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L’estetica trascendentale fenomenologica

2. Temporalità e genes

3.6 L’estetica trascendentale fenomenologica

Nonostante le analisi fino ad ora condotte relativamente alla costituzione passiva dell’unità iletica, non siamo ancora in possesso dei requisiti necessari per poter parlare della costituzione di un oggetto percettivo trascendente. Infatti, con tali unità che si realizzano senza alcuna partecipazione attiva dell’io, quindi in una dimensione completamente passiva, non siamo ancora in presenza di un senso oggettuale. «L’unità di un dato iletico impressionale, nel senso che si è detto, non è un’unità appercettiva nella misura in cui è esclusivamente il prodotto dell’omogeneità e del contrasto»189. Affinché si possa iniziare a costituire un senso

oggettuale, come abbiamo poc’anzi osservato, il dato iletico deve poter esercitare uno stimolo affettivo tale da motivare l’io a prestargli attenzione. Ciò avviene nel presente impressionale; l’io viene destato e la direzione intenzionale oggettivante

inizia a delinearsi con la propagazione dell’affezione nella dimensione ritenzionale. Non è forse inutile specificare che questa intenzionalità di tipo oggettivante, che va strutturandosi nella dimensione della ricettività, è motivata da una intenzionalità

189 L. De Giovanni, L’ombra di Husserl. Il problema della sensazione nella fenomenologia

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propria della dimensione iletica che potremmo definire non-oggettivante o, se pensata nei termini di una condizione di possibilità, pre-oggettivante.

La proposta della fenomenologia husserliana, come illustrato precedentemente, vuole essere quella di far emergere, rispetto alla soggettività, una indipendenza della dimensione del sensibile nel suo strutturarsi secondo le leggi essenziali delle sintesi passive. Descrivere le leggi essenziali dell’esperienza, l’apriori del mondo intuitivo e le condizioni trascendentali che rendono possibile l’apparire di un medesimo oggetto ad una soggettività in generale è, nello specifico,

l’obiettivo che Husserl pone per un ambito che egli denomina estetica

trascendentale fenomenologica. Con le analisi delle sintesi passive non siamo però ancora in grado di fornire delle risposte agli interrogativi, che inizialmente ci siamo posti, relativamente alla pretesa di legittimità della percezione esterna o alla ragionevolezza della nostra credenza nell’esistenza di un mondo esterno. Le possibilità di fornire una risposta a simili interrogativi non possono essere ricercate al solo interno delle sintesi passive temporali e associative. Per quanto quest’ultime siano indubbiamente necessarie, affinché si possa parlare di un oggetto percettivo trascendente, è necessario sondare un terreno che nelle nostre analisi è rimasto inesplorato, ossia quello delle sensazioni cinestetiche. Le ricerche sulle sensazioni di movimento, strettamente correlate ai modi di manifestazione degli oggetti nel mio campo visivo, risultano, in ultima analisi, essere indispensabili per completare il quadro delle analisi costitutive. Dimostrare con Husserl come, in primo luogo, sia possibile concepire una trattazione dello spazio fenomenologico e come da questa si possa giungere a parlare di uno spazio oggettivo, passando per il medium della costituzione di uno spazio obiettivo, è una impresa che richiederebbe la presa in

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esame non solo di scritti come La cosa e lo spazio e Idee II ma soprattutto, sarebbe necessaria un’analisi dei manoscritti di ricerca D. Limitiamoci, pertanto, in questa sede ad accennare al contributo che le ricerche sulle sensazioni cinestetiche apportano alle riflessioni sulla trascendenza.

Pensiamo, ad esempio, al caso di una percezione di un oggetto in movimento. Nel nostro campo visivo un oggetto può occupare una superficie maggiore o minore in base alla distanza che intercorre tra noi e l’oggetto in questione. Al variare delle dimensioni dell’oggetto nel mio campo visivo, senza le sensazioni cinestetiche, non saremmo in grado di stabilire se è l’oggetto che si avvicina o si allontana, se è questo a muoversi, o se invece siamo noi che modifichiamo la nostra posizione rispetto a questo.

Cerchiamo ora di comprendere in che modo per Husserl la correlazione fondamentale tra campo visivo e movimenti cinestetici rende possibile la costituzione di uno spazio obiettivo. Poniamo il caso che nel nostro campo visivo vi siano due oggetti in stato di quiete, ad una certa distanza l’uno dall’altro. Immaginiamo di cambiare posizione rispetto a questi. Ciò che mi si dà nel campo visivo ha ora una configurazione diversa dalla precedente. Potrei poi tornare al punto d’osservazione iniziale e constatare che la distanza tra i due oggetti è la stessa che mi si dava nella prima scena percettiva. Nonostante il variare della disposizione degli oggetti nel mio campo visivo, variazione correlata ai miei movimenti cinestetici, io posso, in linea di principio, sempre accertarmi che gli oggetti mantengano le loro reciproche posizioni. È in questo modo che le cinestesi

motivano il passaggio da uno spazio fenomenale ad uno spazio obiettivo perché io

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originario e ottenere conferma. Lo spazio obiettivo mostra un proprio ordinamento interno. Questo rende possibile che un oggetto nello spazio possa

apparirmi, nonostante il variare delle mie sensazioni, come un quid indipendente

dai miei atti, un quid che mi trascende. Con le analisi sulla costituzione dello spazio l’estetica trascendentale fenomenologica husserliana può presentarsi come una proposta significativa all’obiezione scettica. Infatti, è nella correlazione tra campo visivo e sensazione cinestetica che trova fondamento la nostra credenza nel mondo e in particolare in quella degli oggetti percettivi trascendenti anche nei casi in cui questi non sono più attualmente presenti poiché, in linea di principio, io posso

tornare ad accertarmi della loro posizione nello spazio obiettivo. Pertanto, le ricerche sulla costituzione dello spazio, assumono una considerevole rilevanza paragonabile forse a quelle relative alla costituzione temporale.

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CONCLUSIONI

Fin dalle Ricerche logiche, come osservato nel primo capitolo del presente lavoro, la fenomenologia husserliana si pone in aperto contrasto con quell’impostazione psicologista in quegli anni largamente condivisa e che, a dire dello stesso Husserl, aveva persino permeato la sua prima pubblicazione. Volendo sintetizzare e con ciò semplificare la posizione psicologista, potremmo sostenere che tale impostazione pretende di derivare dalle strutture della nostra mente i concetti in base ai quali pensiamo. Sostenere però che i concetti attraverso cui pensiamo il mondo altro non sono se non eventi psichici, che dipendono dal modo in cui la nostra mente è strutturata, equivale a sostenere che il modo in cui pensiamo il mondo dipende necessariamente dal modo in cui la nostra mente è fatta. Le conclusioni a cui queste premesse conducono assumono una connotazione scettica: se fossimo fatti differentemente anche il mondo sarebbe differente. Lo psicologismo è difatti, per Husserl, non solo una forma di relativismo, per cui qualcosa è per noi solo in funzione della nostra struttura, ma anche una forma di scetticismo poiché, con ciò, si finisce per negare l’idea di vero in generale: ciò che è percepito, pensato, giudicato è tale solo perché vi è una soggettività che percepisce, pensa e giudica secondo le possibilità consentite dalla struttura della propria mente. Il percepito è percepito da un soggetto, il giudicato è giudicato da un soggetto. Con ciò, lo psicologismo, come ogni forma di scetticismo, finisce per sostenere l’impossibilità da parte della ragione di cogliere il reale.

Nonostante Husserl si ponga criticamente nei confronti di tali conseguenze scettiche, in queste riconosce una funzione. La posizione scettica, infatti, ci

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consente di liberarci dall’ingenuità tipica dell’atteggiamento naturale, la cui tesi fondamentale può essere espressa dalla asserzione «il mondo esiste». Nelle lezioni del 1907 Husserl dichiara esplicitamente l’intento della fenomenologia: dimostrare la ragionevolezza della nostra credenza nell’esistenza di un mondo. Se nella

pubblicazione del 1900-1901 l’obiettivo delle Ricerche era limitato a dimostrare

l’indipendenza degli enti ideali dagli atti psichici, in seguito alla svolta trascendentale l’obiettivo della fenomenologia diviene quello di dar ragione della legittimità della tesi dell’atteggiamento naturale accettando la sfida che lo scetticismo pone al realismo ingenuo. Accettare la sfida scettica mantenendo come obiettivo quello di dar ragione di un’indipendenza del mondo dai nostri atti psichici vuol dire in primo luogo identificare un dominio non passibile di dubbio. Come sappiamo, è in tale contesto che Husserl, nelle lezioni del 1907, riprenderà esplicitamente l’argomentazione cartesiana in base alla quale nello stesso esercizio del dubbio metodico, riconosciamo come indubitabile il nostro stesso atto di dubitare. Trasposto tale ragionamento nell’ambito di indagine delle analisi percettive, l’argomentazione potrebbe essere così sintetizzata: possiamo dubitare dell’esistenza di ciò che percepiamo, ma non possiamo dubitare né del fatto di star percependo né del fatto di star percependo ciò che percepiamo. Relativamente all’esistenza dell’oggetto percettivo, e più in generale relativamente all’esistenza di un mondo, è dunque legittimo operare una sospensione del giudizio. Come abbiamo avuto modo di illustrare, gli atti coscienziali e il loro senso oggettuale divengono il dominio entro cui l’indagine fenomenologica può muoversi in piena evidenza. Se la finalità ultima della fenomenologia fosse quella di limitare l’ambito di ricerca agli atti di coscienza per potersi muovere in questo in evidenza, non si

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avrebbe forse troppa ragione nel contestare le accuse di idealismo soggettivista rivolte alla proposta fenomenologica. Senza dubbio la fenomenologia assume una connotazione idealistica non solo nell’adozione dell’argomentazione cartesiana, alla quale comunque il percorso fenomenologico non si arresta ma, soprattutto, come ripetutamente sostenuto, nel porre, in un primo momento, l’accento sul carattere operativo della coscienza. Nelle Ricerche logiche e in Idee I, l’atto percettivo è presentato nei termini di una messa in forma del materiale sensibile ad opera dell’apprensione. I contenuti reali nelle Ricerche logiche o i dati iletici in Idee I

non giocano alcun ruolo nella costituzione dell’apprensione oggettivante, questi sono infatti morte materie in attesa di essere messe in forma dall’atto apprensionale.

L’intento del secondo capitolo del presente elaborato è stato quello di voler illustrare come l’applicabilità dello schema contenuto apprensionale/apprensione

viene ripensata dallo stesso Husserl a partire dagli studi condotti sulla temporalità. È proprio nelle lezioni del 1905 sulla coscienza interna del tempo, infatti, che egli

valuta la possibilità che «non ogni costituzione ha lo schema contenuto

apprensionale/apprensione»190.

Come puntualizzato da Husserl in Idee I tale schema è applicabile in un ambito di analisi in cui la temporalità è già costituita. A partire dagli studi sulla temporalità, la connotazione che l’espressione “conferimento di senso” viene assumendo fa sì che l’aspetto soggettivistico imputabile alla fenomenologia venga meno. Infatti, come emerge dalle analisi delle Lezioni sulle sintesi passive, prese in esame nel terzo e ultimo capitolo di questo lavoro, l’atto intenzionale altro non è

190 E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893/1917, Hgg. V. Rudolf

Boehm, Martinus Nijhoff, The Hague, 1966, trad.it. a cura di Alfredo Marini, Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), Franco Angeli s.r.l., Milano 2001, p.46 nota 6

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che un’inclinazione dell’io desto a seguire una direzione di senso realizzatasi in forza di quelle sintesi passive che abbiamo visto realizzarsi senza alcun tipo di intervento attivo da parte dell’io. L’attività dell’io, il suo carattere operativo, non è dunque il momento originario della costituzione del senso ma è invece un momento che si fonda nelle fusioni dei dati iletici che si realizzano pre- egologicamente. È in queste analisi dello strutturarsi passivo del materiale iletico che risiede la possibilità di mostrare l’inconsistenza delle accuse di idealismo soggettivista rivolte alla fenomenologia husserliana.

Resta con ciò ancora da esplicitare in che modo da quel punto di partenza idealistico, la fenomenologia arrivi non solo a dar ragione della nostra credenza nell’esistenza del mondo, ma anche a dichiararsi una forma di realismo di tipo non ingenuo. Cosa motiva dunque la nostra convinzione di pronunciarci a favore dell’esistenza dell’oggetto percettivo trascendente?

Sulla base del ruolo costitutivo della hyle che è andato delineandosi a partire dagli studi sulla coscienza interna del tempo, è possibile guardare al decorso percettivo per analizzarne i processi attraverso cui viene a costituirsi il noema o senso oggettuale e illustrare che tipo di rapporto sussiste tra questo e l’oggetto in sé o oggetto trascendente. Abbiamo osservato come il noema non è né una componente reell del vissuto né una parte del mondo poiché, relativamente all’esistenza di questo, abbiamo operato una sospensione del giudizio. Eppure, nonostante da una parte si escluda la sua appartenenza al dominio trascendente, e dall’altra la possibilità di classificarlo come componente effettiva del vissuto, a partire dalle lezioni del 1907, questo viene riconosciuto come assolutamente dato.

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coscienza poiché questo si dimostra andar oltre quanto offerto dai singoli contenuti reali o dalla complessione di questi. Il noema è, infatti, più della somma dei singoli contenuti. D’altra parte, se questo fosse un che di trascendente non potremmo dar ragione del fenomeno della modalizzazione. Il senso oggettuale “manichino” che si è andato delineandosi nel decorso percettivo motivato dall’affezione esercitata dalla costituzione in unità del materiale iletico e dall’attenzione dell’io a questa rivolta, può in un dato momento essere confutato. Il modo di intendere l’oggetto cambia. L’oggetto trascendente a cui la mia attenzione è rivolta è dunque altro dal senso oggettuale. È lo stesso oggetto trascendente che non solo risulta motivare il noema “manichino” che va strutturandosi in un primo momento ma è anche ciò in forza di cui si realizza un’interruzione di questo primo senso a favore di uno strutturarsi di un nuovo senso oggettuale: “uomo”. Noema e oggetto in sé non coincidono sebbene siano, nell’atto percettivo, siano in un costante rapporto in cui il primo vuole essere il modo in cui il secondo è inteso. Parlare di noema nei termini di un “modo di intendere” non deve indurci però a pensare a questo come una sorta di rappresentazione o copia del reale ma, piuttosto, tenendo fermi i risultati ottenuti dalle analisi delle sintesi passive siamo ora in grado di pensare al rapporto tra noema e oggetto in sé come ad un rapporto dialettico. Questo si realizza nella struttura temporale della percezione e in quelle attese, contenutisticamente determinate e motivate da un materiale iletico strutturatosi secondo delle sintesi passive, il destino delle quali può essere quello di essere confermate o disattese. La protenzione contenutisticamente motivata può essere intesa come una pretesa di cogliere il reale ed è solo questo, come abbiamo visto, a far sì che per l’attesa si compia un destino o l’altro. Il noema è dunque il modo di intendere l’oggetto nella misura in cui,

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nella sua pretesa di cogliere il reale, è la credenza di ciò che credo che l’oggetto sia. Con ciò potremmo allora esprimerci relativamente a quella direzione intenzionale oggettivante le cui condizioni di possibilità, in conclusione del terzo capitolo, sono state indicate nell’intenzionalità non-oggettivane o pre-oggettivante.

L’intenzionalità oggettivante deve esser diretta verso l’oggetto in sé e non verso l’oggetto intenzionale poiché, altrimenti, come poc’anzi sostenuto non saremmo in grado di dar ragione delle modalizzazioni. Dunque, al fenomeno della modalizzazione a cui, sul finire del terzo capitolo abbiamo appena fatto riferimento, Husserl conferisce un’importanza decisiva in merito alla possibilità di dar prova della ragionevolezza della tesi dell’atteggiamento naturale. Non potendo in questa sede condurre un’analitica trattazione del fenomeno della modalizzazione, limitiamoci ora ad accennare, per completezza, all’importanza conferita a tale fenomeno in relazione agli interrogativi sulla trascendenza e sul reale da cui le analisi del presente lavoro hanno preso le mosse. Una trattazione esaustiva della modalizzazione metterebbe in evidenza come l’atto percettivo nel suo decorso si dimostra essere motivato e/o contraddetto da un quid che non gli è proprio, che lo trascende e a cui, in linea di principio, è sempre possibile avvicinarsi in forza della pretesa dell’intenzione anticipatrice contenutisticamente determinata.

La relazione intenzionale non è dunque un relazionarsi della coscienza ad un oggetto ad essa appartenente. Questa relazione non rimane infatti confinata entro il dominio immanente. Alla luce della struttura passiva della percezione, la hyle non è più pensabile nei termini di una morta materia. Questa deve essere intesa come ciò in cui un oggetto trascendente trova la sua possibilità di manifestazione. Questa asserzione non è certo pienamente al riparo da un eventuale obiettore scettico. Un

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tale interlocutore potrebbe infatti fare appello alle allucinazioni o alle percezioni ingannevoli per contestare la possibilità per un soggetto di distinguere una percezione da una allucinazione sulla base delle manifestazioni. È forse nell’utilizzazione da parte di Husserl degli stessi esempi di esperienze percettive ingannevoli usate dallo scetticismo in funzione antiscettica che potremmo comprendere l’espressione “accettare la sfida scettica”.

Husserl è ben consapevole di quanto sia insufficiente e inconcludente stabilire come criterio distintivo tra allucinazione, illusione o percezione ingannevole e percezione effettiva la reale esistenza della fonte dello stimolo percettivo. Stabilire l’esistenza o meno del reale significa senz’altro aver già determinato cosa sia in generale il reale. Il piano entro cui le riflessioni fenomenologiche si sviluppano non è certamente questo. Per poter stabilire in cosa le illusioni o le percezioni ingannevoli differiscano da una percezione tout court è necessario prestare attenzione alle strutture essenziali dell’atto percettivo nel suo sviluppo temporale. Se ci limitiamo però a ciò che si manifesta non possiamo ancora parlare di inganno in quanto questo sopraggiunge con la credenza quale modalità d’atto. Come osservato la ragionevolezza di questa si radica nel decorso temporale durante il quale la credenza è continuamente messa alla prova: questa viene infatti mantenuta se la predelineazione di senso, motivata da ciò che è decorso come attesa positivamente riempita, viene confermata. In caso contrario, nel caso in cui le attese vengono deluse, la stessa credenza viene abbandonata. Le illusioni percettive o le percezioni ingannevoli si scoprono essere tali solo nel decorso temporale. Con ciò Husserl non solo restituisce il senso di un’indipendenza del reale dall’operatività della coscienza ma ne mette anche in

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evidenza il ruolo necessario nella costituzione della percezione e del suo senso oggettuale.

Attraverso una lettura quanto più cronologica possibile delle sole pubblicazioni ufficiali considerate particolarmente rilevanti per il tema del rapporto tra sensibilità e atti percettivi, come Ricerche logiche, Idee I, Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo, Lezioni sulla sintesi passiva ed

Esperienza e giudizio, sì è voluto dimostrare, con Husserl, come i dati iletici si organizzino per una soggettività, nel senso in cui, fondendosi in unità nelle sintesi che si realizzano indipendentemente dall’operare dell’io, forniscono a quest’ultimo il materiale a partire dal quale l’operatività dell’io può dispiegarsi.

L’indagine della dimensione iletica e del ruolo di questa nella costituzione dell’esperienza percettiva potrebbe costituire un punto di partenza per considerazioni di più ampio respiro o per ripensare molte delle domande che Husserl stesso pone fin dagli albori del proprio itinerario filosofico. Teste della fecondità dell’indagine della legalità percettiva può essere considerata la ricerca degli anni ’30 di cui, per esempio, fanno parte gli studi che confluiranno nella pubblicazione del 1936 recante il titolo di La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. In quest’ultimo periodo di produzione Husserl lavorerà per far convergere mondo della vita e mondo delle scienze motivato dall’idea che alla base di quest’ultimo vi siano dei processi di idealizzazione che hanno origine nell’esperienza e da cui questi traggono la loro legittimità.

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BIBLIOGRAFIA

Albertazzi L. Introduzione a F. Brentano, La psicologia dal punto di vista empirico, trad. it. a cura di G. Gurisatti, revisione di L. Albertazzi, Editori Laterza, Bari, 1997, titolo originale F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Duncker & Humblot, Leipzig 1874

Boehm R., Introduzione a Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), trad.it. a cura di Alfredo Marini, Franco Angeli s.r.l., Milano

2001. Testo originale, E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren

Zeitbewusstseins: 1893/1917, Hgg. V. Rudolf Boehm, Martinus Nijhoff, The Hague, 1966)