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l’individuazione dei punti cardinali in materia

Ora, effettuando un rapido excursus storico, si nota come l’intero segmento portuale sia rimasto per molto tempo fondamentalmente avulso rispetto alla normativa comunitaria,1 cominciando ad essere lambito soltanto a partire dalla pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella vicenda Marinai

Francesi del 1974,2 che aveva stabilito la necessità di applicare i principi e le libertà enunciati dal Trattato CE anche nella materia in commento. Proprio per rispondere a tale sentenza venne nello stesso anno istituito un Gruppo comunitario di lavoro sui porti presieduto dalla Commissione Europea e costituito da rappresentanti delle Autorità Portuali degli Stati membri. Ebbene, nonostante tale organismo fosse pervenuto ad una relazione illustrativa sulla condizione amministrativo-organizzativa       

1

In proposito, più diffusamente MEIJ A. W. H. – NYSSENS H., State Intervention in Port-related

Services: a Bird’s Eye View, in Dir. mar., 2001, p. 62 ss; POWER V. J.G., European Community

Competition Law and Sea-ports, in Dir. mar., 2001, p. 90 ss.

2

Nello specifico, il riferimento è alla sentenza della Corte di Giustizia CE, 4 aprile 1974, causa 167/73, Commissione c. Francia, tratta da Raccolta, 1974, p. 359. In chiave di comparazione con il trasporto aereo, è interessante notare come in tale ambito i medesimi principi siano stati affermati nella pronuncia Nouvelle Frontière del 30 aprile 1986 (per la precisione Ministère public c. Lucas

Asjes ed altri, in Raccolta, 1986, p. 1425) secondo cui, per un verso, non avrebbero dovuto ritenersi

direttamente ed automaticamente applicabili alla navigazione aerea le disposizioni del Titolo V del Trattato CE, rilevando la necessità di uno specifico intervento del Consiglio; per l’altro, tutte le altre norme di questo strumento pattizio, ivi comprese quelle concernenti la concorrenza, contribuivano a disciplinare il settore.

  97 degli scali nei Paesi coinvolti, la Commissione poco successivamente ritenne che il settore in esame non abbisognasse di misure peculiari, considerando invece sufficiente l’attuazione della politica comune dei trasporti affermata in seno al Trattato CE e, precisamente, nel Titolo V di quest’ultimo.3

Vero è che in relazione al pilotaggio si segnala una specifica iniziativa legislativa assunta sul finire degli Anni Settanta, allorché il Consiglio dei Ministri decideva di adottare una direttiva, la n. 79/115/EEC,4 dedicata a promuovere l’utilizzo di tale servizio nella navigazione nel Mare del Nord e nel Canale della Manica. Atto che, prendendo le mosse dalla necessità di garantire la sicurezza in mare e prevenire fenomeni di inquinamento in quegli spazi acquei particolarmente affollati, obbligava i Paesi rivieraschi dell’area interessata a prendere tutte le misure necessarie per assicurare che le navi richiedenti un simile supporto venissero assistiti da piloti qualificati, in possesso di certificato rilasciato dalle autorità competenti di dette Nazioni. Inoltre, il provvedimento affermava che ogni Stato membro, rivolgendosi a prima vista a tutti i Paesi costituenti l’allora Comunità Europea, fosse tenuto ad adottare le misure appropriate ed indispensabili ad incoraggiare i propri vascelli ad avvalersi, durante il transito nel Mare del Nord o nel Canale della Manica, del servizio erogato soltanto dai titolari del documento appena richiamato o da certificato equivalente rilasciato da altro Stato costiero.5 Tuttavia, la direttiva in esame non consente di individuare un mutamento nel quadro preesistente poiché, essendo dedicata a favorire un pilotaggio in acque profonde o d’altura in tratti di

       3

CARBONE S.M.–GOBBO F.-MUNARI F.–POZZI C.,op. cit., p. 36. 4

Più precisamente, il 21 dicembre 1978 il Consiglio dei Ministri aveva deliberato di utilizzare lo strumento in questione, fondando l’atto sull’art. 84.2 del Trattato CE. Per questo in lingua inglese ci si riferisce ad esso anche con la denominazione “1978 North Sea Pilotage Directive”.

5

POWER V. J.G., EC Shipping Law, Second Edition, London-Hong Kong, 1998, pp. 563-564, il quale, successivamente alla descrizione della Direttiva in parola, si sofferma a ricordare come l’ex Commissario Europeo per i Trasporti, Lord Stanley Clinton Davis, abbia rilevato il bisogno di un’azione congiunta nell’ambito del servizio di pilotaggio già al tempo del “Memorandum on Shipping” elaborato dalla Commissione nel 1985.

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mare notoriamente trafficati e critici per la navigazione, non concerneva propriamente gli scali.

Le lenti attraverso cui le istituzioni europee avevano guardato tradizionalmente alle fattispecie portuali cominciarono però a cambiare con l’avvento degli Anni Novanta: la compatibilità dei regimi nazionali con il Trattato CE divenne centrale e dirimente, tanto da ispirare una serie numerosa di rilevanti decisioni giurisprudenziali.

La principale pronuncia con cui la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha inaugurato questo nuovo modo di intendere i rapporti tra diritto interno e comunitario è rappresentata dal celebre caso Porto di Genova I.6 In tale occasione la Corte ha censurato la normativa italiana dell’epoca poiché riconosceva solo alla compagnia portuale, unica impresa a carattere monopolistico formata da lavoratori esclusivamente di nazionalità italiana, l’erogazione di prestazioni di manodopera a favore delle imprese localizzate negli scali della penisola, operanti a loro volta in regime di monopolio.7

       6

La decisione richiamata presenta, nella sua denominazione estesa, i seguenti estremi: Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 10 dicembre 1991, causa C-170/90, Merci convenzionali del

Porto di Genova S.p.A. c. Siderurgica Gabrielli S.p.A. – Nave “Wallaroo”. È stata pubblicata, inter alia, in Dir. mar., 1991, p. 1129 ss.; in Dir. trasp., 1992, p. 134 ss.; in Foro pad., 1992, p. 308 ss.;

in Giust. civ., 1992, p. 2287 ss. nonché in SILINGARDI G.–ZUNARELLI S. (a cura di), Casebook di

diritto della navigazione e dei trasporti, Torino, pp. 30-34. Data l’importanza della sentenza, la

letteratura su di essa risulta particolarmente copiosa, per cui ci limitiamo a ricordare ex multis BRUSCO C., Imprese e compagnie portuali alla luce delle norme comunitarie, in Foro it., 1992 IV, p. 226; LONGOBARDI R., L’ordinamento giuridico del lavoro portuale alla luce del diritto

comunitario, in Mass. giur. lav., 1992, p. 397 ss.; MUNARI F., Compagnie portuali, imprese

concessionarie e operazioni di imbarco e sbarco: il diritto comunitario e la Corte di Giustizia, in Dir. mar., 1991, p. 1129 ss.; NICOLOSI L., Diritto di esclusiva sulle operazioni portuali:

incompatibilità con la normativa del Trattato CEE, in Giust. civ., 1992, p. 2291 ss.; RICCOMAGNO M., La Corte di Giustizia CEE e la disciplina italiana del lavoro portuale, in Foro pad., 1992, p. 312 ss.; ROSSI P., Brevi riflessioni in merito alla sentenza della Corte di Giustizia CEE in tema di

monopolio legale di imprese e compagnie portuali, in Dir. trasp., 1992, p. 135 ss.

7

Quanto alla vicenda, come ha ben illustrato nella sua puntuale ricostruzione dei fatti TACCOGNA G., Le operazioni portuali nel nuovo diritto pubblico dell’economia, cit., pp. 274-276,

  99 In sintesi, il giudice comunitario ha in primis affermato la piena soggezione della materia portuale alle regole e ai principi fissati dal Trattato CE per la creazione di un’economia libera di mercato, improntata a forme di concorrenza tra i soggetti imprenditoriali attivi in un determinato settore.8 Ciò, pur in mancanza di precipue norme attuative, in quanto l’ambito portuale non doveva ritenersi compreso in quello

       

“la società Merci convenzionali del Porto di Genova (in seguito anche «Merci») era l’unica concessionaria del Consorzio Autonomo (CAP) per l’esecuzione delle operazioni portuali per conto di terzi relative al carico ordinario nello scalo genovese in regime di sbarco in amministrazione obbligatorio e si trovava dunque in posizione monopolistica (mentre un’altra società aveva una concessione esclusiva per i traffici containerizzati). La Siderurgica Gabrielli aveva acquistato una partita di acciaio ad Amburgo e avendolo trasportato via mare a Genova si era dunque dovuta rivolgere alla Merci, sebbene la nave fosse attrezzata, quanto a mezzi e personale, per provvedere autonomamente allo scarico. La Merci ha a sua volta richiesto le necessarie maestranze alla locale compagnia, riservataria del lavoro portuale ai sensi dell’art. 110 cod. nav. ed ha così sbarcato la merce. Tuttavia, nel seguito, a causa di una serie di scioperi delle maestranze della compagnia, la Merci non è stata più in grado per mesi di consegnare alla

Siderurgica l’acciaio ed ha altresì impedito a quest’ultima di prelevarlo direttamente, sempre in ragione

delle riserve previste dall’ordinamento dello scalo genovese. In questa situazione, la Siderurgica ha ottenuto un decreto ingiuntivo dal Presidente del Tribunale di Genova con ordine di consegna dell’acciaio. Nel giudizio di opposizione, instaurato dalla Merci, la Siderurgica ha altresì richiesto il risarcimento di tutti i danni subiti. In corso di causa la merce è stata finalmente consegnata ma è rimasto ovviamente aperto quest’ultimo problema (dei danni). Inoltre la Siderurgica ha contestato gli importi pretesi dalla Merci per la sua prestazione, adducendo che erano sproporzionatamente elevati e corrispondevano in parte a servizi mai richiesti alla sua controparte e da questa mai resi. La Merci si è difesa – quanto alla mancata tempestiva consegna – invocando il regime pubblicistico nel quale svolgeva la propria attività nonché gli scioperi dei lavoratori portuali, come ragioni comportanti un’obiettiva ed incolpevole impossibilità temporanea della prestazione cui era contrattualmente obbligata, con la conseguenza che non avrebbe dovuto rispondere di danno alcuno. Circa le tariffe applicate la Merci ha sollevato analoghe eccezioni nuovamente invocando il regime pubblicistico al quale era soggetta; ha particolarmente insistito sul fatto che le tariffe fossero soggette ad approvazione dell’autorità e, come tali, obbligatorie ed inderogabili. In questa situazione il Tribunale ha sottoposto alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 177 Tr. CEE (ora art. 234 CE), una serie di quesiti circa la compatibilità del sistema delle operazioni portuali (che sarebbe stato chiamato ad applicare) con il diritto comunitario”. 8

È quanto mai opportuno tenere presenti le riflessioni formulate sul punto da MARESCA M., La

governance dei sistemi portuali. Linee di una riforma di dimensione europea, Bologna, 2006, pp.

22-23, secondo cui:

“l’ordinamento e la struttura dei porti italiani, così impostati, imperniati su un latente conflitto di interessi fra funzioni pubblicistiche di governo e di regolamentazione e funzioni imprenditoriali da un lato e sulla esclusione della libertà di accesso al mercato dei servizi portuali (fossero servizi di manodopera ovvero servizi imprenditoriali) dall’altro, non potevano non essere rilevati criticamente nella prospettiva dell’ordinamento comunitario. Ordinamento che, come è noto, si caratterizza proprio per la assoluta trasparenza nelle relazioni finanziarie fra Stati e privati e per la libera circolazione dei servizi in omaggio al principio del trattamento nazionale. Ordinamento, ancora, che, proprio fra gli anni ‘70 e ‘80, ha iniziato a definire un preciso modello nella gestione dei servizi pubblici: che si sintetizza nella loro “privatizzazione” da un lato, e nella loro “liberalizzazione” dall’altro: acquistando un ruolo essenziale in questo contesto, la regolazione del sistema ad opera, non certo delle stesse imprese – o di loro associazioni rappresentative – ma di autorità indipendenti e neutrali incaricate di presidiare al buon funzionamento del mercato, eventualmente «correggendolo» se necessario”.

  100 

dei “trasporti marittimi”, considerato dall’art. 80.2 del Trattato CE9 e richiedente la previa emanazione di atti di diritto comunitario secondario.

In secondo luogo, ha osservato come la riserva dello svolgimento delle operazioni portuali esclusivamente a favore delle maestranze costituite in gruppi e compagnie portuali, espressa dagli artt. 110 e 111 cod. nav., fosse suscettibile di integrare un abuso di posizione dominante precluso dagli artt. 8210 e 8611 del Trattato CE, inducendo queste (e le imprese concessionarie obbligate ad utilizzarle) a fatturare prezzi sproporzionati rispetto alle prestazioni effettuate, a non implementare le tecnologie e ad esigere il pagamento di servizi non richiesti.12 Nello specifico, in un simile quadro, la Corte registrava la diffusa tendenza ad aumentare il numero nonché i costi delle operazioni e a ritardarne l’esecuzione.13 Oltretutto, eventuali riduzioni di prezzo ad una parte dell’utenza venivano compensate con ingiustificati incrementi ai danni dell’altra.14

Ma, per quanto più qui interessa, i giudici di Lussemburgo hanno accertato l’incompatibilità con l’art. 28 del Trattato CE15 della regolamentazione italiana all’epoca vigente per le operazioni portuali, poiché impediva agli utenti l’autoproduzione dei servizi di caricamento, sbarco, trasbordo, deposito delle merci, nel momento in cui li costringeva ad avvalersi delle prestazioni erogate da imprese monopoliste. In particolare, in tal modo il sistema rendeva maggiormente onerose le       

9

Nella versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), art. 100 comma 2.

10

Ora, art. 102 secondo la numerazione del TFUE. 11

Attualmente art. 106 TFUE. 12

MEDINA C., Le norme del codice della navigazione sul monopolio delle compagnie portuali e

sull’esercizio da parte di imprese di operazioni portuali per conto terzi alla luce dei principi fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea: il giudizio della Corte del Lussemburgo, in Dir. mar., 1992, pp. 677-680.

13

Rammenta questo passaggio della motivazione della Corte di Giustizia, DONATIVI V.,

Autoproduzione e concorrenza nel sistema portuale. Il servizio di rimorchio, Milano, 1993, p. 53.

14

In merito, LAURIA F., Riserva ex art. 110 cod. nav. e responsabilità dello Stato italiano, in Riv.

it. dir. pubbl. com., 1992, p. 927.

15

 101 importazioni di merci provenienti dagli altri Stati membri, creando ostacoli agli scambi commerciali all’interno della Comunità.

Infine, la Corte di Giustizia ha ritenuto contrarie all’art. 39 del Trattato CE16 alcune disposizioni del regolamento per la navigazione marittima che limitavano l’iscrizione nelle compagnie portuali ai soli lavoratori aventi la cittadinanza italiana (artt. 152 e 156 reg. nav. mar.).

Pertanto, la pronuncia appena illustrata scardinava con effetto immediato gli equilibri esistenti negli scali europei, imponendo agli Stati membri di consentire l’accesso al mercato delle operazioni portuali, oltre ad acclarare un diritto di autoproduzione delle stesse.17

Le censure avanzate dal giudice comunitario in tema venivano confermate pressoché in toto da parte della Commissione Europea che, intervenendo nell’ambito di una formale procedura di infrazione in base all’art. 226 del Trattato CE18, aggiungeva ulteriori profili di difformità tra il diritto interno e quello comunitario. Applicando i principi sulla libera circolazione dei servizi alle operazioni portuali, quest’ultima percorreva un itinerario giuridico inesplorato dalla Corte di Giustizia a causa dei vincoli fissati allo scrutinio di tale autorità giurisdizionale dalla procedura di cui all’art. 234 del Trattato CE19. Infatti, nella lettera di costituzione in mora inviata allo Stato italiano in data 31 luglio 1992,20 la Commissione aveva modo di sottolineare come il divieto di autoprodurre le summenzionate operazioni portuali, stabilito dalla normativa nazionale, infrangesse non solo la libertà di circolazione       

16

Ora articolo 45 del TFUE. 17

MACARIO F., Autoproduzione di servizi e tramonto dei monopoli fra normativa comunitaria e

disciplina antitrust: la vicenda delle compagnie portuali, in Foro it., 1992, p. 229 ss.

18

Attualmente articolo 258 del TFUE. 19

Nel TFUE, corrisponde all’attuale art. 267. 20

CARBONE S.M. – MUNARI F., Gli effetti del diritto comunitario sulla riforma portuale, in Dir.

mar., 1994, pp. 14-15. Parla, invece, di “formale sollecitazione della Commissione” DONATIVI V., op. cit., p. 54.

  102 

delle merci, ma anche le regole sancite in merito alla circolazione e prestazione dei servizi dall’art. 49 del Trattato CE21. Nel giustificare la posizione assunta, l’organo esecutivo dell’Unione incentrava il proprio ragionamento sul fatto che una simile interdizione negherebbe ai soggetti operanti nei collegamenti marittimi internazionali la possibilità di utilizzare le attrezzature necessarie alla movimentazione in genere delle merci di cui essi sono ampiamente dotati. D’altronde, ad avviso di detta istituzione non avrebbero avuto alcun rilievo in merito né le esigenze imperative consolidatesi nella giurisprudenza comunitaria, né le deroghe ravvisate dall’art. 46 del Trattato CE22.

Il ruolo svolto dalla Commissione Europea nell’attuare i principi e le regole comunitari anche in materia portuale non si è certo limitato al caso suesposto, avendo invece la stessa rivestito una funzione chiave con riferimento ad almeno altre tre vicende meritevoli di segnalazione per la loro portata innovativa: le decisioni B&I

Holyhead I23, Sea Container/SeaLink24 e Porto di Rødby25.

Nella prima di esse, l’istituzione in parola ha messo in atto gli insegnamenti della teoria delle c.d. essential facilities, cogliendo l’occasione fornitale dal comportamento di SeaLink, società incaricata della gestione dello scalo di Holyhead e, al contempo, vettore di linea attivo nel medesimo luogo di approdo. Ora, la commistione dei poteri gestori degli spazi portuali con l’attività di trasporto marittimo permetteva a SeaLink di ostacolare notevolmente il suo diretto concorrente B&I, variando spesso e discrezionalmente gli orari dei propri traghetti al fine di

       21

Attualmente articolo 56 del TFUE. 22

Articolo 52 secondo la numerazione TFUE. 23

Si tratta, come ricordato daCARBONE S. M.–GOBBO F. -MUNARI F.– POZZI C.,op. cit., p. 39 nota 6, della Decisione della Commissione Europea del 1992 n. IV.34.174.

24

Pronuncia della Commissione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, L15/1994, p. 82.

25

Decisione dell’organo esecutivo europeo pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità

 103 danneggiare il competitor attraverso incrementi del moto ondoso tali da provocare l’inagibilità dei pontili di questi e impedirne, in ultima analisi, l’erogazione delle prestazioni.26 Facendo ricorso alla summenzionata concezione antitrust, la Commissione ha così definito la vertenza de qua nel senso di imporre alla società che, oltre a condurre attività vettoriali all’interno di un determinato porto, si occupi dell’amministrazione del medesimo scalo, l’obbligo di garantire un accesso all’infrastruttura essenziale ai propri concorrenti a condizioni equivalenti a quelle di effettuazione del servizio.27

L’organo esecutivo europeo suggellava, dunque, il principio secondo cui, in presenza di taluni elementi, un’impresa agente in uno specifico ambito portuale ha la titolarità di un diritto di accesso alle infrastrutturazioni di un altro operatore, allorché ciò risulti indispensabile alla conduzione delle sue attività.

Ad ogni modo, i ragionamenti dell’istituzione comunitaria mal celavano una certa preferenza per un’effettiva separazione fra i compiti di gestione di un dato scalo, da un lato, e l’esercizio di funzioni imprenditoriali in mercati contigui, dall’altro. Più precisamente, in seno a segmenti economici di dimensioni limitate, come quelli offerti dalle realtà portuali, destavano particolari preoccupazioni le forme verticalmente integrate, in ragione dei considerevoli effetti di esclusione che queste sono suscettibili di cagionare verso competitors non altrettanto strutturati.

       26

In merito, MALTBY N., Restrictions on Port Operators: Sealink/B&I Holyhead, in Eur. Comp. L.

R., 1993, p. 223 ss. e RATLIFF J., EC Competition Law: the Impact on Ports, in International

Business Lawyer, 1994, p. 181.

27

In merito, MARESCA M.,La regolazione dei porti tra diritto interno e diritto comunitario, cit., p. 78.

  104 

Alla luce dell’analisi appena illustrata, il comportamento adottato da SeaLink veniva quindi ritenuto contrario all’art. 82 del Trattato CE28, per cui la stessa andava conseguentemente incontro ad una condanna da parte dell’organismo in parola.

Il porto di Holyhead ha dato inoltre spunto nel 1994 ad una seconda decisione rilevante della Commissione Europea, denominata Sea Container/SeaLink, ove quest’ultima società risultava ancora soccombente, sempre in base all’art. 82 del Trattato CE, per non aver consentito alla prima impresa la possibilità di accesso a condizioni ragionevoli alle proprie articolazioni terminalistiche.29

Risale a quel periodo anche un’altra pronuncia dell’organo esecutivo europeo comunemente nota quale Porto di Rødby, dal nome dello scalo danese in cui si erano verificati i fatti sottoposti al vaglio dell’istituzione. Nel caso in esame, una società privata attiva nel segmento economico del trasporto marittimo e intenzionata ad effettuare un servizio di traghetto fra detto approdo e la località tedesca di Puttgarten, si era vista rifiutare l’accesso alle banchine da parte dell’impresa affidataria dell’amministrazione degli spazi portuali che, similmente a quanto osservato nelle vicende B&I Holyhead I e Sea Container/SeaLink, operava negli stesse aree anche in qualità di vettore, assicurando in esclusiva i collegamenti transfrontalieri tra i due centri suindicati. La Commissione, rimarcando l’inconciliabilità con il Trattato CE dell’utilizzo di posizioni dominanti in un determinato settore per garantirsi indebiti vantaggi sui competitors in mercati contigui, statuiva l’obbligo per le imprese dominanti di consentire ai concorrenti l’accesso, secondo modalità ragionevoli, alle proprie infrastrutture, qualora esse risultino insostituibili.30 Di conseguenza, tale       

28

Nella versione consolidata del TFUE articolo 102. 29

CARBONE S.M.–CELLE P.–LOPEZ DE GONZALO M., Il diritto marittimo. Attraverso i casi e le

clausole contrattuali, quarta edizione, Torino, 2011, pp. 155-156.

30

Come rilevato da CARBONE S. M.–MUNARI F., Gli effetti del diritto comunitario sulla riforma

portuale, cit., p. 31, nota 46, nel caso in esame la Commissione ha ampiamente affrontato il tema

della sostituibilità, rispetto alla tratta traRødby (località situata nell’isola di Sjelland, in Danimarca) e Puttgarten (scalo ubicato in Schleswig-Holstein, Germania) di altri possibili collegamenti per

 105 autorità concludeva per l’intervenuta violazione degli articoli 8231 e 86.132 del Trattato CE ad opera del Governo della Danimarca.

Se questo è stato il contributo della Commissione Europea all’attuazione dei principi comunitari e delle teorie antitrust in materia portuale nel corso dei primi anni Novanta, non può indubbiamente essere trascurato il sostanzioso corpus