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Il ruolo dei dati di sensazione nelle analisi percettive di Husserl

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Filosofia e Forme del sapere

Tesi di Laurea magistrale

Il ruolo dei dati di sensazione

nelle analisi percettive di Husserl

Relatore:

Candidato:

Prof. Alfredo Ferrarin

Valentina D’Angelo

Correlatore:

Dott. Danilo Manca

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2 INDICE

Introduzione 3

1. Contenuti reali e dati iletici. Dalle Ricerche logiche a Idee I 1.1 Psicologismo come scetticismo 8 1.2 L’evidenza delle sensazioni presentative. La critica di Husserl a Brentano 11 1.3 L’analisi della percezione nelle Ricerche logiche 21

1.4 Le caratteristiche della percezione esterna nelle Ricerche logiche 29

1.5 Verso la svolta trascendentale. L’inclusione dell’oggetto intenzionale 36 1.6 La fenomenologia trascendentale di Idee I 43

2. Temporalità e genesi 2.1 Le ricerche sulla temporalità 60

2.2 Istantaneità di una totalità di coscienza e tempo di presenza psichico 62 2.3 Intuizione in senso stretto e sensazione pura 66

2.4 L’articolazione della fase-ora. Il ricordo primario 71

2.5 Coscienza di immagine e immaginazione 79

2.6 Immaginazione e memoria 84

2.7 Dal ricordo primario alla ritenzione 87

2.8 Ritenzione, presentazione originaria e protenzione 92 2.9 Fenomenologia genetica 95 3. Dati iletici e sintesi passive. Le unità sensibili 3.1 Ricapitolazione 100

3.2 Oltre la sintesi della coscienza originaria del tempo 102

3.3 Associazioni in senso comune 106

3.4 Associazioni in senso originario o fusioni 110

3.5 Affezione e ricettività 121

3.6 L’estetica trascendentale fenomenologica 130

Conclusioni 134

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INTRODUZIONE

Le problematicità poste dalla nozione di sensazione largamente condivisa in ambito di ricerca psicologica e gnoseologica di fine Ottocento motivano la ricerca husserliana in direzione di una illustrazione del rapporto tra sensazione e percezione che sarà, dallo stesso Husserl, sottoposta a continue revisioni per un arco temporale che coincide pressoché con il suo intero itinerario filosofico. L’obiettivo che il presente lavoro si pone è quello di delineare, attraverso la lettura di alcune delle pubblicazioni considerate più illustrative della problematica percettiva, non solo il modo in cui viene ripensato e ridefinito questo rapporto tra percezione e sensazione ma in particolare quello di chiarire il ruolo della sensazione nella costituzione dell’esperienza percettiva.

Come illustreremo fin dal capitolo primo, in cui saranno prese in esame in particolar modo le Ricerche logiche e Idee I, i motivi di tali ripensamenti risiedono nell’ambiguità della nozione di dati di sensazione o dati iletici. Da una parte questi sono descritti come contenuti presentativi e componenti effettive del vissuto coscienziale, dall’altra come materie prive di una direzione intenzionale che viene invece fornita dall’atto apprensionale. Questo, in Idee I, viene denominato anche

noesi la cui etimologia, sottolinea Husserl, risiede nella parola nous che nel suo significato di senso vuole esplicitare, appunto, l’operazione dell’atto di conferimento del senso. Nelle Ricerche logiche e in Idee I l’illustrazione del rapporto tra dati di sensazione, senso oggettuale e atto apprensionale si basa sullo schema apprensione/ contenuto apprensionale che non sarà messo in discussione prima di quelle lezioni sulla coscienza interna del tempo del 1904-1905 che

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saranno oggetto tematico del secondo capitolo. Tale schema, come sostenuto da Jacques Derrida, sembra proporre una nozione di intenzionalità meramente attiva e ponendo l’accento esclusivamente sulla dimensione operativa della coscienza compromette così la possibilità di un’analisi della hyle e del suo ruolo costitutivo della direzione intenzionale. Come vedremo, nonostante negli anni che vanno dal 1904 al 1909 maturi la svolta trascendentale della fenomenologia, fin quando Husserl non definirà il ruolo della hyle, la proposta fenomenologica risulterà essere minacciata dall’accusa di idealismo soggettivo. In questi anni, a differenza di quanto accade nelle Ricerche logiche dove le questioni relative alla trascendenza vengono considerate questioni metafisiche, l’obiettivo di dar ragione della nostra credenza nell’esistenza del trascendente diviene sempre più urgente.

Come illustreremo, a partire da questa svolta trascendentale, attraverso

l’utilizzo degli strumenti metodologici dell’epochè, della riduzione

fenomenologica, si realizza l’inclusione dell’oggetto intenzionale nell’ambito delle analisi fenomenologiche che, invece, era stato escluso nelle Ricerche logiche. Oltre all’utilizzo degli strumenti fenomenologici sopracitati, contribuisce a rendere possibile la presa in esame dell’oggetto intenzionale il modo in cui la nozione di evidenza viene ripensata. L’idea di evidenza vigente nelle Ricerche logiche, relativa a ciò che è dato nell’attimo, viene ora pensata come una particolarità del più vasto genere dell’evidenza. Infatti, l’immediatezza caratteristica del criterio di evidenza di stampo cartesiano adottato qui da Husserl risulta essere concorde con l’idea di presenza istantanea, per cui evidente è ciò che si dà nella sua invarianza e dunque nella sua indipendenza dalla dimensione del fluire temporale. Come metteremo in evidenza, in quest’opera del 1900-1901 la dimensione della

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temporalità è del tutto assente. Con questo non si vuole certo asserire che Husserl in questo periodo neghi alla percezione un decorso temporale, ma semplicemente che la temporalità non emerge come elemento costitutivo della percezione; ad essa non viene conferito nessun carattere di sintesi. Similmente in Idee I la nozione di temporalità non solo non è ancora operativa nelle analisi percettive, ma l’intera problematica temporale viene dichiaratamente lasciata in sospeso.

Nonostante l’opera del 1913 escluda la dimensione temporale, è già nel 1904-1905 che Husserl inizia a dedicarsi allo studio della costituzione degli oggetti temporali. Attraverso la lettura delle lezioni e dei testi integrativi raccolti nella pubblicazione che porta il titolo di Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo, nel secondo capitolo del presente lavoro, illustreremo come le analisi della dimensione temporale contribuiscano a fornire un’alternativa all’idea dell’intenzionalità come attiva operazione coscienziale. È infatti, solo in seguito alle lezioni del 1904-1905 in cui Husserl applica senza successo lo schema apprensione/contenuto apprensionale nel tentativo di illustrare la coscienza dell’appena passato, che nel 1908-1909 si avvede della peculiarità della coscienza ritenzionale; questa non è composta da un contenuto effettivo. L’intenzionalità ritenzionale non è rivolta ad un contenuto, a un oggetto, ma è un riferirsi della coscienza a sé stessa. Così Husserl ripenserà l’applicabilità di tale schema asserendo che «non ogni costituzione ha lo schema “contenuto apprensionale-apprensione”»1. La nozione di ritenzione come modificazione coscienziale a cui

non è attribuibile né un’apprensione né un contenuto iletico effettivamente

1 E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893/1917, Hgg. V. Rudolf

Boehm, Martinus Nijhoff, The Hague, 1966, trad.it. a cura di Alfredo Marini, Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), Franco Angeli s.r.l., Milano 2001, p.46 nota 6.

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immanente rende possibile valutare la possibilità di un’intenzionalità alternativa a quella oggettivante.

Come emergerà nel secondo capitolo, le analisi relative alla genesi della coscienza interna del tempo condurranno Husserl a scoprire quella struttura sintetica in cui risiede la possibilità di pensare ad una sintesi, pre-riflessiva, delle manifestazioni attraverso cui è possibile avere coscienza di un medesimo senso oggettuale. Come verrà messo in evidenza, la sintesi temporale è senz’altro una condizione necessaria per una possibile costituzione di un vissuto percettivo, eppure questa non è sufficiente. Entrando ancora più a fondo nell’analisi della struttura dell’atto percettivo in alcune lezioni condotte in una serie di corsi sulla logica, tenuti tra il 1920 e il 1926, emergerà, per Husserl, l’esigenza di volgere il focus delle analisi sul versante contenutistico dell’esperienza percettiva. È nel terzo e ultimo capitolo del presente lavoro che, attraverso la lettura di Lezioni sulla sintesi passiva ed Esperienza e Giudizio, sarà sviluppato il tema delle sintesi associative. Il fenomeno dell’associazione acquisirà un’importanza decisiva nell’analisi della dimensione iletica poiché renderà possibile illustrare come le sintesi iletiche sono sintesi contenutistiche che non hanno a che fare con un’operatività della coscienza, ma si realizzano in forza della modalità di associazione propria del materiale sensibile. L’attività dell’io, il suo carattere operativo, non è dunque il momento originario della costituzione del senso ma, piuttosto, un momento che si fonda nelle fusioni dei dati iletici. Come si osserverà al termine dell’ultimo capitolo, non sarà più possibile pensare la hyle in termini di una morta materia in attesa di un conferimento di senso. Questa, piuttosto, rivendica una propria indipendenza rispetto alla soggettività e ai suoi atti

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oggettivanti. Sarà invece l’intenzionalità di tipo oggettivante, che va strutturandosi nella dimensione della ricettività, a rivelarsi fondata in quell’intenzionalità propria

della dimensione iletica che potremmo definire non-oggettivante, o

pre-oggettivante.

Le sole leggi essenziali delle sintesi passive, temporali e contenutistiche, sebbene costituiscano i presupposti necessari per una trattazione fenomenologica della trascendenza, non sono però sufficienti a dimostrare la ragionevolezza della tesi dell’atteggiamento naturale “il mondo esiste”. Si dimostrerà necessario, a tal fine, prendere in esame insieme al fenomeno della modalizzazione, la dimensione delle sensazioni cinestetiche alla cui importanza abbiamo, in ultima analisi, fatto riferimento. Solo allora sarà possibile pensare al rapporto tra senso oggettuale e oggetto trascendente come un rapporto dialettico mediato dalla dimensione iletica.

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1 – Contenuti reali e dati iletici. Dalle Ricerche logiche a Idee I

§ 1.1 Psicologismo come scetticismo.

Comprendere possibilità e limiti della conoscenza vuol dire chiamare in causa il soggetto conoscente. Già l'epoca moderna, relativamente alle questioni di costituzione del sapere, aveva portato l'attenzione sul ruolo del soggetto. Ogni enunciato che avanza la pretesa di oggettività, come un enunciato scientifico, una legge logica o matematica, è espressione della soggettività e pertanto risulterebbe impossibile parlare di conoscenza senza menzionare un riferimento al soggetto da cui questa origina. Se dunque le asserzioni scientifiche che pretendono di esprimersi sulla realtà del mondo sono prodotti della soggettività, cosa ci legittima a sostenere che esista una realtà che corrisponde al modo in cui noi la pensiamo? Cosa ci autorizza a sostenere che alle leggi che governano il mondo, pensate dalla soggettività, corrispondano delle leggi oggettive che governano la realtà? Come possiamo sostenere l'idea per cui le nostre teorie sono in grado di cogliere la struttura del reale?

Simili interrogativi orientano la ricerca di Husserl che dalle Ricerche Logiche (1900-1901)2 fino alla Crisi (1935) sarà caratterizzata dalla volontà di

2 La prima edizione delle ricerche logiche viene pubblicata nel 1900-1901 suddivisa in due parti

pubblicate separatamente: i Prolegomeni a una logica pura e le sei Ricerche logiche. La seconda edizione, del 1913, viene così pubblicata: Prolegomeni come primo volume. Le prime cinque

Ricerche logiche come prima parte del secondo volume, e la Sesta ricerca logica (1921) come seconda parte del medesimo volume. Vi sono poi una terza (1922) e quarta (1928) edizione,

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prendere le distanze da quella forma di scetticismo che lui stesso definirà

psicologismo e che caratterizza la sua stessa prima opera filosofica. Come è noto l'itinerario filosofico di Husserl si apre con la Filosofia dell'aritmetica (1891) dove l'obiettivo di fornire una spiegazione del concetto di numero si realizza attraverso una riconduzione dello stesso ai processi psicologici da cui è sorto. Con il progredire della ricerca, l'impostazione di base di quest'opera, che a partire dal primo volume delle Ricerche Logiche sarà sottoposta a critica, si dimostra essere sterile in merito a questioni filosofiche. Una ricerca di stampo psicologistico si rivela infatti, agli occhi di Husserl, incapace di rispondere a domande relative alla validità dei concetti, cioè a domande relative alla possibilità di comprendere la struttura del reale. I motivi del rifiuto della prospettiva psicologista, che essenzialmente si traduce nella riduzione di ogni prodotto della ragione al modo in cui la mente funziona, risiedono nelle conclusioni scettiche a cui questa conduce. Il tentativo di fornire, a partire da un'impostazione psicologista, una spiegazione in merito alla verità dei concetti ha come esito una dissoluzione del concetto stesso di verità. Se i concetti, come prodotti del pensiero, sono eventi psichici che dipendono dalla struttura della nostra mente, allora il modo in cui pensiamo dipende dalle nostre strutture fattuali. Questo vuol dire che se la nostra mente fosse fatta in maniera differente, avremmo concetti differenti, penseremmo e persino percepiremmo il mondo differentemente. Pertanto, ciò che è ritenuto vero da un soggetto con delle determinate strutture psichiche potrebbe non essere ritenuto altrettanto vero da un soggetto differentemente costituito. Il concetto di verità in sé immodificate rispetto alla seconda, eccezion fatta per l’assenza delle Sesta ricerca dall’ultima pubblicazione.

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si dissolve; al suo posto si dovranno pensare tante verità quante sono le possibili differenti organizzazioni psichiche. Assorbite da questo scetticismo risultano essere le stesse teorie scientifiche che dovrebbero conseguentemente essere pensate come valide solo in relazione alla struttura psichica che le sottende.

Le Ricerche logiche si aprono illustrando come la prospettiva psicologista poggi su una mancata distinzione tra questioni di validità e questioni di fatto e come questa mancanza autorizzi il tentativo di dedurre i principi logici, e quindi le regole della ragione, da strutture fattuali. Ciò che non viene preso in considerazione in questa impostazione è il diverso statuto ontologico proprio dei principi logici e dei vissuti psichici. Questi intrattengono con la temporalità un diverso rapporto. Possiamo infatti pensare più volte una stessa legge logica che si darà pertanto in atti temporalmente diversi senza però che essa si moltiplichi assieme a questi. Dunque, la legge logica è certamente pensata in atti psichici ma rispetto a questi esibisce un'autonomia. L'autonomia delle leggi logiche dall'atto psichico che le pensa non deve condurre però, secondo Husserl, ad abbandonare l'idea per cui queste devono intrattenere una relazione con la soggettività che le pensa. Nelle Ricerche Logiche, infatti, l'analisi fenomenologica vuole vertere, in ultima analisi, sui vissuti soggettivi, cioè su quelle «fonti dalle quali scaturiscono i concetti fondamentali e le leggi ideali della logica pura – e alle quali questi concetti devono essere ricondotti per conferire loro quella chiarezza e distinzione che una comprensione critico-conoscitiva della logica pura esige»3.

3 E. Husserl, Logische Untersuchungen, trad. it. A cura di G. Piana, Ricerche logiche, il

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§ 1.2 L'evidenza delle sensazioni presentative. La critica di Husserl a Brentano.

L'analisi fenomenologica dei vissuti soggettivi è resa possibile grazie all'adozione di un atteggiamento definito innaturale in contrapposizione a quello che accompagna normalmente i nostri atti. Questi, abitualmente, sono diretti verso l'oggetto di cui facciamo esperienza. Un atteggiamento innaturale consiste invece nel dirigere lo sguardo verso questi atti stessi, uno sguardo riflessivo che trasforma gli atti in oggetti tematici. Questa conversione dello sguardo rievoca la nozione di “percezione interna” che nella tradizione filosofica era stata qualificata come percezione evidente. Non dovrebbe stupire come questa nozione riecheggi ancora in Husserl. Come è noto, infatti, lo stesso Brentano, a cui Husserl riconosce il merito di averlo motivato a «scegliere la filosofia come professione di vita»4, insiste

sulla peculiarità di questa percezione e sulla rilevanza teoretica che assume in virtù dell'evidenza che la caratterizza. Il principio dell'evidenza, a cui si richiama già l'epoca moderna relativamente alle questioni di fondazione del sapere, non cessa in Brentano di giocare un ruolo di primaria importanza. In ciò che si riconosce come evidente, cioè in ciò che trova in sé la propria giustificazione e che sfugge alla possibilità di contestazione, è riconosciuta la possibilità di una fondazione rigorosa del sapere. Il raggiungimento dell'evidenza così intesa si realizza, in Brentano, con la percezione interna. Questa percezione è tale per cui l'unità che sussiste tra percipiente e percepito ne garantisce l'immediata evidenza.

In linea con l'argomentazione cartesiana per cui il dubbio

4 Cit. in F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Duncker & Humblot, Leipzig

1874, trad. it di G. Gurisatti, revisione di L. Albertazzi, La psicologia dal punto di vista empirico, Editori Laterza, Bari 1997, p.VI.

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conoscitivo di cui è passibile la percezione esterna non può essere esteso a quella interna, Husserl ravvisa nell'evidenza propria di quest'ultima quella proprietà distintiva a partire dalla quale è possibile operare una differenziazione tra percezioni interne e percezioni esterne. In appendice alle sei ricerche logiche, a proposito di questa distinzione, Husserl illustra come la tradizione filosofica, si pensi per esempio a Locke, abbia frainteso il criterio in base al quale operare la classificazione delle percezioni. Secondo Husserl, Locke, a partire della separazione cartesiana tra

mens e corpus, introduce quella distinzione tra le classi corrispondenti di percezioni che rimarrà determinante in buona parte del pensiero ad Husserl contemporaneo. Secondo Locke, dunque, la percezione esterna ha come oggetto i corpi fisici e sorge a partire dagli effetti che questi corpi esercitano sullo spirito, quella interna, invece, ha come oggetto le attività del nostro spirito e sorge dalla riflessione che lo spirito compie sulle proprie attività. Anche in Brentano la diversità essenziale dei fenomeni, assieme a quello dell'evidenza, sembra essere assunto come criterio in base al quale realizzare una discriminazione tra le due classi di percezioni. Infatti, secondo l'autore di La psicologia dal punto di vista empirico (1874), «la percezione interna si distingue da quella esterna:

• per l’evidenza e la non illusorietà

• per la diversità essenziale dei fenomeni. Nella percezione interna noi esperiamo esclusivamente i fenomeni psichici, in quella esterna i fenomeni fisici. »5

5 E. Husserl, Logische Untersuchungen, trad. it. A cura di G. Piana, Ricerche logiche, il

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Vista e considerata l'influenza degli studi di Brentano nel pensiero di Husserl, può essere di qualche interesse accennare all'orizzonte non solo teorico ma anche storico-culturale da cui emergono e in cui si articolano, in Brentano, i concetti di

percezione interna, percezione esterna e dei rispettivi fenomeni (fenomeni psichici

e fenomeni fisici).

Alla fine del XIX secolo e ancor di più nei primi decenni del successivo, la riflessione epistemologica sembra giungere alla classificazione della totalità delle scienze in scienze esatte e scienze dello spirito. Le prime, le scienze della natura in quanto forniscono una spiegazione dei fenomeni in termini di relazione causa-effetto, sono definite esplicative, le altre descrittive. Il discrimine che legittima questa classificazione risiede in ultima analisi nell'adozione del metodo sperimentale come unica modalità di guardare ai fenomeni che possa avanzare pretesa di dignità scientifica. Questi sono anni in cui la lotta della psicologia per il riconoscimento di quel rigore e quella dignità attribuite alle scienze esatte trova espressioni teoriche diverse. Mentre a Lipsia nel 1879 Wilhelm Wundt, assistente del fisiologo tedesco Hermann Von Helmholtz fonda il primo laboratorio di psicologia sperimentale dedicato ad uno studio sperimentale della percezione e dei suoi elementi minimi ravvisati nelle pure e distinte sensazioni, Brentano sembra volersi muovere in altra direzione. La proposta di Brentano è quella di una psicologia empirica6 (non

sperimentale) che opera una limitazione del proprio campo di indagine a quello dei

6 Non è forse privo di rilevanza riportare quanto evidenziato, relativamente al termine “empirico”

da L. Albertazzi nella sua introduzione all’edizione italiana di F. Brentano, La psicologia dal punto di vista empirico, Editori Laterza, Bari, 1997, p. IX. «[…] lo stesso aggettivo “empirico” in Brentano non indica un’analisi dell’esperienza nel senso dell’empirismo inglese, ma riassume l’idea aristotelica di un’esperienza pura e della sua analisi. Ad essere in questione infatti, nella psicologia di Brentano non sono tanto i sense data, quanto la stessa attività psichica. Intesa in questo senso la psicologia, come scienza della psiche, è una disciplina che presenta tratti squisitamente teorici.»

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fenomeni psichici, cedendo lo studio dei fenomeni fisici alle scienze esplicative. Come è noto, l'autore della Psicologia dal punto di vista empirico distingue la totalità dei fenomeni in due classi: fenomeni psichici e fenomeni fisici. I primi, che abbiamo detto costituire per Brentano l'oggetto di studio della psicologia, non godono della stessa osservabilità di cui godono i secondi7. I fenomeni psichici sono

dati in quella particolare percezione che abbiamo detto essere la percezione interna. La percezione interna a cui Brentano assegna il compito di rendere analizzabile la sfera del nostro esperire, avevamo detto, è tale per cui l'unità che sussiste tra percipiente e percepito ne garantisce l'immediata evidenza. Ogni esperienza infatti

non solo è esperienza di ma anche consapevolezza di sé. Riconosciamo, secondo

Brentano, in ogni esperienza da una parte un oggetto di cui facciamo esperienza, l'oggetto verso cui siamo diretti, ad esempio le note del concerto che sto

ascoltando, denominato oggetto primario e dall'altra una consapevolezza del mio

fare esperienza, il mio ascoltare, l'oggetto secondario. La percezione interna è dunque quella consapevolezza che accompagna il nostro esperire e non un particolare sguardo che ha di mira gli oggetti nella coscienza.

La formulazione del concetto di percezione interna proposta in polemica con l'idea di un'osservazione interna8 riposa sulla convinzione che le nostre

7 «un colore, una figura, un paesaggio che vedo» F. Brentano, Psychologie vom empirischen

Standpunkt, Duncker & Humblot, Leipzig 1874, tr. It di G. Gurisatti, revisione di L. Albertazzi,

Psicologia dal punto di vista empirico, Reverdito, Trento 1989, pp.163-165.

8 Uno dei motivi del rifiuto dell’osservazione interna risiede nel fatto che «Brentano attribuisce

solo alla memoria la possibilità di un’osservazione dei fenomeni psichici. Il momento dell’osservazione è quindi successivo a quello della percezione interna attuale.». Poiché l’esperienza in generale ci mostra quanto la memoria possa essere inaffidabile, l’osservazione interna, la cui possibilità di realizzazione dipende dall’esercizio della memoria, risulterebbe priva di quel carattere di evidenza che invece viene riconosciuto alla percezione interna. (L. Albertazzi, Introduzione a F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Duncker & Humblot, Leipzig 1874, tr. It di G. Gurisatti, La psicologia dal punto di vista empirico, Editori Laterza, 1997, p.X.)

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esperienze non sono oggetti nel senso in cui lo sono gli oggetti trascendenti; non sono oggetti tra gli altri che si trovano nell'anima così come gli oggetti fisici si trovano nello spazio. A rendere concepibile la possibilità di un'osservazione interna concorre una concezione dell'esperienza che ha tanto caratterizzato la tradizione filosofica in epoca moderna, basata sull'idea che il dato sensibile sia una sorta di raffigurazione più o meno verace di una realtà che è oltre il suo apparire. Insieme all'osservazione interna, dunque, va respinta anche l'idea di esperienza che la sottende poiché, per Brentano, non vi sono immagini che possono divenire oggetto di osservazione, ma vi è piuttosto una «relazione intenzionale che orientandoci verso le cose, rende manifesto questo nostro orientarci. La critica dell'introspezione doveva sfociare così in una teoria dell'esperienza fondata sul concetto di intenzionalità.»9

L'intenzionalità viene indicata da Brentano come caratteristica distintiva dei

fenomeni psichici. Leggiamo in La psicologia dal punto di vista empirico: «Ogni

fenomeno psichico è caratterizzato da ciò che gli scolastici del medioevo chiamavano l'in-esistenza intenzionale (o mentale) di un oggetto, e che noi, anche se in modo non del tutto privo di ambiguità, definiamo il rapporto con un contenuto, la tensione all'oggetto (che non va inteso come realtà) oppure, infine, l'oggettività immanente.»10. Ogni fenomeno mentale, quindi, contiene in sé un

oggetto a cui si riferisce nella modalità particolare di ciascun atto; per cui, per esempio, nella rappresentazione qualcosa è rappresentato, nel giudizio qualcosa è accettato o rifiutato, nella fantasia qualcosa è fantasticato ecc.

9 P. Spinicci, Sensazione, percezione, concetto, Il Mulino 2000, p. 99.

10 F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Duncker & Humblot, Leipzig 1874,

trad. it di G. Gurisatti, revisione di L. Albertazzi, Psicologia dal punto di vista empirico, Reverdito, Trento 1989.

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Ricordiamo sinteticamente, seguendo quanto riassunto dallo stesso Brentano, le caratteristiche distintive dei fenomeni psichici. Questi sono:

• oggetto unicamente della percezione interna

• dotati di un’esistenza evidente immediatamente, e dunque indubitabile (reale)

• caratterizzati dal riferimento intenzionale

Insistiamo ancora sull'evidenza. Ciò che la percezione interna offre è dato con immediata evidenza. Evidente, per esempio, è la mia percezione del libro. Posso dubitare relativamente all'esistenza del libro che sto percependo, ma indubitabile è il fatto che io stia percependo un libro. All'interno dell'orizzonte dell'indubitabilità, dischiuso dalla percezione interna, sembrano ricadere tanto l'atto del percepire quanto la sensazione, cioè, ciò che del libro mi è dato come la forma, il colore ecc. Eppure, Brentano, come già Descartes in epoca moderna, attribuisce il carattere di evidenza esclusivamente all'atto e non alle sensazioni che invece inserisce all'interno della classe dei fenomeni fisici. Quest'ultimi non ricevono una definizione per illustrazione delle caratteristiche che sono loro proprie ma sono invece definiti come quei fenomeni che non possiedono le caratteristiche dei fenomeni psichici. Per cui questi non sono atti ma contenuti (un odore sentito, un accordo udito, un colore visto ecc.), non sono oggetto della percezione interna e non hanno nessun riferimento intenzionale11.

Non è forse privo di importanza, al fine di comprendere sulla base di quali

11 «Inoltre, manifestano i caratteri dell’estensione e della determinatezza spaziale.» (L. Albertazzi,

Introduzione a F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Duncker & Humblot, Leipzig 1874, trad. it. di G. Gurisatti, La psicologia dal punto di vista empirico, Editori Laterza, 1997, p. XX).

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considerazioni avviene in Brentano l'esclusione dei contenuti dell'atto dal campo dell'evidenza, portare l'attenzione sul fatto che l'aver riconosciuto il carattere intenzionale della coscienza consente a Brentano di prendere le distanze dal modello empiristico dell'esperienza. Questo, si pensi per esempio a Hume, prevede una distinzione tra gli atti della coscienza basata sulla chiarezza e vivacità del materiale sensibile. Nella Psicologia da un punto di vista empirico (1874) la classificazione e descrizione degli atti della soggettività viene pensata invece a partire dal diverso atteggiamento che il soggetto assume nei confronti di una determinata oggettualità. Tre sono le classi in cui Brentano distingue i fenomeni psichici:

I. le rappresentazioni intuitive II. giudizi

III. moti d’animo

La rappresentazione intuitiva, cioè l'atto in cui qualcosa si rappresenta, gode di un'importanza particolare. Questa è pensata come atto fondamentale che deve essere presupposto dagli atti appartenenti alle altre due classi di fenomeni psichici e che sono definiti atti superposti. Quest'ultimi possono compiersi solo se precedentemente si è realizzato quell'atto fondamentale, denominato anche

presentazione, in cui si raffigura sensibilmente un oggetto a cui possono riferirsi. A partire da questa classificazione degli atti portiamo ora l'attenzione sul rapporto tra percezione e sensazione che viene in queste pagine ad articolarsi. La percezione è inserita all'interno della classe dei giudizi. Questa è intesa come quell'atto in cui si afferma l'esistenza di ciò che è offerto dalla rappresentazione

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intuitiva. «Ogni atto percettivo consta dunque di due momenti: la rappresentazione della cosa e la posizione d'essere attuata dall'atto soggettivo del giudizio.»12

Ricordiamo il celebre esempio del cerchio e dell'ellisse proposto da Brentano per comprendere meglio questo rapporto tra sensazione e percezione. Immaginiamo di posare un cerchio sul pavimento. Allontaniamoci da questo. Mentre quello che diremo di percepire è un cerchio, la sensazione, ingannandoci, ci mostrerà qualcosa di ellittico. Nell'atto percettivo, la posizione d'essere che si compie con l'atto del giudizio fa sì che si realizzi quella direzionalità verso l'esterno che oltrepassa l'apparire. Questo mostra l'autonomia dell'atto del percepire rispetto alle leggi geometrico-fisiche che sottendono la sensazione. La sensazione è dunque annoverata tra i fenomeni fisici mentre solamente l'atto di percezione può essere considerato fenomeno psichico. Avvicinandomi nuovamente all'oggetto sul pavimento, constato che le sensazioni che prima mi offrivano un'ellisse, non possono essere considerate veraci. L'esperienza dunque ci insegna che ciò che si manifesta sensibilmente, l'ellisse, non esiste di fatto13.

Husserl non rifiuta l'impostazione brentaniana di base, eppure sostiene la necessità di operare alcune chiarificazioni concettuali. Egli sostiene che se percezione interna e percezione esterna vengono intese in modo naturale, cioè se, come accade per lo stesso Brentano, con percezione esterna si intende la

12 P. Spinicci, Sensazione, percezione, concetto, il Mulino, Bologna, 2000, p.101, nota4.

13 Per questa esclusione delle sensazioni dal campo di quelle analisi che possono e devono essere

condotte in piena evidenza, il compito della psicologia descrittiva non può spingersi oltre la classificazione degli atti e la presentazione delle necessarie relazioni tra vissuti. Le analisi di Brentano, pertanto, non possono giungere ad affrontare il problema della costituzione di un oggetto in generale della sensibilità e quindi neanche il problema di come il mondo degli oggetti della nostra esperienza quotidiana si costituisca per noi. (Cfr. P. Spinicci in Sensazione, percezione, concetto, Il Mulino, Bologna, 200, pp 91-133).

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percezione degli oggetti fisici e con percezione interna tutte le altre, per Husserl queste due percezioni non mostrano avere differenze da un punto di vista gnoseologico.

Quanto possano essere ingannevoli queste ambiguità, è dimostrato proprio dalla teoria brentaniana con la sua distinzione tra percezione esterna e percezione interna fondata sul carattere dell'evidenza e sulla conseguente separazione di gruppi distinti di fenomeni14.

Alla base dell'esclusione dei contenuti sensibili dalla sfera delle indagini che possono essere compiute in piena evidenza vi è, in primo luogo, un modo improprio di intendere i fenomeni fisici. Indubbiamente se questi vengono intesi nell'unico modo in cui possono essere intesi, ossia come gli oggetti fisici, trascendenti, che vengono percepiti, allora è legittimo sostenere che questo tipo di percezione possa essere ingannevole. Ma, sostiene Husserl, Brentano chiama fenomeni fisici anche i contenuti presentativi appartenenti alla percezione. Ciò è reso possibile da un inadeguato conferimento di senso al termine “percepito”. Brentano infatti sembra utilizzare questo termine non solo in riferimento agli oggetti fisici ma anche agli stessi contenuti presenti nella percezione, che denomina appunto fenomeni fisici, e che pertanto risultano essere «colpiti dal carattere ingannevole della percezione esterna.»15. Occorre allora fare chiarezza tra ciò che si intende con “percepito” e

ciò che Brentano vuole intendere con l'utilizzo improprio dello stesso termine.

14 E. Husserl, Logische Untersuchungen, trad. it. A cura di G. Piana, Ricerche logiche, il

Saggiatore, Milano 1968, p.777.

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20

Qui Husserl chiarisce una distinzione fondamentale tra i termini percepito e

vissuto. Quando percepisco un oggetto fisico, ad esempio la casa che ho di fronte, le sensazioni che sono presenti nell'atto non vengono da noi percepite ma vissute. Sull'esistenza di ciò che viviamo, quindi su questi contenuti presentativi, è impossibile ingannarci: «non posso aver dubbi sul contenuto sensibile vissuto della percezione»16.

Possiamo poi portare l'attenzione su questi contenuti e allora in questo frangente li accertiamo percettivamente17. Questa operazione rende possibile

estendere il carattere di evidenza anche ai contenuti presentativi.

Per quanto riguarda l’equivalenza dei termini percezione interna e percezione evidente, così come queste sono intese da Brentano, deve essere rifiutata. Sostenere, infatti, che l'insieme “percezioni interne” coincida con l'insieme “percezioni adeguate” è possibile solo previe opportune specificazioni. Se per percezione interna si intende la percezione dei fenomeni psichici, questi non devono essere intesi nel senso circoscritto in cui li intende Brentano, ma come

elementi costitutivi reali della nostra coscienza18 e dunque come vissuti a cui

appartengono però anche i contenuti di senso. Perché la percezione interna poi si possa intendere come percezione evidente, il senso di evidenza a cui si deve far

riferimento ha a che fare con quello di adeguazione che Husserl illustra nella VI

Ricerca logica. Per percezione adeguata si intende, in queste pagine, quella percezione in cui l'intenzione, in quanto diretta verso un contenuto facente parte del vissuto stesso, trova un riempimento puntuale. Si parla di percezione adeguata

16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 Ivi, p.685.

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21

in riferimento a quella percezione in cui si realizza, come si esprime Husserl, una

completa auto-manifestazione dell'oggetto19.

Tra le differenze che intercorrono tra Husserl e Brentano quella che consiste nel conferimento del carattere di evidenza ai contenuti presentativi realmente presenti nella percezione, per le conseguenze che da esso necessariamente derivano, risulta essere la più significativa: I contenuti presentativi, nelle Ricerche logiche, entrano a far parte delle analisi psicologico-descrittive.

§ 1.3. L’analisi della percezione nelle “Ricerche logiche”.

Prima di procedere con le analisi della percezione esterna condotte nella V e VI Ricerca logica, indugiamo in alcune precisazioni al fine di illustrare a che punto dello sviluppo del progetto più ampio delle sei Ricerche logiche queste si collocano.

Nella Prefazione alla prima edizione delle Ricerche logiche, queste vengono presentate da Husserl come il risultato di studi che prendono avvio da quei problemi rimasti irrisolti e non eludibili che hanno costantemente imposto un freno al progresso di tentativi di chiarificazione filosofica della matematica pura20.

Come sostenuto in precedenza l’impostazione delle Ricerche muta radicalmente

rispetto a quella operante negli studi precedentemente condotti. L’impostazione della Filosofia dell’aritmetica, infatti, risulta essere inadeguata a fornire risposte a quesisti di natura filosofica21. Nella Prefazione alla prima edizione delle Ricerche,

19 Ivi, p.686. 20 Cfr. Ivi, p.3

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22 Husserl scrive:

[…] mi trovai coinvolto nei problemi della teoria della conoscenza e della logica in generale. Allora avevo preso le mosse dalla convinzione dominante che dalla psicologia fosse lecito attendersi una chiarificazione filosofica della logica delle scienze deduttive così come della logica in generale. Di conseguenza le ricerche psicologiche ricevettero molto spazio nel primo volume (l’unico pubblicato) della mia Filosofia dell’aritmetica. Da certi punti di vista, questa fondazione psicologica non mi sembrò mai soddisfacente. […] Poiché tutte quelle domande che avevo posto alla logica nella speranza che di qui potesse giungere una spiegazione restarono senza risposta, fui alla fine costretto a rinviare completamente le mie ricerche di filosofia della matematica, fino al momento in cui non fossi riuscito a penetrare con sicura chiarezza all’interno dei problemi fondamentali della teoria della conoscenza e nella comprensione critica della logica come scienza.22

Nei Prolegomeni a una logica pura alla critica dello psicologismo si accompagna una esposizione degli obiettivi e delle modalità attraverso cui questi vogliono essere realizzati. Questo primo volume delle Ricerche, infatti, intende mostrare come la logica non sia una disciplina psicologica volta a esibire gli eventi psichici, fattuali, connessi al nostro pensiero, ma, piuttosto, un’ontologia formale impegnata nell’esibizione dei nessi e delle relazioni che possono sussistere tra oggetti in generale intesi, cioè, a prescindere dal contenuto determinato, come oggettualità furono per me un’opera di rottura, e quindi non un punto di arrivo, ma un inizio» Ivi, p.6.

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possibili del nostro conoscere. Le leggi di questa ontologia formale, essendo valide indipendentemente dal particolare campo in cui vengono impiegate, costituiscono le condizioni di possibilità di ogni pensare razionale e di ogni sapere. Principi logici, oggettualità logiche e la stessa nozione di verità a questi necessariamente correlata che lo psicologismo aveva ridotto a prodotti dell’operazione della nostra

mente, nelle Ricerche logiche divengono oggetto di un’analisi

fenomenologico-descrittiva. A differenza di quanto accade in un’analisi di stampo psicologistico in cui la descrizione si limita alla costatazione di ciò che accade nella mente di un soggetto, l’obiettivo che la descrizione fenomenologica si pone è quello di mettere in luce le condizioni di possibilità, le strutture essenziali, invarianti del pensiero in generale. L’assunzione dell’atteggiamento fenomenologico dischiude la possibilità di cogliere il diverso statuto ontologico delle idealità logiche e quindi di affrancare la logica dalla psicologia. Quest’ultima ha a che fare con atti psichici fattuali, la prima, invece, con idealità logiche.

Queste, dicevamo, sono appunto ideali, cioè mostrano possedere, a differenza degli atti in cui vengono prese di mira, il carattere di sovratemporalità.

Al fine di comprendere meglio la natura e le caratteristiche essenziali di queste oggettualità, cerchiamo di chiarire il senso operante in queste riflessioni di due nozioni che risultano essere di fondamentale importanza: quella di verità e di

validità in sé. Per la prima nozione Husserl si rifà a Bolzano. La lettura di

Wissenschaftslehre (1837) riveste un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo del pensiero di Husserl. In particolar modo, sembra essere rilevante la distinzione che l’autore opera in queste pagine tra le proposizioni, aventi un carattere ideale, e i giudizi, intesi come atti psichici, in cui le prime prendono

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forma. Per proposizione in sé Bolzano intende il contenuto di senso che trova espressione nel pensiero o nel giudizio ma che è essenzialmente indipendente dalla effettiva realizzazione di questi. È proprio l’indipendenza della proposizione dall’atto psichico in cui questa viene pensata, o dal giudizio in cui questa viene espressa, che rende possibile parlare di una verità in sé. La legge di Keplero rimane infatti vera a prescindere dalla formulazione del giudizio in cui questa trova espressione; l’essere pensata, conosciuta o articolata in un giudizio, non è una caratteristica essenziale della proposizione, pertanto questa è vera in sé.

Strettamente connessa alla nozione di verità in sé, vi è quella di validità in sé. Per quest’ultima nozione, il riferimento di Husserl è Lotze il quale, analogamente a Bolzano, impegnato nel separare l’ambito psicologico da quello logico, distingue l’esistenza di ciò che ha una realtà fattuale, come gli eventi psichici, da quel sussistere o meglio valere che caratterizza le verità ideali. L’atto psicologico del pensare o dell’esprimere esiste come una realtà avente una determinazione temporale mentre le verità ideali, come contenuti dell’atto del pensare, hanno un modo d’essere che Lotze denomina appunto validità. La validità, pertanto, ha a che fare con il significato ed esprime l’indipendenza degli enti logici dalle realizzazioni concrete che hanno luogo con l’atto psichico.

Sono queste le influenze che possiamo riconoscere in Husserl quando nei

Prolegomeni scrive:

Nelle sezioni psicologiche della tecnologia logica si parla di giudizi come assunzioni di verità (Fürwahrhaltung), cioè di vissuti di coscienza che hanno un carattere determinato. Nelle sezioni puramente logiche di ciò non si parla. Giudizio significa qui proposizione, intendo quest’espressione, non come

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unità grammaticale, ma come unità ideale di significato. […] Così anche, con l’espressione «ogni giudizio», il logico non intende «ogni atto giudicativo», ma «ogni proposizione oggettiva». Nell’estensione del concetto logico di giudizio non si trova allo stesso titolo il giudizio «2 x 2 = 4» che io «vivo» or ora e il giudizio «2 x2 =4» che ieri o in qualsiasi altro momento e per una persona qualsiasi era un vissuto. Al contrario, nessuno di questi atti figura nell’estensione in questione, ma semplicemente «2 x2 = 4» oppure anche, per esempio, «la terra è un cubo», il teorema di Pitagora ecc., e ognuna di queste espressioni vale come unico membro.23

Continua asserendo che chi giudica

[…] non intende enunciare una legge degli atti di giudizio ma dei contenuti del giudizio, in altre parole dei significati ideali che noi siamo soliti chiamare brevemente proposizioni.24

Come per Bolzano e Lotze anche per Husserl i significati sono sovratemporali e dunque indipendenti dagli atti psichici. L’atto psichico però, non è l’unico elemento empirico riscontrabile in un enunciato. Questo si compone infatti di:

• un elemento psicologico, ossia l’atto psichico • un senso o significato dell’enunciato

• un vestito linguistico.

23 Ivi, p.141. 24 Ivi, p.142.

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Per poter parlare del significato come idealità questo deve risultare indipendente non solo dall’atto psichico fattuale ma anche dalla lingua nella quale questo trova espressione. Tra significato e significante, sostiene Husserl, non esiste nessun nesso necessario. Il significante altro non è che un segno del tipo che Husserl chiama

espressioni25, l’elemento distintivo delle quali è quella di rimandare ad un

significato. La stessa caratteristica comunicativa, la funzione pragmatica del linguaggio, cioè l’eventualità per un soggetto di comunicare attraverso un segno linguistico un contenuto ad un altro soggetto, è possibile solo se il significante è inteso come espressione di un significato. Il rapporto che sussiste tra quest’ultimo e il segno linguistico che lo rende comunicabile è di natura convenzionale.

Per poter parlare di una purezza del significato vi è ancora un altro aspetto su cui è necessario soffermarsi. Prendiamo ad esempio il giudizio «la mela è verde». Il significato di questo giudizio è, dunque, indipendente sia dall’atto psichico che dalla lingua in cui viene espresso ma anche da un elemento su cui finora non si era portata attenzione: la percezione. L’espressione in questione, infatti, non cesserebbe di essere significativa neppure nel caso in cui la percezione dovesse cambiare o venire del tutto meno. Alla luce della nostra concezione – scrive Husserl - è del tutto comprensibile che un’espressione possa fungere in modo significativo anche senza un’intuizione illustrativa26.

Con ogni espressione si rende noto qualcosa, in ogni espressione si vuol significare, denominare o comunque designare qualcosa. […] all’espressione è

25 Due sono infatti i tipi di segni che Husserl distingue: i segni come espressioni che, appunto,

esprimono o rimandano a un significato, e i segni come segnali, la caratteristica essenziale dei quali è quella di rimandare ad un altro oggetto.

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27

extra-essenziale il riferimento a un’oggettualità attualmente data, che riempia la sua intenzione significante.27

Sebbene il significato sia indipendente dall’atto psichico che lo prende di mira, dal vestito linguistico e dalla intuizione, quest’ultima risulta invece essere necessaria nel frangente in cui l’espressione vuole svolgere una funzione conoscitiva. In questo caso, infatti, l’espressione deve avere una relazione con l’intuizione, o meglio il significato dell’espressione deve avere una relazione con l’oggetto della percezione. Prendiamo ad esempio il caso in cui asseriamo «la mela è verde». Può certamente verificarsi il caso in cui questa espressione non cessi di essere significativa anche se pronunciata in assenza di una intuizione corrispondente, senza cioè che si dia nell’intuizione l’oggetto di cui si parla. In questo caso l’espressione si dice essere puramente simbolica; questa intende qualcosa in maniera indiretta. Supponiamo ancora che in un secondo momento si realizzi un’intuizione in cui la medesima oggettualità, che nell’espressione puramente simbolica era rappresentata in maniera indiretta, si dia in presenza intuitiva. Quando all’espressione puramente simbolica si associa un’intuizione si realizza una coscienza di riempimento, una forma di identificazione che si realizza tra ciò che si presenta in se stesso e ciò che prima era dato in maniera indiretta. Questo riempimento è però possibile solo nel caso in cui l’oggetto della percezione è inteso come lo stesso del contenuto dell’espressione simbolica che Husserl chiama anche atto signitivo. La forma di identificazione che si realizza in questi casi deve essere intesa come riempimento di un’intenzione vuota. Infatti, tanto nell’espressione «la mela è verde» quanto nella percezione della

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mela verde è la stessa mela che viene presa di mira, solo che nel primo caso viene intenzionata attraverso segni, nel secondo caso data in se stessa percettivamente. La possibilità di realizzazione di un’associazione tra un atto signitivo e l’intuizione, o meglio la possibilità di realizzazione dell’adeguazione, dipende dal fatto che in entrambi i casi il senso è il medesimo mentre diverso è l’atto attraverso cui il senso viene intenzionato. Nell’espressione simbolica, il senso viene inteso in maniera vuota, signitiva, mentre nel caso della percezione il senso viene inteso nel suo essere in carne ed ossa.

Sostenere che un’espressione simbolica riferendosi all’esperienza trova conferma in una percezione corrispondente equivale ad asserire che il pensiero trova conferma nell’esperienza. Se la questione viene posta in questi termini è possibile comprendere all’interno di quali considerazioni e con quali finalità Husserl affronta l’analisi della percezione. Nelle Ricerche Logiche, dove la questione relativa al rapporto tra pensiero ed esperienza si articola in una illustrazione del modo in cui qualcosa di pensato può essere ricondotto alla sensibilità, l’esperienza è «il termine, la conclusione del processo conoscitivo»28.

È nelle Ricerche che emerge quell’idea che sarà compiutamente sviluppata in un ciclo di lezioni di logica che Husserl terrà nei primi anni Venti del Novecento29, per cui:

I concetti logici, come unità valide del pensiero, debbono necessariamente

28 V. Costa, Premessa a Analisi sulla sintesi passiva, Editrice La Scuola, Brescia 2016, p.8, titolo

originale dell’opera Analysen zur Passiven Synthesis. Aus Vorlesungs und Forschungsmanuskripten 1918-1926.

29 La prima parte di questi corsi dedicata alle sintesi passive e alla costituzione antepredicativa,

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aver origine nell’intuizione; essi sorgono dall’astrazione ideante, sul fondamento di certi vissuti, e debbono trovare nuova verifica ed essere ricompresi nella loro identità con se stessi ogni volta che questa astrazione viene ripetuta. […] Noi vogliamo tornare alle «cose stesse».30

§ 1.4 Le caratteristiche della percezione esterna nelle “Ricerche logiche”

Con «tornare alle cose stesse» dobbiamo intendere un ritorno a quei vissuti soggettivi che dicevamo essere analizzabili in un atteggiamento puramente descrittivo. Nell’Introduzione alla Quinta ricerca al compito di descrivere la

singolare condizione fenomenologica31 del riempimento dell’intenzione

significante mediante una intuizione corrispondente, Husserl antepone un’indagine fenomenologica preliminare che verte sui vissuti intenzionali e i loro «contenuti»32.

Quando si afferma che l’analisi fenomenologica pretende di essere condotta sul piano dell’evidenza, l’idea di evidenza che dobbiamo tenere a mente ha a che fare con quella di immediatezza. Può essere definito dunque evidente un elemento che si offre nell’attimo, appunto, senza mediazione alcuna. Solo ciò che si offre secondo queste modalità può essere considerato come dato intuitivamente, come una datità nell’originale.

Per comprendere meglio cosa si vuole intendere qui con immediatezza del dato, prendiamo ad esempio la percezione di una scatola. I lati anteriori della scatola, che io in questo momento osservo, sono dati come attualmente presenti,

30 E. Husserl, Logische Untersuchungen, trad. it. A cura di G. Piana, Ricerche logiche, il

Saggiatore, Milano 1968, p.204

31 Ivi, p.467. 32 Ivi, p.465.

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30

dati intuitivamente, mentre nel caso dei lati posteriori siamo in presenza di un intendere vuoto. Similmente a quanto accade, come precedentemente osservato, nelle analisi degli atti di giudizio, anche qui le intenzioni vuote sono intese come un rimandare ad un oggetto di cui non si ha un riempimento intuitivo. Nelle

Ricerche logiche le intenzioni vuote, anche nel caso delle analisi della percezione esterna, sono pensate come intenzioni signitive. Pertanto, l’oggetto esterno sarebbe dato in parte in maniera intuitiva e immediata, per quanto riguarda i lati che propriamente vedo, e in parte in maniera signitiva, per quanto riguarda quelli di cui ho coscienza nel senso di un pensare segnico. Se, come poc’anzi sostenuto, condurre un’analisi in evidenza significa escludere ciò che si offre come mediato, vuol dire allora che dal campo di indagine dobbiamo estromettere questi elementi segnici e limitare l’indagine fenomenologica a quelle componenti del vissuto che si danno con il carattere dell’immediatezza: l’atto e le manifestazioni (o contenuti).

Affrontiamo ora l’analisi del particolare atto intenzionale della percezione esterna. Questo vissuto è appunto annoverato tra i vissuti intenzionali che si caratterizzano per il fatto di riferirsi a oggetti e ciò avviene nel senso dell’intenzione

per cui un oggetto è in essi «inteso», vi è un «tendere» a esso […].33 Dunque la

prima caratteristica essenziale della percezione è quella di essere percezione di, di possedere una tendenza ad andare oltre se stessa, una direzionalità verso l’oggetto che Husserl, come è noto, prendendo a prestito il termine da Brentano, denomina

intenzionalità34.

33 Ivi, p. 488.

34 Ciò che distingue il vissuto intenzionale percezione dagli altri vissuti dello stesso tipo è la

modalità con cui l’oggetto preso di mira si offre. Nel caso della percezione esterna, indipendentemente dall’effettiva esistenza dell’oggetto nella realtà, l’oggetto intenzionato si offre con il carattere dell’essere presente qui ed ora in carne ed ossa.

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Risulta essere, in questa sede, utile alla comprensione della nozione di intenzionalità che è all’opera nelle Ricerche, insistere ancora sulla coppia concettuale sentito/percepito impiegata da Husserl nella critica mossa a Brentano relativamente alla negazione del carattere di evidenza ai contenuti sensibili. Per elemento sentito si intende il contenuto reale del vissuto, ad esempio il momento sensoriale colore, mentre per percepito, per colore percepito, si intende l’obiettivo esser colorato dell’oggetto trascendente. Il colore sentito o vissuto, ciò che del percepito si manifesta, è dunque l’elemento realmente presente mentre il colore percepito, non essendo vissuto, può dirsi presente solo in senso intenzionale. Nella

Quinta ricerca scrive Husserl:

Per esempio, nel caso della percezione esterna, il momento sensoriale «colore», che rappresenta un elemento costitutivo reale di un vedere concreto (nel senso fenomenologico della manifestazione percettiva visuale) è un «contenuto vissuto» o «cosciente», non meno del carattere del percepire e dell’intera manifestazione percettiva dell’oggetto colorato. Di contro, questo stesso oggetto, benché sia percepito, non è vissuto o cosciente; e neppure lo è il colore in esso percepito.35

Volendo tornare al precedente esempio della scatola, possiamo similmente affermare che i lati che si offrono immediatamente, i lati che vengono vissuti, sono contenuti reali del vissuto intenzionale il quale dicevamo essere caratterizzato dalla pretesa di giungere all’oggetto percepito. Quest’ultimo, similmente a quanto

35 E. Husserl, Logische Untersuchungen, trad. it. a cura di G. Piana, Ricerche logiche, il

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precedentemente asserito relativamente al colore percepito, è definito sì come «contenuto di coscienza» ma in senso intenzionale. Vi sono dunque due tipi di contenuto che l’analisi descrittiva mette in luce: contenuto reale [reell] e contenuto intenzionale.

La dichiarata intenzione di Husserl di voler circoscrivere l’analisi fenomenologica a quegli elementi evidenti, accertabili riflessivamente, insieme all’idea precedentemente illustrata di immediatezza che sottende la nozione di evidenza, conducono ad una riduzione del campo d’analisi ai soli contenuti reali. Il contenuto intenzionale è escluso dall’indagine fenomenologica della percezione esterna.

Sebbene non venga considerato come possibile elemento d’analisi, possiamo senz’altro notare come solamente questo oggetto intenzionale, e non i contenuti sensibili a cui l’analisi fenomenologica si limita, costituisca la meta dell’atto intenzionale della percezione. La prova di ciò consiste nel fatto che al variare dei contenuti sensibili, reali, noi siamo coscienti di un medesimo oggetto. Scrive a tal proposito Husserl:

Io vedo una cosa, per esempio, una scatola, e non le mie sensazioni. Io continuo a vedere quest’unica e identica scatola, comunque essa venga fatta ruotare o orientata. Perciò ho anche sempre lo stesso «contenuto di coscienza» - se vogliamo designare l’oggetto percepito come contenuto di coscienza. Quindi, vengono vissuti contenuti molto diversi, e tuttavia viene percepito lo stesso oggetto. Il contenuto vissuto, in linea generale, non sarà dunque esso

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33 stesso l’oggetto percepito.36

Il contenuto reale in quanto vissuto non viene percepito; l’intenzione della percezione è dunque diretta verso l’oggetto percepito il quale è sempre più della somma delle singole sensazioni. Infatti, può accadere che una medesima

complessione di contenuti reali possa dar luogo a due sensi percettivi diversi oppure, al contrario, sulla base di diverse complessioni di sensazioni può aver luogo un’unica apprensione oggettuale. Quanto appena sostenuto rende evidente che nella percezione vi è qualcosache oltrepassa l’insieme dei dati sensibili. Il plus della percezione di cui si sta qui parlando, risiede nell’atto di apprensione o appercezione

che consiste nel conferimento di senso alla complessione dei contenuti reell intesi, in queste ricerche, come materie prive di una direzione intenzionale.

Nelle Ricerche logiche, l’angolazione adottata nell’analisi della percezione esterna rende tematico solo l’aspetto noetico, o apprensionale, della costituzione dell’oggetto intenzionale. Sebbene i contenuti reali siano considerati da Husserl determinanti per la costituzione dell’oggetto della percezione, difatti, non viene però chiarito in che modo questi contenuti privi di una direzione intenzionale contribuiscano alla formazione del senso della percezione.

[…] i contenuti veramente immanenti, che appartengono alla compagine reale dei vissuti intenzionali, non sono intenzionali: essi costituiscono l’atto, rendono possibile l’intenzione come sostegni necessari, ma non sono essi stessi intenzionati, non sono gli oggetti rappresentati nell’atto.

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Fin quando Husserl insisterà sul versante dell’appercezione, dell’apprensione animatrice delle sensazioni37, a discapito di una illustrazione delle modalità in cui

gli stessi dati iletici rendono possibile l’intenzione percettiva, il rischio per queste analisi è quello di esporsi a una critica di soggettivismo e dunque di relativismo38.

Le Ricerche logiche d’altra parte si collocano in un momento dello sviluppo del pensiero di Husserl in cui non sono ancora divenuti tematici alcuni ambiti di ricerca che più avanti contribuiranno ad arricchire le stesse analisi della percezione rendendo possibile non solo l’inclusione, in queste, dell’oggetto intenzionale ma anche l’apertura alla problematica della pretesa legittimità della conoscenza “oggettiva”.

In primo luogo, pensiamo alla dimensione della temporalità; questa è qui del tutto assente. Con questo non si vuole certo asserire che Husserl in questo periodo neghi alla percezione un decorso temporale, ma semplicemente che la temporalità non emerge come elemento costitutivo della percezione; ad essa non viene conferito nessun carattere di sintesi. Questo deve essere rintracciato altrove. Si noti a tal proposito che la struttura della percezione come intero, così come viene proposta nella Sesta ricerca, ricalca quella degli atti linguistici. Infatti, Husserl in queste pagine parla di una percezione semplice e di una percezione articolata o

37 Ivi, p. 473.

38 «[…] come ha notato Jacques Derrida, nella misura in cui non viene chiarito il ruolo della hyle

sensibile nella formazione dell’apprensione, la fenomenologia husserliana sembra muoversi all’interno di una nozione di intenzionalità «puramente ed esclusivamente attiva». L’atto intenzionale mette in forma i materiali sensibili, il mondo viene interamente inghiottito dalla soggettività che sembra creare il mondo, cosicché la filosofia husserliana sembrerebbe muoversi all’interno di uno psicologismo intenzionale o di un idealismo soggettivista.» V. Costa L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl, Vita e Pensiero, Milano 1999, p.89.

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categoriale. Nella percezione semplice l’oggetto si dà di colpo, fin da subito noi siamo coscienti di quest’identico oggetto. È poi possibile, che a partire da questa percezione semplice, si realizzi una percezione la cui intenzione si dirige sulle proprietà dell’oggetto, senza che questo cessi di essere tematico. Si è in questo caso in presenza di una percezione articolata che, similmente a quanto asserito in merito alla proposizione nelle analisi degli atti linguistici, è intesa come un intero al cui interno si articolano le sue parti. Questo modo di intendere la percezione fa sì che si possa reperire in questa sede una corrispondenza tra il piano predicativo e quello intuitivo sulla base della quale avanzare la pretesa di legittimità delle forme logiche del giudizio. Se ritorniamo all’esempio dell’asserzione «la mela è verde» possiamo infatti notare che vi sono delle forme logiche del giudizio che non trovano un riempimento nella intuizione. Per esempio, mentre della mela e del verde è possibile che si realizzi una percezione, un riempimento di una intenzione signitiva, lo stesso non può dirsi della forma logica «è»; questa non si incontra nell’intuizione. Qual è allora la legittimità di questi elementi logici grazie ai quali formulo un’asserzione con pretesa di verità? La legittimità risiede appunto nella concordanza dell’articolazione del giudizio con quella della percezione.

Una volta giunti a questa constatazione siamo inevitabilmente portati a porci il conseguente interrogativo: cosa rende possibile questa corrispondenza tra l’articolazione del giudizio e quella della percezione? Negli anni della prima edizione delle Ricerche questa problematica non può trovare risposta né difatti può essere posta da Husserl come tematica delle indagini fenomenologiche. È opportuno ricordare che le analisi della percezione nelle Ricerche si inseriscono all’interno dell’indagine relativa alla legittimazione delle forme logiche. Pertanto,

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l’analisi fenomenologica in questa fase dello sviluppo del pensiero di Husserl esclude dal proprio campo di indagine questioni relative alla trascendenza, considerata una questione metafisica, o alla genesi degli atti, quest’ultima concepita ancora in senso empirico-legale e quindi relegata all’ ambito di indagine della psicologia in quanto scienza dei dati di fatto39. Nei primi anni del Novecento,

infatti, la nozione di genesi per Husserl non ha ancora una accezione diversa da quella derivata dall’ambito psicologico, di una spiegazione causale, nel senso delle scienze naturali, della genesi dei vissuti. Pertanto, la fenomenologia, volendo prendere le distanze dalla psicologia come scienza della natura, si presenta come una descrizione delle modalità di costituzione a partire da oggettualità già costituite40, senza studiarne le genesi di cui invece si occupa la psicologia genetica.

Dunque, temporalità e genesi, come ambiti di ricerca, vengono esclusi dalle ricerche fenomenologiche, nelle quali non può divenire tematica la correlazione tra la genesi del pensiero come operazione di una coscienza costituente e la genesi dell’oggetto costituito.

§ 1.5Verso la svolta trascendentale. L’inclusione dell’oggetto intenzionale.

L’immediatezza caratteristica del criterio di evidenza di stampo cartesiano adottato da Husserl nelle Ricerche logiche risulta essere concorde con l’idea di

39 “Richiamiamo ora l’attenzione sul fatto che questo vissuto può essere inteso in modo

puramente fenomenologico, cioè in modo tale che resti neutralizzato qualsiasi riferimento all’esserci empirico-reale (agli uomini o agli animali della natura): il vissuto nel senso della fenomenologia pura. Nelle esemplificazioni illustrative che faremo seguire fra poco ci si può e ci si deve convincere che la neutralizzazione (Ausschaltung) che qui si richiede si trova sempre nella nostra libertà, e che le ostensioni «psicologico-descrittive» che sono o possono essere effettuate in esse, debbono essere colte «nella loro purezza» nel senso indicato e di conseguenza vanno intese come evidenza essenziali pure (a priori).” Ivi, p.471.

40 M.Vergani, Saggio introduttivo a E.Husserl, Metodo fenomenologico statico e genetico a cura

di M.Vergani, il Saggiatore, Milano 2003, p.19. (testo originale E. Husserl, Statische und genetische phänomenologische Methode, 1921).

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presenza istantanea, per cui evidente è ciò che si dà nella sua invarianza e dunque nella sua indipendenza dalla dimensione del fluire temporale. Avevamo notato come questa idea di evidenza aveva condotto verso una limitazione delle analisi alla dimensione immanente e conseguentemente all’esclusione dell’oggetto intenzionale. Questo, infatti, costituendosi nel conferimento di senso dell’atto d’apprensione alla complessione dei dati iletici, non può essere colto nella sua immediatezza. Questa esclusione comporta l’impossibilità del pieno sviluppo del concetto di manifestatività, così come inizierà ad essere sviluppato negli anni

immediatamente successivi alla prima edizione delle Ricerche, poiché in

quest’opera, escluso dalle indagini è proprio ciò che si manifesta. Solo in seguito a questa prima edizione, quando Husserl riconoscerà la possibilità per la ricerca fenomenologica di percorrere in piena evidenza un’ulteriore strada rispetto a quella iletico-noetica, ossia quella noematica, allora si sarà costituito un terreno fertile per lo sviluppo in senso fenomenologico della nozione di manifestatività e conseguentemente per quello della questione della trascendenza.

L’attenzione verso il momento noematico della percezione sorge in un particolare arco temporale dello sviluppo del pensiero di Husserl che si estende approssimativamente dal 1904 al 1909. In questi anni la percezione, che nelle

Ricerche logiche costituiva il termine ultimo di un’analisi molto più ampia, viene qui resa unico oggetto tematico di un ciclo di lezioni tenute nel semestre invernale del 1904/190541, nel semestre estivo del 190742 e in quello estivo del 190943.

Particolarmente interessanti per il loro carattere introduttivo risultano essere le

41Haupstücke aus der Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis. 42Haupstücke aus der Phänomenologie und Kritik der Vernunft. 43Einführung in die Phänomenologie der Erkenntnis.

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