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Stato di diritto ed irrealizzabilità del progetto platonico

Capitolo 4 – L'alternativa platonica La definizione di giustizia

4. Le conseguenze della definizione platonica

4.3. Stato di diritto ed irrealizzabilità del progetto platonico

Un'altra questione che emerge dagli scritti in esame è se la città ideale platonica fornisca o meno il modello per uno Stato neutrale, intendendo con ciò quello che potrebbe essere espresso dal concetto di Stato di diritto. La questione è complessa e verrà approfondita soprattutto nell'ultimo capitolo di questo lavoro. Merita, però, accennarvi brevemente, perché comunque essa è direttamente connessa alla definizione platonica di giustizia, la cui analisi stiamo qui affrontando.

Anche in questo caso, dobbiamo rilevare opinioni opposte. Se da un lato troviamo un autore come Cassirer che considera Platone il fondatore ed il primo difensore dell'idea dello Stato di Diritto, dall'altro uno studioso come Crossman, sebbene riconosca l'intento platonico di dar vita ad uno Stato neutrale, tuttavia ne mette in risalto l'irrealizzabilità a causa, da un lato, dei meccanismi previsti da Platone per la sua attuazione e, dall'altro, della situazione storica sfavorevole dei suoi tempi.

Per quanto riguarda Cassirer, ci limitiamo qui a riportare un brano del suo The Myth of the

State246, dove egli formula una valutazione positiva del concetto platonico di giustizia: Platone comincia il suo studio dell'ordine sociale con una definizione e un'analisi del concetto di giustizia. Lo stato non ha un fine diverso né più alto di quello che consiste nell'essere amministratore della giustizia. Ma, nel linguaggio platonico, il termine «giustizia» non ha lo stesso significato che possiede nel linguaggio comune.

241Koyré, "Politica e filosofia", cap. I, in "La politica", seconda parte, in Introduzione alla lettura di Platone, cit., p. 63-5. 242Koyré, "La Città giusta", cap. II, in "La politica", seconda parte, in Introduzione alla lettura di Platone, cit., p. 68-88. 243Koyré, "Le Città ingiuste", cap. III, in "La politica", seconda parte in Introduzione alla lettura di Platone, cit., p. 89-

101.

244Koyré, "Conclusione", in "La politica", seconda parte in Introduzione alla lettura di Platone, cit., p. 102-7. 245L.Sichirollo, "Alexandre Koyré", in Introduzione alla lettura di Platone, cit., p. XII.

Ha un senso molto più profondo e più comprensivo. La giustizia non è sullo stesso livello delle altre virtù dell'uomo. Non è, come il coraggio o la temperatura, una speciale qualità o proprietà, è un principio generale di ordine, regolarità, unità e legittimità. Nella sfera della vita individuale questa legittimità ci appare nell'armonia di tutti i poteri diversi dell'anima umana; nello stato, ci appare nella «proporzione geometrica» fra le diverse classi, secondo cui ciascuna parte del corpo sociale riceve ciò che le è dovuto, e coopera al mantenimento dell'ordine generale. Con questa concezione Platone divenne il fondatore e il primo difensore dell'idea dello Stato di Diritto.247

Alla posizione di Crossman abbiamo invece già accennato, parlando delle accuse da lui rivolte al progetto platonico di fornire la giustificazione per un regime di tipo aristocratico248. Secondo questo autore, Platone sognava che tra la dittatura della sinistra e quella della destra ci dovesse essere una terza alternativa rivoluzionaria: la "dittatura dei migliori". Tuttavia, nella pratica un tale ideale rappresentava una vuota illusione, dal momento che predicava la formazione di un partito di aristocratici (opposto sia alle richieste dei ricchi che a quelle dei poveri) e l'assegnazione del potere politico a questo partito. Infatti, dice Crossman, dal momento che i membri di tale partito dovevano essere tratti quasi esclusivamente dalla parte antidemocratica, un tale progetto non avrebbe potuto che essere inviso alle classi lavoratrici. Ma poiché si opponeva anche agli interessi dei ricchi, sarebbe stato odiato da questi allo stesso modo. Lo Stato ideale platonico pertanto non avrebbe avuto consenso e sarebbe stato costretto o a diventare una dittatura militare o a fare concessioni ad una parte o all'altra nella lotta di classe. Dal momento che era risolutamente antidemocratico ed era connesso con legami di affinità e tradizione ai partiti della destra, non ci può essere dubbio riguardo alla natura di tali concessioni. Deciso a reprimere le aspirazioni egualitarie delle masse, avrebbe fatto affidamento sul sostegno dei ricchi ed avrebbe quindi trovato difficile distruggere la proprietà ed il privilegio. L'ideale platonico si sarebbe trasformato in una forma colta di fascismo.

Inoltre, secondo Crossman, che la creazione di uno Stato imparziale era impossibile nella sua epoca, perché in generale un simile progetto non può essere attuato dall'alto da una qualche élite regnante, rivestita di autorità dittatoriale e risoluta ad armonizzare interessi confliggenti. Esso deve essere il prodotto dell'armonia di questi interessi, perché solo dalla limitazione dei poteri e dalla loro rappresentanza è possibile raggiungere la giustizia e la sicurezza. Queste condizioni non erano presenti nella Grecia del IV secolo. Le città-stato non avevano un senso di coesione nazionale. Le sollevazioni rivoluzionarie dei precedenti cento anni avevano reso impossibile ogni cooperazione genuina fra ricchi e poveri.

Inoltre, la concezione di Platone della "dittatura dei migliori" e dello "Stato di diritto" era deformata dalle sue simpatie aristocratiche. Il suo era solo un tentativo di giustificare la controrivoluzione.

5. Conclusione

Nel capitolo precedente, sulla base delle riflessioni di alcuni autori degli anni '30 e '40 del XX secolo, abbiamo analizzato sia le critiche platoniche alla democrazia sia il suo atteggiamento nei confronti dell'aristocrazia.

In questo capitolo ci siamo invece concentrati sul suo progetto utopico, come espresso nella

Repubblica, ed in particolare sulla sua concezione della giustizia.

Abbiamo visto come Platone con essa intenda un principio ordinatore della sua città ideale, che può essere definito nei termini di una "specializzazione di funzioni".

Ora, tranne alcune eccezioni rappresentate da Cassirer e Koyré, questa visione ha attirato su di sé le critiche di vari autori che hanno sottolineato come si tratti di una concezione basata sulla convinzione di una sostanziale disuguaglianza naturale umana, tale per cui alcuni sono naturalmente predisposti a governare, altri invece ad essere sottoposti ai primi. Nella pratica questo comporterebbe l'attuazione di un regime autoritario.

La critica generale nei confronti della concezione platonica di giustizia, inoltre, si esplicita, a sua volta, in una serie di aspetti particolari.

La concezione platonica viene infatti sottoposta alle seguenti accuse:

• essa presenterebbe una visione classista della società;

247Cassirer, "La Repubblica di Platone", cap. VI, in Il Mito dello Stato, cit., p. 127-28. 248Crossman, "Why Plato failed", chapter VI, in Plato Today, cit., p. 172-92.

• promuoverebbe un sistema educativo elitario;

• favorirebbe l'affermazione di dittatori che si autoproclamano filosofi re;

• sosterrebbe la menzogna come tecnica di governo;

• darebbe origine ad un sistema di controllo della società caratterizzato da censura, eugenetica e da una visione delle relazioni familiari del tutto particolare.

Queste critiche che costituiranno l'oggetto dei prossimi capitoli esprimono, come si può ben vedere, un atteggiamento fortemente negativo nei confronti dell'utopia platonica e derivano dalla critica più generale alla concezione platonica della giustizia.

CAPITOLO 5