevano comportarsi addirittura peggio dei demagoghi del proletariato. In ogni caso, si affretta a precisare Crossman, questo non alterò il suo disprezzo per la massa lavoratrice. Platone rimase un aristocratico, convinto che il contadino, l'artigiano ed il calzolaio fossero incapaci di responsabilità politica. Una volta restaurata la democrazia, essa si macchiò dell'uccisione di Socrate e, a questo punto, Platone sentì che la sua vocazione era chiara: doveva superare la sua repulsione per la politica pratica e fare quello che Socrate non era riuscito a fare. Doveva cioè rispondere alle domande di Socrate e scoprire quei principi eterni della condotta umana che potevano assicurare la felicità all'individuo e la stabilità allo Stato. Doveva usare la dialettica socratica non solo per screditare l'ipocrisia e le pretese false, ma anche per rivelare quale era la vera giustizia e elaborare una costituzione ed un sistema di legge ad essa coerenti. Alla fine, doveva cioè costruire una città-stato fermamente basata sulla ragione e sulla verità: una città che Socrate, l'obiettore di coscienza, avrebbe potuto approvare e nella quale avrebbe potuto vivere senza rischi.

Crossman sposta pertanto la sua attenzione sulla Repubblica138. Essa, dice, contiene il piano di Platone per la costruzione di uno Stato perfetto, nel quale ogni cittadino possa essere veramente felice. Platone prese innanzi tutto in considerazione la città che conosceva meglio, vale a dire Atene, cercando di scoprire che cosa in essa non funzionava.

Platone concluse che questi mali fossero tre, vale a dire:

• la lotta di classe,

136Si veda in tal proposito il "Dialogo dei Meli" in Tucidide, I TOPIAIΣ , V, 84-116, La guerra del Peloponneso, trad. it. F.Ferrari, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1997.

137Crossman, "Plato", chapter IV, in Plato Today, cit., p. 67-78. 138Crossman, "Plato", chapter IV, in Plato Today, cit., p. 78-93.

• il malgoverno

• un pessimo sistema educativo.

La lotta di classe era il male più evidente. La maggior parte delle città greche avevano un regime oligarchico o democratico. Nella prima forma di dittatura di classe, il potere politico era nelle mani di un'alleanza di proprietari terrieri e commercianti con l'appoggio di allevatori e contadini; nella seconda, i leader del proletariato cittadino gestivano la politica con l'appoggio non sempre facile dei commercianti. In entrambe, l'opposizione era senza pietà, anche per effetto della guerra del Peloponneso139. Al tempo di Platone, come ai nostri giorni, lo scontro di ideologie aveva come unico risultato quello di non permettere un cambiamento pacifico ed un governo costituzionale. Per Platone la cultura greca nonsarebbe sopravvissuta a lungo, a meno che la lotta di classe non avesse avuto fine.

Un altro aspetto negativo era l'idea che il governo spettasse per diritto ad una classe sociale particolare o al popolo nella sua interezza. Al contrario, Platone credeva che esso fosse un compito a tempo pieno che richiedeva una grande specializzazione. Lo Stato avrebbe potuto prosperare, solo se si fosse assegnato il potere politico ad uomini e donne in grado di gestirlo correttamente. Accadeva invece che gli oligarchici consideravano il governo come prerogativa della ricchezza, i democratici della cittadinanza. In entrambi i casi si selezionava la classe politica sulla base di ragioni che avevano poco a che fare con le sue capacità effettive di governare: la macchina dello Stato diveniva lo strumento dell'interesse di classe.

Crossman ricorda che la celebre immagine della nave-città platonica140 è la descrizione platonica della democrazia ateniese. Vi troviamo infatti un povero capitano raggirato da una banda di furfanti. Platone pensava che questa situazione disperata fosse determinata dal rifiuto di ammettere che la legge e l'ordine erano possibili solo se il governo era nelle mani di un'élite addestrata in modo adeguato.

Da tutto questo, prosegue Crossman, segue la terza critica platonica ad Atene. L'educazione, che nell'ottica platonica avrebbe dovuto essere la maggiore responsabilità dello Stato, era invece lasciata al capriccio ed alla capacità individuale di pagare. Al contrario, per Platone si sarebbe dovuto affidare anche questo compito a degli uomini esperti ed onesti. Il futuro di ogni Stato dipende dalla generazione più giovane e, pertanto, secondo lui, era una pazzia permettere che il gusto personale o le circostanze forgiassero la mente dei bambini.

Altrettanto disastroso era stato l'atteggiamento di laissez-faire nei confronti degli insegnanti e delle lezioni dei sofisti: si era permesso a qualsiasi persona di guadagnarsi da vivere in questo modo, qualunque fosse ciò che insegnava. Di conseguenza, l'uomo comune, sotto l'influenza di pubblicisti irresponsabili, demagoghi e retori, aveva smesso di credere che esistessero cose come la legge o la giustizia. Per Platone, la filosofia ugualitaria, che sosteneva la validità di qualsiasi opinione, aveva distrutto il rispetto per l'autorità ed aveva trasformato la democrazia in un'anarchia licenziosa.

Quindi, commenta Crossman, concludendo la rassegna delle critiche rivolte da Platone al regime democratico ateniese, egli, sconvolto da questi tre errori della democrazia ateniese, si rivolse abbastanza naturalmente, dal momento che era un aristocratico, a Sparta. La soluzione cioè che Platone dette ai mali della democrazia ateniese fu, per Crossman, aristocratica ed autoritaria.

Quanto a Winspear, abbiamo già visto come questo autore, descrivendo il sorgere del pensiero filosofico ed il suo successivo sviluppo, faccia notare che nell'ambito del pensiero greco si profilarono due tendenze opposte: la scuola idealistica, rappresentata dagli eleatici, dai pitagorici e da Platone e quella relativistica e materialistica, rappresentata dai sofisti141. Winspear sottolineava il parallelismo tra le istituzioni politiche e la diffusione di queste due correnti filosofiche. In particolare, dove trionfò la democrazia, come ad Atene e durante il periodo della sua ascesa, la filosofia dominante tese ad essere materialistica e relativistica, come con i primi sofisti, o dialettica, come con gli Ionici142. Dove invece la classe proprietaria terriera mantenne una posizione dominante, come in Sicilia e nel Sud Italia, o dove la democrazia andò in crisi, la tendenza più forte fu idealistica. Questo fu il caso di Platone.

Più precisamente, questo autore mette in risalto l'atteggiamento negativo di Platone nei confronti della democrazia mercantilista, che si sarebbe espresso, tra l' altro, nel suo disprezzo per il culto mercantile di Hermes, che si stava affermando in opposizione al culto eupatrida ed 139Questo, dice Crossman, è stato ben descritto in Tucidide, La guerra del Peloponneso, III, 82, cit..

140Repubblica, 488.

141Winspear, "The Spiritual Revolution", chapter II, in The Genesis of Plato's Thought, cit., p. 37-64. 142Winspear, "The Conservative Philosophy", chapter IV , in The Genesis of Plato's Thought, cit., p. 75-7.

aristocratico dell'Apollo delfico143. Platone lo descriveva come la personificazione del ladrocinio, del raggiro, dell'inganno verbale e della vita del mercato144.

Winspear fa notare che Platone divenne adulto assistendo all'apogeo della democrazia ateniese del V secolo a.C., seguito dalla sua catastrofe145. Questo autore sostiene che, analizzando la vita di Platone, è interessante notare come non risulti che egli abbia esercitato nessuna attività politica nella sua Atene, preferendo occuparsi della situazione siciliana e della fondazione e direzione dell'Accademia146. Sembra che egli considerasse la politica ateniese troppo legata alla costituzione democratica della città e che, come tale, essa risultasse per lui senza possibilità di redenzione. Winspear riporta un passo di Diogene Laerzio, il quale sostiene che Platone nel suo paese non si intromise mai negli affari dello Stato, sebbene fosse un politico, come dimostrano i suoi scritti. La ragione di un simile atteggiamento, dice Diogene Laerzio, era che ad Atene il popolo era abituato ad una forma di governo e ad una costituzione diversa da quella che egli approvava147.

2.2. Filosofia platonica e visione democratica

Altri autori, nell'analizzare le critiche platoniche alla democrazia, fanno riferimento ad aspetti più generali che, come tali, si prestano a considerazioni indipendenti dalla storia.

Fite sottolinea come il disprezzo platonico per la democrazia comprendesse anche la sua scarsa valutazione per un ideale come quello della libertà individuale. Acton, al contrario, fa notare che la critica platonica si rivolge solo a un certo tipo di democrazia, vale a dire la "democrazia dei desideri", e che l'analisi di questo filosofo è in grado di dire molto anche al mondo moderno, in relazione a temi come quello della tolleranza ammissibile in un regime democratico. Farrington, invece, accusa Platone di oscurantismo e di antidemocraticità, confrontando il suo pensiero con la visione democratica collegata con il diffondersi della scienza.

Anche in questo caso, c'è chi tenta di ridimensionare le accuse rivolte a Platone: si tratta di Field, che fa notare come spesso si abbia avuto una visione eccessivamente rosea della democrazia antica e che Platone criticasse un simile regime solo perché era mosso dall'aspirazione di rendere scientifica la politica.

Nel suo libro The Platonic Legend, Fite affronta il tema delle critiche platoniche alla democrazia, connettendolo a quello dell'opinione di Platone sulla libertà. Secondo lui, si può comprendere quello che Platone pensa della libertà, analizzando la sua descrizione dello Stato democratico e dell'uomo democratico nel libro VIII della Repubblica148. All'inizio di questo libro, Socrate si dedica ad una comparazione delle varie forme di costituzione, e dei tipi di persone corrispondenti a ciascuna. In ordine decrescente di eccellenza, troviamo: l'aristocrazia, la