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Socrate, Platone e la libertà di pensiero e parola

Capitolo 7 – Il controllo della società Famiglia, eugenetica e censura

3. La censura culturale nella città platonica

3.1. Socrate, Platone e la libertà di pensiero e parola

3.3. Platone ed i poeti drammatici

3.4. Il senso della critica platonica alla poesia in W.Jaeger, A.Koyré ed E.Cassirer

4. Conclusione

1. Il controllo della società nella città platonica

Nel capitolo precedente abbiamo analizzato il modo in cui gli autori del dibattito in esame affrontano due temi caratterizzanti l'utopia platonica, vale a dire la figura del filosofo re ed il cosiddetto "mito fenicio".

Gli autori sfavorevoli a Platone ne mettevano in evidenza la relazione con il concetto di disuguaglianza, secondo loro posto a fondamento della definizione platonica di giustizia, ed alcuni si spingevano fino ad instaurare una corrispondenza, da un lato, tra i filosofi re di Platone ed i dittatori moderni e, dall'altro, tra il "mito fenicio", inteso come menzogna politica, e la pratica totalitaria della propaganda.

In questo capitolo, invece, sposteremo l'attenzione dai meccanismi di potere suggeriti da Platone nella sua utopia, alle tecniche da lui previste per il "controllo della società" nella sua città ideale. I principali temi affrontati saranno allora la considerazione platonica dell'istituzione familiare, la sua concezione dell'amore e le critiche da lui rivolte alla poesia ed in generale alla produzione artistica.

Gli autori che criticano Platone (Fite, Crossman, Farrington, Winspear, Russell, Thomson, Hoernlé, Kelsen) stigmatizzano la sua proposta di abolire l'istituzione familiare, sostituendola con unioni eugenetiche, sfatano l'interpretazione ascetica data al concetto di "amore platonico" ed interpretano la critica platonica alla poesia come una vera e propria censura.

Altri (Jaeger, Koyré, Cassirer), invece, analizzano la visione di Platone in relazione a questi temi in maniera più sobria, cercando di metterne in rilievo l'attualità e il valore.

2. Famiglia, eugenetica ed amore platonico

La rivoluzione che Platone ha in mente non è un rivolgimento istituzionale, ma una riforma spirituale e culturale che, come tale, coinvolge prima di tutto il singolo nella sua individualità e nelle sue relazioni sociali più strette.

Da ciò l'importanza data da Platone al processo educativo e nello stesso tempo l'attenzione da lui posta alle istituzioni sociali basilari in cui ogni individuo è coinvolto in prima persona. Tra queste ultime troviamo la famiglia, cellula base della società e nello stesso tempo luogo di potere. Nella sua Repubblica, Platone ne suggerisce l'abolizione per la classe dei guardiani e ne propone la sostituzione con unioni eugenetiche. Tutto questo comporta una riconsiderazione del ruolo della donna nell'ambito della società o almeno all'interno della sua élite governante: la distinzione di genere non è per lui rilevante, nemmeno in relazione all'attività politica.

Questi sono dunque i principali temi che verranno trattati, ai quali si deve aggiungere anche quello riguardante la concezione platonica dell'amore.

Gli autori del dibattito in esame si concentrano a lungo su di essi. Coloro che si mostrano sfavorevoli a Platone, attualizzando talvolta il suo pensiero, ne sottolineano, come è ovvio aspettarsi, conseguenze negative. Altri, invece, si limitano a registrare le proposte platoniche in modo obiettivo, non traendo da esse conclusioni necessariamente a lui ostili.

2.1. La proposta platonica di abolizione dell'istituzione familiare

Vari autori degli anni '30 e '40 del XX secolo, come detto, si occupano della proposta platonica di abolire l'istituzione familiare. Tutti gli autori presi in considerazione concordano sul fatto che Platone suggerisca un simile provvedimento, come anche quelli riguardanti l'eugenetica e l'emancipazione della figura femminile, solo per la sua élite governante, non pretendendo di estendere tali previsioni all'intera popolazione.

Tra i critici platonici, Crossman, dopo aver fatto notare che la rivoluzione voluta da Platone era una trasformazione non tanto istituzionale quanto spirituale, mette in evidenza che la principale ragione, per cui Platone propone l'abolizione del matrimonio e della famiglia per la sua élite governante, è rappresentata dal fatto che entrambi sono per lui espressioni dell'istinto materiale. Pertanto, dal momento che secondo Platone alla sua classe governante deve essere vietata la proprietà privata, per far sì che essa si dedichi esclusivamente alla cura della città nel suo complesso, allo stesso modo si devono vietare matrimonio e famiglia, che sono ancora forme di proprietà individuale. Anche Winspear si occupa della proposta platonica relativa all'abolizione del matrimonio e della famiglia, sottolineando come nel corso della storia ciò abbia costituito un modello a cui si sono ispirate le istituzioni sociali più disparate. L'intento platonico era quello di abolire qualsiasi forma di proprietà individuale e di realizzare in tal modo uno Stato unificato. Tuttavia, l'esito fu fallimentare. A sua volta, Russell mette in evidenza come Platone applichi il comunismo da lui previsto per la sua classe governante anche alle relazioni familiari.

Tra gli autori favorevoli, Koyré mette in evidenza come Platone assegni ai custodi della sua città ideale un modo di vita perfettamente giustificato dalla posizione che essi devono avere in essa. Jaeger, a sua volta, presenta la proposta platonica relativa all'abolizione della famiglia come una conseguenza del tipo di paideia prevista da Platone per i suoi governanti, i quali si devono dedicare unicamente al benessere dello Stato. Per questo autore si tratta cioè di uno di quei punti che dimostrano il carattere prettamente utopistico della Repubblica platonica.

Possiamo vedere che Crossman dedica un intero capitolo del suo libro all'atteggiamento di Platone nei confronti dell'istituzione familiare e, in modo correlato, alla sua concezione dell'amore414. Questo autore ricorda prima di tutto che la rivoluzione che Platone voleva fare non era semplicemente istituzionale. Si trattava piuttosto di una rivoluzione spirituale, perché l'intento di Platone era quello di cambiare gli uomini, in modo tale da rendere più stabili le basi della nuova società che ne sarebbe risultata. Tuttavia, fa notare Crossman, questa operazione è molto difficile sia perché non si possono costringere gli uomini ad essere buoni, sia perché presuppone la moralità dello stesso legislatore, da cui dipende la felicità della comunità; se questi non accetta i comandi della giustizia, sarà un tiranno e non un vero governante.

Inoltre, dice Crossman, bisogna considerare che il codice morale non è puramente questione di volontà individuale né che l'individuo è completamente libero di accettarlo o rigettarlo. Ne è anzi un prodotto, essendo condizionato dalle istituzioni della società nella quale vive: noi siamo sia creature che creatori del nostro ambiente e la libertà è appunto la consapevolezza di questo fatto e delle sue conseguenze. Un individuo non è libero di rinunciare alla morale del proprio paese, poiché essa è parte della sua personalità. Tuttavia, è libero di studiare quella morale, di analizzarne le conseguenze ed alla luce di quella conoscenza cercare di modificarla e di indirizzarla nella direzione che pensa sia giusta.

Sono proprio questa comprensione e questo re-indirizzamento della morale corrente che devono essere intrapresi, se si desidera che una rivoluzione politica radicale abbia successo. Gli statisti cioè devono cambiare non solo la costituzione, le leggi ed il sistema economico, ma anche le istituzioni morali e sociali in base alle quali gli uomini vivono. Ad esempio, dice Crossman, se l'istinto materialista viene stimolato dalla religione o dalla morale, allora nessuna società comunista rimarrà tale a lungo: la proprietà farà di nuovo la sua apparizione in una forma o nell'altra.

Lo statista platonico, pertanto, come il comunista moderno, non può ammettere che la vita privata e la morale siano preoccupazioni che riguardano solo l'individuo. Per lui non c'è distinzione tra le azioni individuali e quelle che riguardano gli altri.

Ora, dice Crossman, se ci chiediamo quali siano gli elementi più importanti nella nostra vita privata, non ci può essere nessun dubbio sulla risposta corretta: il matrimonio e la famiglia sono le istituzioni centrali di tutte le società umane. Esse coinvolgono la nostra attenzione più

di qualsiasi altra cosa, eccetto forse il lavoro: sono la causa principale di felicità o infelicità e da esse dipende la generazione futura. Pertanto, sono le prime istituzioni che dobbiamo analizzare.

Crossman fa notare che l'atteggiamento di Platone nei loro confronti è semplice e nello stesso tempo rivoluzionario. Avendo ben presente la città-stato greca dell'epoca, propone la loro totale abolizione per tutti i membri dell'élite governante. A nessun governante nel suo Stato si deve permettere di essere un marito od una moglie. Gli uomini e le donne vivranno insieme in alloggiamenti, senza privacy ed in modo perfettamente paritario. Le relazioni permanenti saranno proibite in modo assoluto, come anche l'amore libero. Non ci sarà né promiscuità né matrimonio, perché saranno così occupati nell'attività politica e nella scoperta della verità, che non si potrà permetter loro di perdere tempo in relazioni personali.

Crossman mette in evidenza come una delle ragioni fornite da Platone per vietare il matrimonio e la famiglia alla sua classe governante sia la seguente: innamorarsi, secondo lui, e volere una famiglia sono espressioni dell'istinto materiale. Egli ha proibito alla sua classe governante ogni forma di proprietà e così anche il matrimonio e la famiglia, che sono una specie di proprietà, debbono allo stesso modo essere vietate415.

L'amore di un uomo per una donna è basato su di un desiderio ardente ed un orgoglio di possesso. Ciascuno a modo suo, marito e moglie, guardano l'uno all'altro come ad un possesso che deve essere gelosamente salvaguardato. A ciascuno dei due non piace se l'altro manifesta troppo interesse per il sesso opposto: i sentimenti di ciascuno sono fondamentalmente possessivi. Si tende poi a pensare all'amante come ad una figura romantica, piena di dedizione e di devozione. Platone, invece, sottolineava soprattutto che un innamorato si preoccupa principalmente di mantenere il possesso di qualcosa a cui tiene, godendone nel privato e compiacendosi del fatto che nessun altro può condividere il suo godimento. Nella sua visione, l'amore tra un uomo ed una donna era una sorta di possesso reciproco, che costruiva un muro attorno alle due persone e le tagliava fuori dalle altre.

Platone, quindi, applicava la stessa visione alla famiglia. Infatti, essa è per lui un'organizzazione esclusiva, un mondo privato nel quale ci rifugiamo e nella sicurezza del quale cerchiamo conforto e soddisfazione. Anche se facciamo sacrifici per l'educazione dei nostri figli e ci sentiamo magnanimi nel far ciò, in realtà, lo facciamo perché essi sono i "nostri" figli e perché siamo orgogliosi dei "nostri" prodotti. I genitori vogliono che i loro figli abbiano successo, non per il loro bene, ma perché essi appartengono a loro e pertanto desiderano che siano i migliori.

Questo era il ragionamento di Platone, dice Crossman: egli riteneva che questo senso di proprietà esclusivo fosse un inevitabile annesso del matrimonio e che, per questa ragione, il matrimonio, come la proprietà fosse pericoloso per il governante. Esso avrebbe corrotto la fedeltà allo Stato del suo governante ideale e gli avrebbe dato un interesse privato che lo avrebbe distratto dal suo lavoro. Dal momento che Platone era un rivoluzionario, voleva che i suoi discepoli fossero in grado di operare dei miracoli e cambiare il mondo: le sole persone che avrebbero potuto veramente far ciò, pensava, erano quelle che non avevano nessuna ambizione per la proprietà privata, come tale o sotto forma di mogli e figli.

Alcuni secoli dopo, continua Crossman, Gesù si preoccupò di affermare la stessa cosa per i suoi apostoli. Anche lui insisteva sul fatto che essi avrebbero dovuto abbandonare il padre, la madre, la famiglia ed ogni cosa per la loro fede. Tuttavia, come Platone, egli riteneva che questa vocazione potesse essere solo per pochi: tutti infatti non sono capaci del sacrificio estremo ed il vero rivoluzionario, uomo o donna, che deve trasformare il mondo, deve porre il suo lavoro in primo piano ed i suoi amici in secondo. Egli deve rinunciare a loro lietamente, perché si occuperà di qualcosa di valore infinitamente maggiore: si dovrà occupare troppo appassionatamente dell'umanità nel suo complesso, per provare amore per i singoli esseri umani.

Anche Winspear, nel suo libro The Genesis of Plato's Thought, fa notare che l'aspetto più sorprendente del pensiero di Platone è la richiesta che la sua classe governante debba condurre una vita comune, rifuggire la vita familiare, come la intendiamo comunemente, ed essere privata della proprietà personale416.

I critici che hanno analizzato la visione platonica, dice Winspear, hanno usato questa sua descrizione per difendere le istituzioni sociali più diverse. Ad alcuni, il suo piano è sembrato

415Si può notare che questa analisi è molto datata: dimentica infatti il ruolo economico dell'oikos nell'antichità ed il fatto che i matrimoni non erano dettati dall'amore, bensì combinati per ragioni "economiche".

quasi profetico dell'organizzazione di governo della chiesa nel medioevo, con il Papa corrispondente al "filosofo re" ed il clero "regolare" o monastico agli "ausiliari". Per altri, esso ha fornito un'aura filosofica alle riforme dell'amministrazione pubblica di Lord Macaulay, finalizzate alla creazione di una classe amministrativa specializzata per la borghesia inglese e l'Impero britannico in espansione. In epoca contemporanea, la visione di Platone è sembrata un analogo antico delle teorie di Marx. Nell'esplosione di violento patriottismo, che ha accompagnato l'entrata dell'America nella Prima Guerra Mondiale, la Repubblica di Platone venne addirittura proibita, in quanto considerata letteratura sovversiva. Di fronte a quest'ultimo paradosso storico, dice Winspear, il fantasma di Platone deve aver riso in modo molto beffardo.

Platone, introducendo nel V libro della Repubblica il possesso comune delle donne tra i governanti, dice che esso deve essere sottoposto al controllo più stretto. Tra i suoi intenti, infatti, c'è quello di assicurare che nella classe governante siano bandite tutte le distinzioni di "mio e "tuo" e che la famiglia privata sia distrutta, come possesso personale. In termini più concreti, nota Winspear, Platone non vuole ritornare al passato, per far risorgere la rivalità competitiva delle famiglie (gene): le loro differenze devono essere trascese e subordinate ad un'oligarchia politica unificata nello Stato. Ma in questo modo solo le "guardie" avrebbero sentito questo senso di unità e di comunanza. Il resto dello Stato, rappresentato da artigiani, mercanti o contadini, che avrebbero continuato ad avere famiglie e proprietà private, non avrebbe preso parte ad un simile progetto. Platone pensava però che, se i ceti inferiori avessero accettato senza discutere il diritto "naturale" delle "guardie" a governare, lo Stato avrebbe potuto raggiungere una certa unità.

In relazione al tema dell'abolizione del matrimonio e della famiglia, Russell afferma che, per la parte economica, Platone propone un comunismo totale per i custodi e forse anche per i soldati, benché, secondo lui, questo non sia del tutto chiaro417.

Nella visione platonica, i custodi devono avere case piccole e cibo semplice; devono vivere come in un accampamento, mangiando insieme, per compagnie; non devono avere proprietà private se non quelle strettamente necessarie. L'oro e l'argento sono proibiti. Anche se non sono ricchi, non c'è nessun motivo per cui non dovrebbero essere felici. Infatti, per Platone lo scopo della città è il bene di tutti, non la felicità d'una classe. Sia la ricchezza che la povertà sono nocive e nella città di Platone non esisterà nessuna delle due.

Con finta ripugnanza, il Socrate platonico passa ad applicare il suo comunismo alla famiglia. Gli amici dovrebbero avere tutto in comune, comprese le donne ed i bambini. Quando il legislatore avrà scelto i custodi, uomini e donne, ordinerà che essi abbiano case comuni e pasti comuni. Il matrimonio, come noi lo intendiamo, sarà radicalmente trasformato.

Nel suo libro, invece, Koyré sottolinea come i "custodi" della città platonica, insieme ai "custodi" propriamente detti, i filosofi re, con i loro ausiliari militari e civili, non sono altro che i servitori della città, votati alla sua difesa ed alla protezione del bene pubblico418. Come tali, è perfettamente giustificato il modo di vita che Platone assegna loro. I custodi formano l'esercito permanente della città, per il suo ordine ed il suo bene. Come tutti gli eserciti permanenti, anche questo si trova in uno stato di mobilitazione permanente, acquartierato in dimore riservate, separate dalle case degli altri cittadini.

I custodi platonici, ricorda Koyré, non hanno o meglio non possono e non devono avere, interessi diversi da quello relativo al benessere della città. Per questo, non hanno famiglia né casa né altro possesso privato: devono restare immuni da qualsiasi forma di corruzione. Platone, infatti, sa che la passione del possesso è potente nel cuore degli uomini. Gli uomini "dabbene" non sono per lui quelli che hanno dei "beni". Anzi, il possesso dei beni è incompatibile col servizio del Bene. Platone, quindi, non solo dispone che essi non entrino in possesso di oro e denaro, ma anche che non ne vengano neppure a contatto. La città li nutre, li veste e li arma.

Quanto al resto, essi avranno tutto in comune, comprese le donne. Per Platone, infatti, i custodi, uomini o donne, contraggono matrimonio, ma esso è solo di breve durata. Tuttavia, commenta Koyré, non si deve rappresentare questa comunità in preda alla promiscuità sessuale: il matrimonio esiste, per quanto breve.

Anche i fanciulli dovranno essere in comune. Saranno allevati ed educati in asili pubblici e non conosceranno i propri genitori e neppure i loro fratelli: questo per evitare che l'affetto

417Russell, "L'utopia di Platone", cap. IV, seconda parte, in Storia della filosofia occidentale, cit., p. 126-8.

esclusivo, che ciascuno di noi prova naturalmente per la sua famiglia o per i suoi, nuoccia a quello spirito di amicizia e di fratellanza, che deve vincolare reciprocamente i governanti ideali, ed indebolisca il loro affetto verso la città.

Per Platone, dice Koyré, è l'"io" e soprattutto il "mio" ad essere il nemico. Quindi, il potere deve essere affidato solo a coloro che, esercitandolo, non possono perseguire interessi personali egoistici.

A sua volta, Jaeger afferma che non c'è in tutta la Repubblica un punto che abbia fatto, presso contemporanei e posteri, tanto scalpore come la parte dedicata alla comunanza di donne e figli dei guerrieri419. Anche Socrate nella Repubblica appare riluttante nell'esporre la sua opinione paradossale su questo punto e teme lo scoppio d'indignazione che le sue idee provocheranno. Eppure, quello che sta per dire gli sembra una conseguenza logica della

paideia dei guerrieri420. Infatti, chi è educato a una dedizione assoluta al servizio della comunità non può avere una casa, una proprietà, una vita privata o una famiglia. Dal momento che l'accumulo di ricchezza individuale è condannabile, in quanto favorisce l'egoismo economico della famiglia e si oppone all'attuazione della vera unità nella cittadinanza, Platone non può arrestarsi neppure di fronte alla famiglia, come istituzione giuridica ed etica. Anzi, dice questo autore, la conseguenza logica e cui egli arriva è la sua abolizione.

Per Jaeger questa consequenzialità logica estrema mostra il carattere utopistico della

Politeia platonica. Il pensiero politico di Platone, ispirato a un senso quasi mistico del valore

dell'unità nella vita sociale, non ammette compromessi. Che una tale rivoluzione morale sia possibile, Platone promette più di una volta di dimostrarlo, ma secondo Jaeger non mantiene la sua promessa. L'unico argomento è che essa è necessaria come mezzo per fondare l'unità assoluta dello Stato con la limitazione dei diritti del singolo. Di fatto, ogni volta che si tenta di porre l'individuo al servizio permanente dello Stato, i conflitti con la vita familiare sono inevitabili.

Secondo Jaeger, Platone risolse il problema della vita familiare in un modo un po' diverso anche dal modello spartano, per quanto concerne la posizione della donna e le sue relazioni